sabato 21 aprile 2012

Renzo Penna: Criticare i partiti non è solo antipolitica

CRITICARE I PARTITI NON E’ SOLO ANTIPOLITICA

di Renzo Penna

Il Presidente della Repubblica, di fronte al montare della critica generalizzata e, per alcuni aspetti, demagogica che si sta diffondendo nel Paese nei confronti dei partiti - da ultimo per l’utilizzo scandaloso dei fondi pubblici da parte del tesoriere della Margherita e dai componenti il “cerchio magico” e familista della Lega Nord di Bossi, smaccatamente personale e irridente la situazione di difficoltà che nella crisi stanno attraversando tanti italiani - cerca di correre ai ripari e si schiera decisamente contro la demonizzazione dei partiti e della politica.
“Il passato e il presente - dice Napolitano - sono ricchi di esempi di onestà e serietà politica, di personale disinteresse, di applicazione appassionata ai problemi della comunità. Il partito e la politica - dice ancora - non sono il regno del male, del calcolo particolaristico e della corruzione. Il marcio ha sempre potuto manifestarsi, e sempre si deve estirpare: ma anche quando sembra diffondersi e farsi soffocante, non dimentichiamo tutti gli esempi passati e presenti. Guai a fare di tutte le erbe un fascio, a demonizzare i partiti e a rifiutare la politica. Per cambiare quel che va cambiato - aggiunge - bisogna senza ulteriore indugio trasmettere ai giovani la vocazione alla politica”.
Concetti che, nella sostanza, condivido e che di recente anch’io ho utilizzato per motivare la personale candidatura al Consiglio comunale di Alessandria: “Non ritengo che in politica, come nella vita, le responsabilità riguardino tutti nello stesso modo - ho scritto in una lettera aperta alle elettrici e agli elettori - così come il generico e populista: ‘…tanto sono tutti uguali’ genera solo qualunquismo e sfiducia e permette a chi ha sbagliato di continuare impunemente a farlo”. Argomenti che, però, oggi, come ha già messo in evidenza nel suo fondo Giancarlo Patrucco, suonano incompleti e da soli risultano insufficienti ad arginare la protesta, specie di fronte all’attuale incapacità, o mancanza di volontà, dei vertici dei principali partiti ad adottare contromisure serie e credibili. Una posizione sostenuta da personalità, come Gherardo Colombo e Gustavo Zagrebelsky, certo non inclini all’antipolitica, anzi d’accordo nel ritenere necessario il contributo pubblico per evitare discriminazioni, o eccessive dipendenze da imprese e gruppi economici, che non finanziano certo la politica con finalità filantropiche, ma fortemente critici sull’attuale quantità di soldi dati ai partiti, sul loro utilizzo e su una gestione tutta centralizzata e poco trasparente, sia delle risorse che delle candidature.

Una incapacità, quella dei partiti a dare risposte convincenti a una pubblica opinione sempre più insofferente nei confronti della politica, che deriva, in primo luogo, dalla crisi delle forze politiche, dalla perdita di peso e di ruolo democratico delle strutture di base, esautorate nella selezione della classe dirigente, che viene decisa e controllata al vertice con criteri più attenti alla fedeltà che al merito, sia per la designazione delle candidature che gli incarichi di potere. Una prassi che si è acuita, anni fa, con la “discesa in campo” di Berlusconi la quale, però, è stata - non va mai dimenticato - confortata dal consenso ampio degli elettori. Alla testa di una forza politica “personale”, costruita attraverso l’uso delle televisioni e che per assumere le decisioni non ha bisogno delle tradizionali e faticose procedure democratiche, visto che vi è già un capo, un leader riconosciuto, insomma, un padrone che decide per tutti. Non a caso non servono gli iscritti e non si tengono i congressi. Un partito personale di una delle persone più ricche del Paese che però non ha disdegnato riscuotere i soldi del finanziamento pubblico.
Un indirizzo, quello della forte personalizzazione nella politica, della ricerca del leader carismatico, con la spinta verso modelli di tipo “presidenziale” che, nella politica italiana ha, addirittura, preceduto lo stesso “cavaliere”. E implica, come conseguenza, partiti più “leggeri”, meno strutturati, più verticistici, nei quali la democrazia alla base viene, nella sostanza, svuotata di contenuti e di significato. L’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni, adottata per garantire una più certa governabilità degli Enti locali ha, nel contempo, di molto ridotto il ruolo dei Consigli e le stesse possibilità di controllo delle opposizioni. Se poi al posto di persone competenti e oneste vengono elette figure poco commendevoli, o solamente incapaci, ma con un forte potere di decisione, la necessità di introdurre nuovi contrappesi democratici diviene un’urgenza. Per non ripetere, ad esempio, l’esperienza, sotto diversi aspetti, fallimentare che sta caratterizzando il Comune di Alessandria.
E’ del tutto evidente, poi, che questa situazione di forte sfiducia nei confronti dei partiti e di crescente disaffezione verso la politica viene vissuta e preoccupa maggiormente l’elettorato di tradizione e cultura progressista. Mentre, infatti, esponenti del centro e della destra politica italiana sostengono di continuo non abbia più senso parlare di destra e di sinistra, molti, e tra questi anch’io, continuano a ritenere valido l’insegnamento di chi affida alla sinistra il compito di ridurre le diseguaglianze economiche e sociali. Un compito quanto mai attuale visto che la crisi di questi anni sta dilatando le differenze tra chi ha troppo e chi troppo poco in termini di reddito, di prospettive di lavoro, di formazione e di qualità della vita.
L’eccezionalità poi della fase politica italiana che, per fronteggiare la crisi economica del Paese, vede in parlamento un governo “tecnico” sostenuto insieme dalle tre principali forze politiche che hanno caratterizzato, nel recente passato, sia la maggioranza che l’opposizione al governo Berlusconi, rende più agevole il compito di chi fa leva sulla demagogia e l’antipolitica. Anche se i veleni del populismo, il rappresentare agli italiani una situazione artefatta, nascondendo la verità, inventando i nemici nello straniero e nel diverso per alimentare paure, egoismi e chiusure, non sono una novità degli ultimi mesi, ma da anni rappresentano l’essenza del berlusconismo e del leghismo.

Tocca però alle forze del centro sinistra e della sinistra, se vogliono salvarsi e dare senso alle parole di Napolitano, operare un profondo rinnovamento politico ed etico riducendo nettamente i costi della politica, adottando comportamenti e stili di vita in consonanza con le difficoltà, l’incertezza sul futuro che oggi vive una larga parte dei cittadini, cui viene chiesto di sopportare pesanti sacrifici. Certificare il bilancio dei partiti e sottoporre la gestione del finanziamento pubblico a rigorosi controlli va bene, ma non basta. La politica deve avere il coraggio di applicare riduzioni significative alle spese dei partiti, oggi generalmente ritenute non più accettabili. E che rappresentano il primo impedimento per i giovani nel tornare ad appassionarsi alla politica.
Il tema della questione morale si impone così con forza. Una questione più volte sollevata in questi anni, dentro e fuori dai partiti, ma che ha visto l’allontanamento e l’emarginazione di coloro che tale necessità hanno invano sostenuto e reclamato. E, visto che ad Alessandria - come in molte altre realtà - viviamo le settimane che precedono il voto per il rinnovo del Consiglio comunale, la necessità, ad esempio, di porre un tetto alle spese delle campagne elettorali si manifesta in tutta la sua evidenza. Che poi l’antipolitica - come ha di recente affermato la segretaria della Cgil - la critica distruttiva, e indistinta che trova oggi nel fenomeno del grillismo l’espressione più aggiornata, rappresenti il viatico per soluzioni restauratrici e di destra è sin troppo noto. E gli esempi sia sul piano internazionale che locale si sprecano. Ma per combattere efficacemente le posizioni demagogiche che non sono in grado di risolvere nel concreto la durezza e complessità dei problemi di oggi, servono, sia livello di amministrazioni locali che di governo nazionale, competenze, sobrietà, rigore e trasparenza nella gestione della cosa pubblica.
Rimango convinto che si può governare e amministrare in modo serio e onesto, restituendo ai cittadini la fiducia e alla politica il suo vero significato, ma i partiti devono dimostrare di aver compreso la gravità di ciò che sta accadendo e adottare contromisure serie e convincenti.
Indirizzata in questo senso la critica ai partiti, affinché cambino profondamente, rappresenta un’azione utile per chi non pretende meno, ma più politica.

Alessandria, 19 aprile 2012

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