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martedì 18 febbraio 2014
Franco Astengo: L'illusione della democrazia diretta
L’ILLUSIONE DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA di Franco Astengo
Il meccanismo della “democrazia diretta” sta subendo forti colpi, proprio nel momento in cui in Italia si pensa di risolvere la gravissima crisi politica e morale che attanaglia da decenni il Paese attraverso l’accentuazione del pericoloso meccanismo del “dialogo tra l’uomo solo al comando e il popolo”.
Un meccanismo che il PD ha amplificato usando le primarie per l’elezione del segretario a mo’ di plebiscito, per poi far transitare il segretario eletto alla guida del governo senza il passaggio della legittimazione popolare.
Un punto di premessa, comunque, a tutto il resto del discorso: il dato della partecipazione elettorale deve sempre essere considerato come il termometro della salute di una democrazia. Quei sistemi che prevedono un forte tasso di astensionismo elettorale risultano essere, alla fine, molto più squilibrati non solo sul piano sociale (con tassi di emarginazione e di esclusione molto alti) ma anche sul piano della rappresentatività politica, che rimane l’elemento fondamentale perché l’azione politica non si riduca a una competizione di tipo personalistico che ha per traguardo il mito della “governabilità” fin a se stessa.
Il meccanismo della “democrazia diretta” appare dunque in crisi e sarà scusato il mettere assieme, in quest’occasione, elementi diversi fra di loro ma egualmente indicativi nel loro insieme.
Ieri, domenica 16 Febbraio, la percentuale di partecipazione al voto nelle elezioni regionali della Sardegna si è assestata poco al di sopra del 50% con un calo del 18% rispetto alle elezioni precedenti, mentre i votanti alle primarie del PD per l’elezione dei segretari regionali hanno fatto registrare un brusco calo (le prime cifre parlano di un meno 20%) rispetto al plebiscito che, poco tempo fa, aveva incoronato Matteo Renzi.
Da tener conto, comunque, che rispetto all’occasione “Renzi” si svilupparono polemiche sulle cifre “gonfiate” della partecipazione al voto segnalando la presenza, in diverse situazioni, di truppe “cammellate” più o meno regolari.
Si discetterà sulla diversa importanza di questi appuntamenti, pur tuttavia un’indicazione generale può essere tratta: l’Italia, sul piano politico, è sicuramente un Paese estenuato e stanco.
Il meccanismo dell’elezione diretta di un personaggio, sia questo a livello di istituzioni sia a livello di appartenenza partitica, mostra la corda di una difficoltà vera nel costruire meccanismi di rappresentanza adeguata.
Si ricordi che, a partire dalla loro istituzione nel 2005, le “primarie” del PD hanno fatto registrare sempre un costante calo nella partecipazione al voto.
iI tema della rappresentanza politica è stato trascurato (colpevolmente) quando questa strategia dell’elezione diretta (a partire dai Sindaci nel 1993)è stata adottata..
Si è pensato alla rappresentatività politica (anche a quella di tipo ideologico: come se diverse visioni del mondo e diversi riferimenti filosofici ormai fossero strumenti culturali inadeguati e obsoleti nel mondo moerno)come a un orpello ormai inutile (via.. via questa concezione si è allargata fino a considerare un “intralcio” i passaggi parlamentari e un “ritardo” le elezioni).
Mostra la corda la credibilità complessiva di un decisionismo fondato sullo svolgimento di funzioni da parte di un organo monocratico al riguardo del quale l’eletto proviene direttamente da un “dialogo” con gli elettori non mediato dall’esistenza di corpi intermedi che sintetizzino i bisogni sociali alla luce delle proposizioni scelte in base all’interesse generale, ne facciano proposta politica e infine azione di concretamento reale.
Si è pensato di sostituire questi passaggi, indispensabili al fine della qualità della democrazia, con la personalizzazione: il risultato è evidente, l’apparire conta assai più dell’essere (tanto per dirla con una frase scontata), l’indifferenziazione programmatica di stampo populista pare essere la cifra che tiene assieme l’intero sistema politico, l’alternanza si riduce (ancor di più che nel passato) in uno scambio di consegne tra apparati burocratici tenuti assieme dalla dimostrazione di fedeltà al leader e dalla ricerca del potere attraverso l’individualismo competitivo.
Intanto milioni e milioni di cittadini si rifugiano nell’astensione che tutto significa, in questo caso, tranne l’indifferenza (come del resto stanno cominciando a valutare anche gli stessi analisti di scuola anglosassone che sono stati i veri promotori dell’instaurazione di questi meccanismi, dalla personalizzazione alle primarie: solo in Italia siamo in ritardo per un vero e proprio eccesso di provincialismo esercitato nella ricerca sul terreno politico).
Il rischio è quello di una vera e propria elisione (e non di un semplice distacco come si è scritto in tante occasioni da molti anni) tra la società, la politica e l’azione istituzionale: il risultato potrebbe essere quello, mentre aumenta la disaffezione di un inasprimento dei meccanismi di decisione, di forzatura nell’idea di un sistema politico istituzionale “escludente” di per sé (al di là dei concetti di formazione delle maggioranze e di rappresentatività delle minoranze), di sostanziale restringimento nei margini di agibilità democratica, di personalismo autoritario.
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