UNA FINE D’ANNO SEGNATA DA PRECARIETA’ E INCERTEZZA SUL FUTURO
di Renzo Penna
Quest’anno risulta particolarmente difficile far finta di nulla, accendere le luci di Natale e predisporsi con animo sereno alle tradizionali feste pagane del capodanno. Lasciando fuori dalla porta, anche se per poche ore, i problemi e le preoccupazioni. I racconti di una realtà cruda, piena di difficoltà per il presente e senza speranze sul futuro, occupano, infatti, i giorni della vigilia, poco rispettosi della consueta tregua che prepara la serena attesa della nascita del bambino. Un’atmosfera solitamente capace di coinvolgere e accomunare credenti e non.
Sono centinaia, infatti, le fabbriche importanti chiuse, con migliaia di lavoratori che le occupano e al loro interno trascorreranno le festività, resistendo con ostinazione a considerare finito il loro lavoro che, quasi sempre, non trova alternative. Noi conosciamo solo i casi più eclatanti che riescono a bucare la generale indifferenza dei media: le lavoratrici della OMSA di Faenza, i lavoratori della Eaton di Massa Carrara, della Vinyls di Marghera, della Fincantieri di Ancona, della Fiat di Termini Imerese. Luoghi e presenze storiche del lavoro industriale che segnalano, meglio di qualsiasi analisi sociologica, il declino del Paese. Con un governo in altre faccende affaccendato e incapace fin’anche di immaginare una seria politica industriale.
L’accordo senza la Fiom di Mirafiori: un pessimo segnale
In questo clima l’accordo della Fiat per la nuova società che gestirà Mirafiori segna una pessima svolta nelle relazioni industriali. Vengono ricattati i lavoratori con la promessa degli investimenti e si punta a importare il modello di legislazione del lavoro e delle libertà sindacali degli Usa che è notevolmente più arretrato di quello vigente in Europa. Per questo si esclude la Fiom, il sindacato che - come scrive Luciano Gallino - sin dagli anni del dopoguerra è stato quello di maggior peso nel grande stabilimento torinese. E aumentano le divisioni tra i sindacati in un momento in cui i lavoratori dipendenti avrebbero, al contrario, bisogno di sindacati forti e uniti, per affrontare i drammatici problemi sociali ed economici che li riguardano.
La disoccupazione, intanto, è in continuo aumento. Con la cassa integrazione a termine supera l’11%, il valore più alto degli ultimi anni. Ma è il tasso della disoccupazione giovanile che raggiunge il 24,7% a preoccupare di più, mentre, per le donne del mezzogiorno, tocca un massimo del 36 per cento. E le proteste dei ricercatori e degli studenti di questi mesi, che si sono intensificate e cresciute nelle ultime settimane, utilizzano la controriforma dell’Università del governo per manifestare le loro ragioni e rendere pubbliche le preoccupazioni sul futuro di un’intera generazione.
Le proteste degli studenti: una generazione che non trova ascolto
Una generazione che non trova ascolto nei palazzi del potere e della politica, sente di essere poco considerata e sa di avere, in prospettiva, meno opportunità in termini di lavoro, reddito e Welfare nei confronti dei propri padri. D’altronde è l’autorevole ufficio studi della Banca d’Italia che prevede per i prossimi anni un forte rischio previdenziale per quasi la metà dei lavoratori che andranno in pensione con meno del 60% in rapporto allo stipendio. Una percentuale che nel 2040, a parità di anni di contribuzione, si ridurrà al 52%. Mentre l’Imps evita di indicare l’ammontare della pensione per le finte partite Iva o di chi è stabilmente precario.
Una occasione di ascolto dei movimenti giovanili che - ricorda Curzio Maltese - il nostro Paese ha già perso nel 2001 a Genova, quando ne ha oscurato le ragioni, esaltando le violenze, invece di riflettere sui profetici documenti del movimento “no global” che denunciavano la finanza internazionale, le bolle speculative, la privatizzazione dell’acqua, l’evoluzione del mercato agricolo mondiale e i cambiamenti climatici. Molto opportuna e apprezzata è, quindi, stata la decisione del presidente Napolitano di incontrare una delegazione di studenti della capitale, al termine della grande e pacifica manifestazione di mercoledì, per ascoltare le loro esigenze e le loro proposte.
I due esempi solidali di Alessandria
Ma qualche indicazione di speranza, di ripresa d’iniziativa e di concreta solidarietà che viene anche dalla nostra città, ci può aiutare a vivere le festività di fine anno con minore rassegnazione e maggiore voglia di cambiare una situazione nella quale a prevalere, in troppi campi, è l’ingiustizia. Mentre l’Amministrazione del Comune continua nella svendita del patrimonio pubblico e, invece di affidare, come sarebbe giusto, la Casa di riposo comunale ai centri sociali dell’alessandrino con rette adeguate per gli anziani indigenti, incurante dei problemi di bilancio si appresta a celebrare la fine d’anno con inutili e costosi fuochi, ritorna la sera del 31 la marcia della pace ad occuparsi del disagio degli ultimi. E sui quotidiani trova spazio, gestita da volontari, l’Outlet dei poveri promossa dalla Camera del Lavoro di Alessandria. Un negozio speciale dove abiti e cose usate trovano, rigorosamente gratis, un nuovo padrone. Un esempio di sobrietà e di sostenibilità che fa dello scambio, del riuso e del riutilizzo il modello di una società che nella crisi sceglie di aiutare i più deboli, impara a non sprecare e rappresenta l’opposto di quella basata sui consumi indiscriminati, sull’usa e getta, che grandi responsabilità ha avuto nei confronti dell’attuale crisi.
25 dicembre 2010
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