N.44 del 19 dicembre 2010
Il futuro del Psi nel centrosinistra per ricostruire un’opposizione di governo, in Italia come in Europa
Luca Cefisi - PSE, autocritica da Varsavia Mercato sì, ma regoliamolo
mercoledì 15 dicembre 2010
Luca Cefisi
Il Consiglio Generale del Partito del Socialismo Europeo, a Varsavia il 2 e 3 dicembre scorsi, ha visto una discussione, come si suol dire, “franca e aperta”. Cioè non ha nascosto i problemi, anzi il problema: la difficile fase elettorale attraversata dai socialisti, che non vincono le elezioni nelle maggiori nazioni europee.
Si è cercato di lanciare, da Varsavia, un messaggio forte e coraggioso: la necessità che il socialismo europeo si attrezzi con programmi più convincenti, e forme organizzative più efficaci. Questa è del resto la risposta perfettamente ovvia per una forza politica che riconosca i limiti della sua azione, ma che non per questo nutra dubbi su sè stessa, sui suoi valori e princìpi. Anzi, nella risoluzione generale adottata dal Consiglio, si sottolinea che alcune proposte assai importanti promosse dai socialisti europei sono oggi al centro del dibattito, per esempio la FTT, la tassa sulle transazioni finanziarie: ma proprio quando diventano temi discussi da tutti, almeno a livello di comunicazione la matrice socialista tende ad essere dimenticata, e magari i quotidiani fanno il titolo su Sarkozy che sposa la FTT, attribuendogliene il merito! Anche alcuni temi della modernizzazione riformista, l’equità, le pari opportunità, l’efficienza e la flessibilità del lavoro in una società in continua mutazione, sono stati assunti nella retorica dei governi di centrodestra, che li interpreta però a modo suo, e la flessibilità, per esempio, diventa precarietà, e la centralità dell’individuo diventa retorica dell’egoismo. Del resto, occorre ammettere che nella lunga glaciazione degli anni 90, anche le forze socialdemocratiche hanno subìto l’egemonìa della retorica neoliberale: l’onda lunga della caduta del Muro di Berlino, che come oggi sappiamo non ha affatto significato la vittoria della socialdemocrazia sul comunismo, ma l’affermazione dell’idea che il mondo capitalista è il “migliore dei mondi possibili”, e quindi la ridicolizzazione di ogni tentativo di pensare un mondo diverso e migliore. Anche noi, quindi, abbiamo governato convinti che le famose “compabitilità imposte dal mercato” fossero limitazioni ferree, e che il riformismo non potesse uscire dai binari imposti dall’economia. Oggi vediamo che è piuttosto l’economia, senza la politica a governarla, a deragliare, e a far deragliare le vite di milioni di persone. Quindi, la sensazione comune tra i socialisti europei è che i nostri princìpi non solo siano tuttora validi, ma che sia stata una disdetta non averli perseguiti con maggiore convinzione, accettando una tale annacquamento delle politiche socialdemocratiche che è stato il primo motivo della disaffezione degli elettori, che non hanno più visto una valida differenza qualitativa tra socialisti e conservatori. Da qui, l’astensionismo elettorale massiccia, ed anche il richiamo dell’estremismo di destra, che oggi raccoglie scontenti e delusi proprio dalle fasce popolari e persino operaie.
In tutto questo, dispiace che l’autorevole Massimo D’Alema, per motivi del tutto casalinghi, cioè per tranquillizzare l’ala ideologicamente anti-socialista del PD, insista (su Europa del 4 dicembre 2010) con la vecchia solfa della “crisi del socialismo”, per andare “oltre”, e definire nuove identità e shieramenti mondiali, di cui i democratici italiani sarebbero un fulcro (ma accidenti, siamo un piccolo paese nella globalizzazione, un po’ di modestia!). Si deve dire, una volta per tutte, che questo schema di lettura della politica mondiale sempre partendo dall’ombelico dell’unicità italiana, tutto teso ad indicare un orizzonte sempre “altro”, suggestivo ma confuso nelle nebbie del futuro, è lo schema ideologico che ha reso la sinistra italiana provinciale, depressa e perdente, rifugiandosi magari nella satira perchè non sapeva più affermare con convinzione le proprie convinzioni, e che vive declamando alla Montale “quel che non siamo, quel che non vogliamo”. I socialisti europei non sono in crisi elettorale per crisi di valori, lo ripetiamo, ma per aver sbiadito e confuso il loro messaggio: non è il socialismo ad essere in crisi, ma i socialisti a non essere stati all’altezza (e massimamente in Italia…) Di questo si è discusso a Varsavia, di come tornare all’altezza dei nostri alti ed esigenti ideali, di come vincere e convincere, e non di alchimie ideologiche tra partito del Congresso indiano, Barack Obama e la sottocorrente degli ex aderenti alla Margherita della sezione del PD di Rocca Cannuccia. Queste sono fumisterie, tatticismi per tenere insieme le nevrosi di ex democristiani, neo-liberali e insomma tutta la babele volenterosa ma incasinata del PD.
Tatticismi che però non ci faranno vincere, perchè gli elettori chiedono altro: chiarezza, princìpi, ideali, proposte davvero alternative, Quelle che in tutto il mondo si chiama socialismo. Con suo stesso stupore, anche Obama ha finito per sentirsi dare del “socialista!”, e questo qualcosa vorrà pur dire.
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