Non ho letto la recensione di Giuliano Amato, benché apprezzi molte delle cose che vi compaiono, il Mulino non è il mio genere e quindi lo compero raramente e anche più raramente ci scrivo. Conosco invece Tony Judt che era Direttore del Remarque quando ho avuto lì un invito nel 1998. Ho sempre seguito quello che ha scritto e ho recensito il suo libro sull’Europa, in inglese, sul Sole24Ore. Ho avuto un breve scambio di corrispondenza con lui ( o meglio ovviamente con il suo apparato di supporto) poco tempo prima che morisse. Esce su Testi infedeli (a giorni) la mia recensione flash dell’ultimo libro commentato dalla moglie:
Il libro Thinking the Twentieth Century (Penguin, 2012), parla di un secolo, ma ci racconta di un uomo, Tony Judt, colpito da un male mostruoso, con un nome anche più temibile, Sclerosi Laterale Amiotrofica, SLA, che attacca i neuroni del moto ed erode via via tutte le capacità del corpo fisico, lasciando vivo un cervello sempre più prigioniero di una scatola insensibile, fino alla morte. E’ una condizione terribile che Tony Judt, uno dei maggiori intellettuali contemporanei, ha già descritto nella straziante e avvincente testimonianza (Lo chalet della memoria. Tessere di un Novecento privato (I Robinson. Letture) di Tony Judt, M. G. Cavallo e P. Marangon 2011) Ma al di là delle emozioni umane, questa vicenda ci dice, a contrariis, qualcosa in un paese come il nostro infestato da “intellettuali pubblici” disposti a cianciare su tutto e dai loro imitatori della domenica. Infatti, come ci racconta la moglie Jennifer Homans (in “Tony Judt: A Final Victory”, NYB, March 22, 2012), Tony Judt non voleva essere un “intellettuale pubblico”, ma solo un intellettuale impegnato: impegnato a difendere alcuni valori fondamentali, la verità storica, l’eguaglianza, il rispetto delle persone, poche cose così. Il libro è stato dettato con immane fatica da Judt e scritto dallo storico austriaco Timothy Snyder, autore di un altro capolavoro sul nostro tempo, Terre insanguinate (tr.it. Milano, 2011). Conclude Jennifer Homans “Tony’s text is dated July 5, 2010. He died on August 6”.
Non vi è dubbio che TJ sia un intellettuale di riferimento per me e per tutta la sinistra in cui mi riconosco. E (forse Giovanni mi correggerà) sono sempre stato abbastanza sorpreso dallo scarso uso che gli storici italiani fanno del suo Postwar Europe, anche dopo la tradizione in italiano, che per me rappresenta un testo di riferimento anche per la vicenda italiana. Ciò detto non mi piace il tono ringhioso con il quale Salvati e Amato vengono trattati (cerchiobottista l’uno e craxiano il secondo). Proprio da un Judt si impara la fermezza senza lo slandering tipico di una vecchia retorica di derivazione PCUS di cui Pajetta era maestro. Penso che più alzi il tiro contro la persona, meno riesci a contestarne le idee G
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Non ho letto la recensione di Giuliano Amato, benché apprezzi molte delle cose che vi compaiono, il Mulino non è il mio genere e quindi lo compero raramente e anche più raramente ci scrivo. Conosco invece Tony Judt che era Direttore del Remarque quando ho avuto lì un invito nel 1998. Ho sempre seguito quello che ha scritto e ho recensito il suo libro sull’Europa, in inglese, sul Sole24Ore. Ho avuto un breve scambio di corrispondenza con lui ( o meglio ovviamente con il suo apparato di supporto) poco tempo prima che morisse. Esce su Testi infedeli (a giorni) la mia recensione flash dell’ultimo libro commentato dalla moglie:
Il libro Thinking the Twentieth Century (Penguin, 2012), parla di un secolo, ma ci racconta di un uomo, Tony Judt, colpito da un male mostruoso, con un nome anche più temibile, Sclerosi Laterale Amiotrofica, SLA, che attacca i neuroni del moto ed erode via via tutte le capacità del corpo fisico, lasciando vivo un cervello sempre più prigioniero di una scatola insensibile, fino alla morte. E’ una condizione terribile che Tony Judt, uno dei maggiori intellettuali contemporanei, ha già descritto nella straziante e avvincente testimonianza (Lo chalet della memoria. Tessere di un Novecento privato (I Robinson. Letture) di Tony Judt, M. G. Cavallo e P. Marangon 2011) Ma al di là delle emozioni umane, questa vicenda ci dice, a contrariis, qualcosa in un paese come il nostro infestato da “intellettuali pubblici” disposti a cianciare su tutto e dai loro imitatori della domenica. Infatti, come ci racconta la moglie Jennifer Homans (in “Tony Judt: A Final Victory”, NYB, March 22, 2012), Tony Judt non voleva essere un “intellettuale pubblico”, ma solo un intellettuale impegnato: impegnato a difendere alcuni valori fondamentali, la verità storica, l’eguaglianza, il rispetto delle persone, poche cose così. Il libro è stato dettato con immane fatica da Judt e scritto dallo storico austriaco Timothy Snyder, autore di un altro capolavoro sul nostro tempo, Terre insanguinate (tr.it. Milano, 2011). Conclude Jennifer Homans “Tony’s text is dated July 5, 2010. He died on August 6”.
Non vi è dubbio che TJ sia un intellettuale di riferimento per me e per tutta la sinistra in cui mi riconosco. E (forse Giovanni mi correggerà) sono sempre stato abbastanza sorpreso dallo scarso uso che gli storici italiani fanno del suo Postwar Europe, anche dopo la tradizione in italiano, che per me rappresenta un testo di riferimento anche per la vicenda italiana. Ciò detto non mi piace il tono ringhioso con il quale Salvati e Amato vengono trattati (cerchiobottista l’uno e craxiano il secondo). Proprio da un Judt si impara la fermezza senza lo slandering tipico di una vecchia retorica di derivazione PCUS di cui Pajetta era maestro. Penso che più alzi il tiro contro la persona, meno riesci a contestarne le idee G
Guido Martinotti
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