martedì 16 aprile 2013

Paolo Borioni: Sul finanziamento della politica

L'Unità, 14 aprile 2013 Sul finanziamento della politica il lavoro dei 10 saggi fornisce indicazioni importanti e virtuose. Innanzitutto, i principi di base scelti dal “Gruppo di lavoro sulle Riforme istituzionali” ribadiscono il pericolo estremo nel lasciare campo libero solo ai privati. Occorre essere fermi su un punto: la forma di finanziamento della politica determina in modo fondamentale il tipo di società che otterremo. Tra tutte le democrazie avanzate non ci sono dubbi che il modello da evitare, da questo e da altri punti di vista, è quello Usa. Specialmente dal 1976, anno in cui la sentenza “Buckley contro Valeo” fissò il principio per cui l’erogazione di fondi alle campagne elettorali (proprie o di altri) equivaleva in sostanza ad una forma della libertà di espressione. Non a caso, senza scendere in dettagli, in quel paese sono debolissime e indirette le limitazioni al finanziamento da parte di potenti interessi. La difficoltà con cui in Usa avanzano riforme semplicemente civili (la limitazione dell’uso di armi) o ragionevoli (la riforma sanitaria) derivano dal fatto che, finanziando o meno i singoli candidati, sconfinati interessi privati in pratica selezionano già prima delle elezioni i parlamentari con possibilità reali di sedere al Congresso. Per questo anche i paesi più culturalmente affini agli Usa, come il Canada e il Regno Unito, deliberatamente evitano quel modello. Ciò non significa, come è ovvio, non innovare. Interessante è per esempio che il rimborso delle spese elettorali venga nel documento dei “saggi” sia limitato rispetto ad alcuni eccessi recenti, e sia soprattutto legato a una puntualissima documentazione delle spese sostenute. Va però ricordato che tali eccessi, a loro volta, erano il frutto della necessità di bilanciare lo sconfinato vantaggio di Berlusconi. Oggi a lui in politica si aggiungono altri miliardari, già attivi o scalpitanti, un fenomeno non ancora presente ai tempi del referendum per l’abolizione del finanziamento ai partiti del 1993. Per questo non solo occorre contestualizzare quel referendum, ma anche il ridimensionamento del finanziamento pubblico introdotto dalla recente legge 96/2012: non si tratta di imperativi morali assoluti in ogni tempo, bensì di un doveroso adattarsi della democrazia alla terribile crisi in atto oltre che (si spera) di prefigurare una politica meno zeppa di miliardari. E quindi meno bisognosa di affidare allo Stato l’indispensabile riequilibrio delle risorse. E’ anche molto positivo che i “saggi” incoraggino “sgravi per i contributi privati entro un determinato tetto massimo“ (che deve essere molto basso) e che consentano alle forze politiche di “usufruire gratuitamente di locali e spazi pubblici” oppure “l’accesso, anche fuori della campagna elettorale, agli spazi televisivi”. Occorre però notare che anche in questi casi si tratta di aiuti pubblici, tramite introiti mancati o strutture. Per questo, allora, è opportuno mantenere un punto della (nuova e più sobria) legge 96/2012: se si riconosce l’opportunità di incentivare il contributo privato con risorse pubbliche, è allora giusto rafforzare quella parte della norma che assicura 0,50 Euro dallo Stato per ogni euro di quote associative o di piccole donazioni raccolte privatamente dai partiti. E’ infatti il modo più sperimentato per stimolare, oltre che la donazione, anche l’emersione dei contributi. Nonché l’idea che iscriversi e partecipare in prima persona ai partiti è un atteggiamento virtuoso, alla base del modello sociale europeo. Anzi: servirebbero regole precise sulla destinazione di quote di finanziamento alle attività di base e alle sezioni, contro il verticismo e l’elitismo. Così l’interazione fra finanziamento pubblico e privato stimolerà un contatto più diretto con la base sociale, quindi una differenziazione fra destra e sinistra rispetto agli interessi rappresentati, fine necessario e offuscato se rimangono in campo solo i grandi miliardari. Infine i “saggi” auspicano che siano premiati i partiti che “si impegnano nella formazione politica”. Giustissimo: in Germania centinaia di milioni di Euro sono devoluti alle fondazioni politiche. Anche con cifre molto più modeste, ci aiuterebbe a restare in Europa anziché slittare verso il peggio dell’America.

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