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mercoledì 12 febbraio 2014
Fulvio Papi: Qual è il Beruf dei politici contemporanei?
Da Odissea
AGORA'
QUAL È IL BERUF DEI POLITICI CONTEMPORANEI?
di Fulvio Papi
Beruf è una parola che si trova negli scritti politici di Max Weber e che un tempo (non so adesso) qualsiasi studente del primo anno di discipline politico-filosofiche sapeva tradurre con professione-vocazione, sapendo anche che la traduzione irrigidiva nel significato italiano quel tanto di impegno vitale che ha nella sua origine filosofica. Ricordo anche che tanti anni fa un filosofo, molto valido per la sua qualità intellettuale, anche se oggi, a mio gusto, troppo impegnato a tenzoni mediatiche che non aggiungono nulla al suo livello mentre promuovono degli imbecilli nella considerazione pubblica, mi disse: “Vorrei conoscere il Beruf degli attuali uomini politici”.
Mi parve, allora, un po’ troppo severo, perché la dedizione personale è un compito che talora può essere anche un po’ inferiore -si capisce non troppo- al disegno operativo che è sottinteso nella parola weberiana. E se oggi ci rivolgessimo la stessa domanda? Sono certo che, a livello medio-colto, molti risponderebbero che l’insieme della vita politica ha subìto un deterioramento così ampio che l’uso di questa parola sarebbe un po’ ai margini di una indagine sociale. E, aggiungerei, magari per complicare le cose, quale dei significati possibili ha assunto oggi la parola “popolo”.
Poiché nel discorso il significato delle parole è costretto a una sua coerenza, non solo volubile, ma anche portatrice, proprio nella sua coerenza, di una vera contraffazione rispetto ai significati originari. Beninteso, si può parlare e comunicare usando la contraffazione come coerenza: l’interprete, alla lunga, non ha più molti dubbi, e l’inconscio desiderio di credere, soprattutto se condizionato da un mitragliamento mediatico, finisce col prevalere. Così, per tornare a una osservazione precedente può capitare che degli imbecilli siano presi per menti originali, cosa che si diceva non potesse, ai bei tempi di Roth o di Zweig, capitare a Vienna, anche se, purtroppo, poteva capitare il contrario.
Se rileggiamo una pagina di Fogazzaro del 1895 troviamo che un patriota veneto, alla vigilia della guerra del 1859, dice a Luisa, protagonista del romanzo “Piccolo mondo antico” facendo riferimento ai coraggiosi volontari in partenza: “Le paion teste di far l’Italia?”
“Neppure suo marito sa, ma per fare l’Italia niente. Vedrò quello che verrà fuori. I nostri figli ci faranno il monumento, ma dopo verranno, lei mi capisce, con licenza, quelle porche figure dei nipoti, che mi pare di sentirli: Come l’han fatta da cani, diranno, quei vecchi insensati l’Italia”.
Lo scrittore, con il vantaggio dei tempi, fa diventare il suo personaggio un profeta della critica, un po’ superficiale, del modo, tutto sommato volgare in cui è stata governata l’Italia unita rovinando il patrimonio di intelligenza e di moralità del periodo risorgimentale. Se qualcuno ricorda il finale de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, la scena è la stessa. E del resto l’autore del romanzo non deriva un po’, nell’aura morale, da quel “Padri e figli” di Pirandello (1913) che mostra come gli ideali “garibaldini” fossero finiti in ipocrite celebrazioni che coprivano uno spirito d’affari privati all’ombra dei poteri dello stato, e delle cariche pubbliche?
Un “Beruf” non lo si improvvisa con generici, anche se ammirevoli, ideali politici. Esso è un’attitudine individuale e collettiva a creare una buona legislazione a favore del proprio popolo: non per niente Weber che era, si direbbe, un moderato, ammirava il ceto politico degli avvocati socialdemocratici che erano presenti nel Parlamento tedesco. Da noi invece prevalsero due casi differenti: dalla idealità risorgimentale derivò un’idea di popolo molto retorica e ridondante che fu propria del nazionalismo e, poi, un tema centrale del fascismo. Così quel popolo che, per la prima volta nella guerra mondiale si era “trovato unito nella vita tragica delle trincee e degli insensati assalti, diveniva la “prova empirica” di una ideologia totalitaria, aggressiva che proclamava un’ “Italia proletaria e fascista in piedi”, e Giovanni Gentile, dal canto suo, riprendendo il tema della filosofia italiana di Spaventa puntava su una continuità ideale del fascismo con la cultura risorgimentale. E, come tutti sanno, Gabriele D’Annunzio portò il suo contributo storico-retorico, però non si deve buttare tra la spazzatura la sua eredità poetica. Se non fosse che tutto questo portò alla tragedia della guerra, si potrebbe descrivere come un rapporto tra minoranze ideologiche e masse popolari simile a gigantesche rappresentazioni teatrali che non escludevano dedizioni di fede.
All’ombra delle quali, nonostante i tentativi di moralizzazione di Starace (ma quanti vi credono?), fioriva la seconda caratteristica dalla scena politica italiana che escludeva lo spirito del “Beruf”, e di cui gli scrittori “siciliani” avevano colto subito, anche favoriti dall’ambiente sociale, le caratteri-
stiche centrali: l’affarismo, l’uso privato di poteri pubblici, il proprio interesse personale all’ombra della politica.
L’antifascismo -e qui adopero la parola in modo molto elementare- fu una cultura, nelle sue differenze, di minoranze colte che nel rinnovato clima politico portavano proprio lo stile di un “Beruf” ch’era anche educativo per un paese che doveva rinascere. Fu ancora questa minoranza che cercò di dare al “popolo” una identità positiva nel lavoro inteso come modalità originaria dell’essere umano e che, storicamente, accanto ai doveri impliciti, apriva il cammino per il riconoscimento di diritti che trasformavano il cittadino “giuridico” in un cittadino che, attraverso il lavoro, l’estensione dei suoi diritti, la partecipazione politica, costruiva una comunità nazionale. Certo molti fattori contribuirono alla ricostruzione, ma nessuno può negare a quel ceto politico l’esercizio di un Beruf autentico. E certamente fu questo senso attivo, intraprendente, vocazionale, intelligente che rese possibile la nascita della Costituzione del 1947. La Costituzione, come ogni documento storico che cerchi di organizzare, come legge suprema, l’ordinamento dello stato, subisce l’entropia che deriva dal tempo storico. Diverso il caso di costituzioni che enunciano solo alcuni principi generali derivati da una visione antropologica. E come ogni costituzione di questo tipo acquista la sua forza nella applicazione. Poi, ed è la storia della decadenza dalla prima repubblica in poi, sono intervenute nuove e radicali condizioni storiche che hanno selezionato in modo diverso da quelli precedenti, il ceto politico dirigente. Detto in due parole: l’assoluta prevalenza della dimensione economica e finanziaria acquistava poteri così ampi, anche nelle relazioni internazionali, da condizionare in modo molto rilevante l’autonomia politica dello stato. E poi: la conseguente fine di una selezione politico-culturale di una minoranza capace di proporre valori sociali collettivi e forme concrete della loro realizzazione. Terzo elemento: la dissoluzione di una attiva unità nazionale in forme di privatizzazione dell’esistenza, quelle privilegiate con una feroce difesa di se stessi, quelle che vivono del proprio lavoro (quando c’è) nella chiusura quasi necessaria delle proprie prospettive per interpretare una situazione che inizialmente ne fece dei “consumatori” e poi ne declinò decisamente la figura sociale.
In queste condizioni nasceva quel costume politico che tutti conosciamo che ha rappresentato la decadenza intellettuale e morale della repubblica. Studiare le ragioni di questo fallimento nazionale è compito difficile, affidabile a competenti, e certamente non a personaggi spregevoli che proiettano nel passato interessi e domini dell’agire politico del presente, fruendo di comunicazioni di massa che non hanno affatto le caratteristiche di una presenza critica, ma sono solo casse di risonanza utili per ipnotizzare nell’ignoranza quella che nella tradizione occidentale, almeno teorica, era l’opinione pubblica. E questo proprio in un momento in cui la trasformazione radicale della “storia del mondo” richiede una consapevolezza seria di quello che è destinato a capitare alla nostra forma di civiltà. Un silenzio o delle notizie che non fanno sapere pubblico, e tanto meno consapevolezza politica.
È con questi contenuti che dovrebbe nascere un attuale Beruf, cosa impossibile. Confesso che, quando sento parlare deputati di nuovo conio, giovanotti “di belle speranze”, e signorine (quasi sempre) di gradevole aspetto, non percepisco nemmeno l’eco di quella minoranza colta e capace che possano dare una identità al paese nel mondo contemporaneo. A parte le azioni violente che possono far pensare all’”aula sorda e grigia” con quello che segue, mi paiono figure che, nel gioco della politica, recitino la parte necessaria per trovare “il loro posto nel mondo”, per usare eufemisticamente, un’espressione filosofica di un secolo fa. E questo non ha niente a che vedere con il weberiano Beruf, che, almeno da noi, mi pare appartenga ad un altro mondo.
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