Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
lunedì 30 aprile 2012
domenica 29 aprile 2012
Marc Lazar: La sopravvivenza del socialismo
“La sopravvivenza del socialismo” di MARC LAZAR da La Repubblica del 23 aprile 2012.
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Traduzione di Anna Bissanti
Uguaglianza e laicità così sopravvive il socialismo stile Hollande
Il socialista François Hollande, in testa al primo turno, potrebbe vincere l´elezione presidenziale. Significherebbe il grande ritorno della sinistra e del socialismo? Per un gran numero di esperti e teorizzatori, i concetti di sinistra e di destra sono ormai superati da tempo. Questa era l´idea di fondo che negli anni Novanta legittimò l´impresa di rinnovamento e superamento del socialismo definito della Terza via, sostenuto da Anthony Giddens e dal partito laburista. Impresa che ebbe ripercussioni su tutti i partiti socialdemocratici e socialisti europei. Tranne che in Francia. In verità, il Partito socialista condannò tanto Tony Blair quanto Gerhard Schröder e rifiutò addirittura di prendere sul serio quello che tuttavia resterà nella storia della sinistra come una fase di controversie importanti e decisive, il grande dibattito della fine del XIX secolo che si svolse in seno all´Spd tra Eduard Bernstein e Karl Kautsky.
Come si spiega questa particolarità tutta francese che fa sì che oggi François Hollande appartenga a un partito che rivendica orgogliosamente la denominazione di socialista? Una prima spiegazione è correlata al sistema elettorale in vigore nella Quinta Repubblica. L´elezione del presidente su due turni e poi le vicine elezioni legislative a scrutinio maggioritario uninominale a due turni spingono alla bipolarizzazione tra una sinistra e una destra, con conseguente asfissia del centro. Ciò che più conta, e questo è il secondo elemento fondamentale, tutto ciò accade in un paese che ha inventato con la rivoluzione del 1789 la sinistra e la destra; divisione che sin da quell´evento iniziatore struttura ancora oggi la vita politica. L´unica eccezione – ma di grande portata -, sotto la Quarta come sotto la Quinta Repubblica fu il generale De Gaulle, che volle essere al di sopra delle circostanze per meglio incarnare l´unità nazionale.
La sinistra resta dunque un valore fondamentale in Francia e coloro che nel Partito socialista hanno tentato negli ultimi tempi di ispirarsi all´estero per dar vita a un grande centro-sinistra sono rimasti in minoranza o sono dovuti andare altrove.
Ma che cosa significa sinistra oggi, e in particolare che cosa indica la parola socialismo? François Hollande non ne ha mai fatto parola nel suo programma o nelle sue dichiarazioni, il che a ben pensarci è del tutto normale per un uomo che aspira alla massima carica della Repubblica e ha dunque allo stesso tempo necessità di radunare sotto di sé il proprio partito e bisogno di attirare gli elettori moderati. Il suo partito, al contrario, ha cercato per venti anni di adeguare la sua dottrina alle grandi trasformazioni in corso, come la globalizzazione, l´avvento del capitalismo finanziario, i mutamenti della società – con l´intensificarsi delle ineguaglianze, l´aumento dell´individualismo, le preoccupazioni riconducibili all´insicurezza, i conflitti tra varie comunità – le sfide poste dall´ambiente, i flussi migratori, i cambiamenti della democrazia, l´avanzare del populismo e così via. Senza mai aderire ufficialmente alle tesi della Terza Via, di fatto le si è avvicinata, riconoscendo l´economia di mercato nel momento stesso in cui proponeva di regolamentarla a livello di nazione, di Europa e di mondo, integrando le aspirazioni ecologiste e sforzandosi di soddisfare le aspirazioni libertarie delle classi medie e le rivendicazioni per la sicurezza delle fasce popolari.
Sussistono tuttavia le particolarità del suo riformismo che egli oggi rivendica apertamente: l´importanza accordata allo Stato, la generosità dei sussidi sociali, una retorica alquanto radicale per contrastare la concorrenza a sinistra, molta ambiguità sull´Europa (tenuto conto di quanto questo argomento divida), continui riferimenti alla Repubblica e alla laicità, e infine la forte dedizione al sentimento di eguaglianza.
È questo il socialismo? Si tratta di un grande interrogativo, all´origine di dibattiti senza fine. I marxisti tradizionalisti e i rappresentanti della sinistra hanno buon gioco a denunciare la rinuncia alla collettivizzazione dei mezzi di produzione e di quella che essi definiscono la “capitolazione” davanti al mercato. I modernizzatori ribattono dal canto loro che la forza del socialismo scaturisce dal suo continuo adattarsi alle evoluzioni del capitalismo e della società continuando tuttavia a restare fedele ai valori fondamentali dell´eguaglianza e della libertà. In verità, in Francia il socialismo del partito di Hollande, più che un grande disegno teleologico, serve soltanto da testimonianza sullo scenario politico, che gli elettori possono o non possono utilizzare. Nel 2012, a causa del rigetto generale nei confronti di Sarkozy e della crisi economica, paiono desiderosi di farne uso.
Traduzione di Anna Bissanti
“La sopravvivenza del socialismo” di MARC LAZAR da La Repubblica del 23 aprile 2012
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Traduzione di Anna Bissanti
Uguaglianza e laicità così sopravvive il socialismo stile Hollande
Il socialista François Hollande, in testa al primo turno, potrebbe vincere l´elezione presidenziale. Significherebbe il grande ritorno della sinistra e del socialismo? Per un gran numero di esperti e teorizzatori, i concetti di sinistra e di destra sono ormai superati da tempo. Questa era l´idea di fondo che negli anni Novanta legittimò l´impresa di rinnovamento e superamento del socialismo definito della Terza via, sostenuto da Anthony Giddens e dal partito laburista. Impresa che ebbe ripercussioni su tutti i partiti socialdemocratici e socialisti europei. Tranne che in Francia. In verità, il Partito socialista condannò tanto Tony Blair quanto Gerhard Schröder e rifiutò addirittura di prendere sul serio quello che tuttavia resterà nella storia della sinistra come una fase di controversie importanti e decisive, il grande dibattito della fine del XIX secolo che si svolse in seno all´Spd tra Eduard Bernstein e Karl Kautsky.
Come si spiega questa particolarità tutta francese che fa sì che oggi François Hollande appartenga a un partito che rivendica orgogliosamente la denominazione di socialista? Una prima spiegazione è correlata al sistema elettorale in vigore nella Quinta Repubblica. L´elezione del presidente su due turni e poi le vicine elezioni legislative a scrutinio maggioritario uninominale a due turni spingono alla bipolarizzazione tra una sinistra e una destra, con conseguente asfissia del centro. Ciò che più conta, e questo è il secondo elemento fondamentale, tutto ciò accade in un paese che ha inventato con la rivoluzione del 1789 la sinistra e la destra; divisione che sin da quell´evento iniziatore struttura ancora oggi la vita politica. L´unica eccezione – ma di grande portata -, sotto la Quarta come sotto la Quinta Repubblica fu il generale De Gaulle, che volle essere al di sopra delle circostanze per meglio incarnare l´unità nazionale.
La sinistra resta dunque un valore fondamentale in Francia e coloro che nel Partito socialista hanno tentato negli ultimi tempi di ispirarsi all´estero per dar vita a un grande centro-sinistra sono rimasti in minoranza o sono dovuti andare altrove.
Ma che cosa significa sinistra oggi, e in particolare che cosa indica la parola socialismo? François Hollande non ne ha mai fatto parola nel suo programma o nelle sue dichiarazioni, il che a ben pensarci è del tutto normale per un uomo che aspira alla massima carica della Repubblica e ha dunque allo stesso tempo necessità di radunare sotto di sé il proprio partito e bisogno di attirare gli elettori moderati. Il suo partito, al contrario, ha cercato per venti anni di adeguare la sua dottrina alle grandi trasformazioni in corso, come la globalizzazione, l´avvento del capitalismo finanziario, i mutamenti della società – con l´intensificarsi delle ineguaglianze, l´aumento dell´individualismo, le preoccupazioni riconducibili all´insicurezza, i conflitti tra varie comunità – le sfide poste dall´ambiente, i flussi migratori, i cambiamenti della democrazia, l´avanzare del populismo e così via. Senza mai aderire ufficialmente alle tesi della Terza Via, di fatto le si è avvicinata, riconoscendo l´economia di mercato nel momento stesso in cui proponeva di regolamentarla a livello di nazione, di Europa e di mondo, integrando le aspirazioni ecologiste e sforzandosi di soddisfare le aspirazioni libertarie delle classi medie e le rivendicazioni per la sicurezza delle fasce popolari.
Sussistono tuttavia le particolarità del suo riformismo che egli oggi rivendica apertamente: l´importanza accordata allo Stato, la generosità dei sussidi sociali, una retorica alquanto radicale per contrastare la concorrenza a sinistra, molta ambiguità sull´Europa (tenuto conto di quanto questo argomento divida), continui riferimenti alla Repubblica e alla laicità, e infine la forte dedizione al sentimento di eguaglianza.
È questo il socialismo? Si tratta di un grande interrogativo, all´origine di dibattiti senza fine. I marxisti tradizionalisti e i rappresentanti della sinistra hanno buon gioco a denunciare la rinuncia alla collettivizzazione dei mezzi di produzione e di quella che essi definiscono la “capitolazione” davanti al mercato. I modernizzatori ribattono dal canto loro che la forza del socialismo scaturisce dal suo continuo adattarsi alle evoluzioni del capitalismo e della società continuando tuttavia a restare fedele ai valori fondamentali dell´eguaglianza e della libertà. In verità, in Francia il socialismo del partito di Hollande, più che un grande disegno teleologico, serve soltanto da testimonianza sullo scenario politico, che gli elettori possono o non possono utilizzare. Nel 2012, a causa del rigetto generale nei confronti di Sarkozy e della crisi economica, paiono desiderosi di farne uso.
Traduzione di Anna Bissanti
“La sopravvivenza del socialismo” di MARC LAZAR da La Repubblica del 23 aprile 2012
sabato 28 aprile 2012
giovedì 26 aprile 2012
mercoledì 25 aprile 2012
Franco Astengo: 25 aprile
25 APRILE: LA DATA PIU' IMPORTANTE DELLA NOSTRA STORIA
Ricordiamo il 25 Aprile, punto di arrivo della lunga storia dell'antifascismo.
Sono trascorsi 67 anni da quel giorno, ma l’importanza non solo storica di questa ricorrenza si è accresciuta di anno in anno ed è sempre più importante rammentarla, soprattutto al riguardo delle giovani generazioni che non possono ignorare le loro radici, l’origine della libertà di cui godono ancora adesso, non restando indifferenti ai tentativi di annacquarne o distorcerne il significato.
Il 25 Aprile è stato ' il giorno del riscatto della dignità nazionale, della cancellazione dell'onta del tradimento, della sollevazione popolare contro l'invasione straniera e la sopraffazione imposta da una dittatura che aveva cacciato l'Italia nel baratro della guerra, della distruzione, del massacro degli innocenti.
Questo è stato, è, sarà, il significato profondo del 25 Aprile.
Dedichiamo queste poche parole alle forze politiche antifasciste, a coloro che sacrificarono tutto per salire in montagna, o furono deportati nei lager nazisti per aver testimoniato la propria fede in un diverso avvenire, con quegli scioperi operai che costituirono l'elemento decisivo per il risveglio delle coscienze intorpidite dai 20 anni di dittatura.
Noi esaltiamo La Liberazione, difendendola da ogni idea di distorsione dei valori che essa rappresenta; da ogni tipo di “revisionismo storico”, da tutte le aggressioni che vengono portate alla Costituzione, cercando di manometterne i pilastri fondanti:
i diritti dei lavoratori e del lavoro. Il rapporto tra la Resistenza e il lavoro ha visto il suo frutto più importante nell'articolo 1 della Costituzione. Laddove si parla di “Repubblica fondata sul lavoro”. Basta andare a rileggersi il dibattito che, alla Costituente, portò alla formulazione di quell'articolo per capire l'importanza fondamentale che il tema del lavoro aveva avuto nell'antifascismo e nell'idea di ricostruzione dell'Italia dalle macerie della guerra. D'altro canto ci pensarono gli stessi operai delle fabbriche, difendendo, negli ultimi giorni di guerra, i macchinari che i tedeschi intendevano portare via. La difesa di quei macchinari in tante fabbriche a Genova, a Milano, a Torino ed anche a Savona (un episodio molto importante sotto quest’aspetto accadde alla Scarpa e Magnano) consentì di riprendere subito la produzione, di riavviare il riscatto, anche economico, della nuova Italia.
Non possiamo però dimenticare di chiedere:
il rispetto dell'articolo 11, con il ripudio della guerra;
Il diritto a una salute universale, gratuita, pubblica;
Il diritto a una scuola pubblica efficiente e veramente formativa;
La prevalenza dell'interesse pubblico nell'economia, con la gestione dei servizi pubblici essenziali e dei settori strategici esercitata nel nome dell'interesse generale.
Savona fornì un contributo fondamentale perché si arrivasse al traguardo risolutivo della Liberazione, grazie al sacrificio dei suoi martiri, all'impegno costante delle forze politiche antifasciste, a coloro che sacrificarono tutto per salire in montagna, o furono deportati nei lager nazisti per aver testimoniato la propria fede in un diverso avvenire.
Savona fu tra le città liberate direttamente dai partigiani, una Città fiera della medaglia d'oro al valor militare acquisita nella Lotta di Liberazione, che ricorda con orgoglio i suoi martiri.
Per noi il 25 Aprile è ricordare la storia, considerando quella data come la pagina più bella, scritta grazie al sacrificio dei migliori di quella generazione che ha saputo ricostruire l'Italia.
Una generazione di cui, nella modestia della nostra realtà, vorremmo essere degni, pensando alla Resistenza come al momento più alto nel quale le masse popolari seppero costruire la Storia del nostro Paese.
Savona, li 8 marzo 2012 Franco Astengo
Ricordiamo il 25 Aprile, punto di arrivo della lunga storia dell'antifascismo.
Sono trascorsi 67 anni da quel giorno, ma l’importanza non solo storica di questa ricorrenza si è accresciuta di anno in anno ed è sempre più importante rammentarla, soprattutto al riguardo delle giovani generazioni che non possono ignorare le loro radici, l’origine della libertà di cui godono ancora adesso, non restando indifferenti ai tentativi di annacquarne o distorcerne il significato.
Il 25 Aprile è stato ' il giorno del riscatto della dignità nazionale, della cancellazione dell'onta del tradimento, della sollevazione popolare contro l'invasione straniera e la sopraffazione imposta da una dittatura che aveva cacciato l'Italia nel baratro della guerra, della distruzione, del massacro degli innocenti.
Questo è stato, è, sarà, il significato profondo del 25 Aprile.
Dedichiamo queste poche parole alle forze politiche antifasciste, a coloro che sacrificarono tutto per salire in montagna, o furono deportati nei lager nazisti per aver testimoniato la propria fede in un diverso avvenire, con quegli scioperi operai che costituirono l'elemento decisivo per il risveglio delle coscienze intorpidite dai 20 anni di dittatura.
Noi esaltiamo La Liberazione, difendendola da ogni idea di distorsione dei valori che essa rappresenta; da ogni tipo di “revisionismo storico”, da tutte le aggressioni che vengono portate alla Costituzione, cercando di manometterne i pilastri fondanti:
i diritti dei lavoratori e del lavoro. Il rapporto tra la Resistenza e il lavoro ha visto il suo frutto più importante nell'articolo 1 della Costituzione. Laddove si parla di “Repubblica fondata sul lavoro”. Basta andare a rileggersi il dibattito che, alla Costituente, portò alla formulazione di quell'articolo per capire l'importanza fondamentale che il tema del lavoro aveva avuto nell'antifascismo e nell'idea di ricostruzione dell'Italia dalle macerie della guerra. D'altro canto ci pensarono gli stessi operai delle fabbriche, difendendo, negli ultimi giorni di guerra, i macchinari che i tedeschi intendevano portare via. La difesa di quei macchinari in tante fabbriche a Genova, a Milano, a Torino ed anche a Savona (un episodio molto importante sotto quest’aspetto accadde alla Scarpa e Magnano) consentì di riprendere subito la produzione, di riavviare il riscatto, anche economico, della nuova Italia.
Non possiamo però dimenticare di chiedere:
il rispetto dell'articolo 11, con il ripudio della guerra;
Il diritto a una salute universale, gratuita, pubblica;
Il diritto a una scuola pubblica efficiente e veramente formativa;
La prevalenza dell'interesse pubblico nell'economia, con la gestione dei servizi pubblici essenziali e dei settori strategici esercitata nel nome dell'interesse generale.
Savona fornì un contributo fondamentale perché si arrivasse al traguardo risolutivo della Liberazione, grazie al sacrificio dei suoi martiri, all'impegno costante delle forze politiche antifasciste, a coloro che sacrificarono tutto per salire in montagna, o furono deportati nei lager nazisti per aver testimoniato la propria fede in un diverso avvenire.
Savona fu tra le città liberate direttamente dai partigiani, una Città fiera della medaglia d'oro al valor militare acquisita nella Lotta di Liberazione, che ricorda con orgoglio i suoi martiri.
Per noi il 25 Aprile è ricordare la storia, considerando quella data come la pagina più bella, scritta grazie al sacrificio dei migliori di quella generazione che ha saputo ricostruire l'Italia.
Una generazione di cui, nella modestia della nostra realtà, vorremmo essere degni, pensando alla Resistenza come al momento più alto nel quale le masse popolari seppero costruire la Storia del nostro Paese.
Savona, li 8 marzo 2012 Franco Astengo
Alessandro Silvestri: Le changement c'est maintenant (?).
Le changement c'est maintenant (?).
pubblicata da Alessandro Silvestri il giorno martedì 24 aprile 2012 alle ore 16.53 ·
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Un week-end interessante a Roma per chiarire un po' meglio le idee ai socialisti.
Venerdì 20 alla Fondazione Nenni, con Tamburrano (a fare gli onori di casa) relatori: Turci, Besostri, Spini. Intervenuti Falcone, Folena, Salvi, Castagnetti e vari docenti universitari tra i quali, Lanchester, Cerri e Massari, in veste di ospiti. Si è parlato di riforma elettorale, di riforma dei partiti e revisione dell'art. 49 della Costituzione. Sabato 21, alla sezione socialista S.Saba in via Giotto, è stata la volta della direzione nazionale della Lega dei Socialisti, l'associazione trasversale agli attuali partiti esistenti, che raggruppa i socialisti italiani, variamente collocati, nell'ambito della sinistra. Ospiti Vincenzo Vita del PD, Alfonso Gianni di SEL e Massimo Rossi portavoce della Fed.
Una parte di utilissimo approfondimento tecnico/teorico quello del venerdì, una densa giornata di discussione e organizzazione quella del sabato.
In grande sintesi, è emerso che:1) Gli attuali partiti non sono capaci di autoriformarsi ma al massimo di operare veloci mutazioni cosmetiche con l'illusione che gli italiani abbocchino al richiamo di nuovi contenitori partitici, con all'interno però sempre i soliti. Questo non fa altro che alimentare l'antipolitica, che si potrebbe tradurre ben presto con un pericoloso stallo per tutto il sistema politico. Con una prospettiva possibile del 50% di area del non voto, e un Beppe Grillo al 10%; a tutto l'attuale sistema dei partiti, finirebbe per rimanere un misero 40% col quale formare governo e opposizione. Troppo poco, per non mettere in serio pericolo qualsiasi sistema democratico.2) La "riforma" elettorale in discussione tra i partiti che sostengono il governo Monti, è un misto tra il sistema semi-proporzionale tedesco con sbarramento al 4/5% disegnato però su collegi uninominali alla spagnola che di fatto ne innalzano la soglia intorno al 10%. Verrebbe da dire che manca solo lo scappellamento a destra come fosse antani, e il gioco è fatto...Questo induce a ritenere, che la contestuale riforma costituzionale che ridurrebbe il numero dei parlamentari, è in realtà una operazione furbesca dell'attuale apparato oligarchico, che fa pagare interamente i deputati che non siederanno più in Parlamento, ai partiti minori, vedendoli quindi, quasi completamente esclusi nei nuovi meccanismi elettorali.Uso il condizionale, anche perché come sottolineava Castagnetti, non è detto che alla fine l'attuale Parlamento, riesca a sfornare in tempo la nuova L. elettorale per il 2013. Aggiungiamoci che alla fin fine, rivotare con il pur vituperato "Porcellum" non è una soluzione così sgradita agli attuali padroni dei partiti. Non credo che gl'italiani però la pensino allo stesso modo.
3) PD, Pdl e UDC+FLI ( o come si chiameranno a breve) allo stato, e alla luce dei numerosi scandali finanziari che hanno coinvolto quei partiti e altri, sono concordi soltanto sulla revisione dell'art. 49 della Costituzione, quello che riguarda appunto la vita dei partiti. Il difficile sarà il trovare una soluzione, un compromesso, che renda più trasparente il loro funzionamento, ma.... non troppo.4) Per quanto riguarda i socialisti variamente collocati, è invece emersa una chiara e non ulteriormente rinviabile, volontà di unire tutto quello che sta a sinistra del PD. Non solo la probabile nuova L. elettorale lo impone, ma anche la logica e i tempi che stiamo vivendo. 5) Per il Psi, è suonata la campanella dell'ultimo giro. Se R.Nencini continuerà ad esserne il segretario, nonostante i problemi legali con il parlamento europeo (e la manifesta incapacità politica ampiamente dimostrata) porterà chi rimane, alla destra del PD, con l'intento (forse del tutto inutile) di incontrare i transfughi berlusconiani, come già dimostrato con l'accoglimento di Vizzini. E' quindi probabile che, anche ammesso e non concesso ci sia un ricongiungimento familiare tra Bobo e Stefania, non ne avvenga uno analogo con l'elettorato. La mission dei socialisti è storicamente e culturalmente quella di presidiare la sinistra italiana. Altre soluzioni comportano anche la rinuncia alla rappresentanza del socialismo italiano ed europeo.Se viceversa, si dovessero imporre le dimissioni all'attuale segretario, allora sarebbe possibile (e utile) per il Psi, spostarne nuovamente l'asse mediano verso sinistra, facendolo diventare l'elemento di coagulo tra SEL e gli altri partiti esistenti, ma non solo. C'è tutto un elettorato deluso dal cerchiobottismo del PD e dal sostanziale brigantaggio di TUTTI gli attuali partiti, che non possiamo lasciare al solo populismo vagamente fascisteggiante di Grillo.E non è e non deve essere solo l'odg. di una lista elettorale per saltare lo sbarramento antidemocratico. Quello che sta accadendo in Francia con Hollande, ci deve insegnare una volta per tutte, che il cambiamento, quello vero e utile, può essere adesso. Anche in Italia. Finalmente.
pubblicata da Alessandro Silvestri il giorno martedì 24 aprile 2012 alle ore 16.53 ·
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Un week-end interessante a Roma per chiarire un po' meglio le idee ai socialisti.
Venerdì 20 alla Fondazione Nenni, con Tamburrano (a fare gli onori di casa) relatori: Turci, Besostri, Spini. Intervenuti Falcone, Folena, Salvi, Castagnetti e vari docenti universitari tra i quali, Lanchester, Cerri e Massari, in veste di ospiti. Si è parlato di riforma elettorale, di riforma dei partiti e revisione dell'art. 49 della Costituzione. Sabato 21, alla sezione socialista S.Saba in via Giotto, è stata la volta della direzione nazionale della Lega dei Socialisti, l'associazione trasversale agli attuali partiti esistenti, che raggruppa i socialisti italiani, variamente collocati, nell'ambito della sinistra. Ospiti Vincenzo Vita del PD, Alfonso Gianni di SEL e Massimo Rossi portavoce della Fed.
Una parte di utilissimo approfondimento tecnico/teorico quello del venerdì, una densa giornata di discussione e organizzazione quella del sabato.
In grande sintesi, è emerso che:1) Gli attuali partiti non sono capaci di autoriformarsi ma al massimo di operare veloci mutazioni cosmetiche con l'illusione che gli italiani abbocchino al richiamo di nuovi contenitori partitici, con all'interno però sempre i soliti. Questo non fa altro che alimentare l'antipolitica, che si potrebbe tradurre ben presto con un pericoloso stallo per tutto il sistema politico. Con una prospettiva possibile del 50% di area del non voto, e un Beppe Grillo al 10%; a tutto l'attuale sistema dei partiti, finirebbe per rimanere un misero 40% col quale formare governo e opposizione. Troppo poco, per non mettere in serio pericolo qualsiasi sistema democratico.2) La "riforma" elettorale in discussione tra i partiti che sostengono il governo Monti, è un misto tra il sistema semi-proporzionale tedesco con sbarramento al 4/5% disegnato però su collegi uninominali alla spagnola che di fatto ne innalzano la soglia intorno al 10%. Verrebbe da dire che manca solo lo scappellamento a destra come fosse antani, e il gioco è fatto...Questo induce a ritenere, che la contestuale riforma costituzionale che ridurrebbe il numero dei parlamentari, è in realtà una operazione furbesca dell'attuale apparato oligarchico, che fa pagare interamente i deputati che non siederanno più in Parlamento, ai partiti minori, vedendoli quindi, quasi completamente esclusi nei nuovi meccanismi elettorali.Uso il condizionale, anche perché come sottolineava Castagnetti, non è detto che alla fine l'attuale Parlamento, riesca a sfornare in tempo la nuova L. elettorale per il 2013. Aggiungiamoci che alla fin fine, rivotare con il pur vituperato "Porcellum" non è una soluzione così sgradita agli attuali padroni dei partiti. Non credo che gl'italiani però la pensino allo stesso modo.
3) PD, Pdl e UDC+FLI ( o come si chiameranno a breve) allo stato, e alla luce dei numerosi scandali finanziari che hanno coinvolto quei partiti e altri, sono concordi soltanto sulla revisione dell'art. 49 della Costituzione, quello che riguarda appunto la vita dei partiti. Il difficile sarà il trovare una soluzione, un compromesso, che renda più trasparente il loro funzionamento, ma.... non troppo.4) Per quanto riguarda i socialisti variamente collocati, è invece emersa una chiara e non ulteriormente rinviabile, volontà di unire tutto quello che sta a sinistra del PD. Non solo la probabile nuova L. elettorale lo impone, ma anche la logica e i tempi che stiamo vivendo. 5) Per il Psi, è suonata la campanella dell'ultimo giro. Se R.Nencini continuerà ad esserne il segretario, nonostante i problemi legali con il parlamento europeo (e la manifesta incapacità politica ampiamente dimostrata) porterà chi rimane, alla destra del PD, con l'intento (forse del tutto inutile) di incontrare i transfughi berlusconiani, come già dimostrato con l'accoglimento di Vizzini. E' quindi probabile che, anche ammesso e non concesso ci sia un ricongiungimento familiare tra Bobo e Stefania, non ne avvenga uno analogo con l'elettorato. La mission dei socialisti è storicamente e culturalmente quella di presidiare la sinistra italiana. Altre soluzioni comportano anche la rinuncia alla rappresentanza del socialismo italiano ed europeo.Se viceversa, si dovessero imporre le dimissioni all'attuale segretario, allora sarebbe possibile (e utile) per il Psi, spostarne nuovamente l'asse mediano verso sinistra, facendolo diventare l'elemento di coagulo tra SEL e gli altri partiti esistenti, ma non solo. C'è tutto un elettorato deluso dal cerchiobottismo del PD e dal sostanziale brigantaggio di TUTTI gli attuali partiti, che non possiamo lasciare al solo populismo vagamente fascisteggiante di Grillo.E non è e non deve essere solo l'odg. di una lista elettorale per saltare lo sbarramento antidemocratico. Quello che sta accadendo in Francia con Hollande, ci deve insegnare una volta per tutte, che il cambiamento, quello vero e utile, può essere adesso. Anche in Italia. Finalmente.
martedì 24 aprile 2012
Paolo Borioni: La via socialista per uscire dalla crisi
La via socialista per uscire dalla crisi, di Paolo Borioni p.1-4 del Secolo XIX/My article on french first presidential round
pubblicata da Paolo Borioni il giorno lunedì 23 aprile 2012 alle ore 10.06 ·
L'elezione presidenziale francese giunge ad un crocevia storico decisivo. Intanto colpisce, dinanzi alla nostra ennesima "crisi della politica", fra governi tecnici, nuovi movimenti populistici e possibili nuovi partiti-azienda, che a Parigi competano due politici professionisti, dalla carriera almeno trentennale. Ciò deve far riflettere mentre discutiamo di riforme politico-istituzionali profonde e doverose, ma che devono rimanere europee, senza bizzarri e letali esperimenti.
Soprattutto, però, lo spasmodico interesse suscitato dall’elezione conferma che la Francia ha le caratteristiche per dare una scossa ad una crisi europea che rischia di precipitare. A ciò ambisce una gauche cui spesso è riuscito di lanciare epocali razzi traccianti alle democrazie europee: l'union de la gauche nel 1981, Jospin contro la terza via di Blair, Delors per investimenti europei contro i crudi parametri Euro, senza citare più lontane suggestioni. Anche questo fa parte dell’orgoglio nazionale transalpino, incline a pensare che la guida politica dell'Unione non sia del tutto perduta a favore di Berlino. E c'è, senza dubbio, l'occasione che potrebbe concretizzare queste aspirazioni: la crescente sensazione di inadeguatezza, o per sempre più economisti di nocività, delle politiche di austerità volute da Frau Merkel per tutti. Per questo, secondo i dati, Sarkozy è in difficoltà. A una presidenza già non brillante non giova, ovunque e tantopiù in Francia, farsi sponsorizzare da un cancelliere tedesco che è l'incarnazione stessa dell’ideologia Bundesbank. Al contrario, l'asse Parigi-Berlino, il cosiddetto “Merkozy”, ha favorito finora la campagna delle opposizioni. Questo, peraltro, è solo in parte espresso dal risultato del primo turno di oggi, che comunque vede Hollande e Sarkozy relativamente vicini: sono soprattutto i rilevamenti sul secondo turno a dare un vantaggio di oltre 10 punti al candidato socialista. Forse per tutti i motivi detti molti elettori dei nazionalpopulisti di Marine Le Pen non hanno intenzione di votare il presidente in carica, come invece era accaduto nel ballottaggio 2007. Allora a Sarkozy riuscì un'impresa impossibile per il più “classico” Chirac: unire voto gaullista e destra populista al secondo turno. Proprio grazie alla crisi e alla troppa vicinanza fra Sarkozy e Berlino, forse i socialisti possono contare almeno in parte su quel voto popolare. Questo, più che l’ininfluente gettito, spiega la promessa a effetto di Hollande: un'aliquota del 75% per i milionari. Ben più strategico per lui, nei giorni che separano dal decisivo 6 maggio, sarà spiegare che la leadership francese nella UE si guadagna, oggi, soltanto mostrando un via d'uscita dalla crisi con meno austerità: investimenti, maggiore domanda interna tedesca, maggiori garanzie UE sui debiti pubblici europei, e poi la loro riduzione ma attraverso crescita e occupazione. Qui sta il calcolo politico di Hollande: egli pensa che molti leader europei lo attendano per poi accodarsi a questa linea post-Merkozy, che può interessare governi altrimenti costretti a tagli brutali e ad una democrazia menomata. Anche Bersani e il socialdemocratico tedesco Sigmar Gabriel attendono il segnale da Parigi. Spd e Pd italiano hanno già abbandonato la linea neoliberale, sulla spinta di nuove figure come Orfini e Fassina in Italia. O come Andrea Nahles in Germania, esponente della Parlamentarische Linke, frazione radicale della pur sempre pragmatica Spd. Ma rimangono timidi, in attesa di Hollande. Lui per tutti i motivi detti non ha le loro remore ad aprire davvero un nuovo confronto in un’Europa di democrazie ormai indissolubilmente legate l'una all'altra
Giuseppe Tamburrano: Per il 120° del PSI
Parliamo di socialismo
a cura della Fondazione Pietro Nenni
http://fondazionenenni.wordpress.com/
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Per il 120° del PSI
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L’area socialista e di sinistra si appresta a celebrare il 120° anniversario della nascita del PSI con molteplici iniziative e manifestazioni. Saranno commemorazioni retoriche o si apriranno nuovi orizzonti? Vi è un avvenire per il nostro sole. Se lo vogliamo!
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di Giuseppe Tamburrano
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E’ un dovere verso il paese ricordare l’avvenimento che ha dato vita al più importante partito nella storia d’Italia. Il PSI ha concorso in modo determinante a realizzare il celebre detto di D’Azeglio: “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”. E gli italiani in grandissima parte ostili o indifferenti verso la “conquista regia” del paese, grazie alle lotte e alle iniziative socialiste si riconobbero cittadini di una comune patria.
Basterebbe ricordare la lotta socialista per l’allargamento del suffragio universale che fece entrare nello Stato operai, contadini, donne e trasformò un regime oligarchico in una comunità democratica. Ma i “titoli” sono numerosi: con le leghe, le cooperative, i sindacati, i circoli, le sezioni, con l’Avanti!, gli opuscoli, le maestre e i maestri socialisti, le scuole, le cattedre ambulanti, formarono cittadini che impararono a leggere e scrivere ed acquistarono coscienza dei loro diritti.
Non fu facile: i socialisti pagarono un grande tributo di agitazioni, morti, feriti, processi, carcere che rafforzarono la consapevolezza di operai e contadini di essere parte di uno stato e di una collettività.
I socialisti promossero lotte sociali per il pane, il lavoro, la giusta mercede, l’assicurazione contro gli infortuni e la pensione: le lotte per la festa del lavoro e per le otto ore lavorative furono pagine gloriose di quest’ascesa. E sempre più numerosi i socialisti entrarono in Parlamento e sempre più numerose furono le bandiere rosse che sventolavano su palazzi del comune e della provincia.
In una parola, i socialisti contribuirono in modo determinante a fare di servi apolidi cittadini coscienti. Prampolini predicava l’uguaglianza ed esortava i contadini a parlare con il padrone col cappello in testa, se il padrone conservava in testa il suo.
Le “svolte”, i periodi più importanti della storia italiana – il “giolittismo”, la repubblica, il centro-sinistra – furono possibili grazie ai socialisti di Filippo Turati e di Pietro Nenni.
Ma la forza socialista è stata minata e indebolita da un “male oscuro”: lo scissionismo. Pur con diverso nome vi sono state nel partito sostanzialmente due correnti, i riformisti e i massimalisti, che miravano allo stesso fine – il socialismo – ma da realizzare con mezzi diversi, la democrazia o la rivoluzione. E le lotte intestine paralizzarono il partito portandolo alla divisione.
Primo partito alle elezioni del 1919, i socialisti potrebbero conquistare il governo se l’anticlericalismo del PSI e l’antisocialismo del PPI non li paralizzassero. Una parte del PSI lascia il partito per dare vita all’illusione rivoluzionaria comunista: al congresso di Livorno (gennaio 1921) il PSI si spacca e nasce il Pcd’I. Ma invece della rivoluzione proletaria, quella scissione favorirà l’ascesa del fascismo. Come se non bastasse, a quella divisione segue la scissione riformista di Turati e di Matteotti, che indebolisce ulteriormente il fronte proletario.
È doveroso ricordare che Matteotti aveva compreso la natura totalitaria del fascismo e si offrì in olocausto per aprire gli occhi ai compagni e ai democratici, primo caduto della lotta antifascista.
Il PSI fu nella Resistenza e nella Liberazione. Ricordiamo la figura leggendaria del compagno Sandro Pertini. Ma subito dopo la Liberazione ripresero le lotte intestine tra filo e anticomunisti. E il PSI, uscito secondo dalle urne il 2 giugno 1946 (avanti di due punti rispetto al PCI), era chiamato ad avere una grande funzione democratica, essere l’ago della bilancia nell’aspra lotta politica tra comunisti e democristiani. Invece, filocomunisti e anticomunisti si divisero a Roma nel gennaio 1947 e divennero alleati subalterni gli uni della DC e gli altri del PCI.
Nel 1956 il PSI si riscattò dalla sudditanza al PCI e riprese il suo cammino autonomo. E contribuì a dare vita all’alleanza con i cattolici democratici di Fanfani e Moro e al centro-sinistra.
Dopo una stagione altamente costruttiva, il centro-sinistra si appannò, presero radici il clientelismo e il ministerialismo. Io leggevo con tristezza il motto di Pertini che campeggiava nella mia sezione, la sezione Centro di Roma: “I socialisti servono, non si servono del partito”.
Il partito ha avuto il suo presidente, l’amato Sandro, e ha conosciuto l’importante stagione di Craxi che ha dato prova di saper governare e contribuire a fare dell’Italia un paese moderno.
Questo in poche parole è stato il nostro lungo cammino che ricorderemo a 120 anni dall’inizio.
Voglio concludere con una domanda: sarà una celebrazione retorica senza progetti per il futuro del socialismo che la crisi del capitalismo richiama all’impegno con formule nuove? Sarà cioè una commemorazione retorica con un grande omaggio al “caro estinto”, o una celebrazione che aprirà nuovi orizzonti, “nuove vie”?
Perché – ne sono fortemente convinto e i fatti mi danno ragione – vi è un avvenire per il nostro sole. Se lo vogliamo!
Andrea Ermano: Nel secondo ventennio
EDITORIALE
Avvenire dei lavoratori
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Nel secondo ventennio
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di Andrea Ermano
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La Lega è il più vecchio partito italiano, nato nell’agonia pentapartitica della prima repubblica, cresciuto nella e sopravvissuto alla bufera di Tangentopoli, che ha cambiato per sempre la geografia politica del nostro paese.
Non importa più di tanto che queste parole siano state scritte dal direttore di un grande quotidiano, importa già di più che chiunque potrebbe averle dette o pensate in queste settimane; ma soprattutto importa comprenderne meglio alcuni implicati.
Anzitutto: la Lega è il più vecchio partito italiano? Ma certo che no. Il più vecchio partito italiano è quello socialista, come ben sanno anche i redattori di necrologi un tanto al rigo.
In centovent’anni di storia il PSI è stato dato per morto una mezza dozzina di volte. Già nel 1946, durante la campagna elettorale per la Costituente, Giuseppe Faravelli ricordava che l’Italia tende a violenti sussulti antisocialisti: “Quattro volte [il partito socialista] parve stroncato dai nemici suoi, dai nemici della classe lavoratrice: nel 1894, nel 1898, nel 1915, nel 1925” – e le date in menzione alludono a “nemici suoi” come Crispi, Bava Beccaris, Sonnino e Mussolini.
Nel secondo Dopoguerra abbiamo assistito a due ulteriori "ristrutturazioni" della presenza socialista in Italia, l’una più avvolgente e ambivalente avviata da Togliatti nel 1948, l’altra più rozza e maldestra, innescata nella seconda metà degli anni Ottanta dal senatore a vita Giulio Andreotti, il quale mirava (ed è logico, dal suo punto di vista) a impedire che la fine dell’unità politica dei cattolici si ricombinasse con il crollo post-sovietico del PCI, portando a un’alternativa socialista in Italia, come già era avvenuto in tutti gli altri paesi europei, sprovvisti di magistero morale vaticano.
Verosimilmente Andreotti si prefiggeva "solo" di contenere Craxi condizionandolo sul lato dei finanziamenti illegali. Fatto sta che attivò la sua luogotenente milanese Ombretta Fumagalli Carulli. Ma lo scricchiolio dell’architrave craxiano, dopo la crisi parallela di DC e PCI, aprì un vuoto di potere. La magistratura ritenne di dover assumere la sua famosa "supplenza". S’innescò il famoso cortocircuito mediatico-giudiziario. E venne giù tutta l’impalcatura.
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In secondo luogo: Agonia pentapartitica? Il pentapartito è stato una formula di governo, non un’immagine agonica della prima repubblica.
Si potrebbe contobattere che, però, le forze politiche coalizzate nel pentapartito (DC, PSI, PSDI, PRI e PLI) sono di fatto scomparse con la prima repubblica. Vero fino a un certo punto perché, al di là delle traversie organizzative, restano comunque ferme le ispirazioni ideali – cristiano-democratica, socialdemocratica e liberaldemocratica – cui le forze del pentapartito facevano riferimento. Esse stanno tuttora alla base della nostra Costituzione, che da esse è nata e che quella stessa è rimasta per positiva volontà del popolo sovrano, il quale nel referendum del giugno 2006 ha rigettato la riscrittura del centro-destra.
Si può pensare di governare un paese contro la sua Costituzione o anche soltanto senza le idee che ne stanno alla base? Da come sono andate le cose, siamo portati a dire di no.
Il punto è che alla fine gli equilibri tendono, non certo per caso, a riconvergere proprio sulle ispirazioni ideali alla base della nuova Italia repubblicana. Quindi il pentapartito non c'entra con l'agonia della prima repubblica (identica per altro all'agonia della seconda repubblica). Se proprio si vuol indicare l’immagine di un'agonia repubblicana, non c’è che l’imbarazzo della scelta da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, da Via Caetani alla Stazione di Bologna.
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In terzo luogo: Il cambiamento del panorama politico è per sempre? Ci sono infinite costellazioni di potere e contropotere, in un paese come l’Italia, ma un conto è riuscire a navigare, un altro conto è riuscire a naufragare.
Un Paese come l’Italia non può essere capitanato da Bossi e Berlusconi, non senza serie conseguenze. Berlusconi non ha in mente, né mai ha avuto, nessuna idea dell’Europa; e quindi non può avere nemmeno un’idea minimamente definita dell’Italia. Ha battuto nel 1994 la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto alleandosi con Fini e Bossi in una campagna elettorale pirotecnica. Ma poi neanche la Lega è un’idea dell’Italia e quindi nemmeno della "Padania" qualunque cosa essa sia. La Lega parrebbe una sorta di reperto bellico inesploso, che a un certo punto viene fatto brillare, provocando una serie di danni collaterali.
Ovviamente, anche i danni collaterali posseggono una loro irreversibilità: un’irreversibilità umana, troppo umana, padana. Dura un po’ e poi finisce.
Solo diamanti sono “per sempre”, e forse neanche loro.
E infine teniamo presente che il mondo ci osserva: che vogliamo dire agli commentatori internazionali che tengono cicli di conferenze sul tema: “L’Italia dopo Bossi e Berlusconi: il danno è irreparabile?”
Noi speriamo vivamente in un quantum di riparabilità. . . O si vuol far passere un’immagine del nostro Paese danneggiato “per sempre” dalle pazzie di questo ventennio?
Questo è il secondo ventennio che il PSI non se la passa molto bene. Nondimeno, finché ci sono i socialisti, il più vecchio partito italiano non è la Lega.
lunedì 23 aprile 2012
Felice Besostri: Presidenziali francesi, i giochi non sono chiusi
PRESIDENZIALI FRANCESI: I GIOCHI NON SON CHIUSI
di Felice Besostri, portavoce del Gruppo di Volpedo, Network per il Socialismo Europeo
Per la prima volta un presidente uscente è stato battuto dallo sfidante, con 2,70 punti percentuali di distacco (H. 28,80, S.26,10). Sarkozy ha 5 punti in meno del 2007: un segno chiaro della sua caduta di popolarità. Hollande è stato capace di interpretare l’esigenza di cambiamento, ma sbaglierebbe se fosse trionfante e assumesse un atteggiamento arrogante. Non deve smettere di trasmettere fiducia nella vittoria finale e i sondaggi gli danno ragione, infatti ne prevedono la vittoria 54% a 46%. In una logica destra/sinistra Hollande parte svantaggiato, con Jean Luc Melanchòn totalizza un 40,50% contro un 44,60% di Sarkozy +Marine Le Pen. La situazione non migliora osservando i risultati degli altri candidati. I 2 Trotzkisti totalizzano un magro 2%, come i 2 candidati indipendenti di destra. Fuori dal conto restano solo l’ambientalista Eva Joli con il suo scarso 2,3% e il centrista Bayrou con l’8,80%. Per fortuna la politica non è matematica e i voti spesso invece di sommarsi si sottraggono, come sperimentarono i socialisti e i socialdemocratici italiani nelle prime elezioni dopo l’unificazione. Ci sono poi 2 delusi rispetto alle aspettative Melanchòn e Bayrou: la competizione principale Hollande /Sarkozy ha prosciugato il terreno degli altri candidati a eccezione di Marine Le Pen. Per non danneggiare Hollande, cioè farlo andare al ballottaggio, ma in seconda posizione e distaccato di qualche punto da Sarkozy, Melanchon avrebbe dovuto catalizzare il voto di protesta indirizzato a destra oltre che recuperare i voti degli astenuti di sinistra. C’è un paradosso nel secondo turno Hollande deve essere in candidato della sinistra se vuole fare il pieno dei voti di Melanchòn e dei due trozkisti, ma se il secondo turno è una netta contrapposizione sinistra/destra Hollande perde: anche sterilizzando i voti centristi la destra parte con un 46,60% contro un 44,60% della sinistra. Il secondo turno deve, invece, essere un referendum su Sarkozy. In tal caso una vittoria di Hollande con l 54% è posibile, perché il riporto dei voti a sinistra è del 86%, mentre soltanto l 60% degli elettori del Front National è disposto a votare per Sarkozy: uno dei maggiori fattori di successo di Marine Le Pen è stata la polemica violenta contro Sarkò, che a sua volta ha fatto da trampolino alle sue idee accentuando le posizioni di destra estrema. Gli elettori di Bayrou sono divisi esattamente in tre parti, mentre il Presidente uscente ha bisogno per vincere al II° turno dell’80%% dei voti del FN e di più del 50% di quelli centristi. L’elezione di Hollande ha valenza europeea, ma si decide in Francia e per ragioni francesi, quindi sarebbe opportuno che da noi non ci fossero né grilli parlanti, né mosche cocchiere, perché se c’è qualcuno che deve tacere, nel suo complesso, è la sinistra italiana: chi sbaglia a casa sua è meglio che non dia lezioni agli altri. Hollande avrà più amici solo se vince, non per la battaglia che i soialisti hanno condotto, uscendo dalla grave crisi delle due sconfitte successive di Lionel Jospin e Ségolène Royal e e di un partito diviso. In realtà il centro-sinistra italiano, in assenza di un partito del socialismo europeo, si divide tra chi avrebbe voluto c i socialisti candidassero Bayrou e chi voleva Melanchòn primo a sinistra, anche a costo di compromettere il successo di Hollande. L’unico consiglio che si può dare non è italiano, ma napoletano, con un saggio atteggiamento scaramantico: incrociamo le dite. Per noi milanesi si può aggiungere un richiamo alla sindrome Moratti, decisiva per la vittoria di Pisapia.
Coira 23 aprile 2012
di Felice Besostri, portavoce del Gruppo di Volpedo, Network per il Socialismo Europeo
Per la prima volta un presidente uscente è stato battuto dallo sfidante, con 2,70 punti percentuali di distacco (H. 28,80, S.26,10). Sarkozy ha 5 punti in meno del 2007: un segno chiaro della sua caduta di popolarità. Hollande è stato capace di interpretare l’esigenza di cambiamento, ma sbaglierebbe se fosse trionfante e assumesse un atteggiamento arrogante. Non deve smettere di trasmettere fiducia nella vittoria finale e i sondaggi gli danno ragione, infatti ne prevedono la vittoria 54% a 46%. In una logica destra/sinistra Hollande parte svantaggiato, con Jean Luc Melanchòn totalizza un 40,50% contro un 44,60% di Sarkozy +Marine Le Pen. La situazione non migliora osservando i risultati degli altri candidati. I 2 Trotzkisti totalizzano un magro 2%, come i 2 candidati indipendenti di destra. Fuori dal conto restano solo l’ambientalista Eva Joli con il suo scarso 2,3% e il centrista Bayrou con l’8,80%. Per fortuna la politica non è matematica e i voti spesso invece di sommarsi si sottraggono, come sperimentarono i socialisti e i socialdemocratici italiani nelle prime elezioni dopo l’unificazione. Ci sono poi 2 delusi rispetto alle aspettative Melanchòn e Bayrou: la competizione principale Hollande /Sarkozy ha prosciugato il terreno degli altri candidati a eccezione di Marine Le Pen. Per non danneggiare Hollande, cioè farlo andare al ballottaggio, ma in seconda posizione e distaccato di qualche punto da Sarkozy, Melanchon avrebbe dovuto catalizzare il voto di protesta indirizzato a destra oltre che recuperare i voti degli astenuti di sinistra. C’è un paradosso nel secondo turno Hollande deve essere in candidato della sinistra se vuole fare il pieno dei voti di Melanchòn e dei due trozkisti, ma se il secondo turno è una netta contrapposizione sinistra/destra Hollande perde: anche sterilizzando i voti centristi la destra parte con un 46,60% contro un 44,60% della sinistra. Il secondo turno deve, invece, essere un referendum su Sarkozy. In tal caso una vittoria di Hollande con l 54% è posibile, perché il riporto dei voti a sinistra è del 86%, mentre soltanto l 60% degli elettori del Front National è disposto a votare per Sarkozy: uno dei maggiori fattori di successo di Marine Le Pen è stata la polemica violenta contro Sarkò, che a sua volta ha fatto da trampolino alle sue idee accentuando le posizioni di destra estrema. Gli elettori di Bayrou sono divisi esattamente in tre parti, mentre il Presidente uscente ha bisogno per vincere al II° turno dell’80%% dei voti del FN e di più del 50% di quelli centristi. L’elezione di Hollande ha valenza europeea, ma si decide in Francia e per ragioni francesi, quindi sarebbe opportuno che da noi non ci fossero né grilli parlanti, né mosche cocchiere, perché se c’è qualcuno che deve tacere, nel suo complesso, è la sinistra italiana: chi sbaglia a casa sua è meglio che non dia lezioni agli altri. Hollande avrà più amici solo se vince, non per la battaglia che i soialisti hanno condotto, uscendo dalla grave crisi delle due sconfitte successive di Lionel Jospin e Ségolène Royal e e di un partito diviso. In realtà il centro-sinistra italiano, in assenza di un partito del socialismo europeo, si divide tra chi avrebbe voluto c i socialisti candidassero Bayrou e chi voleva Melanchòn primo a sinistra, anche a costo di compromettere il successo di Hollande. L’unico consiglio che si può dare non è italiano, ma napoletano, con un saggio atteggiamento scaramantico: incrociamo le dite. Per noi milanesi si può aggiungere un richiamo alla sindrome Moratti, decisiva per la vittoria di Pisapia.
Coira 23 aprile 2012
Angelo Giubileo: l'art. 18 e il licenziamento economico
L’articolo 18 e il licenziamento economico
Le perplessità emerse non sono affatto prive di fondamento ed è auspicabile che in Parlamento si provveda a modificare il testo del DDL adottato dal governo.
Da tempo si discute di riforma del lavoro in Italia e solo da qualche giorno è stato depositato in Parlamento un disegno di legge (DDL) “Fornero”, a nome del ministro proponente, che dovrebbe apportare vantaggi ad un settore che più di ogni altro risente della crisi internazionale economica e finanziaria.
La bozza di riforma del mercato del lavoro in Italia disciplina, potremmo dire, cinque aree d’intervento: istituti contrattuali di accesso al lavoro, licenziamenti individuali, ammortizzatori sociali, sostegno ai lavoratori “svantaggiati” (giovani, donne, adulti over 50, etc.), politiche attive e servizi per l’impiego.
Senz’alcun dubbio, i maggiori contrasti sul testo sono sorti nel merito della disciplina concernente le nuove forme di licenziamento individuale, e in particolare per quanto attiene alla fattispecie del licenziamento “economico”, riconducibile nella più ampia figura giuridica già in vigore del licenziamento per “giustificato motivo oggettivo”. In ordine alla nuova disciplina, direi che le perplessità finora emerse non sono affatto prive di fondamento ed è pertanto auspicabile che in Parlamento si provveda a modificare il testo del DDL adottato dal governo. Vediamo in particolare di cosa si tratta.
Attualmente, l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricorre nei casi, in generale, di chiusura dell’attività o soppressione del posto di lavoro. In caso di contestazione del licenziamento, spetta al datore di lavoro (onere) la prova della sussistenza delle ragioni tecniche o organizzative e il conseguente nesso di causalità tra queste e il provvedimento adottato nei confronti del lavoratore. L’illegittimità del provvedimento comporta l’obbligo del reintegro e inoltre la legge attualmente non prevede una somma d’importo massimale per il risarcimento.
A parte ogni altro nuovo aspetto che ne regola la disciplina, il testo del DDL introduce la figura giuridica del licenziamento individuale di tipo “economico” per “manifesta sussistenza del fatto”, distinguendone la fattispecie da quelle del licenziamento individuale di tipo “disciplinare” o “discriminatorio”. Per ora, è previsto che il licenziamento economico possa essere contestato in sede giudiziale, ma obbligatoriamente l’azione deve essere preceduta da un tentativo di conciliazione presso l’ufficio territoriale della Direzione provinciale del lavoro.
Siffatta generica previsione del DDL è fonte di molti dubbi, in quanto attribuisce al giudice un potere enorme, che addirittura travalica i limiti della funzione giurisdizionale e in pratica finisce con il condizionare l’esercizio della libera attività d’impresa, così come tutelata e garantita dalla Costituzione.
Infatti, nell’ipotesi di licenziamento economico illegittimo, il testo attuale prevede che sia il giudice a sanzionare la misura del reintegro o, in alternativa, dell’indennizzo risarcitorio per accertata “manifesta insussistenza del fatto”, con giudizio discrezionale. Ma vieppiù, nel senso che è previsto che sia pur sempre il giudice ad accertare se, nel caso di specie, si tratta di licenziamento di tipo “economico” e quindi, una volta accertato questo, se non si tratti piuttosto di licenziamento (anche) “discriminatorio”.
L’accertamento in questione dovrà infatti essere promosso in base ad un duplice profilo: in primo luogo, oggettivo, per ciò che attiene alla “manifesta sussistenza o insussistenza del fatto” e, in secondo luogo, soggettivo, per quanto concerne identità, ruolo e mansioni del lavoratore colpito dal provvedimento in rapporto ad altro o altri lavoratori della stessa azienda (o ramo produttivo). E’ indubbio che, per quanto concerne l’accertamento del profilo oggettivo, per il giudice non si tratta, semplicemente, di accertare l’avvenuta violazione o meno di un diritto, ma nel complesso si tratta piuttosto di accertare se sussistano o meno, in relazione non tanto alla dichiarazione quanto all’attività dell’impresa, le precondizioni economiche necessarie all’adozione del provvedimento di licenziamento.
Pertanto, è un bene che anche di questo si discuta, prendendo spunto da soluzioni di carattere giuridico che ancora timidamente iniziano a prospettarsi. In particolare, occorre che si discuta della necessità di ridurre il potere di determinazione del giudice: pensando di rafforzare il meccanismo, già previsto, della conciliazione preventiva obbligatoria o anche pensando di tipizzare la fattispecie astratta, dettagliando cioè nel testo della norma i casi o le situazioni specifiche che la contraddistinguerebbero, o comunque pensando questo ed altro ancora, ad evitare che la prospettata misura del licenziamento “economico” rappresenti un ulteriore elemento di rigidità a danno dell’intero sistema globale d’investimento delle risorse produttive.
Angelo Giubileo
Le perplessità emerse non sono affatto prive di fondamento ed è auspicabile che in Parlamento si provveda a modificare il testo del DDL adottato dal governo.
Da tempo si discute di riforma del lavoro in Italia e solo da qualche giorno è stato depositato in Parlamento un disegno di legge (DDL) “Fornero”, a nome del ministro proponente, che dovrebbe apportare vantaggi ad un settore che più di ogni altro risente della crisi internazionale economica e finanziaria.
La bozza di riforma del mercato del lavoro in Italia disciplina, potremmo dire, cinque aree d’intervento: istituti contrattuali di accesso al lavoro, licenziamenti individuali, ammortizzatori sociali, sostegno ai lavoratori “svantaggiati” (giovani, donne, adulti over 50, etc.), politiche attive e servizi per l’impiego.
Senz’alcun dubbio, i maggiori contrasti sul testo sono sorti nel merito della disciplina concernente le nuove forme di licenziamento individuale, e in particolare per quanto attiene alla fattispecie del licenziamento “economico”, riconducibile nella più ampia figura giuridica già in vigore del licenziamento per “giustificato motivo oggettivo”. In ordine alla nuova disciplina, direi che le perplessità finora emerse non sono affatto prive di fondamento ed è pertanto auspicabile che in Parlamento si provveda a modificare il testo del DDL adottato dal governo. Vediamo in particolare di cosa si tratta.
Attualmente, l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricorre nei casi, in generale, di chiusura dell’attività o soppressione del posto di lavoro. In caso di contestazione del licenziamento, spetta al datore di lavoro (onere) la prova della sussistenza delle ragioni tecniche o organizzative e il conseguente nesso di causalità tra queste e il provvedimento adottato nei confronti del lavoratore. L’illegittimità del provvedimento comporta l’obbligo del reintegro e inoltre la legge attualmente non prevede una somma d’importo massimale per il risarcimento.
A parte ogni altro nuovo aspetto che ne regola la disciplina, il testo del DDL introduce la figura giuridica del licenziamento individuale di tipo “economico” per “manifesta sussistenza del fatto”, distinguendone la fattispecie da quelle del licenziamento individuale di tipo “disciplinare” o “discriminatorio”. Per ora, è previsto che il licenziamento economico possa essere contestato in sede giudiziale, ma obbligatoriamente l’azione deve essere preceduta da un tentativo di conciliazione presso l’ufficio territoriale della Direzione provinciale del lavoro.
Siffatta generica previsione del DDL è fonte di molti dubbi, in quanto attribuisce al giudice un potere enorme, che addirittura travalica i limiti della funzione giurisdizionale e in pratica finisce con il condizionare l’esercizio della libera attività d’impresa, così come tutelata e garantita dalla Costituzione.
Infatti, nell’ipotesi di licenziamento economico illegittimo, il testo attuale prevede che sia il giudice a sanzionare la misura del reintegro o, in alternativa, dell’indennizzo risarcitorio per accertata “manifesta insussistenza del fatto”, con giudizio discrezionale. Ma vieppiù, nel senso che è previsto che sia pur sempre il giudice ad accertare se, nel caso di specie, si tratta di licenziamento di tipo “economico” e quindi, una volta accertato questo, se non si tratti piuttosto di licenziamento (anche) “discriminatorio”.
L’accertamento in questione dovrà infatti essere promosso in base ad un duplice profilo: in primo luogo, oggettivo, per ciò che attiene alla “manifesta sussistenza o insussistenza del fatto” e, in secondo luogo, soggettivo, per quanto concerne identità, ruolo e mansioni del lavoratore colpito dal provvedimento in rapporto ad altro o altri lavoratori della stessa azienda (o ramo produttivo). E’ indubbio che, per quanto concerne l’accertamento del profilo oggettivo, per il giudice non si tratta, semplicemente, di accertare l’avvenuta violazione o meno di un diritto, ma nel complesso si tratta piuttosto di accertare se sussistano o meno, in relazione non tanto alla dichiarazione quanto all’attività dell’impresa, le precondizioni economiche necessarie all’adozione del provvedimento di licenziamento.
Pertanto, è un bene che anche di questo si discuta, prendendo spunto da soluzioni di carattere giuridico che ancora timidamente iniziano a prospettarsi. In particolare, occorre che si discuta della necessità di ridurre il potere di determinazione del giudice: pensando di rafforzare il meccanismo, già previsto, della conciliazione preventiva obbligatoria o anche pensando di tipizzare la fattispecie astratta, dettagliando cioè nel testo della norma i casi o le situazioni specifiche che la contraddistinguerebbero, o comunque pensando questo ed altro ancora, ad evitare che la prospettata misura del licenziamento “economico” rappresenti un ulteriore elemento di rigidità a danno dell’intero sistema globale d’investimento delle risorse produttive.
Angelo Giubileo
domenica 22 aprile 2012
Vittorio Melandri: Pieni poteri ma... ai poeti
PIENI POTERI…. ma…ai POETI
(da vittorio melandri)
Ieri sera, 21 aprile, (data che rimanda ai mitici natali di Roma, e …. a via XXI Aprile n. 21 a Piacenza, dove sono nato; sempre che mi si conceda la auto-citazione, auto-ironica!!) da Fabio Fazio, quel gentiluomo d’altri tempi che risponde al nome di Paolo Mieli, all’inizio della sessione di trasmissione con lui protagonista, ha chiesto un supplemento di applauso per l’ospite di Fazio che lo aveva preceduto.
Edgar Nahoum, noto con il nome di Morin che è il nome di battaglia che il filosofo, oggi lucidissimo e vigoroso 91nenne, assunse durante la guerra di liberazione dal nazifascismo, ed ha per sempre adottato.
Morin è stato ospite di Fazio per presentare l’edizione italiana, a cura di Raffaello Cortina editore, del suo ultimo libro, ‘La voie. Pour l’avenir de l’humanité’, Paris, Edizioni Fayard, gennaio 2011; dove, come si legge nella presentazione italiana, il “giovane Edgar”….
«…..pone .. la sfida di una “via” di salvezza che potrebbe delinearsi dal congiungersi di una miriade di vie riformatrici: riforma del pensiero, dell’educazione, della famiglia, del lavoro, dell’alimentazione, del modo di consumare… Una metamorfosi ancora più stupefacente di quella che ha segnato il passaggio dalle società arcaiche di cacciatori-raccoglitori alle società storiche.»
Ebbene, esaudito il nobile impulso di rendere omaggio a Morin, Mieli conversando con Fazio ha fra l’altro sostenuto che si possono ormai scorgere due Monti.
Un Monti I, libero da lacci a laccioli che ha marciato spedito.
Un Monti II, che si è impantanato sulla riforma per altro indispensabile secondo Mieli, del mercato del lavoro, ed è frenato dai partiti, o comunque da quello che dei partiti rimane.
Secondo Mieli, i partiti dovrebbero lasciare a Monti ….
…..PIENI POTERI….
….per poi tornare a competere solo a legislatura scaduta, alle prossime elezioni nel 2013.
Come possano convivere gli applausi richiesti per Morin, che proprio nella fusione dei poteri che diramano da una “miriade di vie riformatrici” scorge una possibile “Via di salvezza” per l’umanità intera, con il lasciare……
….. PIENI POTERI …..
…..ad un uomo solo, per quanto valente tecnico sobriamente vestito, resta per me incomprensibile e mi rimanda ad un pensiero che mi ha assalito quando nel 2008 gli italiani hanno rimesso in sella Berlusconi, con la complicità attiva di tutta la sedicente opposizione, e dei tanti “guru e maitre a penser” che inflazionano da anni la parte migliore del “Bel Paese”… (che non è il formaggio).
Penso purtroppo che quella riflessione sia tutt’ora valida.
Scompare l’opposizione, dilaga il conformismo, ci restano solo i poeti
Giorgio Caproni chiude la sua poesia “Congedo del viaggiatore cerimonioso” con questi versi….
“Di questo, sono certo: io/ son giunto alla disperazione/calma, senza sgomento./ Scendo. Buon proseguimento.”
Sono versi che mi sono tornati prepotentemente alla mente, alla luce di quanto sta accadendo nel nostro paese, dove stiamo assistendo alla progressiva quanto inesorabile scomparsa della opposizione.
In Parlamento, ma ancora più tragicamente nel paese, si va sempre più affermando una sedicente opposizione silenziosa, ormai dedita alle ombre, e prioritariamente impegnata a chiudere le ultime residue, e ormai stantie…… “agenzie del risentimento”.
Quando uscì il film Gomorra, la critica ne lodò la qualità cinematografica e fra le altre cose si è lesse che dopo il libro da cui era tratto, anche il film rappresenta l’Italia per quello che è……
…….un Paese …..“devastato, corrotto, violento, volgare, ignorante, sporco”.
Possiamo anche consolarci credendo che non sia vero, o che quello di vero che c’è, riguardi pezzi di paese lontani da noi, ma significa mettersi le fette di salame sugli occhi per non vedere.
Meglio sarebbe spalancarli.
Ad aiutarci in verità sono appunto rimasti solo i poeti.
Un altro poeta anche lui scomparso, Giovanni Raboni, che a differenza di Giorgio Caproni ha fatto in tempo a vedere anche gli ultimi disastri, ci ha lasciato dei versi che, a chi li legge, basta solo modificare il riferimento temporale, da autunno-inverno 2002, a primavera-estate 2012 per considerarli freschi di giornata.
VERSI D’AUTUNNO (di Giovanni Raboni)
Stillicidio di delitti, terribile:
si distruggono vite,
si distruggono posti di lavoro,
si distrugge la giustizia, il decoro
della convivenza civile:
non sarà facile dimenticarlo
l'autunno-inverno del 2002.
E intanto l'imprenditore del nulla,
il venditore d'aria fritta,
forte coi miserabili
delle sue inindagabili ricchezze,
ributtante per malsana pinguedine
del corpiciattolo dell'anima,
sorride a tutto schermo
negando ogni evidenza, promettendo
il già invano promesso e l'impossibile,
spacciando per pragmatico
il suo osceno frasario da piazzista.
Mai più in basso, non solo dirlo,
anche pensarlo duole,
mai così somigliante,
alle sanguinose caricature
che dai tempi dei tempi la sfigurano
la sciagurata, inclita Italia...
È anche d'altri, certo, l'infamia:
anche altrove si celebra lo scandalo
della santificazione del crimine,
del privilegio e dell'impunità
trasformati in dottrina dello Stato;
sempre meno affetta decenza
il potere reale,
sempre più esplicita violenza
autorizza o fomenta il capitale.
Ma solo a noi, già fradici
di antiche colpe e
remissioni,
a noi prima untori e poi vittime
della peste del secolo
è toccata, con il danno, la beffa,
una farsa in aggiunta alla sventura.
(da vittorio melandri)
Ieri sera, 21 aprile, (data che rimanda ai mitici natali di Roma, e …. a via XXI Aprile n. 21 a Piacenza, dove sono nato; sempre che mi si conceda la auto-citazione, auto-ironica!!) da Fabio Fazio, quel gentiluomo d’altri tempi che risponde al nome di Paolo Mieli, all’inizio della sessione di trasmissione con lui protagonista, ha chiesto un supplemento di applauso per l’ospite di Fazio che lo aveva preceduto.
Edgar Nahoum, noto con il nome di Morin che è il nome di battaglia che il filosofo, oggi lucidissimo e vigoroso 91nenne, assunse durante la guerra di liberazione dal nazifascismo, ed ha per sempre adottato.
Morin è stato ospite di Fazio per presentare l’edizione italiana, a cura di Raffaello Cortina editore, del suo ultimo libro, ‘La voie. Pour l’avenir de l’humanité’, Paris, Edizioni Fayard, gennaio 2011; dove, come si legge nella presentazione italiana, il “giovane Edgar”….
«…..pone .. la sfida di una “via” di salvezza che potrebbe delinearsi dal congiungersi di una miriade di vie riformatrici: riforma del pensiero, dell’educazione, della famiglia, del lavoro, dell’alimentazione, del modo di consumare… Una metamorfosi ancora più stupefacente di quella che ha segnato il passaggio dalle società arcaiche di cacciatori-raccoglitori alle società storiche.»
Ebbene, esaudito il nobile impulso di rendere omaggio a Morin, Mieli conversando con Fazio ha fra l’altro sostenuto che si possono ormai scorgere due Monti.
Un Monti I, libero da lacci a laccioli che ha marciato spedito.
Un Monti II, che si è impantanato sulla riforma per altro indispensabile secondo Mieli, del mercato del lavoro, ed è frenato dai partiti, o comunque da quello che dei partiti rimane.
Secondo Mieli, i partiti dovrebbero lasciare a Monti ….
…..PIENI POTERI….
….per poi tornare a competere solo a legislatura scaduta, alle prossime elezioni nel 2013.
Come possano convivere gli applausi richiesti per Morin, che proprio nella fusione dei poteri che diramano da una “miriade di vie riformatrici” scorge una possibile “Via di salvezza” per l’umanità intera, con il lasciare……
….. PIENI POTERI …..
…..ad un uomo solo, per quanto valente tecnico sobriamente vestito, resta per me incomprensibile e mi rimanda ad un pensiero che mi ha assalito quando nel 2008 gli italiani hanno rimesso in sella Berlusconi, con la complicità attiva di tutta la sedicente opposizione, e dei tanti “guru e maitre a penser” che inflazionano da anni la parte migliore del “Bel Paese”… (che non è il formaggio).
Penso purtroppo che quella riflessione sia tutt’ora valida.
Scompare l’opposizione, dilaga il conformismo, ci restano solo i poeti
Giorgio Caproni chiude la sua poesia “Congedo del viaggiatore cerimonioso” con questi versi….
“Di questo, sono certo: io/ son giunto alla disperazione/calma, senza sgomento./ Scendo. Buon proseguimento.”
Sono versi che mi sono tornati prepotentemente alla mente, alla luce di quanto sta accadendo nel nostro paese, dove stiamo assistendo alla progressiva quanto inesorabile scomparsa della opposizione.
In Parlamento, ma ancora più tragicamente nel paese, si va sempre più affermando una sedicente opposizione silenziosa, ormai dedita alle ombre, e prioritariamente impegnata a chiudere le ultime residue, e ormai stantie…… “agenzie del risentimento”.
Quando uscì il film Gomorra, la critica ne lodò la qualità cinematografica e fra le altre cose si è lesse che dopo il libro da cui era tratto, anche il film rappresenta l’Italia per quello che è……
…….un Paese …..“devastato, corrotto, violento, volgare, ignorante, sporco”.
Possiamo anche consolarci credendo che non sia vero, o che quello di vero che c’è, riguardi pezzi di paese lontani da noi, ma significa mettersi le fette di salame sugli occhi per non vedere.
Meglio sarebbe spalancarli.
Ad aiutarci in verità sono appunto rimasti solo i poeti.
Un altro poeta anche lui scomparso, Giovanni Raboni, che a differenza di Giorgio Caproni ha fatto in tempo a vedere anche gli ultimi disastri, ci ha lasciato dei versi che, a chi li legge, basta solo modificare il riferimento temporale, da autunno-inverno 2002, a primavera-estate 2012 per considerarli freschi di giornata.
VERSI D’AUTUNNO (di Giovanni Raboni)
Stillicidio di delitti, terribile:
si distruggono vite,
si distruggono posti di lavoro,
si distrugge la giustizia, il decoro
della convivenza civile:
non sarà facile dimenticarlo
l'autunno-inverno del 2002.
E intanto l'imprenditore del nulla,
il venditore d'aria fritta,
forte coi miserabili
delle sue inindagabili ricchezze,
ributtante per malsana pinguedine
del corpiciattolo dell'anima,
sorride a tutto schermo
negando ogni evidenza, promettendo
il già invano promesso e l'impossibile,
spacciando per pragmatico
il suo osceno frasario da piazzista.
Mai più in basso, non solo dirlo,
anche pensarlo duole,
mai così somigliante,
alle sanguinose caricature
che dai tempi dei tempi la sfigurano
la sciagurata, inclita Italia...
È anche d'altri, certo, l'infamia:
anche altrove si celebra lo scandalo
della santificazione del crimine,
del privilegio e dell'impunità
trasformati in dottrina dello Stato;
sempre meno affetta decenza
il potere reale,
sempre più esplicita violenza
autorizza o fomenta il capitale.
Ma solo a noi, già fradici
di antiche colpe e
remissioni,
a noi prima untori e poi vittime
della peste del secolo
è toccata, con il danno, la beffa,
una farsa in aggiunta alla sventura.
Peppe Giudice: E' nell'antipolitica guidata la perversione dell'attuale sistema
E’ nell’antipolitica guidata la perversione dell’attuale sistema
mercoledì 18 aprile 2012, 0.31.39 | Giuseppe Giudice
E’ nell’antipolitica guidata la perversione dell’attuale sistema
Ho più volte detto che l’antipolitica è sempre esistita e che, in certi limiti, è un bene che esista, in quanto la critica al potere è utile anche nei regimi più democratici. Il guaio è quando l’antipolitica diventa essa stessa soggetto politico ,ed in qualche modo soggetto politico trasversale, e condiziona fortemente il sistema. Che è ciò che è avvenuto dal 1992 ad oggi.
Per antipolitica è da intendere una mescolanza di elementi diversi e tutti deleteri: dal qualunquismo strisciante che ha sempre caratterizzato il nostro paese, dal rifiuto della democrazia rappresentativa fondata su partiti e sindacati, dal moralismo dei falsi indignati e dei malpancisti di professione, da una incapacità di trasformare la critica ad una realtà in proposta costruttiva .
Il sistema politico italiano è sempre stato caratterizzato da una forte dipendenza dagli equilibri internazionali. Dopo il 48 con l’affermazione della egemonia del PCI sulla sinistra, l’Italia era destinata a diventare una democrazia bloccata dagli accordi di Yalta. La sinistra è andata al governo in alternativa ai moderati in Germania, Francia, Spagna dove essa era saldamente in mano ai socialisti.
Comunque anche la democrazia bloccata dell’epoca repubblicana ha fatto compiere grandi progressi al nostro paese. Certo con forti contraddizioni. Ma non dobbiamo dimenticare cosa era l’Italia nel 1945 e cosa è diventata quaranta anni dopo. E’ merito dei grandi partiti e delle grandi tradizioni politiche , democristiane, comuniste e socialiste se questo è stato possibile.
Ma l’89 è un punto di svolta. E’ l’occasione per dare al paese una democrazia dell’alternativa ma la incapacità dei due partiti della sinistra di costruire un progetto comune nel socialismo democratico, fa saltare questa possibilità. In più inizia una fase recessiva dell’economia mondiale. Nel 92 Tangetopoli è il detonatore di una situazione di insoddisfazione verso un sistema bloccato ed incapace di rinnovarsi. Ma il possibile rinnovamento è anche stroncato da quella che chiamo antipolitica guidata. Guidata dai poteri forti dell’economia possessori dei mezzi di informazione e che da man forte ad un magistratura che rivendica un suo primato sulla politica.
Tangentopoli non è altro che un golpe strisciante contro la democrazia rappresentativa fondata su partiti e sindacati. Il guaio è che a questo golpe strisciante viene dato sostegno (non so con che grado di consapevolezza) da grossa parte del PDS che partecipa alla demonizzazione a 360° dei socialisti, che fa proprie le logiche del maggioritario che incoraggiano un modello plebiscitario, personalistico e neo-notabiliare della politica. Di fatto i partiti scompaiono come corpi intermedi e diventano gusci vuoti o nel senso dei partiti personali (Berlusconi e Di Pietro) o nel senso di partiti notabiliari come il PD. O se sono partiti di massa lo sono nel senso più deleterio perché si fondano sullo sciovinismo regionale e sul razzismo (Lega).
Nella II Repubblica di fatto sparisce la sinistra politica. I governi di centrosinistra sono protagonisti di un thatcherismo spinto. E’ solo nel sindacato, nella CGIL, che in questi venti anni si sono ritrovate le ragioni di una sinistra di ispirazione socialista.
I Poteri forti hanno voluto liquidare i partiti, perché avevano bisogno di un governo dell’economia in linea con l’evoluzione del del finanzcapitalismo. E quindi di fatti un governo dei tecnocrati. Non è un caso che Prodi, Tremonti, Draghi siano stati tutti legati a grosse banche d’affari internazionali.
Ma di questo ne abbiamo discusso a lungo. Soffermiamoci invece su un altro punto. Sul dato cioè che è stata proprio l’antipolitica guidata a favorire la perversione politica e morale del sistema attuale.
Una politica che conta sempre di meno sulle scelte reali, e che invece conta molto di più nel sottogoverno, con partiti senza regole in preda a trasformismi ed opportunismi ineffabili , non poteva che produrre quello che emerge , ma non solo ora , ma da più di quindici anni. Con le modalità che tutti abbiamo visto nella gestione delle risorse.
Ma, come dicevo, questo era evidente da tanti anni, era evidente da tanti anni che la II Repubblica era fallita. Perché oggi quelli che furono i protagonisti della campagna antipolitica del 93 sono gli stessi di oggi? IL Corriere della Sera , Repubblica (con le sue succursali come il “Fatto”)… o con lo stile televisivo che abilmente mescola e manipola le informazioni?
LO scopo è quello di indirizzare la indignazione e il forte malcontento provocato da una crisi del capitalismo non verso quest’ultimo ma verso la “casta” dei partiti. E’ una vecchia storia.
Ed allora si fa una campagna che è volta a demonizzare tout-court la politica, in un perverso rincorrersi tra giustizialismo, antipolitica, crisi della democrazia e corruzione. Non se ne esce più fuori. Ormai siamo in una spirale perversa che rischia veramente di precipitarci in un baratro senza fondo. Nel 1993 non c’era certo la crisi che c’è oggi.
La lezione di Habermas sulla democrazia e sul fatto che essa esiste in quanto il processo comunicativo-discorsivo non è deviato o eccessivamente asimmetrico è da manuale applicato all’Italia. Dove abbiamo una opinione pubblica che è fortemente colonizzata e manipolata dai mass-media e dalla assenza di un discorso politico di una sinistra che non esiste. In una situazione del genere parlare di “sentire il polso del paese” “essere in sintonia con l’opinione della gente” vuol dire prendersi per il culo. Se l’opinione è fortemente colonizzata dall’esterno (da Berlusconi a Santoro) occorrerà quanto meno prima un processo di decolonizzazione.
Ma ritorno sul PDS e sui suoi fallimenti. L’aver esaltato il moralismo e demonizzato il socialismo, ha aiutato molto l’antipolitica. Ed è stato un boomerang. L’aver dato centralità alla tesi berlingueriana della “diversità” ha prodotto disillusione ed abbandono nel momento in cui si dimostra che la diversità non esiste. Che a sinistra anche esponenti del postcomunismo e non solo i socialisti possono essere colti con le mani nella marmellata. Questo non significa che tutti sono uguali. Tra Bersani e Dell’Utri c’è un abisso politico e morale. Ma questo ragionamento non si è fatto quando si demonizzavano i socialisti, dove c’erano i rampanti, certo (come ci sono stati pure nel PDS) ma c’erano tanti galantuomini.
Agli inizi di Maggio vedremo che succederà in Francia. Ma anche una auspicabilissima vittoria dei socialisti non credo che , per come è messa oggi la politica italiana, possa avere effetti particolarmente significativi.
Controbattere alla campagna antipolitica è oggettivamente difficile. Con i mezzi di informazione tutti ben schierati. Sarà ancora più difficile se in quel che rimane della sinistra non si farà una seria riflessione critica su come è nata la II Repubblica.
PEPPE GIUDICE
mercoledì 18 aprile 2012, 0.31.39 | Giuseppe Giudice
E’ nell’antipolitica guidata la perversione dell’attuale sistema
Ho più volte detto che l’antipolitica è sempre esistita e che, in certi limiti, è un bene che esista, in quanto la critica al potere è utile anche nei regimi più democratici. Il guaio è quando l’antipolitica diventa essa stessa soggetto politico ,ed in qualche modo soggetto politico trasversale, e condiziona fortemente il sistema. Che è ciò che è avvenuto dal 1992 ad oggi.
Per antipolitica è da intendere una mescolanza di elementi diversi e tutti deleteri: dal qualunquismo strisciante che ha sempre caratterizzato il nostro paese, dal rifiuto della democrazia rappresentativa fondata su partiti e sindacati, dal moralismo dei falsi indignati e dei malpancisti di professione, da una incapacità di trasformare la critica ad una realtà in proposta costruttiva .
Il sistema politico italiano è sempre stato caratterizzato da una forte dipendenza dagli equilibri internazionali. Dopo il 48 con l’affermazione della egemonia del PCI sulla sinistra, l’Italia era destinata a diventare una democrazia bloccata dagli accordi di Yalta. La sinistra è andata al governo in alternativa ai moderati in Germania, Francia, Spagna dove essa era saldamente in mano ai socialisti.
Comunque anche la democrazia bloccata dell’epoca repubblicana ha fatto compiere grandi progressi al nostro paese. Certo con forti contraddizioni. Ma non dobbiamo dimenticare cosa era l’Italia nel 1945 e cosa è diventata quaranta anni dopo. E’ merito dei grandi partiti e delle grandi tradizioni politiche , democristiane, comuniste e socialiste se questo è stato possibile.
Ma l’89 è un punto di svolta. E’ l’occasione per dare al paese una democrazia dell’alternativa ma la incapacità dei due partiti della sinistra di costruire un progetto comune nel socialismo democratico, fa saltare questa possibilità. In più inizia una fase recessiva dell’economia mondiale. Nel 92 Tangetopoli è il detonatore di una situazione di insoddisfazione verso un sistema bloccato ed incapace di rinnovarsi. Ma il possibile rinnovamento è anche stroncato da quella che chiamo antipolitica guidata. Guidata dai poteri forti dell’economia possessori dei mezzi di informazione e che da man forte ad un magistratura che rivendica un suo primato sulla politica.
Tangentopoli non è altro che un golpe strisciante contro la democrazia rappresentativa fondata su partiti e sindacati. Il guaio è che a questo golpe strisciante viene dato sostegno (non so con che grado di consapevolezza) da grossa parte del PDS che partecipa alla demonizzazione a 360° dei socialisti, che fa proprie le logiche del maggioritario che incoraggiano un modello plebiscitario, personalistico e neo-notabiliare della politica. Di fatto i partiti scompaiono come corpi intermedi e diventano gusci vuoti o nel senso dei partiti personali (Berlusconi e Di Pietro) o nel senso di partiti notabiliari come il PD. O se sono partiti di massa lo sono nel senso più deleterio perché si fondano sullo sciovinismo regionale e sul razzismo (Lega).
Nella II Repubblica di fatto sparisce la sinistra politica. I governi di centrosinistra sono protagonisti di un thatcherismo spinto. E’ solo nel sindacato, nella CGIL, che in questi venti anni si sono ritrovate le ragioni di una sinistra di ispirazione socialista.
I Poteri forti hanno voluto liquidare i partiti, perché avevano bisogno di un governo dell’economia in linea con l’evoluzione del del finanzcapitalismo. E quindi di fatti un governo dei tecnocrati. Non è un caso che Prodi, Tremonti, Draghi siano stati tutti legati a grosse banche d’affari internazionali.
Ma di questo ne abbiamo discusso a lungo. Soffermiamoci invece su un altro punto. Sul dato cioè che è stata proprio l’antipolitica guidata a favorire la perversione politica e morale del sistema attuale.
Una politica che conta sempre di meno sulle scelte reali, e che invece conta molto di più nel sottogoverno, con partiti senza regole in preda a trasformismi ed opportunismi ineffabili , non poteva che produrre quello che emerge , ma non solo ora , ma da più di quindici anni. Con le modalità che tutti abbiamo visto nella gestione delle risorse.
Ma, come dicevo, questo era evidente da tanti anni, era evidente da tanti anni che la II Repubblica era fallita. Perché oggi quelli che furono i protagonisti della campagna antipolitica del 93 sono gli stessi di oggi? IL Corriere della Sera , Repubblica (con le sue succursali come il “Fatto”)… o con lo stile televisivo che abilmente mescola e manipola le informazioni?
LO scopo è quello di indirizzare la indignazione e il forte malcontento provocato da una crisi del capitalismo non verso quest’ultimo ma verso la “casta” dei partiti. E’ una vecchia storia.
Ed allora si fa una campagna che è volta a demonizzare tout-court la politica, in un perverso rincorrersi tra giustizialismo, antipolitica, crisi della democrazia e corruzione. Non se ne esce più fuori. Ormai siamo in una spirale perversa che rischia veramente di precipitarci in un baratro senza fondo. Nel 1993 non c’era certo la crisi che c’è oggi.
La lezione di Habermas sulla democrazia e sul fatto che essa esiste in quanto il processo comunicativo-discorsivo non è deviato o eccessivamente asimmetrico è da manuale applicato all’Italia. Dove abbiamo una opinione pubblica che è fortemente colonizzata e manipolata dai mass-media e dalla assenza di un discorso politico di una sinistra che non esiste. In una situazione del genere parlare di “sentire il polso del paese” “essere in sintonia con l’opinione della gente” vuol dire prendersi per il culo. Se l’opinione è fortemente colonizzata dall’esterno (da Berlusconi a Santoro) occorrerà quanto meno prima un processo di decolonizzazione.
Ma ritorno sul PDS e sui suoi fallimenti. L’aver esaltato il moralismo e demonizzato il socialismo, ha aiutato molto l’antipolitica. Ed è stato un boomerang. L’aver dato centralità alla tesi berlingueriana della “diversità” ha prodotto disillusione ed abbandono nel momento in cui si dimostra che la diversità non esiste. Che a sinistra anche esponenti del postcomunismo e non solo i socialisti possono essere colti con le mani nella marmellata. Questo non significa che tutti sono uguali. Tra Bersani e Dell’Utri c’è un abisso politico e morale. Ma questo ragionamento non si è fatto quando si demonizzavano i socialisti, dove c’erano i rampanti, certo (come ci sono stati pure nel PDS) ma c’erano tanti galantuomini.
Agli inizi di Maggio vedremo che succederà in Francia. Ma anche una auspicabilissima vittoria dei socialisti non credo che , per come è messa oggi la politica italiana, possa avere effetti particolarmente significativi.
Controbattere alla campagna antipolitica è oggettivamente difficile. Con i mezzi di informazione tutti ben schierati. Sarà ancora più difficile se in quel che rimane della sinistra non si farà una seria riflessione critica su come è nata la II Repubblica.
PEPPE GIUDICE
sabato 21 aprile 2012
Renzo Penna: Criticare i partiti non è solo antipolitica
CRITICARE I PARTITI NON E’ SOLO ANTIPOLITICA
di Renzo Penna
Il Presidente della Repubblica, di fronte al montare della critica generalizzata e, per alcuni aspetti, demagogica che si sta diffondendo nel Paese nei confronti dei partiti - da ultimo per l’utilizzo scandaloso dei fondi pubblici da parte del tesoriere della Margherita e dai componenti il “cerchio magico” e familista della Lega Nord di Bossi, smaccatamente personale e irridente la situazione di difficoltà che nella crisi stanno attraversando tanti italiani - cerca di correre ai ripari e si schiera decisamente contro la demonizzazione dei partiti e della politica.
“Il passato e il presente - dice Napolitano - sono ricchi di esempi di onestà e serietà politica, di personale disinteresse, di applicazione appassionata ai problemi della comunità. Il partito e la politica - dice ancora - non sono il regno del male, del calcolo particolaristico e della corruzione. Il marcio ha sempre potuto manifestarsi, e sempre si deve estirpare: ma anche quando sembra diffondersi e farsi soffocante, non dimentichiamo tutti gli esempi passati e presenti. Guai a fare di tutte le erbe un fascio, a demonizzare i partiti e a rifiutare la politica. Per cambiare quel che va cambiato - aggiunge - bisogna senza ulteriore indugio trasmettere ai giovani la vocazione alla politica”.
Concetti che, nella sostanza, condivido e che di recente anch’io ho utilizzato per motivare la personale candidatura al Consiglio comunale di Alessandria: “Non ritengo che in politica, come nella vita, le responsabilità riguardino tutti nello stesso modo - ho scritto in una lettera aperta alle elettrici e agli elettori - così come il generico e populista: ‘…tanto sono tutti uguali’ genera solo qualunquismo e sfiducia e permette a chi ha sbagliato di continuare impunemente a farlo”. Argomenti che, però, oggi, come ha già messo in evidenza nel suo fondo Giancarlo Patrucco, suonano incompleti e da soli risultano insufficienti ad arginare la protesta, specie di fronte all’attuale incapacità, o mancanza di volontà, dei vertici dei principali partiti ad adottare contromisure serie e credibili. Una posizione sostenuta da personalità, come Gherardo Colombo e Gustavo Zagrebelsky, certo non inclini all’antipolitica, anzi d’accordo nel ritenere necessario il contributo pubblico per evitare discriminazioni, o eccessive dipendenze da imprese e gruppi economici, che non finanziano certo la politica con finalità filantropiche, ma fortemente critici sull’attuale quantità di soldi dati ai partiti, sul loro utilizzo e su una gestione tutta centralizzata e poco trasparente, sia delle risorse che delle candidature.
Una incapacità, quella dei partiti a dare risposte convincenti a una pubblica opinione sempre più insofferente nei confronti della politica, che deriva, in primo luogo, dalla crisi delle forze politiche, dalla perdita di peso e di ruolo democratico delle strutture di base, esautorate nella selezione della classe dirigente, che viene decisa e controllata al vertice con criteri più attenti alla fedeltà che al merito, sia per la designazione delle candidature che gli incarichi di potere. Una prassi che si è acuita, anni fa, con la “discesa in campo” di Berlusconi la quale, però, è stata - non va mai dimenticato - confortata dal consenso ampio degli elettori. Alla testa di una forza politica “personale”, costruita attraverso l’uso delle televisioni e che per assumere le decisioni non ha bisogno delle tradizionali e faticose procedure democratiche, visto che vi è già un capo, un leader riconosciuto, insomma, un padrone che decide per tutti. Non a caso non servono gli iscritti e non si tengono i congressi. Un partito personale di una delle persone più ricche del Paese che però non ha disdegnato riscuotere i soldi del finanziamento pubblico.
Un indirizzo, quello della forte personalizzazione nella politica, della ricerca del leader carismatico, con la spinta verso modelli di tipo “presidenziale” che, nella politica italiana ha, addirittura, preceduto lo stesso “cavaliere”. E implica, come conseguenza, partiti più “leggeri”, meno strutturati, più verticistici, nei quali la democrazia alla base viene, nella sostanza, svuotata di contenuti e di significato. L’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni, adottata per garantire una più certa governabilità degli Enti locali ha, nel contempo, di molto ridotto il ruolo dei Consigli e le stesse possibilità di controllo delle opposizioni. Se poi al posto di persone competenti e oneste vengono elette figure poco commendevoli, o solamente incapaci, ma con un forte potere di decisione, la necessità di introdurre nuovi contrappesi democratici diviene un’urgenza. Per non ripetere, ad esempio, l’esperienza, sotto diversi aspetti, fallimentare che sta caratterizzando il Comune di Alessandria.
E’ del tutto evidente, poi, che questa situazione di forte sfiducia nei confronti dei partiti e di crescente disaffezione verso la politica viene vissuta e preoccupa maggiormente l’elettorato di tradizione e cultura progressista. Mentre, infatti, esponenti del centro e della destra politica italiana sostengono di continuo non abbia più senso parlare di destra e di sinistra, molti, e tra questi anch’io, continuano a ritenere valido l’insegnamento di chi affida alla sinistra il compito di ridurre le diseguaglianze economiche e sociali. Un compito quanto mai attuale visto che la crisi di questi anni sta dilatando le differenze tra chi ha troppo e chi troppo poco in termini di reddito, di prospettive di lavoro, di formazione e di qualità della vita.
L’eccezionalità poi della fase politica italiana che, per fronteggiare la crisi economica del Paese, vede in parlamento un governo “tecnico” sostenuto insieme dalle tre principali forze politiche che hanno caratterizzato, nel recente passato, sia la maggioranza che l’opposizione al governo Berlusconi, rende più agevole il compito di chi fa leva sulla demagogia e l’antipolitica. Anche se i veleni del populismo, il rappresentare agli italiani una situazione artefatta, nascondendo la verità, inventando i nemici nello straniero e nel diverso per alimentare paure, egoismi e chiusure, non sono una novità degli ultimi mesi, ma da anni rappresentano l’essenza del berlusconismo e del leghismo.
Tocca però alle forze del centro sinistra e della sinistra, se vogliono salvarsi e dare senso alle parole di Napolitano, operare un profondo rinnovamento politico ed etico riducendo nettamente i costi della politica, adottando comportamenti e stili di vita in consonanza con le difficoltà, l’incertezza sul futuro che oggi vive una larga parte dei cittadini, cui viene chiesto di sopportare pesanti sacrifici. Certificare il bilancio dei partiti e sottoporre la gestione del finanziamento pubblico a rigorosi controlli va bene, ma non basta. La politica deve avere il coraggio di applicare riduzioni significative alle spese dei partiti, oggi generalmente ritenute non più accettabili. E che rappresentano il primo impedimento per i giovani nel tornare ad appassionarsi alla politica.
Il tema della questione morale si impone così con forza. Una questione più volte sollevata in questi anni, dentro e fuori dai partiti, ma che ha visto l’allontanamento e l’emarginazione di coloro che tale necessità hanno invano sostenuto e reclamato. E, visto che ad Alessandria - come in molte altre realtà - viviamo le settimane che precedono il voto per il rinnovo del Consiglio comunale, la necessità, ad esempio, di porre un tetto alle spese delle campagne elettorali si manifesta in tutta la sua evidenza. Che poi l’antipolitica - come ha di recente affermato la segretaria della Cgil - la critica distruttiva, e indistinta che trova oggi nel fenomeno del grillismo l’espressione più aggiornata, rappresenti il viatico per soluzioni restauratrici e di destra è sin troppo noto. E gli esempi sia sul piano internazionale che locale si sprecano. Ma per combattere efficacemente le posizioni demagogiche che non sono in grado di risolvere nel concreto la durezza e complessità dei problemi di oggi, servono, sia livello di amministrazioni locali che di governo nazionale, competenze, sobrietà, rigore e trasparenza nella gestione della cosa pubblica.
Rimango convinto che si può governare e amministrare in modo serio e onesto, restituendo ai cittadini la fiducia e alla politica il suo vero significato, ma i partiti devono dimostrare di aver compreso la gravità di ciò che sta accadendo e adottare contromisure serie e convincenti.
Indirizzata in questo senso la critica ai partiti, affinché cambino profondamente, rappresenta un’azione utile per chi non pretende meno, ma più politica.
Alessandria, 19 aprile 2012
di Renzo Penna
Il Presidente della Repubblica, di fronte al montare della critica generalizzata e, per alcuni aspetti, demagogica che si sta diffondendo nel Paese nei confronti dei partiti - da ultimo per l’utilizzo scandaloso dei fondi pubblici da parte del tesoriere della Margherita e dai componenti il “cerchio magico” e familista della Lega Nord di Bossi, smaccatamente personale e irridente la situazione di difficoltà che nella crisi stanno attraversando tanti italiani - cerca di correre ai ripari e si schiera decisamente contro la demonizzazione dei partiti e della politica.
“Il passato e il presente - dice Napolitano - sono ricchi di esempi di onestà e serietà politica, di personale disinteresse, di applicazione appassionata ai problemi della comunità. Il partito e la politica - dice ancora - non sono il regno del male, del calcolo particolaristico e della corruzione. Il marcio ha sempre potuto manifestarsi, e sempre si deve estirpare: ma anche quando sembra diffondersi e farsi soffocante, non dimentichiamo tutti gli esempi passati e presenti. Guai a fare di tutte le erbe un fascio, a demonizzare i partiti e a rifiutare la politica. Per cambiare quel che va cambiato - aggiunge - bisogna senza ulteriore indugio trasmettere ai giovani la vocazione alla politica”.
Concetti che, nella sostanza, condivido e che di recente anch’io ho utilizzato per motivare la personale candidatura al Consiglio comunale di Alessandria: “Non ritengo che in politica, come nella vita, le responsabilità riguardino tutti nello stesso modo - ho scritto in una lettera aperta alle elettrici e agli elettori - così come il generico e populista: ‘…tanto sono tutti uguali’ genera solo qualunquismo e sfiducia e permette a chi ha sbagliato di continuare impunemente a farlo”. Argomenti che, però, oggi, come ha già messo in evidenza nel suo fondo Giancarlo Patrucco, suonano incompleti e da soli risultano insufficienti ad arginare la protesta, specie di fronte all’attuale incapacità, o mancanza di volontà, dei vertici dei principali partiti ad adottare contromisure serie e credibili. Una posizione sostenuta da personalità, come Gherardo Colombo e Gustavo Zagrebelsky, certo non inclini all’antipolitica, anzi d’accordo nel ritenere necessario il contributo pubblico per evitare discriminazioni, o eccessive dipendenze da imprese e gruppi economici, che non finanziano certo la politica con finalità filantropiche, ma fortemente critici sull’attuale quantità di soldi dati ai partiti, sul loro utilizzo e su una gestione tutta centralizzata e poco trasparente, sia delle risorse che delle candidature.
Una incapacità, quella dei partiti a dare risposte convincenti a una pubblica opinione sempre più insofferente nei confronti della politica, che deriva, in primo luogo, dalla crisi delle forze politiche, dalla perdita di peso e di ruolo democratico delle strutture di base, esautorate nella selezione della classe dirigente, che viene decisa e controllata al vertice con criteri più attenti alla fedeltà che al merito, sia per la designazione delle candidature che gli incarichi di potere. Una prassi che si è acuita, anni fa, con la “discesa in campo” di Berlusconi la quale, però, è stata - non va mai dimenticato - confortata dal consenso ampio degli elettori. Alla testa di una forza politica “personale”, costruita attraverso l’uso delle televisioni e che per assumere le decisioni non ha bisogno delle tradizionali e faticose procedure democratiche, visto che vi è già un capo, un leader riconosciuto, insomma, un padrone che decide per tutti. Non a caso non servono gli iscritti e non si tengono i congressi. Un partito personale di una delle persone più ricche del Paese che però non ha disdegnato riscuotere i soldi del finanziamento pubblico.
Un indirizzo, quello della forte personalizzazione nella politica, della ricerca del leader carismatico, con la spinta verso modelli di tipo “presidenziale” che, nella politica italiana ha, addirittura, preceduto lo stesso “cavaliere”. E implica, come conseguenza, partiti più “leggeri”, meno strutturati, più verticistici, nei quali la democrazia alla base viene, nella sostanza, svuotata di contenuti e di significato. L’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni, adottata per garantire una più certa governabilità degli Enti locali ha, nel contempo, di molto ridotto il ruolo dei Consigli e le stesse possibilità di controllo delle opposizioni. Se poi al posto di persone competenti e oneste vengono elette figure poco commendevoli, o solamente incapaci, ma con un forte potere di decisione, la necessità di introdurre nuovi contrappesi democratici diviene un’urgenza. Per non ripetere, ad esempio, l’esperienza, sotto diversi aspetti, fallimentare che sta caratterizzando il Comune di Alessandria.
E’ del tutto evidente, poi, che questa situazione di forte sfiducia nei confronti dei partiti e di crescente disaffezione verso la politica viene vissuta e preoccupa maggiormente l’elettorato di tradizione e cultura progressista. Mentre, infatti, esponenti del centro e della destra politica italiana sostengono di continuo non abbia più senso parlare di destra e di sinistra, molti, e tra questi anch’io, continuano a ritenere valido l’insegnamento di chi affida alla sinistra il compito di ridurre le diseguaglianze economiche e sociali. Un compito quanto mai attuale visto che la crisi di questi anni sta dilatando le differenze tra chi ha troppo e chi troppo poco in termini di reddito, di prospettive di lavoro, di formazione e di qualità della vita.
L’eccezionalità poi della fase politica italiana che, per fronteggiare la crisi economica del Paese, vede in parlamento un governo “tecnico” sostenuto insieme dalle tre principali forze politiche che hanno caratterizzato, nel recente passato, sia la maggioranza che l’opposizione al governo Berlusconi, rende più agevole il compito di chi fa leva sulla demagogia e l’antipolitica. Anche se i veleni del populismo, il rappresentare agli italiani una situazione artefatta, nascondendo la verità, inventando i nemici nello straniero e nel diverso per alimentare paure, egoismi e chiusure, non sono una novità degli ultimi mesi, ma da anni rappresentano l’essenza del berlusconismo e del leghismo.
Tocca però alle forze del centro sinistra e della sinistra, se vogliono salvarsi e dare senso alle parole di Napolitano, operare un profondo rinnovamento politico ed etico riducendo nettamente i costi della politica, adottando comportamenti e stili di vita in consonanza con le difficoltà, l’incertezza sul futuro che oggi vive una larga parte dei cittadini, cui viene chiesto di sopportare pesanti sacrifici. Certificare il bilancio dei partiti e sottoporre la gestione del finanziamento pubblico a rigorosi controlli va bene, ma non basta. La politica deve avere il coraggio di applicare riduzioni significative alle spese dei partiti, oggi generalmente ritenute non più accettabili. E che rappresentano il primo impedimento per i giovani nel tornare ad appassionarsi alla politica.
Il tema della questione morale si impone così con forza. Una questione più volte sollevata in questi anni, dentro e fuori dai partiti, ma che ha visto l’allontanamento e l’emarginazione di coloro che tale necessità hanno invano sostenuto e reclamato. E, visto che ad Alessandria - come in molte altre realtà - viviamo le settimane che precedono il voto per il rinnovo del Consiglio comunale, la necessità, ad esempio, di porre un tetto alle spese delle campagne elettorali si manifesta in tutta la sua evidenza. Che poi l’antipolitica - come ha di recente affermato la segretaria della Cgil - la critica distruttiva, e indistinta che trova oggi nel fenomeno del grillismo l’espressione più aggiornata, rappresenti il viatico per soluzioni restauratrici e di destra è sin troppo noto. E gli esempi sia sul piano internazionale che locale si sprecano. Ma per combattere efficacemente le posizioni demagogiche che non sono in grado di risolvere nel concreto la durezza e complessità dei problemi di oggi, servono, sia livello di amministrazioni locali che di governo nazionale, competenze, sobrietà, rigore e trasparenza nella gestione della cosa pubblica.
Rimango convinto che si può governare e amministrare in modo serio e onesto, restituendo ai cittadini la fiducia e alla politica il suo vero significato, ma i partiti devono dimostrare di aver compreso la gravità di ciò che sta accadendo e adottare contromisure serie e convincenti.
Indirizzata in questo senso la critica ai partiti, affinché cambino profondamente, rappresenta un’azione utile per chi non pretende meno, ma più politica.
Alessandria, 19 aprile 2012
venerdì 20 aprile 2012
Franco Astengo: Rappresentanza politica e riunificazione sociale
RAPPRESENTANZA POLITICA E RIUNIFICAZIONE SOCIALE
Sono cominciate le grandi manovre (facilmente prevedibili da molto tempo) in vista di un complessivo riallineamento del sistema politico italiano attorno ad un asse diverso da quello attorno al quale ha ruotato nel corso degli ultimi 20 anni: un riallineamento che avrò, con tutta probabilità, un impatto ancora forte di quello determinatosi con la caduta del Muro di Berlino, Maastricht e Tangentopoli sugli allora viventi partiti di massa.
I sommovimenti al centro del sistema, evidenziatisi proprio in questi giorni, rappresentano soltanto le prime avvisaglie: la crisi economica con le sue originali sfaccettature rappresenta un’occasione troppo ghiotta per ceti dominanti, più o meno tradizionalmente configurati, intenzionati a riproporre, attraverso l’adozione di una vera e propria “ideologia dalle crisi”, le condizioni per un ristabilimento definitivo di condizioni “di classe” sull’insieme della società e sarà questo il vero punto di riferimento attorno al quale si misureranno le azioni dei protagonisti politici nei prossimi mesi: un furore “liberista” (semplifico per economia di spazio) che si avvantaggerà sicuramente del complessivo discredito che una davvero goffa, sul piano dei comportamenti specifici; “questione morale” (proprio una roba da “parvenu”) sta gettando sull’intero sistema.
L’elemento centrale sul quale mi piacerebbe essere in grado di porre l’attenzione rimane, però, quello della strutturazione dell’agire politico: un tema valido non soltanto per il “caso italiano”, al quale cercherò di fare riferimento, ma anche e soprattutto sul piano di una comparazione di diversi modelli a livello internazionale, e più specificatamente europeo, che pure dovrà essere compiuta in una sede opportuna.
Provo comunque di arrivare al punto, fermo restando l’aver individuato nella dinamica in atto il perseguimento di una centralità riferita alla costruzione di un soggetto politico di supporto all’azione di ristabilimento di un assoluto predominio di classe all’interno della società italiana (poi che questo nuovo soggetto rappresenti lo “sherpa” per un ritorno al notabilato, come indicava Panebianco qualche giorno fa sulle colonne del “Corriere della Sera”, oppure un tentativo di ritorno all’idea del partito come “principe” lo vedremo in seguito: soprattutto se il tentativo “centrista” si svilupperà positivamente e molto, da questo punto di vista, dipenderà dal sistema elettorale).
Su questa strada, comunque, della dinamica politica rimangono da affrontare tutti i nodi del cambiamento che si sono accumulati nel corso di questi anni.
Si è scritto molto sulla presunta separatezza tra politica e società civile e l’esercizio principale di commentatori e sondaggisti, in questi giorni, appare essere quello di prevedere la percentuale di astenuti, oppure il consenso raccolto dalle formazioni rappresentative della cosiddetta “antipolitica”: è necessario però tornare sull’analisi dei fenomeni che hanno provocato questo stato di cose, sicuramente non salutare per la qualità della democrazia.
Il primo dato da far rilevare è quello che, ormai, siamo di fronte ad una totale professionalizzazione dell’attività politica, con evidenti ricadute sul terreno delle scelte concrete, dei finanziamenti, del peso delle lobby.
Il secondo elemento è rappresentato dalla riunificazione del concetto di rappresentanza con quello di governabilità, realizzato attraverso l’esaltazione impropria del processo di personalizzazione della politica, verificatosi in particolare attraverso lo sciagurato meccanismo dell’elezione diretta di figure amministrative monocratiche, dotate di un assoluto eccesso di potere sul piano della nomina e della spesa.
Questo fattore appena individuato ha portato al verificarsi di due situazioni entrambe fortemente negative: la prima al riguardo del ruolo dei partiti, rimasto assolutamente svincolato da qualsiasi rapporto con precise “fratture sociali” e configuratosi, di conseguenza, quale centro esclusivo dell’elargizione di quel potere di nomina e di spesa cui si accennava poc’anzi, utilizzato al fine della distribuzione di “incentivi selettivi” destinati a tenere in piedi il proprio apparato professionale, in centro e in periferia (attorno a questo elemento molti riconosceranno facilmente i tratti della “questione morale” in corso); la seconda, conseguente alla prima, quella dello svilupparsi di una sorta di “campagna elettorale” permanente che, ormai, impegna i protagonisti della politica 365 giorni all’anno per 24 ore al giorno, in una parossistica (e a mio giudizio ormai mortificante per gli stessi protagonisti) rincorsa all’uso dei mezzi di comunicazione di massa e alle nuove tecnologie comunicative.
L’esito di tutto ciò è rappresentato da quella che è stata, nel corso degli anni, una profonda modificazione dell’agire politico, all’insegna del frazionamento delle proposte in relazione al frazionamento della società, diversificando il messaggio secondo la collocazione sociale dei segmenti che s’intendevano intercettare, esclusivamente sul piano elettorale (proprio per corrispondere al concetto di “campagna elettorale permanente”) considerato che l’andamento del voto dopo aver attraversato una fase definibile di “fluttuazione” appare essere ormai entrato in un’ulteriore fase che potrebbe essere contrassegnata dalla “intermittenza”.
All’interno di questo varco, enorme, e dal vuoto che presumibilmente sarà lasciato dalla crisi del modello del partito “elettorale – personale “ (anche nella sua versione specificatamente italiana del “partito-azienda”), cercheranno di infilarsi i teorici della nuova formazione politica centrista attualmente “in fieri” che si propone, invece, di recuperare l’idea del richiamo ad una precisa collocazione dal punto di vista sociale e dal punto di vista politico, ritenendo questo tipo di soggettività (la “Casa dei Moderati”, il “Partito della Nazione”) l’unica adatta a fronteggiare la situazione d’emergenza prodotta dalla crisi.
A sinistra, su questo terreno, il ritardo appare evidente e le proposte in campo (quella di proseguire sulla strada del “partito elettorale personale” e quella di un’indistinta, sul piano dei riferimenti del conflitto sociale, politica dei “beni comuni”) appaiono del tutto al di sotto delle esigenze complessive che la fase richiede.
Servirebbe, se mai fosse possibile, un’idea di riunificazione del segmento sociale di riferimento della sinistra, quello del mondo del lavoro, avanzando una proposta di progettualità non ripiegata semplicemente sulla difesa dell’esistente ma in grado di progettare una società futura sulla base dell’intreccio, apparentemente inestricabile in queste condizioni, tra le diverse contraddizioni sociali, moderne e post-moderne, ma soprattutto modificando sul serio la qualità dell’agire politico.
L’avversario, perché di avversario si tratta, si sta attrezzando rispetto alle novità che la trasformazione sociale apportata dalla crisi ha introdotto nel sistema: dal nostro punto di vista nessuno è in grado di battere un colpo?
Genova, li 20 aprile 2012 Franco Astengo
Sono cominciate le grandi manovre (facilmente prevedibili da molto tempo) in vista di un complessivo riallineamento del sistema politico italiano attorno ad un asse diverso da quello attorno al quale ha ruotato nel corso degli ultimi 20 anni: un riallineamento che avrò, con tutta probabilità, un impatto ancora forte di quello determinatosi con la caduta del Muro di Berlino, Maastricht e Tangentopoli sugli allora viventi partiti di massa.
I sommovimenti al centro del sistema, evidenziatisi proprio in questi giorni, rappresentano soltanto le prime avvisaglie: la crisi economica con le sue originali sfaccettature rappresenta un’occasione troppo ghiotta per ceti dominanti, più o meno tradizionalmente configurati, intenzionati a riproporre, attraverso l’adozione di una vera e propria “ideologia dalle crisi”, le condizioni per un ristabilimento definitivo di condizioni “di classe” sull’insieme della società e sarà questo il vero punto di riferimento attorno al quale si misureranno le azioni dei protagonisti politici nei prossimi mesi: un furore “liberista” (semplifico per economia di spazio) che si avvantaggerà sicuramente del complessivo discredito che una davvero goffa, sul piano dei comportamenti specifici; “questione morale” (proprio una roba da “parvenu”) sta gettando sull’intero sistema.
L’elemento centrale sul quale mi piacerebbe essere in grado di porre l’attenzione rimane, però, quello della strutturazione dell’agire politico: un tema valido non soltanto per il “caso italiano”, al quale cercherò di fare riferimento, ma anche e soprattutto sul piano di una comparazione di diversi modelli a livello internazionale, e più specificatamente europeo, che pure dovrà essere compiuta in una sede opportuna.
Provo comunque di arrivare al punto, fermo restando l’aver individuato nella dinamica in atto il perseguimento di una centralità riferita alla costruzione di un soggetto politico di supporto all’azione di ristabilimento di un assoluto predominio di classe all’interno della società italiana (poi che questo nuovo soggetto rappresenti lo “sherpa” per un ritorno al notabilato, come indicava Panebianco qualche giorno fa sulle colonne del “Corriere della Sera”, oppure un tentativo di ritorno all’idea del partito come “principe” lo vedremo in seguito: soprattutto se il tentativo “centrista” si svilupperà positivamente e molto, da questo punto di vista, dipenderà dal sistema elettorale).
Su questa strada, comunque, della dinamica politica rimangono da affrontare tutti i nodi del cambiamento che si sono accumulati nel corso di questi anni.
Si è scritto molto sulla presunta separatezza tra politica e società civile e l’esercizio principale di commentatori e sondaggisti, in questi giorni, appare essere quello di prevedere la percentuale di astenuti, oppure il consenso raccolto dalle formazioni rappresentative della cosiddetta “antipolitica”: è necessario però tornare sull’analisi dei fenomeni che hanno provocato questo stato di cose, sicuramente non salutare per la qualità della democrazia.
Il primo dato da far rilevare è quello che, ormai, siamo di fronte ad una totale professionalizzazione dell’attività politica, con evidenti ricadute sul terreno delle scelte concrete, dei finanziamenti, del peso delle lobby.
Il secondo elemento è rappresentato dalla riunificazione del concetto di rappresentanza con quello di governabilità, realizzato attraverso l’esaltazione impropria del processo di personalizzazione della politica, verificatosi in particolare attraverso lo sciagurato meccanismo dell’elezione diretta di figure amministrative monocratiche, dotate di un assoluto eccesso di potere sul piano della nomina e della spesa.
Questo fattore appena individuato ha portato al verificarsi di due situazioni entrambe fortemente negative: la prima al riguardo del ruolo dei partiti, rimasto assolutamente svincolato da qualsiasi rapporto con precise “fratture sociali” e configuratosi, di conseguenza, quale centro esclusivo dell’elargizione di quel potere di nomina e di spesa cui si accennava poc’anzi, utilizzato al fine della distribuzione di “incentivi selettivi” destinati a tenere in piedi il proprio apparato professionale, in centro e in periferia (attorno a questo elemento molti riconosceranno facilmente i tratti della “questione morale” in corso); la seconda, conseguente alla prima, quella dello svilupparsi di una sorta di “campagna elettorale” permanente che, ormai, impegna i protagonisti della politica 365 giorni all’anno per 24 ore al giorno, in una parossistica (e a mio giudizio ormai mortificante per gli stessi protagonisti) rincorsa all’uso dei mezzi di comunicazione di massa e alle nuove tecnologie comunicative.
L’esito di tutto ciò è rappresentato da quella che è stata, nel corso degli anni, una profonda modificazione dell’agire politico, all’insegna del frazionamento delle proposte in relazione al frazionamento della società, diversificando il messaggio secondo la collocazione sociale dei segmenti che s’intendevano intercettare, esclusivamente sul piano elettorale (proprio per corrispondere al concetto di “campagna elettorale permanente”) considerato che l’andamento del voto dopo aver attraversato una fase definibile di “fluttuazione” appare essere ormai entrato in un’ulteriore fase che potrebbe essere contrassegnata dalla “intermittenza”.
All’interno di questo varco, enorme, e dal vuoto che presumibilmente sarà lasciato dalla crisi del modello del partito “elettorale – personale “ (anche nella sua versione specificatamente italiana del “partito-azienda”), cercheranno di infilarsi i teorici della nuova formazione politica centrista attualmente “in fieri” che si propone, invece, di recuperare l’idea del richiamo ad una precisa collocazione dal punto di vista sociale e dal punto di vista politico, ritenendo questo tipo di soggettività (la “Casa dei Moderati”, il “Partito della Nazione”) l’unica adatta a fronteggiare la situazione d’emergenza prodotta dalla crisi.
A sinistra, su questo terreno, il ritardo appare evidente e le proposte in campo (quella di proseguire sulla strada del “partito elettorale personale” e quella di un’indistinta, sul piano dei riferimenti del conflitto sociale, politica dei “beni comuni”) appaiono del tutto al di sotto delle esigenze complessive che la fase richiede.
Servirebbe, se mai fosse possibile, un’idea di riunificazione del segmento sociale di riferimento della sinistra, quello del mondo del lavoro, avanzando una proposta di progettualità non ripiegata semplicemente sulla difesa dell’esistente ma in grado di progettare una società futura sulla base dell’intreccio, apparentemente inestricabile in queste condizioni, tra le diverse contraddizioni sociali, moderne e post-moderne, ma soprattutto modificando sul serio la qualità dell’agire politico.
L’avversario, perché di avversario si tratta, si sta attrezzando rispetto alle novità che la trasformazione sociale apportata dalla crisi ha introdotto nel sistema: dal nostro punto di vista nessuno è in grado di battere un colpo?
Genova, li 20 aprile 2012 Franco Astengo
Peppe Giudice: Esiste una sinistra PD?
ESISTE UNA SINISTRA PD?
Il mio compaesano Rocco Papaleo si poneva un problema esistenziale: " ma la Basilicata esiste?" E' una realtà o è un luogo dell'immaginario, come Atlantide? Vivendo in quella terra devo dire che, purtroppo, la Basilicata esiste.
Lo stesso problema me lo sto ponendo per la sinistra PD. Che purtroppo non pare che esista. Ho seguito con interesse i vari Fassina ed Orfini, persone intelligenti e di buona cultura -indubbiamente risorse potenziali per la sinistra - e pensavo che la propria azione qualche mutamento nel pachiderma PD lo potessero produrre. Ma il PD non può cambiare perchè il suo dna è ostile al cambiamento. Io non ho mai creduto nel PD, ne ho con forza combattuto la formazione, in virtù della mia posizione socialista nei DS. Tuttavia pensavo, negli ultimi tempi, che qualche cosa si potesse muovere all'interno. Il sì al pareggio di bilancio senza nessuna discussione credo che abbia posto una pietra tombale su ogni possibile avvio di una dialettica positiva interna al PD. Se Monti ha manipolato l'art 18 è perchè sapeva che una metà del PD era disposto a liquidare non solo l'art 18 ma l'intero Statuto dei Lavoratori. E se si è fatto un mezzo mezzo passo indietro (molto parziale) è perchè si è mobilitata la CGIL (che è riuscita a coinvolgere pure la UIL) contro quella ipotesi, e Bersani ha potuto chiedere a tutto il PD di non mettersi in aperto contrasto con il sindacato. Ma sappiamo che la CGIL continua a contestare la "riforma del mercato del lavoro". Ecco perchè la azione della sinistra del PD è insussistente il che la rende politicamente inesistente. E questo non mi fa compiere salti di gioia. Perchè so che il PD è un partito di merda, ma è votato da una quota consistente di elettorato progressista.
Ma purtroppo il PD continuerà ad esistere e non si spaccherà. Neanche se in Francia vinceranno i socialisti e la sinistra. Vi sarà l’obliquità dei D’Alema e dei Reichlin che giustificherà tutto. Per tenere insieme il diavolo e l’acqua santa.
In realtà uno dei forti limiti del PD (oltre ad essere infestato da democristiani) sta proprio nella conservazione di uno dei tratti più negativi della cultura del PCI: continuismo, giustificazionismo e provincialismo. Un postcomunismo che rifiuta di diventare socialista per proporre da questa Italia sfasciata un nuovo indistinto progressismo mondiale. 15 anni fa si propose addirittura l’Ulivo mondiale. Il guaio è che anche negli Orfini e nei Fassina persiste un elemento di questo modo di pensare, accanto a analisi e contributi condivisibili ed apprezzabili per il loro livello qualitativo. Per cui non riescono a far emergere le loro posizioni come alternative ed antitetiche rispetto al resto del partito . C’è un togliattismo di risulta (quello di D’Alema) che ha asfissiato il postcomunismo italiano, come dall’altro lato il nuovismo subalterno di Occhetto e Veltroni.
Non voglio assolutamente riaprire una diatriba su Togliatti. Abbiamo idee diverse e contrastanti a proposito. Ma credo che il togliattismo può essere giudicato solo tenendo conto del contesto specifico in cui si è sviluppato. Ma pretenderlo di usarlo in tutt’altro contesto ed in una versione molto derivata è veramente deleterio politicamente.
E diventa una copertura ad una operazione politica di destra quale potrebbe essere la giustificazione di una nuova Unita Nazionale intorno a Monti.
Se non uscirà dal “giobertismo” di cui parla Salvadori (cioè dal provincialismo) non esisterà sinistra sul serio europea. Noi che abbiamo come riferimento Lombardi, Giolitti e Rosselli lo sappiamo bene.
Ma non poter contare su una componente interna al PD rende più difficile e più arduo il nostro compito. Il PD non è messo in difficoltà da Ferrero. Assolutamente. Nel 2009 D’Alema tifava per Ferrero contro Vendola alle Europee.
IL PD può essere messo in difficoltà solo qualora prendesse corpo un soggetto chiaramente riconoscibile come socialista, come sinistra di governo collocato nella ala sinistra del socialismo europeo e quindi interprete di un socialismo democratico nel XXI Secolo come quello espresso nel Manifesto per una Alternativa Socialista Europea. E che si rifà a Lombardi, Olof Palme, Willi Brandt. Interlocutori sono l’area socialista per la sinistra, SeL, il pezzo della Fed legato a Salvi, e tutto ciò che rifiuta sia la deriva social-liberale che il neocomunismo.
Certo un positivo risultato in Francia potrebbe dar coraggio. SeL dovrebbe legarsi al PSE e fare una battaglia di sinistra in esso. Dico SeL, non solo perché sono iscritto, ma perché è oggi oggettivamente la forza più visibile di questa area. Se essa riesce a prendere un minimo di corpo, potrebbe attrarre massa critica dal PD. E gioverebbe alla CGIL.
Io credo che come area dei socialisti di sinistra dobbiamo mantenere le porte aperte a amici e compagni del PD, ma non possiamo legare i nostri destini alla speranza di una spaccatura del PD.
Il sentiero è stretto e difficile. Tra l’Unità nazionale montiana e l’antipolitica montante si tratta di costruire un percorso razionale di alternativa al neoliberismo. Tentar non nuoce, ma sarà dura.
PEPPE GIUDICE
Il mio compaesano Rocco Papaleo si poneva un problema esistenziale: " ma la Basilicata esiste?" E' una realtà o è un luogo dell'immaginario, come Atlantide? Vivendo in quella terra devo dire che, purtroppo, la Basilicata esiste.
Lo stesso problema me lo sto ponendo per la sinistra PD. Che purtroppo non pare che esista. Ho seguito con interesse i vari Fassina ed Orfini, persone intelligenti e di buona cultura -indubbiamente risorse potenziali per la sinistra - e pensavo che la propria azione qualche mutamento nel pachiderma PD lo potessero produrre. Ma il PD non può cambiare perchè il suo dna è ostile al cambiamento. Io non ho mai creduto nel PD, ne ho con forza combattuto la formazione, in virtù della mia posizione socialista nei DS. Tuttavia pensavo, negli ultimi tempi, che qualche cosa si potesse muovere all'interno. Il sì al pareggio di bilancio senza nessuna discussione credo che abbia posto una pietra tombale su ogni possibile avvio di una dialettica positiva interna al PD. Se Monti ha manipolato l'art 18 è perchè sapeva che una metà del PD era disposto a liquidare non solo l'art 18 ma l'intero Statuto dei Lavoratori. E se si è fatto un mezzo mezzo passo indietro (molto parziale) è perchè si è mobilitata la CGIL (che è riuscita a coinvolgere pure la UIL) contro quella ipotesi, e Bersani ha potuto chiedere a tutto il PD di non mettersi in aperto contrasto con il sindacato. Ma sappiamo che la CGIL continua a contestare la "riforma del mercato del lavoro". Ecco perchè la azione della sinistra del PD è insussistente il che la rende politicamente inesistente. E questo non mi fa compiere salti di gioia. Perchè so che il PD è un partito di merda, ma è votato da una quota consistente di elettorato progressista.
Ma purtroppo il PD continuerà ad esistere e non si spaccherà. Neanche se in Francia vinceranno i socialisti e la sinistra. Vi sarà l’obliquità dei D’Alema e dei Reichlin che giustificherà tutto. Per tenere insieme il diavolo e l’acqua santa.
In realtà uno dei forti limiti del PD (oltre ad essere infestato da democristiani) sta proprio nella conservazione di uno dei tratti più negativi della cultura del PCI: continuismo, giustificazionismo e provincialismo. Un postcomunismo che rifiuta di diventare socialista per proporre da questa Italia sfasciata un nuovo indistinto progressismo mondiale. 15 anni fa si propose addirittura l’Ulivo mondiale. Il guaio è che anche negli Orfini e nei Fassina persiste un elemento di questo modo di pensare, accanto a analisi e contributi condivisibili ed apprezzabili per il loro livello qualitativo. Per cui non riescono a far emergere le loro posizioni come alternative ed antitetiche rispetto al resto del partito . C’è un togliattismo di risulta (quello di D’Alema) che ha asfissiato il postcomunismo italiano, come dall’altro lato il nuovismo subalterno di Occhetto e Veltroni.
Non voglio assolutamente riaprire una diatriba su Togliatti. Abbiamo idee diverse e contrastanti a proposito. Ma credo che il togliattismo può essere giudicato solo tenendo conto del contesto specifico in cui si è sviluppato. Ma pretenderlo di usarlo in tutt’altro contesto ed in una versione molto derivata è veramente deleterio politicamente.
E diventa una copertura ad una operazione politica di destra quale potrebbe essere la giustificazione di una nuova Unita Nazionale intorno a Monti.
Se non uscirà dal “giobertismo” di cui parla Salvadori (cioè dal provincialismo) non esisterà sinistra sul serio europea. Noi che abbiamo come riferimento Lombardi, Giolitti e Rosselli lo sappiamo bene.
Ma non poter contare su una componente interna al PD rende più difficile e più arduo il nostro compito. Il PD non è messo in difficoltà da Ferrero. Assolutamente. Nel 2009 D’Alema tifava per Ferrero contro Vendola alle Europee.
IL PD può essere messo in difficoltà solo qualora prendesse corpo un soggetto chiaramente riconoscibile come socialista, come sinistra di governo collocato nella ala sinistra del socialismo europeo e quindi interprete di un socialismo democratico nel XXI Secolo come quello espresso nel Manifesto per una Alternativa Socialista Europea. E che si rifà a Lombardi, Olof Palme, Willi Brandt. Interlocutori sono l’area socialista per la sinistra, SeL, il pezzo della Fed legato a Salvi, e tutto ciò che rifiuta sia la deriva social-liberale che il neocomunismo.
Certo un positivo risultato in Francia potrebbe dar coraggio. SeL dovrebbe legarsi al PSE e fare una battaglia di sinistra in esso. Dico SeL, non solo perché sono iscritto, ma perché è oggi oggettivamente la forza più visibile di questa area. Se essa riesce a prendere un minimo di corpo, potrebbe attrarre massa critica dal PD. E gioverebbe alla CGIL.
Io credo che come area dei socialisti di sinistra dobbiamo mantenere le porte aperte a amici e compagni del PD, ma non possiamo legare i nostri destini alla speranza di una spaccatura del PD.
Il sentiero è stretto e difficile. Tra l’Unità nazionale montiana e l’antipolitica montante si tratta di costruire un percorso razionale di alternativa al neoliberismo. Tentar non nuoce, ma sarà dura.
PEPPE GIUDICE
giovedì 19 aprile 2012
mercoledì 18 aprile 2012
martedì 17 aprile 2012
Franco Astengo: Lettera aperta Bersani sul populismo
LETTERA APETTA RIVOLTA AL SEGRETARIO DEL PD, PIER LUIGI BERSANI, SUL TEMA DEL POPULISMO
Signor Segretario,
Ho riflettuto in questi giorni sull’opportunità di rivolgermi a Lei, al riguardo di alcune dichiarazioni rilasciate sui temi così attuali della “antipolitica” e del “populismo” (riassumo con una terminologia di tipo giornalistico, non esatta, per ragioni di comprensibilità complessiva).
Dichiarazioni che, nel loro complesso e nel mio modestissimo giudizio, mi sono apparse anche offensive nei riguardi delle moltissime cittadine e cittadini che stanno esprimendo la loro indignazione per l’emergere di un degrado nel cosiddetto “agire politico” che appare come una “questione morale” ben più grave di quella che, nel 1993, a seguito delle vicende di Tangentopoli portò a un complessivo riallineamento del sistema.
Il primo riferimento che mi permetto di utilizzare è quello relativo alla frase “Va bene, riduciamo i rimborsi ma basta con il populismo”.
A prescindere dal dato prioritario relativo alla domanda che è necessario rivolgerle al proposito: come giudica il sistema usato dal “cartello” dei partiti per aggirare l’esito del referendum del 1993? è necessario chiarirci sul tema del populismo.
Sintetizzo una definizione del fenomeno prendendo a prestito i contenuti dei migliori dizionari ed enciclopedie del pensiero politico (Bobbio-Matteucci; Esposito-Galli, ad esempio), tralasciando sia la valutazione relativa al populismo americano degli ultimi tre decenni del XIX secolo, sia l’analisi del populismo russo, per dirigere l’attenzione su questo tipo di discorso: s’intende per populismo il concetto di democrazia senza intermediazione, in antitesi alla democrazia rappresentativa.
Appare evidente che, in questa fase della vicenda politica italiana, il populismo si sia affermato e rappresenti già una realtà piuttosto che un’intenzione: non sarà necessario ricordare la forte tentazione populistica presente nel governo che ha preceduto l’attuale, la cui azione fortemente è stata fortemente incentrata sull’idea del Parlamento (e di conseguenza dei corpi politici intermedi) come ostacolo complessivo della governabilità, con la soluzione di un populismo già applicato all’interno dei partiti, a principiare dal PDL quale modello che poi ha fatto scuola, ad esempio, nell’UDC, nell’IDV, in SeL, nel FLI, nel rampante Movimento 5 Stelle, nella Lega Nord ecc, ecc.
Sarà urgente, invece, definire come populista anche la natura dell’attuale governo di destra, formato per via extraparlamentare e sostenuto nelle aule delle Camere da una maggioranza che ha inflitto un vero e proprio “vulnus” al voto espresso dalle cittadine e dei cittadini nel 2008: non nel senso beninteso, come vorrebbe la destra populista sbalzata dal governo, del presunto “tradimento” della maggioranza, bensì dal fatto chele italiane egli italiani furono “costretti “a votare secondo uno schema bipolare che qualcuno pensava addirittura di sottoporre a una torsione “bipartitica” e che, successivamente, si sono visti propinare la soluzione dei due schieramenti accomunati nel sostegno di un governo formato da persone mai elette e/o indicate alle cittadine e ai cittadini, in una situazione di sostanziale “protettorato” retto da una sorta di diarchia.
Questo elemento, unito al vero e proprio scandalo delle liste bloccate, fa sì che il populismo sia portato avanti, con grande forza, dai soggetti maggioritari nel Parlamento Italiano, compreso il suo partito, e non certo dalle cittadine e dai cittadini che, sfiduciati, esprimono una sacrosanta protesta anche nelle forme del silenzio e del prevedibile aumento dell’astensione.
Come avrà potuto osservare non tocco che di scorcio il tema dei rimborsi elettorali sui quali spero proprio sarà aperta una seria riflessione: è necessario, infatti, rispondere alla domanda che le ho rivolto all’inizio, così come sarà indispensabile ragionare sull’entità abnorme del fiume di denaro. Un fiume di denaro del tutto “fuori mercato” che emerge, al netto di eclatanti ladrocini, in una forma e in una dimensione assolutamente inaccettabile in qualsivoglia momento storico, ma in particolare in questo contrassegnato dalla pesantezza di una crisi economica di vastissime dimensioni e il cui costo è stato interamente fatto pagare, fin qui, dai settori più deboli della popolazione, dai lavoratori, dai giovani, dalle donne e dai pensionati.
Si verificano episodi che fanno ben intendere come i cittadini italiani siano stati davvero trattati male da una classe dirigente posta al riparo da qualsiasi giudizio, sia sul piano elettorale, sia sul piano della possibilità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa.
Molto brevemente tocco il secondo punto, afferrando nel merito un’altra sua dichiarazione, sempre al proposito del finanziamento dei partiti: “altrimenti – sono sue parole – arriva il pifferaio miliardario”.
Ebbene: il pifferaio miliardario è già arrivato da tempo, e i partiti, miliardari anch’essi, l’hanno brillantemente assecondato, a partire dalla vicenda del conflitto d’interessi, senza riuscire a trovare una soluzione politica che non fosse quella del tutto davvero populistica come l’attuale.
Verrebbe voglia di parafrasare Gramsci “dal sovversivismo delle classi dirigenti” al “populismo delle classi dirigenti”.
Tralascio, per economia del discorso, la storia, che pure sarebbe necessario fare sul com’è stata prodotta la crisi dei partiti e dei corpi intermedi, paventando soltanto, alla fine, quanto previsto oggi sulle colonne del “Corriere della Sera” dal prof. Panebianco che auspica sostanzialmente il ritorno al “partito dei notabili” di settecentesca memoria.
Sbaglio o i grandi partiti d massa furono frutto delle lotte del movimento operaio e rappresentarono un passo avanti decisivo proprio per superare il notabilato (le novità tecnologiche c’erano anche allora, è bene ricordarlo anche ai teorici del “nuovismo” ad ogni costo)?
Grazie per l’attenzione
Savona, li 16 aprile 2012 Franco Astengo
Signor Segretario,
Ho riflettuto in questi giorni sull’opportunità di rivolgermi a Lei, al riguardo di alcune dichiarazioni rilasciate sui temi così attuali della “antipolitica” e del “populismo” (riassumo con una terminologia di tipo giornalistico, non esatta, per ragioni di comprensibilità complessiva).
Dichiarazioni che, nel loro complesso e nel mio modestissimo giudizio, mi sono apparse anche offensive nei riguardi delle moltissime cittadine e cittadini che stanno esprimendo la loro indignazione per l’emergere di un degrado nel cosiddetto “agire politico” che appare come una “questione morale” ben più grave di quella che, nel 1993, a seguito delle vicende di Tangentopoli portò a un complessivo riallineamento del sistema.
Il primo riferimento che mi permetto di utilizzare è quello relativo alla frase “Va bene, riduciamo i rimborsi ma basta con il populismo”.
A prescindere dal dato prioritario relativo alla domanda che è necessario rivolgerle al proposito: come giudica il sistema usato dal “cartello” dei partiti per aggirare l’esito del referendum del 1993? è necessario chiarirci sul tema del populismo.
Sintetizzo una definizione del fenomeno prendendo a prestito i contenuti dei migliori dizionari ed enciclopedie del pensiero politico (Bobbio-Matteucci; Esposito-Galli, ad esempio), tralasciando sia la valutazione relativa al populismo americano degli ultimi tre decenni del XIX secolo, sia l’analisi del populismo russo, per dirigere l’attenzione su questo tipo di discorso: s’intende per populismo il concetto di democrazia senza intermediazione, in antitesi alla democrazia rappresentativa.
Appare evidente che, in questa fase della vicenda politica italiana, il populismo si sia affermato e rappresenti già una realtà piuttosto che un’intenzione: non sarà necessario ricordare la forte tentazione populistica presente nel governo che ha preceduto l’attuale, la cui azione fortemente è stata fortemente incentrata sull’idea del Parlamento (e di conseguenza dei corpi politici intermedi) come ostacolo complessivo della governabilità, con la soluzione di un populismo già applicato all’interno dei partiti, a principiare dal PDL quale modello che poi ha fatto scuola, ad esempio, nell’UDC, nell’IDV, in SeL, nel FLI, nel rampante Movimento 5 Stelle, nella Lega Nord ecc, ecc.
Sarà urgente, invece, definire come populista anche la natura dell’attuale governo di destra, formato per via extraparlamentare e sostenuto nelle aule delle Camere da una maggioranza che ha inflitto un vero e proprio “vulnus” al voto espresso dalle cittadine e dei cittadini nel 2008: non nel senso beninteso, come vorrebbe la destra populista sbalzata dal governo, del presunto “tradimento” della maggioranza, bensì dal fatto chele italiane egli italiani furono “costretti “a votare secondo uno schema bipolare che qualcuno pensava addirittura di sottoporre a una torsione “bipartitica” e che, successivamente, si sono visti propinare la soluzione dei due schieramenti accomunati nel sostegno di un governo formato da persone mai elette e/o indicate alle cittadine e ai cittadini, in una situazione di sostanziale “protettorato” retto da una sorta di diarchia.
Questo elemento, unito al vero e proprio scandalo delle liste bloccate, fa sì che il populismo sia portato avanti, con grande forza, dai soggetti maggioritari nel Parlamento Italiano, compreso il suo partito, e non certo dalle cittadine e dai cittadini che, sfiduciati, esprimono una sacrosanta protesta anche nelle forme del silenzio e del prevedibile aumento dell’astensione.
Come avrà potuto osservare non tocco che di scorcio il tema dei rimborsi elettorali sui quali spero proprio sarà aperta una seria riflessione: è necessario, infatti, rispondere alla domanda che le ho rivolto all’inizio, così come sarà indispensabile ragionare sull’entità abnorme del fiume di denaro. Un fiume di denaro del tutto “fuori mercato” che emerge, al netto di eclatanti ladrocini, in una forma e in una dimensione assolutamente inaccettabile in qualsivoglia momento storico, ma in particolare in questo contrassegnato dalla pesantezza di una crisi economica di vastissime dimensioni e il cui costo è stato interamente fatto pagare, fin qui, dai settori più deboli della popolazione, dai lavoratori, dai giovani, dalle donne e dai pensionati.
Si verificano episodi che fanno ben intendere come i cittadini italiani siano stati davvero trattati male da una classe dirigente posta al riparo da qualsiasi giudizio, sia sul piano elettorale, sia sul piano della possibilità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa.
Molto brevemente tocco il secondo punto, afferrando nel merito un’altra sua dichiarazione, sempre al proposito del finanziamento dei partiti: “altrimenti – sono sue parole – arriva il pifferaio miliardario”.
Ebbene: il pifferaio miliardario è già arrivato da tempo, e i partiti, miliardari anch’essi, l’hanno brillantemente assecondato, a partire dalla vicenda del conflitto d’interessi, senza riuscire a trovare una soluzione politica che non fosse quella del tutto davvero populistica come l’attuale.
Verrebbe voglia di parafrasare Gramsci “dal sovversivismo delle classi dirigenti” al “populismo delle classi dirigenti”.
Tralascio, per economia del discorso, la storia, che pure sarebbe necessario fare sul com’è stata prodotta la crisi dei partiti e dei corpi intermedi, paventando soltanto, alla fine, quanto previsto oggi sulle colonne del “Corriere della Sera” dal prof. Panebianco che auspica sostanzialmente il ritorno al “partito dei notabili” di settecentesca memoria.
Sbaglio o i grandi partiti d massa furono frutto delle lotte del movimento operaio e rappresentarono un passo avanti decisivo proprio per superare il notabilato (le novità tecnologiche c’erano anche allora, è bene ricordarlo anche ai teorici del “nuovismo” ad ogni costo)?
Grazie per l’attenzione
Savona, li 16 aprile 2012 Franco Astengo
Felice Besostri: Sulla Lega e i partiti
La democrazia rappresentativa non basta più, ma va rinforzata e non abrogata a
favore di forme indeterminate e non controllabili, che possono funzionare in
piccole comunità. La crisi è grave e paradossalmente è stata scatenata dai
fatti della Lega più che da quelli Lusi. In effetti la Lega era percepita come
diversa anche da chi non ne approvava la politica. A mio avviso è la stessa
ragione per cui i socialisti hanno pagato più dei democristiani tangentopoli.
C'era un'immagine di onestà dei socialisti, che è stata distrutta e molti dei
nostri elettori non ci hanno perdonato
favore di forme indeterminate e non controllabili, che possono funzionare in
piccole comunità. La crisi è grave e paradossalmente è stata scatenata dai
fatti della Lega più che da quelli Lusi. In effetti la Lega era percepita come
diversa anche da chi non ne approvava la politica. A mio avviso è la stessa
ragione per cui i socialisti hanno pagato più dei democristiani tangentopoli.
C'era un'immagine di onestà dei socialisti, che è stata distrutta e molti dei
nostri elettori non ci hanno perdonato
Sergio Cesaratto-Lanfranco Turci: Al G20 si cambi politica
CRISI, AL G20 SI CAMBI POLITICA L’Unità 16 aprile 2012 Sergio Cesaratto Lanfran...
Ieri 16 aprile 2012, 13.49.06 | Network per il Socialismo Europeo
CRISI, AL G20 SI CAMBI POLITICA
L’Unità 16 aprile 2012
Sergio Cesaratto Lanfranco Turci
Gli spread sovrani spagnoli e italiano sono ritornati, come molti si attendevano, ai livelli elevati dello scorso autunno, sebbene non fossero mai scesi a livelli veramente sostenibili. Infondate erano, infatti, risultate a molti le dichiarazioni di Monti (e di Draghi) che il peggio della crisi era ormai passato, così come inattendibile è la dichiarazione che, con le attuali politiche europee, non ci saranno nuove manovre.
A dicembre Monti ci aveva illuso che, al prezzo dell’ennesima inutile e iniqua manovra, egli avrebbe ottenuto dalla Germania l’adozione di misure volte a fronteggiare seriamente la crisi. Il piglio vagamente duro con quel Paese è durato però lo spazio di pochi giorni. Draghi riuscì comunque a far passare l’operazione Ltro con cui la Bce mise un trilione di euro a disposizione delle banche al tasso dell’1%, con la speranza che parte fosse poi impiegata a sostenere le aste di titoli pubblici. Questo è in certa misura accaduto e a ciò dobbiamo la diminuzione degli spread delle settimane scorse.
Il problema è che le banche dei Paesi periferici si sono così imbottite di titoli pubblici, mentre le cause che hanno determinato la crisi di fiducia verso quei titoli non si sono certo attenuate, anzi. Evidentemente il Ltro è stato un surrogato di una garanzia sui debiti sovrani che, se emessa dalla Bce avrebbe calmato le acque probabilmente senza dover sborsare un quattrino. Le preoccupazioni della Germania erano per il possibilemoral hazard da parte dei governi periferici. Un intervento della Bce nella direzione di una drastica riduzione dei tassi di interesse avrebbe in verità consentito una stabilizzazione dei rapporti debito pubblico/Pil, su cui esercitare un eventuale rigido controllo, e politiche di bilancio meno restrittive nei paesi periferici.
Purtroppo le cose non stanno andando così e a diagnosi sbagliate seguono ricette peggiori, come dimostra la modifica in corso dell’articolo 81 della Costituzione sull’obbligo del pareggio di bilancio. Modifica approvata per di più con una maggioranza bulgara che impedisce anche un futuro referendum abrogativo e rappresenta un triste segnale di soggezione a una deriva culturale oltre che economica che va invece fermata. Com’è ormai assodato, la crisi della periferia europea è una classica crisi di bilancia dei pagamenti, frutto di una mal disegnata unione monetaria fra Paesi disomogenei e del mercantilismo tedesco, di cui la crisi dei bilanci pubblici è un mero riflesso. Raddrizzare questa situazione implica una potente spinta da parte dei Paesi con avanzi esteri che dovrebbero accettare una dinamica salariale e di bilancio pubblico improntate al sostegno della domanda aggregata nell’ambito di una politica monetaria accomodante. Non solo la Merkel, ma anche una parte significativa della Spd sono lontani da questa consapevolezza, ripetendo il mantra dell’austerity e delle misure di flessibilizzazione quali quelle che la Germania adottò anni fa. Si dimentica che queste politiche avrebbero gettato quel Paese nella recessione se non fosse stato per le esportazioni verso i Paesi della periferia europea sostenuti dai flussi di capitale tedeschi e dalla rigidità del tasso di cambio, un modello che ha poi condotto l’Europa alla crisi.
Che fare dunque? Crediamo che la formazione economica di Monti, rigidamente neo-classica/liberista, gli impedisca di comprendere a fondo natura e gravità della situazione. Si muova dunque la politica! Il 20 e 21 aprile ci sarà la riunione del G20, in concomitanza con il meeting di annuale del Fmi. Stati Uniti e Paesi emergenti sono certamente interessati a un capovolgimento delle politiche europee pericolose per tutti. L’Italia vada con delle proposte e faccia fronte comune con questi Paesi, isolando chi sostiene l’austerity ad oltranza. Crediamo che Bersani dovrebbe proporre ad Alfano e Casini un vertice urgente con Monti per definire una posizione coraggiosa del nostro Paese. Anche tra gli amici di Alfano circola una certa insofferenza per l’asse Merkozy e soprattutto non alberga il dogma religioso del debito pubblico come peccato da cui redimersi, sentimento che purtroppo dimora nelle nostre fila. Vediamo se la politica ha la forza di un colpo di reni di fronte a una situazione sociale che potrebbe travolgerla definitivamente, insieme alla residua democrazia in cui ancora viviamo.
Ieri 16 aprile 2012, 13.49.06 | Network per il Socialismo Europeo
CRISI, AL G20 SI CAMBI POLITICA
L’Unità 16 aprile 2012
Sergio Cesaratto Lanfranco Turci
Gli spread sovrani spagnoli e italiano sono ritornati, come molti si attendevano, ai livelli elevati dello scorso autunno, sebbene non fossero mai scesi a livelli veramente sostenibili. Infondate erano, infatti, risultate a molti le dichiarazioni di Monti (e di Draghi) che il peggio della crisi era ormai passato, così come inattendibile è la dichiarazione che, con le attuali politiche europee, non ci saranno nuove manovre.
A dicembre Monti ci aveva illuso che, al prezzo dell’ennesima inutile e iniqua manovra, egli avrebbe ottenuto dalla Germania l’adozione di misure volte a fronteggiare seriamente la crisi. Il piglio vagamente duro con quel Paese è durato però lo spazio di pochi giorni. Draghi riuscì comunque a far passare l’operazione Ltro con cui la Bce mise un trilione di euro a disposizione delle banche al tasso dell’1%, con la speranza che parte fosse poi impiegata a sostenere le aste di titoli pubblici. Questo è in certa misura accaduto e a ciò dobbiamo la diminuzione degli spread delle settimane scorse.
Il problema è che le banche dei Paesi periferici si sono così imbottite di titoli pubblici, mentre le cause che hanno determinato la crisi di fiducia verso quei titoli non si sono certo attenuate, anzi. Evidentemente il Ltro è stato un surrogato di una garanzia sui debiti sovrani che, se emessa dalla Bce avrebbe calmato le acque probabilmente senza dover sborsare un quattrino. Le preoccupazioni della Germania erano per il possibile
Purtroppo le cose non stanno andando così e a diagnosi sbagliate seguono ricette peggiori, come dimostra la modifica in corso dell’articolo 81 della Costituzione sull’obbligo del pareggio di bilancio. Modifica approvata per di più con una maggioranza bulgara che impedisce anche un futuro referendum abrogativo e rappresenta un triste segnale di soggezione a una deriva culturale oltre che economica che va invece fermata. Com’è ormai assodato, la crisi della periferia europea è una classica crisi di bilancia dei pagamenti, frutto di una mal disegnata unione monetaria fra Paesi disomogenei e del mercantilismo tedesco, di cui la crisi dei bilanci pubblici è un mero riflesso. Raddrizzare questa situazione implica una potente spinta da parte dei Paesi con avanzi esteri che dovrebbero accettare una dinamica salariale e di bilancio pubblico improntate al sostegno della domanda aggregata nell’ambito di una politica monetaria accomodante. Non solo la Merkel, ma anche una parte significativa della Spd sono lontani da questa consapevolezza, ripetendo il mantra dell’austerity e delle misure di flessibilizzazione quali quelle che la Germania adottò anni fa. Si dimentica che queste politiche avrebbero gettato quel Paese nella recessione se non fosse stato per le esportazioni verso i Paesi della periferia europea sostenuti dai flussi di capitale tedeschi e dalla rigidità del tasso di cambio, un modello che ha poi condotto l’Europa alla crisi.
Che fare dunque? Crediamo che la formazione economica di Monti, rigidamente neo-classica/liberista, gli impedisca di comprendere a fondo natura e gravità della situazione. Si muova dunque la politica! Il 20 e 21 aprile ci sarà la riunione del G20, in concomitanza con il meeting di annuale del Fmi. Stati Uniti e Paesi emergenti sono certamente interessati a un capovolgimento delle politiche europee pericolose per tutti. L’Italia vada con delle proposte e faccia fronte comune con questi Paesi, isolando chi sostiene l’austerity ad oltranza. Crediamo che Bersani dovrebbe proporre ad Alfano e Casini un vertice urgente con Monti per definire una posizione coraggiosa del nostro Paese. Anche tra gli amici di Alfano circola una certa insofferenza per l’asse Merkozy e soprattutto non alberga il dogma religioso del debito pubblico come peccato da cui redimersi, sentimento che purtroppo dimora nelle nostre fila. Vediamo se la politica ha la forza di un colpo di reni di fronte a una situazione sociale che potrebbe travolgerla definitivamente, insieme alla residua democrazia in cui ancora viviamo.
lunedì 16 aprile 2012
sabato 14 aprile 2012
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