venerdì 29 giugno 2012

Alberto Benzoni: Venti anni perduti

VENTI ANNI PERDUTI
Di Alberto Benzoni

Qualche anno fa, alla vigilia delle elezioni del 2008, venne chiesto a Veltroni (o a chi per lui) perché mai i socialisti- dopo, tutto rappresentanti in Italia del partito socialista europeo- fossero stati discriminati da un Pd che pure aveva fatto un’eccezione alla sua pretesa di autosufficienza alleandosi con Di Pietro. Una curiosità del tutto informale che fu soddisfatta altrettanto informalmente: “perché sono irrilevanti”, questa la risposta.
Irrilevanti, anzi oggettivamente irrilevanti, eravamo dunque allora; e agli occhi di osservatori attenti. Ma irrilevanti siamo stati anche prima e dopo, lungo tutto il ventennio della seconda repubblica. Ma per colpa di chi o di che cosa? E’ curioso che, almeno tra di noi, nessuno si sia posto veramente questo problema: tutti a chiedersi, tra falsi rimorsi e veri rimpianti, perché eravamo crollati; nessuno che si chiedesse perché non eravamo risorti.
Pure, fare i conti con il passato è essenziale per costruire un qualche futuro. E il vostro appuntamento di Genova è l’occasione ideale per questo esercizio politico-intellettuale.
Penso, per quanto mi riguarda, che il “male oscuro”di cui soffriamo, quello che non ci fa uscire dal tunnel in cui ci troviamo, risieda fuori di noi: che abbia a che fare, insomma, non solo con l’eredità craxiana o con gli errori o le piccole viltà di piccole classi dirigenti, quanto, e soprattutto, con la vera e propria catastrofe politico-intellettuale che ha colpito il nostro paese- e con esso la “cosa socialista”- dagli anni novanta in poi.
Certo, la crisi del socialismo o, più esattamente, del modello socialdemocratico, è stata un fenomeno generale ed epocale, in tutto il mondo sviluppato. E si può certamente sostenere, come mi pare voi sosteniate, che questa crisi abbia colpito anche la “coscienza di sé”del movimento socialista: in un processo di revisionismo, riguardo ai mezzi, che rischia di trasformarsi progressivamente in rinuncia a perseguire i fini.
Ora, ecco il punto decisivo, l’Italia è stata, forse o senza forse, il luogo in cui questo processo vizioso è giunto ai suoi limiti estremi. Così si è cominciato con il constatare che lo Stato non disponeva più delle risorse per sostenere un “welfare universale”; per chiudere, modello diciannovesimo secolo, con l’assistenza ai bisognosi pagata dai ceti a reddito fisso. Ancora, si è percepita la difficoltà di garantire una politica di piena occupazione; per chiudere con l’invito alla guerra dei non garantiti contro i garantiti. E, infine, si sono denunciati gli scarsi risultati delle politiche meridionaliste; per chiudere con la liquidazione della questione meridionale e degli stessi meridionali in termini che non sarebbero dispiaciuti a Cesare Lombroso.
Insomma, mentre in altri paesi europei, l’aggiornamento, giusto o sbagliato che fosse, ha lasciato intatti protagonisti, strumenti, istituzioni e finalità della socialdemocrazia reale, in Italia questi sono stati oggetto di una condanna preventiva e senza appello che ha cancellato il Nome perché ha travolto la Cosa. Con il risultato di registrare, lungo l’arco di questi ultimi decenni, un deterioramento, anch’esso senza corrispettivi in altri paesi in Europa delle condizioni di vita e degli spazi di democrazia per la generalità degli italiani.
Oggi, regnano, insieme, il malcontento per lo stato di cose esistente e la più grande confusione sulle responsabilità e i rimedi. E ciò favorisce l’azione di coloro che hanno costruito a loro immagine e somiglianza il disastro della seconda repubblica e che oggi premono per la distruzione completa del sistema politico, sociale e istituzionale su cui è stata fondata la Repubblica.
Ma è proprio nei momenti di crisi che si impara a fare i conti con il passato e a costruire, su nuove basi, “sensi comuni”e cioè nuove coscienze collettive. Nel caso nostro, il compito non è quello di propagandare un Nome, un Partito, una Sigla, un Riferimento internazionale; ma di riaffermare, concretamente, nell’azione politica, sociale e culturale, l’attualità della Cosa.
Sapete, come e meglio di qualsiasi altro, che l’emergere di nuovi orizzonti e di nuove mentalità è uno dei fenomeni più eccitanti ma anche misteriosi della storia. Un percorso da costruire senza che nessuno sia titolare di mappe particolari, di materiali e di conoscenze particolari, e che è dunque il frutto di mille circostanze e di mille iniziative particolari. Occorrono però, questo sì, persone e gruppi intenzionati, costi quello che costi, a intraprendere il viaggio, a cercare, senza pregiudiziali sorta, chi è disposto a intraprendere lo stesso cammino e a individuare la strada da percorrere
Non si intraprende impunemente la celebrazione del nostro passato se non si è convinti del nostro futuro.
Mi congratulo dunque per questa vostra speranza e vi faccio i miei migliori auguri. Potete accettarli di buon grado. Tanto più che vengono da una persona “diversamente giovane”; una fascia di età forse indifferente al futuro ma drammaticamente attaccata a ciò che lascia dietro di sé.

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