"Attraversiamo ora tempi che per tanti aspetti ci paiono e sono tempi straordinari. Muta di continuo, e con grande velocità, lo scenario del reale, attraversato da rivoluzioni scientifiche, tecnologiche, e da grandi sconvolgimenti politici. Si accumulano con rapidità sinora sconosciuta grandi poteri economici ed insieme emergono nuove esigenze sociali, nuove contraddizioni ed emarginazioni, nuovi conflitti e nuovi bisogni. Crescono e si moltiplicano le fenomenologie di sviluppo, le conoscenze, l'istruzione, le professioni, le specializzazioni, l'impresa, le nuove associazioni, i consumi. Insieme, e forse ancora più celermente crescono le fenomenologie del disagio. La povertà che nelle nostre società copre almeno un terzo dei territori, occupati per due terzi dalla ricchezza, dalla opulenza o dal benessere medio e comunque dalla sicurezza. L'invecchiamento della popolazione, la solitudine delle fasce emarginate, l'espansione di gravi patologie come la droga, l'Aids, la delinquenza organizzata su grande scala. E tutto questo mentre la crisi verticale del comunismo mondiale e il crollo a catena dei suoi regimi dell'Est europeo accresce enormemente la responsabilità delle democrazie dell'Occidente di fronte alle necessità ed alle incognite del futuro. Per questo futuro non può bastare il modello di un capitalismo che, pur con le sue contraddizioni appare vincente sul terreno dello sviluppo, ma che non sarebbe in grado di dare soluzioni adeguate alle problematiche sociali. Un futuro rispetto al quale gli stessi istituti di democrazia non sempre paiono sufficientemente attrezzati per assicurare la crescita equilibrata delle Nazioni e la giustizia sociale. Il mondo intero, del resto, è attraversato in modo sempre più marcato dalla grande diseguaglianza che divide i Paesi ricchi dai Paesi in via di sviluppo e ancor più dai Paesi poveri e poverissimi. E' questa forse la principale "questione sociale" del nostro tempo. E' una diseguaglianza che sta inesorabilmente aumentando un giorno dopo l'altro. Il mondo delle società industriali opulente ed avanzate è pieno di retorica e prodigo di buone parole, ma avaro di fatti e di opere concrete. Tutto ciò che si fa oggi per ridurre i grandi squilibri che esistono nel mondo è largamente al di sotto di ciò che si dovrebbe e si potrebbe fare. I dati nudi, crudi, ed incontrovertibili nelle loro proiezioni dicono che, di questo passo, i Paesi poveri sono destinati a diventare solo più poveri ed i Paesi ricchi sempre più ricchi. Se questa tendenza non verrà rovesciata, se non si moltiplicheranno gli sforzi diretti a riequilibrare la situazione, a ridurre il peso soffocante del debito del Terzo Mondo, a favorire un nuovo sviluppo, si prepareranno anni difficili carichi di aspre contraddizioni, di tensioni e di conflitti di ogni genere."....
"Il problema che abbiamo di fronte è quello di evitare lo spreco delle grandi potenzialità oggi esistenti, di spezzare i circuiti involutivi in cui rischiano di paralizzarsi e di esaltarle in una crescita larga ed equilibrata. Quando l'economia, la cultura, le tecnologie ci offrivano molto di meno di quanto oggi è loro possibile, siamo riusciti nei paesi democratici a moltiplicare le opportunità di lavoro, a creare reti di protezione sociale, a far affermare il principio dell'uguaglianza, a migliorare grandemente il tenore di vita. Ma questo mondo nuovo più progredito, più evoluto, più civile, è colmo di contraddizioni. Abbiamo moltiplicato i canali finanziari per produrre ricchezza, ma la ricchezza finanziaria si chiude nei suoi circuiti, riduce la solidità del nostro sviluppo, estrania i Paesi che più ne hanno bisogno. Il progresso scientifico e tecnologico ha portato straordinari benefici alla nostra vita e alla nostra salute, ma ha creato e crea rischi per noi e per le generazioni future. Abbiamo opportunità di produzioni, di consumi e di svago che mai avevamo raggiunto ma queste maggiori possibilità e questa vita più ricca, lorda la terra, l'acqua, l'aria, logora il territorio, degrada il nostro patrimonio culturale."
" Ma un mercato abbandonato a soli attori economici genera squilibri, poteri prevaricanti ed abusi che impediscono un progresso armonico, danneggiano la collettività e, nel tempo lungo, le stesse attività economiche. Lo Stato deve intervenire sul mercato ma con precise regole: regole che impongano standard professionali e patrimoniali a chi svolge determinate attività, regole limitative delle concentrazioni e a tutela della concorrenza, che assicurino trasparenza ed informazione, che sanzionino diritti e responsabilità, che diano argini alle attività finanziarie e neutralizzino le loro potenzialità speculative e destabilizzanti. Il sistema misto che caratterizza l'economia italiana ha dato risultati positivi e non può essere travolto nel nome di indefinite privatizzazioni agitate talvolta con una demagogia ideologica che nasconde il peggio piuttosto che proposte entro i limiti di una pratica e giustificata concretezza ed utilità. L'impresa pubblica ha ancora molte funzioni da svolgere: c'è ancora il Mezzogiorno, che ha bisogno di infrastrutture, insediamenti produttivi e servizi. Ci sono produzioni e tecnologie verso le quali le partecipazioni statali possono canalizzare le loro risorse finanziarie. C'è il contributo che esse possono dare alla concorrenza e all'efficienza stessa dei mercati. In campo finanziario, l'esplosione delle attività e il moltiplicarsi degli intermediari hanno fatto saltare molte regole del passato, hanno messo a dura prova le capacità degli organi di vigilanza ed hanno occupato un vasto territorio al di fuori di ogni disciplina di trasparenza e di responsabilità. Rimedi urgenti richiede anche il sistema bancario. Di qui la necessità di un impegno legislativo, che è stato sino ad oggi soltanto avviato, per costruire gli argini e le regole di un mercato in crescita."
Questi sono alcuni passi tratti dalla relazione che Craxi fece alla II Conferenza Programmatica del PSI il 1990 a Rimini. Una Conferenza che fu politicamente non significativa (se non per l'incontro sul Camper con D'Alema e Veltroni) e che avvenne nel periodo più cupo del PSI: quello che va dal 1987 al 1992. Un partito senza strategia, dilaniato dal rampantismo amorale, e dalla mutazione genetica di parte della sua classe dirigente.
Eppure in queste parole di Craxi si nota un ben altro passo ed una ben altra consistenza politica rispetto a molti craxiani e postcraxiani. E soprattutto si riconosce un Craxi un socialista autentico che analizza il mondo a lui attorno con spirito critico, alieno certo dal catastrofismo della sinistra velleitaria e minoritaria, ma neanche appiattito su una acritica esaltazione della modernità alla Martelli ed alla De Michelis.
Del resto quella che esprime Craxi era il punto di vista che esprimevano tutti i socialisti che non si erano fatti traviare dalle mistificazioni neoliberali e molto, ma molto lontano dalle III vie dei Blair e Schroeder.
Le colpe politiche (e sottolineo politiche) di Craxi non possono comunque occultare una profondità di pensiero che è mancata quasi completamente nella sinistra della II Repubblica. Con questo Craxi certo Boselli e Nencini non hanno nulla a che spartire.
Peppe Giudice
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7 commenti:
Grazie Peppe. Ho le lacrime agli occhi, perché QUESTO ERA E SARA' Craxi. Me lo ricordo in un comizio a Padova quando un agitatore comunista, Il liutaio Bonfio - uomo di grande cuore ma di ancon più grandi paraocchi - lo contestò dalla piazza e e Lui rispose: "Ho capito compagno, tu pensi di essere di sinistra, sappi che io sono molto più a sinistra di te".
Certo degli uomini scomodi si ricordano le nefandezze (che anche Craxi come Mao ha commesso - ma è politica!), di quelli comodi Moro, Vojtyla, che (poiché io non ho timore riverenziale) si ricordano, anche se ne hanno avute poche, solo le virtù. Ma questa è purtroppo per noi la regola di chi armenta con le coscienze dei creduloni.
Caro Peppe
Io non mi commuovo come Paolo Mercanzin, caro amico e compagno,
in molti casi non condivido le tue scelte politiche, ma debbo dire che sei un
compagno che ha il coraggio, che altri non hanno, di dire cose scomode e
divergenti dal pensiero unico dominante a sinistra dal 1992 in poi.
Il decennio 1978 (Congresso di Torino)-1987 (fine del Governo Craxi) fu un
grande periodo, in cui il PSI seppe analizzare al meglio (basta pensare al
Mondoperaio dell'epoca o al Convegno "Governare il cambiamento" di Rimini 82
con l'intervento di Martelli su "i meriti ed i bisogni") l'evoluzione del
Mondo e dell'Italia.
Purtroppo quel Partito si dovette scontrare con un grosso partito conservatore
di sinistra e ne fini stritolato, anche per colpe del proprio gruppo
dirigente che non ebbe il coraggio dopo il 1987 di contestare (salvo Formica
e pochi altri) la politica perdente del craxismo declinante.
Sul valore di quel Partito ti riporto alcune frasi estratte dall'intervista di
Griseri a Chiamparino:
" Il PCI è stato fondamentale per costruire e difendere la Repubblica.....
Quando invece si è trattato di innovare questo è avvenuto grtazie
all'incontro tra i socialisti e la DC più secolarizzata.... É uno schema un
po' parziale ma spiega cos'è avvenuto prima con il centrosinistra di
Nenni.... Nella sinistra è il PSI che cerca di modernizzare il paese e il PCI
che difende l'esistente." (Sergio Chiamparino "La Sfida")
Con i miei più fraterni saluti
Dario Allamano
Io mi sono commosso guardando il ritratto di Sandro Pertini trasmesso ieri da La 7.
Commosso fino alle lacrime.
E alla fine mi sono chiesto: com'è possibile che il socialismo
- che ha espresso uomini come Rosselli, Saragat e Pertini - non abbia più voce in questo Paese?
Un abbraccio a tutti
Roberto
io mi sono commosso pensando che il PSI sia stato siolto nel corso del suo 47.emo (47: morto che parla) congresso e che sono passati ben 16 anni e siamo fuori dal Parlamento, anke x merito di Boselli, oggi alla corte di Rutelli. Speriamo in tempi migliori, con l'augurio di meno filosofia e maggiore presenza tra la gente. Craxi? Penso a quel che scrisse Romano sul Corsera il giorno dopo la triste morte del ns Leader: grandi meriti, evidenti demeriti ma i primi sono superiore di gran lunga ai secondi e certo l'ex ambasciatore nn era ascrivibile alla schiera di "nani e ballerine" ,come ebbe a definire gran parte dei membri dell'Assemblea Nazionale del PSI il sempre lucido compagno Formica
saluti da un tesserarto siciliano PSI nato nell'anno del MIDAS
Io non credo sia il caso di prendersela con Boselli. Da 2 anni è fuori dal Partito. Nel 2008 fece la scelta coraggiosa di non svendere il partito al PD. Avrebbe potuto farlo. Non lo fece per difendere una autonomia ed una storia. Non fu votato e poi, diciamoci la verità, i parlamentari non furono eletti anche perchè cifu il blocco PD - PDL. E' vero un Partito Socialista dovrebbe anbire a ben altre percentuali che un risicato 1%. Io credo che la gente non ci vota perchè non comprende quale sia la nostra offerta politica semplicemente perchè offerta non c'è. Ed il vendolismo (dei pasdaran di Vendola) non è la ricetta per risolvere questo problema.
caro iacono non si puo’ stare con la testa sempre rivolta al passato..bisogna guardare al presente ed agire per il futuro..per far vivere comunque l’idea socialista..
giuseppe chiofalo
bravo marco..dobbiamo dirlo siamo fuori dal Parlamento x scelta di Veltroni che ci ha preferito Di pietro..ci fossero stati i socialisti in Parlamento i carneadi alla Scilipoti stavano ancora a contare le vacche...e d a fare punture di spilli...
giuseppe chiofalo
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