L’articolo 18 e il licenziamento economico
Le perplessità emerse non sono affatto prive di fondamento ed è auspicabile che in Parlamento si provveda a modificare il testo del DDL adottato dal governo.
Da tempo si discute di riforma del lavoro in Italia e solo da qualche giorno è stato depositato in Parlamento un disegno di legge (DDL) “Fornero”, a nome del ministro proponente, che dovrebbe apportare vantaggi ad un settore che più di ogni altro risente della crisi internazionale economica e finanziaria.
La bozza di riforma del mercato del lavoro in Italia disciplina, potremmo dire, cinque aree d’intervento: istituti contrattuali di accesso al lavoro, licenziamenti individuali, ammortizzatori sociali, sostegno ai lavoratori “svantaggiati” (giovani, donne, adulti over 50, etc.), politiche attive e servizi per l’impiego.
Senz’alcun dubbio, i maggiori contrasti sul testo sono sorti nel merito della disciplina concernente le nuove forme di licenziamento individuale, e in particolare per quanto attiene alla fattispecie del licenziamento “economico”, riconducibile nella più ampia figura giuridica già in vigore del licenziamento per “giustificato motivo oggettivo”. In ordine alla nuova disciplina, direi che le perplessità finora emerse non sono affatto prive di fondamento ed è pertanto auspicabile che in Parlamento si provveda a modificare il testo del DDL adottato dal governo. Vediamo in particolare di cosa si tratta.
Attualmente, l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricorre nei casi, in generale, di chiusura dell’attività o soppressione del posto di lavoro. In caso di contestazione del licenziamento, spetta al datore di lavoro (onere) la prova della sussistenza delle ragioni tecniche o organizzative e il conseguente nesso di causalità tra queste e il provvedimento adottato nei confronti del lavoratore. L’illegittimità del provvedimento comporta l’obbligo del reintegro e inoltre la legge attualmente non prevede una somma d’importo massimale per il risarcimento.
A parte ogni altro nuovo aspetto che ne regola la disciplina, il testo del DDL introduce la figura giuridica del licenziamento individuale di tipo “economico” per “manifesta sussistenza del fatto”, distinguendone la fattispecie da quelle del licenziamento individuale di tipo “disciplinare” o “discriminatorio”. Per ora, è previsto che il licenziamento economico possa essere contestato in sede giudiziale, ma obbligatoriamente l’azione deve essere preceduta da un tentativo di conciliazione presso l’ufficio territoriale della Direzione provinciale del lavoro.
Siffatta generica previsione del DDL è fonte di molti dubbi, in quanto attribuisce al giudice un potere enorme, che addirittura travalica i limiti della funzione giurisdizionale e in pratica finisce con il condizionare l’esercizio della libera attività d’impresa, così come tutelata e garantita dalla Costituzione.
Infatti, nell’ipotesi di licenziamento economico illegittimo, il testo attuale prevede che sia il giudice a sanzionare la misura del reintegro o, in alternativa, dell’indennizzo risarcitorio per accertata “manifesta insussistenza del fatto”, con giudizio discrezionale. Ma vieppiù, nel senso che è previsto che sia pur sempre il giudice ad accertare se, nel caso di specie, si tratta di licenziamento di tipo “economico” e quindi, una volta accertato questo, se non si tratti piuttosto di licenziamento (anche) “discriminatorio”.
L’accertamento in questione dovrà infatti essere promosso in base ad un duplice profilo: in primo luogo, oggettivo, per ciò che attiene alla “manifesta sussistenza o insussistenza del fatto” e, in secondo luogo, soggettivo, per quanto concerne identità, ruolo e mansioni del lavoratore colpito dal provvedimento in rapporto ad altro o altri lavoratori della stessa azienda (o ramo produttivo). E’ indubbio che, per quanto concerne l’accertamento del profilo oggettivo, per il giudice non si tratta, semplicemente, di accertare l’avvenuta violazione o meno di un diritto, ma nel complesso si tratta piuttosto di accertare se sussistano o meno, in relazione non tanto alla dichiarazione quanto all’attività dell’impresa, le precondizioni economiche necessarie all’adozione del provvedimento di licenziamento.
Pertanto, è un bene che anche di questo si discuta, prendendo spunto da soluzioni di carattere giuridico che ancora timidamente iniziano a prospettarsi. In particolare, occorre che si discuta della necessità di ridurre il potere di determinazione del giudice: pensando di rafforzare il meccanismo, già previsto, della conciliazione preventiva obbligatoria o anche pensando di tipizzare la fattispecie astratta, dettagliando cioè nel testo della norma i casi o le situazioni specifiche che la contraddistinguerebbero, o comunque pensando questo ed altro ancora, ad evitare che la prospettata misura del licenziamento “economico” rappresenti un ulteriore elemento di rigidità a danno dell’intero sistema globale d’investimento delle risorse produttive.
Angelo Giubileo
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