LE SOCIETA’ DI “RATING”
E LA FINANZA INTERNAZIONALE: DOV’E’ L’ABUSO
di FRANCESCO BOCHICCHIO
La Procura di Trani ha prospettato l’ipotesi di aggiotaggio per le società di “rating” che hanno portato, con le loro valutazioni negative, l’Italia (e stesso discorso vale per Grecia e Portogallo) sull’orlo del “default”. Il Tribunale non ha seguito, allo stato attuale,la Procura, ma la semplice prospettazione del reato è bastata a Alessandro De Nicola, autorevolissimo esponente liberale, ora financo commentatore di Repubblica, nell’ambito della tendenza,in contro-tendenza (e si chiede scusa per il bisticcio di parole)rispetto all’Europa, che vede la sinistra diventare sempre più liberale, per lamentarsi di certe iniziative giudiziarie antagoniste rispetto al mercato, idonee a gettare l’Italia nel ridicolo. Ma le cose stanno veramente così? Gli operatori economici nello svolgimento dei loro compiti istituzionali devono essere per antonomasia al di fuori dell’intervento penale, salvo specifico abuso? De Nicola è persona competente ed autorevole e intellettualmente raffinata: è consapevole dei limiti della regolamentazione delle società di “rating”, dei loro conflitti di interessi e dei loro abusi, quindi non solo della necessità di una congrua regolamentazione ma anche di sanzioni adeguate e rigorose, ma senza creare commistioni tra diritto penale e attività economica con sovrapposizione della valutazione del giudice a quella economica e con invasione da parte del primo nella sfera dell’operatore, il che sarebbe inevitabile quando si ricorre non a reati “ad hoc” ma a fattispecie penalistiche generali previste per tutt’altra ipotesi, quale, come nel caso dell’aggiotaggio, la tutela delle corrette negoziazioni di mercato. De Nicola trascura un punto fondamentale: le agenzie di “rating” sono in odore di conflitto di interessi con le “merchant bank” internazionali , queste scatenate nella conclusione, nei mercati di investimento finanziario, dei contratti derivati , che sono la categoria più rischiosa di investimenti finanziari. Gli strumenti derivati hanno ad oggetto beni od entità finanziarie o reali esterne al contratto e sono eseguiti con il pagamento del differenziale della quotazione alla data di esecuzione: possono essere di copertura o speculativi a seconda che i beni di cui al contratto siano o no nel patrimonio dell’investitore; nel caso di investimenti speculativi, il rischio di perdita può essere anche superiore e di molto, per l’effetto leva, al patrimonio conferito dal cliente all’intermediario. La speculazione è ritenuta meritevole di tutela dall’ordinamento in quanto può essere di sostegno ai mercati: appena entrata in vigore la prima normativa italiana organica di regolamentazione dei mercati finanziari e delle attività economiche ivi svolte (l. n. 1/91), alcune sentenze di merito milanesi negarono protezione alla pretesa dell’intermediario di ottenere l’esecuzione della prestazione del cliente in perdita per i derivati speculativi, alla luce del ricorso da parte del cliente stesso all’eccezione di gioco e scommessa: il problema fu subito chiarito a livello normativo, evidenziando l’impossibilità di utilizzare tale eccezione contro l’intermediario finanziario, che infatti svolge un’attività per antonomasia protetta. Ciò detto in astratto, le carte sono state scombinate in quattro e quattr’otto: il ricorso ai derivati speculativi è diventato abnorme, preponderante nell’ambito delle attività finanziarie “tout court”, le quali sono a loro volta preponderanti rispetto alle attività reali. Così operando, le banche d’affari internazionali hanno trascinato l’intero occidente nella crisi del 2008, la più devastante di tutte, nonostante le apparenze anche di quella del ’29 del secolo scorso, costringendo l’erario americano a correre in loro soccorso, con un esborso straordinario: dopo sono riuscite, con la loro forza, a bloccare ogni tentativo di riforma, per riprendere imperterrite nella loro azione in grado di portare la finanza speculativa a fagocitare l’economia mondiale. Ma non solo, adesso hanno impiegato la finanza speculativa, anche per tramare contro gli Stati sovrani deboli: hanno stipulato in massa e in quantità abnormi “credit defaul swap”, “cds”, strumenti derivati di credito, che la migliore dottrina (Emilio Girino) ritiene non rientrare nella categoria dei derivanti, in quanto mancanti del differenziale, ma adesso per legge qualificati come derivati (in Italia dal 2007). I cds sono contratti con cui un soggetto vende ad un altro la garanzia del credito: hanno natura assicurativa, ma il diritto assicurativo prevede che non ci si possa assicurare per un valore superiore al proprio rischio (di qui il divieto di assicurarsi sulla vita di altro non consenziente, come immortalato dai “noir” americani); pertanto, la copertura poteva essere acquistata solo da chi deteneva il credito in portafoglio; facendo rientrare i “cds” nei derivati, si consente l’acquisto della protezione a chi non ha il titolo in portafoglio scommettendo e speculando contro il debitore, con effetti abnormi nel caso di debito pubblico. Le società di “rating” che danno voti pessimi in pagella agli Stati deboli oggetto della speculazione delle banche d’affari con cui sono oggettivamente collegate (le banche d’affari insolventi nel 2008 godevano, al momento del tracollo, del miglior “rating” possibile), effettuano, male, la loro attività di valutazione economica o partecipano a un disegno illecito? E più in genere: le banche d’affari che scatenano i mercati contro gli Stati sovrani esercitano sempre un’attività protetta o esorbitano dal loro ambito per esercitare un’attività che è un “quid novi”, un qualcosa di abnorme e spaventoso? Come si può ritenere che si rientri in un ambito di economia ordinaria, in cui l’attività è sottratta al giudice penale? Chi scrive è garantista e quindi fermamente contrario a scorciatoie in materia penale, ma è chiaro che il problema sollevato dal Pretore di Trani merita profonda riflessione
Nessun commento:
Posta un commento