La crisi, gli
intellettuali e la classe politica di una nazione
Si è messo in atto
un processo di sviluppo economico e tecnologico di portata mondiale,
che non assume affatto le caratteristiche di un gioco a somma zero,
come si era soliti dire della vecchia economia di scambio.
In un
articolo a firma di Federico Fubini, apparso sul Corriere della sera di
martedì scorso, si lamentava il fatto che, al contrario di quanto
accaduto negli USA, a due anni e mezzo di distanza dalla crisi
finanziaria manifestatasi in Europa, all’interno dell’area non si sia
“ancora generato un libro che cerchi di definire cosa è successo in un
modo che sia, se non accettato, almeno discusso oltre i confini di ogni
singolo Paese”.
Anche qui da noi, si è discusso piuttosto prima sull’
opportunità e poi sulla necessità apparenti di allentare i vincoli di
bilancio imposti dalle politiche dell’Unione, per volontà quasi
esclusiva della nuova cancelliera di ferro, Angela Merkel.
E tuttavia,
in prossimità, si fa strada una strategia di uscita dalla crisi
incentrata su un nuovo sistema, di fiscal compact e di controllo
accentrato delle attività delle banche operanti nei singoli paesi
membri dell’Unione. Un rimedio che è di natura essenzialmente politica,
in quanto incide direttamente sull’esercizio del potere di sovranità,
nazionale ed internazionale, e quindi ridisegna di fatto gli assetti e
i confini dei rispettivi sistemi democratici di governance presenti all’
interno dell’eurozona.
Molte sono le ragioni, anche scontate, che
vincolano la scelta dell’eurozona. In primis, gli effetti, in gran
parte positivi, della globalizzazione. Per la prima volta, nella storia
dell’umanità, si è messo in atto un processo di sviluppo economico e
tecnologico di portata mondiale, che non assume affatto le
caratteristiche di un gioco a somma zero, come si era soliti dire della
vecchia economia di scambio. La crescita economica ha permesso a molti
paesi di uscire da uno stato di ancestrale povertà e, per alcuni di
essi, intrapresa la via dello sviluppo, si parla oggi di economie
emergenti, in quanto divenute competitive in ambito internazionale.
Di
riflesso, questo generale processo di cooperazione e sviluppo non
consente più oggi alle economie dei paesi dell’eurozona,
tradizionalmente avanzate, di agire singolarmente. Entro la prima metà
del XXI secolo, si stima che la popolazione mondiale potrebbe
raggiungere i nove miliardi di persone e quella europea ne
rappresenterebbe solo il 7%, rispetto al dato odierno del 20%. Inoltre,
si stima anche che, sempre nel 2050, la quota del Pil europeo, in
rapporto al PIL globale, potrebbe ridursi in percentuale rispetto a
quella odierna addirittura di 1/3, dall’attuale 30% ad un futuro
ipotizzato 10%.
Se la capitalizzazione (circa 400 miliardi di dollari)
di una società come la Apple arriva a superare, e non di poco, l’intero
ammontare del PIL (circa 320 miliardi di dollari) della Grecia, come di
recente avvenuto, è più che evidente che siamo di fronte a fatti e,
conseguentemente, a svolte epocali. Esattamente venti anni fa, nel
1992, un brillante e allora ancora giovane intellettuale, Francis
Fukuyama, ripropose all’attenzione del mondo intero (il suo libro La
fine della storia e l’ultimo uomo fu tradotto in oltre venti lingue!)
la tesi dell’avvenuta fine della storia, con il risultato tuttavia che
da più parti non ne venissero compresi appieno sia il senso che il
significato. Per tutta una serie di ragioni, che spesso non sono
evidenti, ma comunque agiscono nello spazio che il filosofo Emanuele
Severino definisce come “il sottosuolo del pensiero occidentale”. E
tuttavia Fukuyama indagava allora quello stesso spazio aperto
attraverso il quale, oggi, Colin Crouch, nel suo libro più volte anche
qui commentato, Il potere dei giganti (2012), si chiede in effetti
perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo.
Soprattutto o forse
principalmente di questo occorrerebbe pertanto discutere, di un nuovo
modo, imposto dall’Apparato tecnologico-finanziario, di fare politica,
della necessità, o forse sarebbe meglio dire de-stino di trovare e
realizzare un nuovo equilibrio sistemico di potere, in definitiva di
questo e di altro ancora di simile. Con buona pace dei berlusconi,
bossi, di pietro, grillo, fassina, e tanti altri ancora di cui
purtroppo ancora oggi qui da noi tanto si parla!
Angelo Giubileo
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