sabato 18 dicembre 2010

Andrea Ermano: E dopo?

Dall'Avvenire dei lavoratori

EDITORIALE


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E dopo?


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di Andrea Ermano


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Laddove il vascello nazionale andasse a frantumarsi tra i marosi della mondializzazione, i poteri forti perderebbero una bella cuccagna di privilegi, e giustamente si preoccupano, cercando una via d’uscita. Evitare il naufragio dell’Italia risponde d’altronde anche agli interessi prevalenti del popolo lavoratore e della comunità internazionale. Di conseguenza, è ancora dato sperare che il nostro paese riesca, con un qualche misterioso guizzo di genio, a scansare lo schianto.

“Il governo mangerà il panettone, ma non la colomba”, prevede il leghista Calderoli. “Lui” invece assicura di poter arrivare a fine legislatura. “Lui” è Silvio Berlusconi che, a margine del Consiglio europeo di Bruxelles, si è definito “l’unico boss virile”, come suona l’anagramma del suo nome. Tra Bossi e il “boss virile” si preannuncia, così, un conflitto d’interessi che prima o poi potrebbe determinare il crac dell’attuale maggioranza.

Fin dai tempi antichi si sa che ogni determinazione pone fine a qualcosa, ma dà inizio a qualcosa d’altro. E, dunque, in questi istanti finali, in questo sbrindellato minutaggio di recupero nel secondo e ultimo tempo supplementare del berlusconismo, che cosa, di grazia, sta cominciando?

Può darsi che, per conservare l’unità nel centocinquantesimo dalla nascita dello stato italiano, il nostro establishment punti allo smontaggio della Lega, sempre più simile del resto a un reperto bellico inesploso. Nel Carroccio oscuramente lo intuiscono. Infatti, non chiedono altri ministeri (come pur potrebbero), ma elezioni anticipate, onde mettere in sicurezza il capitale di consensi prima della tempesta.

Se il cedimento strutturale del governo avvenisse non subito, ma tra un paio di mesi, potrebbero mancare i margini per elezioni anticipate prima dell’autunno prossimo. Una continuazione della legislatura con altro premier favorirebbe a quel punto il parto di un governo di “responsabilità nazionale”. Parto lieto ad alcuni, ma doloroso ad altri, perché ogni nuova maggioranza – inevitabilmente imperniata sui terzopolisti di Fini, Casini e Rutelli – innescherebbe una serie di spaccature sia nel campo del PDL, sia in quello del PD, incluse le file padane e dipietriste: i moderati di ogni schieramento convergerebbero verso il centro.

Ci stiamo avvicinando al bivio. Il tentativo gattopardesco di scaricare l’intera crisi di sistema sulla politica, affinché l’assetto di potere rimanesse immutato, dovrà lasciare il posto a riforme vere. E qui sorgono le preoccupazioni più serie, perché riforme vere presupporrebbero, diciamo così, una “decrescita” dei poteri forti, una loro capacità di autoriforma, per la quale non si ravvisano moltissimi precedenti storici.

Le gerarchie vaticane preferirebbero tirare a campare, almeno per un po’, senz'ancora uscire dal berlusconismo. E dopo?

Che le necessarie riforme possano realizzarsi grazie a una nuova maggioranza di responsabilità nazionale imperniata sul neo-centrismo è ipotesi tutta da verificare. L’abitudine storica delle corporazioni di delegare ad altri ogni sforzo e rinuncia lascia temere l’insorgere di gravi tensioni sociali. Forse è proprio questo ciò che si attende da parte di lor signori per scatenare poi la reazione d’ordine. Non sarebbe la prima volta.

E a sinistra? Che si fa? Quando gli ultimi neo-centristi avranno abbandonato la sinistra al suo destino per non morire socialisti, resterebbe una possibilità: iniziare ora, adesso, subito, a lavorare per una solida alternativa politica. Occorre un'alleanza neo-frontista, sul genere di quella stipulata tra Pietro Nenni e Palmiro Togliatti. Si dirà che fu l’Errore degli Errori perché, all'inizio della guerra fredda, consegnò il popolo di sinistra a un lungo destino di opposizione. Vero, ma la guerra fredda non c’è più.

Una sinistra capace di candidarsi domani al governo del Paese, anche se ciò oggi non si annuncia come un obiettivo immediato, andrebbe a costituire una preziosissima riserva di democrazia, soprattutto quando il disegno neo-centrista, emergente dietro la fine dell’era berlusconiana, esaurisse (prevedibilmente) la propria spinta propulsiva lungo i tornanti di una turbolenza globale che, questa sì, non guarda in faccia a nessuno.

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