martedì 30 aprile 2013

Alessandro Aleotti: Letta, l'ultimo uomo

LETTA, L’ULTIMO UOMO Nella metafora Nietzschana l’ultimo uomo è il raffigurarsi della condizione borghese: razionale nel suo porsi, ma incapace di risolvere i problemi che si situano oltre la propria dimensione. In questo senso, il governo Letta è un esperimento politico di “ultimo uomo”. Si tratta di un governo che presenta una morfologia ricavata dagli aspetti “migliori” che si trovano sulla superficie delle retoriche condivise: i ministri sono giovani, con una forte componente femminile e con una diffusa presenza di competenze tecniche e politiche. L’antropologia di questo governo si è tenuta ben lontana sia dai pericoli insiti nel neofitismo dell’avventura grillina che da quelli provenienti dalla nomina dei principali detentori del potere politico (da Berlusconi a D’Alema, da Monti a Bersani). Sul piano programmatico, il lavoro di cucitura del nuovo Presidente del Consiglio è stato ineccepibile: seppur in una incerta prospettiva di compatibilità, tutte le principali domande politiche del momento sono state accolte, dal ridimensionamento dell’Imu al reddito di cittadinanza, dall’abbattimento dei costi della politica al rilancio degli investimenti per il lavoro. Potremmo dire che se l’agire del Governo fosse un videogame, Letta avrebbe sbaragliato ogni concorrente. Purtroppo, l’azione del Governo non è un videogame (salvo nel cortocircuito della rappresentazione mediatica), ma un gioco con un impatto sociale ed economico non trascurabile. Partendo da questo “presupposto di realtà”, è facile prevedere che questo Governo non risolverà alcuno dei problemi che si propone di affrontare. Il motivo è facilmente spiegabile: se vogliamo risolvere i problemi rispettando i vincoli interni e internazionali che il nostro Paese si è dato , il risultato sarà che ciò che chiamiamo crisi assumerà forme sempre più gravi, mentre se affrontiamo direttamente le difficoltà economiche (sostegno alle imprese, diminuzione della fiscalità, reddito di cittadinanza e difesa dei posti di lavoro), l’economia globale avrà gioco facile nel divorarci in un sol boccone, rendendo catastrofico l’esito economico di questa azione di governo. Come si esce da questo apparente “vicolo cieco”? La soluzione non è comprensibile da chi si muove esclusivamente all’interno delle dinamiche che abbiamo definito di “ultimo uomo”, poiché essa prevede una riflessione politica ed esistenziale che metta in discussione l’assioma di una razionalità monopolizzata dal fattore economico. Occorrerebbe, per un attimo (e per motivi che hanno a che fare con la razionalità, non con la morale) staccarsi dall’idea che l’economia ci costituisce integralmente, per rendersi facilmente conto che la felicità (cioè la condizione diametralmente opposta a quella che viviamo dentro la “crisi”) non ha direttamente a che fare con l’economia dello scambio tra lavoro e denaro, ma con la disponibilità dei beni e dei servizi offerti dal nostro “stadio di civiltà”: ci interessa avere sicurezza, non denaro; salute, non denaro; libertà, non denaro; tecnologia, non denaro; tempo, non denaro. Certamente, a questo punto si leverà l’obiezione che tutto ciò che l’uomo desidera si compra attraverso il denaro e quindi l’economia intermedia necessariamente le nostre vite. A questa obiezione, all’apparenza così stringente, possiamo opporre l’intera storia dell’uomo che ha sempre visto la “vita materiale” come regola e la “vita economica” come eccezione. Posto che è sempre azzardato (per non dire insensato) pensare di essere giunti alla “fine della storia”, il tema politico oggi più urgente è quello di ristabilire, almeno in parte, la fisiologia che ci proviene dall’intera storia dell’uomo. Quindi, è solo mettendo all’ordine del giorno della politica una prospettiva che non si impantani nel velleitario tentativo di governare gli esiti dell’economia, che possiamo pensare di veder regredire la “crisi”, cioè quell’ossessione esistenziale che deriva dal non poter risolvere all’interno del gioco economico i problemi creati dall’economia stessa. Il perno di questa nuova prospettiva politica deve essere quel pensiero razionale che ha prodotto la principale ricchezza dell’uomo contemporaneo, cioè quella “società della Tecnica” grazie alla quale oggi viviamo in maniera certamente più confortevole che in qualunque passato. Solo se la politica guarda alla Tecnica, anziché all’economia, la grigia prospettiva che ci avvolge potrà dissolversi. Naturalmente, possiamo anche sognare che un evento imprevedibile smentisca questa nostra facile tesi e che rinasca un Dio per poterci salvare, ma ognuno di noi in cuor suo sa che all’onirico incanto dell’utopia è sempre preferibile il terreno disincanto del mondo. Alessandro Aleotti direttore@milania.it

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