mercoledì 15 dicembre 2010

Francesco Bochicchio: D'Alema e la socialdemocrazia

D’ALEMA E LA SOCIALDEMOCRAZIA
di FRANCESCO BOCHICCHIO
Chi scrive è rimasto estasiato dall’ultima frase di D’Alema, secondo cui la socialdemocrazia non è sufficiente e deve essere affiancata da altre proposte. Chi scrive è da tempo sostenitore della necessità di far ricorso ad un’ipotesi socialdemocratica forte, non rinunciataria ma programmatrice e redistributrice in senso sociale, e quindi non si può non rallegrare della liquidazione della socialdemocrazia fatta da D’Alema che come è noto in politica non ne azzecca mai una, nemmeno per caso. Se D’Alema la liquida, vuol dire che è finalmente (ed irreversibilmente) tornato il tempo della socialdemocrazia.
Passando dal faceto a serio, la “sentenza” di D’Alema è di scarsa pregnanza, in quanto non chiarisce se appartiene alla strategia o alla tattica. Nel primo caso, vuol dire che la socialdemocrazia è un’ipotesi progettuale ma ce ne sono tante altre, quindi si vuol dire nient’altro che l’ovvio, vale a dire che per l’avvenire non vi è una sola ricetta, ma ve ne sono molte. Allora, cotanto genio progettuale avrebbe l’onere quanto meno di specificare quali siano le ipotesi ed a quali condizioni siano legate. Nel secondo caso, si evidenzia che una forza socialdemocratica dovrebbe procedere non in solitudine ma legandosi ad altre, possibilmente al centro. Anche qui siamo nell’ovvio: nel momento di difficoltà della sinistra e di una crisi formidabile del modello liberale, cui non si riesce a trovare l’unica alternativa logica, quella socialdemocratica, occorre allearsi con il centro: ma non si deve dimenticare l’obiettivo a lungo termine, lo sbocco socialdemocratico, altrimenti di fatto abbandonato. D’Alema è alle solite: ondeggia tra strategia e tattica in maniera malferma e senza chiarezza di idee nè sull’una né sull’altra. Con la sagacia che lo contraddistingue, ha compreso che la socialdemocrazia è, singolarmente in quanto proprio la crisi del modello liberale dovrebbe essere in grado di fornirle dominio incontrastato, in crisi di popolarità e di legittimazione. Non ha il coraggio di dire che l’alleanza con il centro e con altre forze dovrebbe essere solo tattica senza rinunciare alla strategia: ci vuole molto coraggio in quanto occorre individuare la ragione per cui la socialdemocrazia è, senza colpa, al tappeto, e quindi accertare che ciò dipende soprattutto da un eccesso di debolezza nei confronti del blocco dominante; in seguito a tale individuazione ed a tale accertamento, occorrerebbe una politica che oltre a proporre l’alleanza si dimostri anche energica e inflessibile almeno su alcuni punti fondamentali e qualificanti. D’altro canto D’Alema non ha la disinvoltura per passare il guado e evidenziare la necessità di un’alleanza strategica che comporti la rinunzia definitiva ad una politica socialdemocratica, come ha fatto la maggioranza del centro-sinistra. Ed ecco D’Alema imballato, che segue alla lettera una splendida canzone di Lucio Battisti degli anni ‘70 “Io vorrei, non vorrei , ma se vuoi”. Chi invece persegue con coerenza un’ipotesi di socialdemocrazia, riformista e non massimalista, ma nemmeno rinunciataria, e che vuole imbrigliare gli spiriti animali del capitalismo entro binari prefissati e rigorosi, deve, senza cambiare genere, passare a Lucio Dalla “Santi che pagano il mio conto non c’è ne è, ma la mia casa è Piazza Grande”. Non facciamoci intimidire dall’isolamento, tentiamo di superarlo con alleanze tattiche, ma non rinunciamo alla grandezza del nostro progetto, che è quello di razionalizzare il capitalismo con grandi riforme sociali e non liberali, meramente illusorie. E D’Alema? Sorridiamogli con tenerezza, ma, con inflessibilità, rimandiamolo a settembre, perché studi la differenza tra tattica e strategia. D’Alema non è Veltroni, e non rinuncia ad un’ipotesi socialdemocratica: non se la sente di passare ad un liberismo puro. In via più generale, non è opportunista e vuole mantenersi organicamente a sinistra. Ma non è in grado di proporre un’ipotesi forte di socialdemocrazia e di sinistra riformista. Orfano del comunismo, non riesce, nel momento in cui il capitalismo è allo sbando, dirigendosi inesorabilmente verso il disastro, a trovare un’alternativa seria, che non superi il capitalismo stesso, intramontabile per il ruolo al momento insostituibile dell’iniziativa economica privata, ma lo corregga e lo revisioni fortemente e lo diriga rigorosamente. Una vera sinistra deve volgere le spalle a D’Alema, in quanto alfiere di una politica nobile e lucida secondo le intenzioni, ma nei fatti rinunziataria e vaga. Il cambiamento di politica deve essere radicale e senza incertezze: per stare sul piano dell’attualità politica, un’attenzione nei confronti di Fini in un’ottica di rigore costituzionale non deve andare disgiunta da una radicale alternatività rispetto a Fini sulla strategia politica nell’ambito di un quadro costituzionale omogeneo e fortemente condiviso.

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