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martedì 16 aprile 2013
Paolo Borioni: Il congresso della socialdemocrazia svedese
l'Unità, 15 aprile 2013
I socialdemocratici svedesi hanno appena concluso un interessante e vivacissimo congresso, svoltosi a Götebörg da giovedì a domenica scorsi. Il leader in carica Stefan Löfven non aveva rivali, e il suo discorso di grande effetto gli ha spianato maggiormente la strada. Con Löfven per la prima volta un leader sindacale (metalmeccanico) passa direttamente alla guida del partito. E’ evidente anche in Svezia che in ogni necessario e profondo rinnovamento rappresentare il lavoro rimane assolutamente centrale. Il partito a Götebörg ha così chiesto a Löfven soprattutto tre dirimenti innovazioni: assicurare sempre entro 90 giorni o istruzione o lavoro ai giovani disoccupati; limitare i profitti privati nel welfare; riformare i congedi parentali con più parità fra padri e madri. Argomenti che vanno al cuore del modello sociale nordico ed europeo.
Nel primo caso l’organizzazione giovanile SSU, che aveva proposto la mozione sui “90 giorni”, ha registrato un successo pieno, sottolineato dalla grande esultanza dei giovani socialisti nella grande sala di Götebörg. Nei suoi sei anni di governo la coalizione liberal-conservatrice ha tagliato di molto le risorse a disposizione delle politiche attive per il lavoro, diradandole o riducendole spesso a corsi per la redazione dei curricula o per la ricerca autonoma di un‘occupazione. Questa politiche mirano ad abbandonare i giovani al mercato precarizzante, aprendo la Svezia ai bassi salari. Löfven, invece, intende ribadire che il sistema di apprendimento e innovazione deve assicurare la formazione continua della competenze ma, al contempo, investire affinché le aziende innovino effettivamente, e quindi richiedano le competenze formate. Questo, del resto, è il vero propellente di un sistema nordico di palese successo, non la flexicurity a sé stante.
Anche sulla sempre maggiore interazione fra welfare pubblico e impresa “sociale” privata si è toccato un tema cruciale. Le riforme per “la libera scelta“ (risorse pubbliche concesse ai cittadini affinché le usino scegliendo liberamente istituti privati o pubblici) hanno prodotto risultati molto regressivi nella scuola (misurati dai test PISA) e anche nella sanità e nell’assistenza alla terza età. L’esperienza svedese indica che per estrarre profitto privato dal welfare qualità e personale vengono compressi, drenando ricchezza pubblica che perlopiù diviene esportazione di capitali. Solo nel 2011 i 2,3 miliardi di Corone di profitti privati avrebbero permesso di assumere 5750 addetti nel welfare pubblico. Le riforme “per la libera scelta” erano però state introdotte dagli stessi socialdemocratici nei “blairiani“ anni 1990, e difficilmente potevano essere rinnegate del tutto. Il partito aveva proposto al congresso di cambiare, ma solo imponendo rigidi criteri qualitativi (nel personale, nei servizi, nei materiali) per ogni istituto, pubblico o “profit“. Alcune federazioni locali (come Malmö) chiedevano invece la completa abolizione delle riforme degli anni ‘90. La proposta del sindacato LO è parsa la più vincente: rigorosi parametri di qualità minima e, comunque, apertura agli istituti “for profit“ solo se richiesto da referendum comunali. Numerosi, comunque, gli scontenti. Ma è stato soprattutto sui congedi parentali che molti (specie la rete femminista interna) si sono dichiarati insoddisfatti. Numerosi delegati avrebbero voluto in sostanza che i congedi parentali e le relative indennità monetarie fossero obbligatoriamente spartite in modo più eguale fra uomini e donne. Ma Löfven ha difeso lo status quo, lasciando alle famiglie la scelta che, dicono i dati, finisce per pesare (per i 4/5) sulle donne. Si è accusato il partito di cedere a sondaggi discutibili, favorevoli a lasciare tutto com’è. Ma il problema è più profondo: Löfven sa che la differenza salariale è la vera causa del fatto che ad assumersi il carico della cura sono ancora quasi sempre le madri: le donne, lavorando spesso nel pubblico e nel welfare guadagnano assai meno degli uomini, e rinunciano meno a malincuore al salario pieno. Interessante, proprio per questo, il dibattito che ne è nato. Si è ricordato il 1971, anno in cui la riforma fiscale distinse i redditi e i carichi fiscali dei coniugi. Olof Palme ricevette oltre 210.000 lettere di protesta senza ritirare questa misura che favoriva grandemente le famiglie bireddito, provocando un grande afflusso delle donne nel mercato del lavoro. Si discute insomma animatamente sulla capacità attuale della Socialdemocrazia di aprire nuove strade, ovvero di “fare“ opinione anziché subirla. Un dilemma di “egemonia” che interroga l’intera sinistra europea.
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