martedì 2 aprile 2013

Franco Astengo: Contesa europea e crisi del sistema politico italiano

CONTESA EUROPEA E CRISI DEL SISTEMA POLITICO ITALIANO dal sito: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Un’analisi minimamente più approfondita di quella realizzata registrando semplicemente i dati di cronaca via accumulatisi nel corso di questi giorni di febbrili consultazioni intorno al nodo dell’eventualità di un nuovo governo in Italia ci indica che, con tutta probabilità, in nessun momento il Presidente della Repubblica, Napolitano, abbia mai avuto l’intenzione davvero di conferire un incarico. Quest’affermazione deriva da una costatazione di fatto: in Europa, nelle sedi che contano, lo scenario italiano post-elettorale era già stato stabilito e da quello schema, alla fine, non ci si è discostati. Lo scenario in questione, accompagnato dalla pubblicazione di sondaggi estremamente mirati (addirittura nei momenti immediatamente seguiti alla chiusura delle urne, il 25 Febbraio scorso, sono stati diffusi dei presunti exit-poll che li ricalcavano pedissequamente), prevedeva sì un risultato “nullo” nella distribuzione dei seggi al Senato della Repubblica, ma essendo decisiva per la formazione della maggioranza la Lista Monti: un esito che avrebbe favorito, alla fine, l’assoluta continuità con l’esecutivo nominato, in una situazione costituzionale del tutto border-line, nel Novembre 2011. Il massiccio voto ottenuto dal M5S (i cui esponenti, in verità, nel corso della campagna elettorale avevano sempre denunciato il fatto di essere stati sottovalutati) e la caduta, impressionante, del PD (un salasso di tre milioni e mezzo di voti) gonfiato come una rana da sondaggi rivelatisi alla fine del tutto sproporzionati (mi era capito di scrivere: “Alla fine a rimetterci saranno i sondaggisti”) e la vera e propria “debacle” della lista Monti hanno, quindi, costretto i reggitori della fila a equilibrismi davvero difficili, anche se alla fine il risultato è stato portato a casa, almeno provvisoriamente. Altro che “veti incrociati”, somma di “no”, ecc, ecc: ma rispetto di un copione molto rigido. Un copione dettato da due esigenze ineludibili, almeno a livello europeo: 1) Il mantenimento del rapporto, ormai del tutto squilibrato a livello internazionale, tra il prevalere dell’economia sulla politica. E di questa economia, incentrata sulla finanziarizzazione e il conseguente dominio delle banche (verrebbe da citare prima Brecht che Hilferding) sono emersi i parametri veri sui quali è stata costruita questa crisi che alla fine, se ci sarà una fine, mostrerà chiaramente i suoi vincitori e i suoi vinti. Un modello economico sul quale sono stati costruiti i trattati europei (non a caso riuscì Maastricht, e fallirono quelli tesi alla costituzionalizzazione del modello politico dell’Unione) e al riguardo del quali, per quel che concerne la situazione italiana, ci sarebbero da chiedere informazioni a Ciampi e Prodi veri autori dell’infilarsi dell’Italia in questo tunnel. L’inversione della rotta sul terreno europeo dovrebbe rappresentare il primo compito di una sinistra, soprattutto di quella sedicente riformista, degna di questo nome; 2) Il trasferimento del “deficit democratico” europeo anche all’interno del sistema politico italiano. L’andamento delle consultazioni di queste settimane è stato, in questo senso, fortemente indicativo: ne è uscito rafforzato il ruolo presidenziale, svilita ulteriormente la funzione del Parlamento (l’elezione delle cui cariche di vertice tra l’altro è stata giocata semplicemente in funzione della trattativa) addirittura negandone l’agibilità legislativa in assenza di governo. Realizzando, infine, un triplice obiettivo: il rafforzamento dell’idea presidenziale (ormai vecchio pallino del centrosinistra, già corifeo non pentito del sistema elettorale maggioritario. Quanto al presidenzialismo, nella sua versione semipresidenziale “alla francese” era già stato incluso nei dettami della Commissione Bicamerale presieduta, nel 1997, da Massimo D’Alema), il “continuum” di un modello di governabilità costruito al di fuori dalle aule parlamentari, la costruzione di una sorta di Areopago (la commissione dei cosiddetti “saggi”) che, al di là del giudizio (desolato) sulle soggettività, si muove in perfetta continuità con l’idea della Commissione Europea, “nominata” dai governi e non eletta da cittadini che si limitano a indicare i membri di un organismo poco più che consultivo quale il Parlamento Europeo. Questa sommaria ricostruzione d’analisi in questo frangente che, a mio giudizio, dimostra una cosa e ne indica un’altra: prima di tutto l’assoluta superficialità di impatto della contestazione “grillina” che si muove su di un terreno del tutto esterno alla concretezza dei fatti sul terreno economico e, per contro, del tutto conseguente con l’idea presidenziale e di riduzione nel rapporto tra politica e società che risulta, alla prova dei fatti, il fondamento teorico di questa forte operazione di restringimento della democrazia, in particolare del modello indicato dall’ancora vigente e negletta Costituzione repubblicana. In secondo luogo, almeno per i marxisti ma anche per chi più genericamente si proclama “di sinistra” con altrettanto vaghe ambizioni anti-liberiste (si sono rispolverati, sicuramente in maniera opportuna, Lord Keynes e il “New Deal”) la necessità di ripartire da un dato: il meccanismo di “ricollocazione di classe” (ho usato molto spesso questo termine, negli ultimi tempi, ma non ho alcun timore di ripetermi) che questa gestione della crisi sta producendo. Da quel punto, da una rinnovata “identità di classe”, si potrà ricostruire una teoria e una pratica politica autonome, in grado di far sviluppare ipotesi e pratiche in grado di indicare, da un lato un orizzonte di trasformazione, e dall’altro la praticabilità di una alternativa al riguardo della quale tornare a essere in grado di esercitare egemonia culturale. Franco Astengo

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