mercoledì 29 dicembre 2010

Giuseppe Giudice: Marchionne e la II Repubblica

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Marchionne e la II Repubblica.
pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno mercoledì 29 dicembre 2010 alle ore 3.10


Marchionne e la II Repubblica.







Forse qualcuno definirà la II Repubblica come quella di Marchionne. Che è colui che da il colpo di maglio finale a tutto ciò che di buono e positivo che si è costruito nella Prima. In questo caso i diritti del lavoro e la libertà sindacale.

Ma Marchionne ed il caso Fiat sono la parabola conclusiva di un processo di regressione economica e sociale che parte agli inizi degli anni 90 e si sviluppa successivamente.

Quando io dico che Mani Pulite ha agito conformemente agli interessi del capitalismo finanziario internazionale non intendo certo dire che Borrelli e Di Pietro (su quest’ultimo forse qualche dubbio ce l’avrei) agissero su ordine diretto di Wall Street. E’ che, ad un certo punto, si è creata una convergenza oggettiva tra il protagonismo esasperato di un pezzo della magistratura, i poteri forti nazionali e quelli internazionali. E che ha agito all’inizio su un clima di forte consenso popolare. La corruzione esisteva così come le degenerazioni dei partiti.

Ma queste azioni concomitanti non intendevano sul serio colpire la corruzione. Se lo si voleva fare si poteva benissimo separare quella che era “illegalità di sistema” (finanziamento illecito ai partiti) dalla corruzione personale (arricchimenti illeciti). Ma non era questo l’obbiettivo quanto quello di indirizzare l’indignazione popolare verso la distruzione sic et simpliciter del sistema dei partiti e favorire il controllo della politica da parte della tecnocrazia (da Tremonti a Ciampi a Padoa Schioppa il governo della economia è stato affidato ad essi in questi 16 anni) e dare ad un pezzo della magistratura la potestà di controllo sulla evoluzione politica. Tecnocrazia (Tremonti, Prodi) e populismo (Berlusconi, Di Pietro) sono gli assi portanti.

Comunque la prima cosa a cui puntavano i costruttori della II Repubblica era lo smantellamento del settore pubblico dell’economia, particolarmente vasto in Italia. Ora in esso c’era parte che certo poteva essere privatizzata (penso all’industria alimentare), ma c’erano settori strategici e vitali per la nostra economia che né potevano essere svenduti né potevano sfuggire a forme di controllo pubblico.

Certo quella delle privatizzazioni generalizzate era l’ideologia dominante in pezzi della stessa Commissione Europea. Ma molti stati (a partire dalla Francia ) hanno sempre rifiutato di privatizzare servizi pubblici e settori strategici. Il paese in cui si è privatizzato quasi tutto, si è privatizzato malissimo, è stata l’Italia della II Repubblica. Con responsabilità trasversali tra i due schieramenti.

In più si è rifiutato di inserire qualsiasi forma di democrazia economica (co-determinazione) e di fondare una politica industriale (parola orribile per i liberisti!!!) per orientare lo sviluppo di settori che erano la spina dorsale della economia italiana. Alla fine lo ha spiegato bene Luciano Gallino: l’Italia con lo smantellamento delle imprese pubbliche ha sofferto una desertificazione industriale, un abbassamento della qualità della produzione, un sistema privato che ha comprato il settore pubblico non solo a prezzi stracciati ma tramite un sistema di partite di giro con gli stessi soldi pubblici cioè dei contribuenti!

Alla fine degli anni 90 anche nel centrosinistra è prevalsa l’idea anglosassone in sedicesima che bisognava puntare sui prodotti finanziari piuttosto che sull’industria (si diceva allora che la Germania ed il Giappone erano i paesi più arretrati del mondo, per non parlare della Francia “statalista” di Jospin!). E che se anche si perdeva l’industria dell’auto nazionale non era poi così grave! La Fiat ha seguito questa linea, ha investito molto in finanza (la finanziarizzazione non si basa sulla contrapposizione tra capitalismo finanziario ed industriale, ma nel fatto che è quello industriale che invece di investire in innovazione ed attività produttive sposta i suoi profitti verso la finanza)

Quindi la Fiat ha perso un decennio rispetto ad altre case automobilistiche. Ha marginalizzato il settore abbassando notevolmente la qualità (la differenza tra la prima e la seconda Punto fatte a Melfi era evidente – non parlo della Grande Punto), disinvestendo in innovazione (i brevetti Fiat sono stati venduti ad altri). Ora era difficile che la Fiat (anche tramite la Grande Punto o la Panda) potesse recuperare un divario di dieci anni.

Ecco come spunta il Marchionne di turno che dice: “ la mia è una vocazione terzomondista: se volete che gli stabilimenti restino in Italia, dovete accettare condizioni di lavoro da terzo mondo”. Il ricatto consentito da un governo di centrodestra ma anche da settori del PD che invece di dire alla Fiat (come si è fatto in Germania ed in Francia): “se delocalizzi ti sogni tutti i contributi pubblici (un argomento serio per la Fiat che lo stabilimento di Melfi lo ha avuto gratis)” plaudono a Marchionne. Il quale costruirà a Mirafiori SUV americane , macchine ingombranti ed inquinanti, in totale antagonismo con le scelte di altre case volte a ridurre i consumi e le emissioni inquinanti (basti pensare agli investimenti sulle “auto ibride”) o comunque sulla eco-compatibilità (estesa ai modelli popolari). Che senso ha produrre auto che ormai sviluppano più di 200 CV (quando ci sono i limiti di 130 orari)?

Sul modello Marchionne la resistenza è importante ma non basta. Dobbiamo essere in grado come sinistra di proporre linee di politica industriale ed economica alternative rispetto a quelle che ci ripropongono modelli di crescita fondata sulla ipertrofia dei consumi privati.

Il PD si è spaccato sulla vicenda Fiat. Ma il vertice non prende posizione. Sinceramente il PD è una frana. Questo è un handicap per una sinistra di governo che non può tollerare i gargarismi velleitari di Cremaschi (in passato la FIOM ha subito gli effetti di un minoritarismo isolazionista –oggi certo ha ragione e va difesa, ma Cremaschi dovrebbe togliersi dai c….) ma neanche le assurdità di Fassino e Chiamparino a braccetto con Marchionne… (che brutta fine per certi ex comunisti – alla fine sono alla stregua dei Sacconi e dei Brunetta).



PEPPE GIUDICE

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