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venerdì 12 aprile 2013
Paolo Bagnoli: La gran bonaccia delle Antille
Dall'Avvenire dei lavoratori
La gran bonaccia delle Antille
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Il quadro risulta abbastanza chiaro. Ciò non significa, naturalmente, che possa dirsi normale, perché ci troviamo di fronte a un’anomalia inaggettivabile.
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di Paolo Bagnoli
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Se spiegare la situazione della politica italiana è sempre stato difficile, ora sembra un’impresa assai ardua eppure, pur trovandoci in un’anomalia cui non siamo capaci di assegnare un aggettivo che la qualifichi e la chiarisca il quadro complessivo risulta, in qualche modo, chiaro. Ciò non significa, naturalmente, che possa dirsi normale.
Vediamo. A diverse settimane dalle elezioni siamo con un Parlamento nel quale, al momento, operano solo due “commissioni speciali”. Praticamente in vacanza, addirittura sotto minaccia di occupazione da parte della truppa grilliana, artefice di un quasi-squadrismo di ritorno volto a imporre un governo del Parlamento senza l’esistenza di un “governo” vero. Le due “commissioni speciali” hanno il compito, una per Camera, di vagliare i progetti di legge che sono stati presentati; due commissioni onnicomprensive le quali, prima di rimettere un provvedimento in aula, devono fornire tutti quei pareri che l’iter parlamentare assegna alla competenza di commissioni diverse. È cosa che vediamo assai ardua. Non ce la facciamo proprio a capire come ciò possa surrogare un larva di normalità.
Si dice che il governo c’è, quello di Monti; e qui non si sa se piangere o ridere; forse è meglio chiudere gli occhi e far finta di nulla. Monti, infatti, al di là del merito – meglio sarebbe dire, al di là del demerito – è stato fiduciato da un Parlamento che non c’è. Il governo, quindi, sta seduto sopra un Parlamento con il quale non solo non ha vincolo formale alcuno, ma rispetto al quale è, politicamente parlando, del tutto estraneo. Non siamo esperti di Europa come il professor Monti, ma saremmo curiosi di sapere da lui se, nell’Europa che cita come fosse la terra promessa, sia mai avvenuto un qualcosa del genere. Andiamo avanti.
Napolitano ha chiamato Bersani dandogli un pre-incarico, ossia un mandato limitato a verificare se un suo possibile governo potesse avere la fiducia delle Camere. Bersani, che di animali se ne intende – dai giaguari ai tacchini – avrebbe dovuto sapere che vendere la pelle dell’orso prima di averlo preso non è saggio. E invece l’ha venduta due volte: la prima, quando ha ritenuto che al Pd e alla sua alleanza non poteva che toccare l’onore e l’onere della responsabilità del governo; la seconda, quando ha pateticamente corteggiato Grillo perché, se i Cinquestelle avevano dato qualche voto per far passare Grasso, a suo avviso allora l’operazione si poteva replicare vista anche l’assonanza programmatica tra le parti, cosa peraltro tutta da vedere, Tav in testa.
Senz'addentrarci qui nell'esegesi grillologica che oramai abbonda, ci poniamo una domanda. Possibile che Bersani non abbia capito che, se Grillo ha una qualche possibilità di tenere insieme –cosa non proprio facilissima – il suo bel gruzzolo di parlamentari, essa consiste proprio nel rappresentarsi, nonché nel comportarsi, come forza antisistema totalmente opposta alle forze del sistema? Si può essere più ingenui, per non dire sprovveduti?
Forse Bersani non se la caverebbe male come presidente del consiglio, insomma senza fama e senza lodo. Certo, chiedere un po’ di lavoro dopo aver votato i provvedimenti Fornero qualche dubbio, almeno in chi scrive, lo fa nascere.
I grillini, sia detto senza offesa, sembrano marinai privi di bussola capitati in un mare di cui sanno soltanto il nome, né conoscono i venti, né le onde. Da loro Bersani si è preso una bella usciata in faccia. Poi è salito al Colle e ha riferito al presidente Napolitano. Ma non si è capito se questo pre-incarico è stato, diciamo, congelato, oppure no. Le cose, naturalmente, cambiano se Bersani è una specie di pre-incaricato provvisoriamente esodato; almeno fino a che Napolitano è presidente, oppure se si tratta di un licenziato in via definitiva.
Che cosa farà il nuovo Capo dello Stato? Nessuno lo sa. Una situazione che ricorda la calviniana “bonaccia delle Antille”. Napolitano ha avuto, così, un colpo di genio; ha impegnato il calendario con la nomina di due commissioni – la parola "saggi", per favore, lasciamola per altro – con il compito, questa volta non "a casa", ma dentro lo stesso Quirinale, di elaborare proposte che sul piano istituzionale e su quello economico facilitino la quadratura del cerchio che poi è una “quadra” formata da Pd, Pdl, Scelta civica e 5 Stelle. Essa sembra dovrebbe risolversi nella compatibilità di ridursi a una terna per riuscire a far nascere un governo che non sia, tuttavia, un governissimo. Questa terna di governo deve mettersi d’accordo sul prossimo presidente della repubblica, vedere come dare un salvacondotto a Berlusconi – il quale, sia detto fra inciso, si è ritrovato a essere al centro di tutto e tiene, almeno a parole, il prezzo alto. Inoltre la terna deve siglare un accordo su alcuni punti, in primis sulla legge elettorale, per tornare, tra un anno forse, alle elezioni.
Così, dietro la parvenza del lavoro delle due commissioni, si prende tempo e si affilano i colloqui, si formulano le proposte e vengono messe a punto le transazioni. Non sappiamo se ci troviamo nella prassi di uno Stato democratico-parlamentare oppure no, ma la cosa non sembra interessare. E forse, sotto l’urgere del disfacimento istituzionale, quella di Napolitano è stata la scelta più saggia.
Sulla drammaticità delle condizioni in cui versa lo Stato si potrebbero scrivere enciclopedie. L’ultimo sintomo, tuttavia, è proprio una perla. Mentre Monti ha portato la pressione fiscale al 52% trovandosi, alla fine costretto, a dare un po’ di soldi ai creditori dello Stato, si è scoperto che quest’ultimo non sa con precisione con chi ha a che fare, come ci dice il contrasto tra il Tesoro e la Ragioneria generale. Ci ripetiamo: professor Monti, ma è europeo tutto ciò?
In siffatto contesto, veramente surreale e forse bisognerà cominciare a parlare di “surrealtà italiana”, Bersani ha disinvoltamente chiuso l’occhio alla sponda grillina e da vecchio comunista iperrealista si è ricordato della vecchia lezione del suo vecchio partito: mai rimanere senza alleati. Così ha agguantato subito il non amato Monti e si vedrà pure con Berlusconi; scommettiamo che alla fine usciranno tutti felici e contenti perché ognuno avrà il suo. Meglio così, naturalmente, almeno qualcosa rimane in piedi e la speranza, come sempre, è dura a morire.
Tant'altro ci sarebbe da dire. Ci limitiamo ora a una sola osservazione. Confessiamo che il generalizzato alzare le mani al “castismo” non ci piace; è demagogico. I costi della politica vanno ridotti, nel senso che vanno ridotti gli sprechi, la malversazione del pubblico denaro e i tanto condannati privilegi. Ma certo la questione non si affronta con la dichiarazione, che vuole essere popolare e fare notizia, che appena uno è eletto a una carica si riduce lo stipendio, vende non si sa quante macchine blu, rinuncia non si sa più a cos'altro. E intanto il partito di Di Pietro, pur avendo cessato di esistere, non si scioglie per non perdere i soldi pubblici.
Il bene, come suona un vecchio proverbio, non fa rumore; in questi casi, invece, ciò che si vuol fare è soprattutto rumore, ma in un paese in cui la miseria è abbassata a vera e propria povertà fino a portare taluni a togliersi la vita, in un paese in cui i licenziati sono stati nell’ultimo anno oltre un milione, tutto ciò non rappresenta niente anche quando le intenzioni possono essere positive.
La gente vuole e ha bisogno di altro; la recente contestazione di cui è stata oggetto la presidente della Camera a Civitanova Marche ne è la tragica, disperata, conferma. Quel fatto sì che ha prodotto notizia!
Qui habet aures audiendi, audiat! – "Chi ha orecchi per intendere, intenda". Aggiungiamo che quelli dovrebbero essere gli orecchi dei partiti, dei partiti veri, s’intende. Ma non esistendone più, nessuno sembra ascolterà.
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