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giovedì 12 dicembre 2013
Sergio Vicario: Milano dopo Renzi
MILANO DOPO RENZI: UNA RIVOLUZIONE METROPOLITANA
10 DICEMBRE 2013 DI SERGIO
VICARIO
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Matteo Renzi, dopo aver vinto le primarie del PD, deve ora dimostrare di
essere capace di rendere concrete le sue promesse di cambiamento che
permettano all’Italia di superare le ataviche debolezze istituzionali,
economiche e, in ultima analisi, culturali che le impediscono di giocare un
ruolo autorevole e di pesare in Europa.
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03vicario43FB]La
soluzione della grave crisi istituzionale, politica, economica e sociale,
che si prolunga ormai da un paio di decenni e la cui soluzione richiede
coraggiosi e profondi cambiamenti, non è tuttavia solo nelle mani del
Sindaco di Firenze e, di conseguenza, del Partito Democratico. Se invece
così venisse intesa, sarebbe una ‘*mission impossible’*. Sia perché il
cambiamento presuppone una diffusa assunzione di responsabilità in primis
dei cittadini e delle comunità di cui fanno parte, sia perché la cultura
politica prevalente, nel PD, compreso quello milanese, nelle maggiori forze
politiche e, soprattutto, nell’alta burocrazia statale, è alquanto
contraria a modificare gli attuali assetti istituzionali, ovviamente in
nome della difesa della “Costituzione più bella del mondo”.
Milano e la sua area metropolitana, per molteplici e conosciute condizioni,
proprio per questo, non devono farsi relegare in un ruolo gregario, ma
possono e devono concorrere a trovare delle possibili soluzioni, partendo
dalle leve su cui possono fare autonomamente forza e facendo pesare a
livello nazionale tutto il proprio peso specifico, in attesa che la
politica nel suo complesso ritrovi senso e direzione di marcia.
È questo il senso dell’iniziativa cultural-politica sintetizzata in un
documento che è stato distribuito in occasione di una recente serata al
Circolo De Amicis e che ha tra i suoi primi firmatari: Piervito Antoniazzi,
Felice Besostri, Francesco Bizzotto, Massimo Cingolani, Giovanni Cominelli,
Alessandro Dalai, Franco D’Alfonso, Emilio Genovesi, Mattia Granata,
Cristina Jucker, Ilaria Li Vigni, Luciano Pilotti, Davide Rampello, Stefano
Rolando, Ennio Rota, Marco Vitale.
Le leve individuate su cui fare forza sono la costituenda area
metropolitana ed Expo 2015, inserite però in una cornice più ampia che ha
il suo perimetro nell’Europa e le sue fondamenta in un vero municipalismo
fiscale.
Come dice infatti la Costituzione italiana all’art. 114: “La Repubblica è
costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle
Regioni e dallo Stato. Mentre all’art. 117 afferma: “I Comuni, le Province,
le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata
e di spesa”.
Non è dunque un caso che siano i Comuni a essere messi al primo posto a
fondamento della Repubblica. Il sistema delle autonomie locali basato su
una fiscalità centralizzata e un sistema di redistribuzione dei fondi
dall’alto verso il basso che ha caratterizzato il nostro Paese nello scorso
secolo non funziona più da tempo, ma gli interventi di “manutenzione” del
nuovo millennio, caratteristici del centrosinistra, così come quelli di
“cambiamento” spesso sconfinanti nel “sovvertimento”, caratteristici invece
del ventennio Berlusconi-Bossi, e proseguiti dai Governi Monti e Letta
hanno peggiorato la situazione portandola a un passo dal baratro.
Le aree metropolitane italiane raccolgono più di un terzo della popolazione
nazionale e generano oltre il 50% del PIL. Negli Usa le prime 100 aree
metropolitane occupano il 12% del territorio e generano il 75 % del PIL .
Come a ben spiegato il professor Enrico Moretti, professore a Berkeley
specializzato in Economia del lavoro, in «*The New Geography of Jobs*» («La
nuova geografia dei posti di lavoro»), le città metropolitane rappresentano
una condizione necessaria dello sviluppo, ma la condizione sufficiente è
data dalla presenza di un alto numero di laureati in discipline
tecnologiche e biomediche e di Università che ne garantiscono l’alta
formazione. Per ogni posto di lavoro di un laureato *high tech*, ha
calcolato Moretti, si determinano 5 posti di lavoro nei servizi
(dall’avvocato all’architetto, dai servizi pubblici a quelli di
ristorazione), mentre non vale il viceversa.
È del tutto evidente, anche per queste ultime ragioni, che, ancora una
volta, il segnale e la guida del cambiamento in Italia non possa che venire
da Milano e dalla sua area metropolitana, non fosse altro perché è ancora
una delle prime cinque aree economicamente e culturalmente più forti
d’Europa.
Una verità lapalissiana, però, ampiamente disconosciuta anche dall’attuale
Parlamento che, anziché concentrarsi sul modo di riaccendere i motori di
quella che è sempre stata la locomotiva dell’economia italiana e
concentrare i propri sforzi sull’unico evento di portata internazionale a
disposizione del Paese, vale a dire Expo 2015, decide che i finanziamenti
andranno distribuiti a pioggia. Ad esempio, 3 milioni di euro a Verona,
sottosegretario Nuovo Centro Destra Giorgetti, 4 milioni a Padova, ministro
PD Zanonato e altre elargizioni al Sud, mettendo in sofferenza gli
investimenti per infrastrutture essenziali per il successo dell’Expo. Le
aree metropolitane, inoltre, da 10 diventano 18 e, eventualmente 41 comuni
contigui al capoluogo potranno decidere di ‘mantenere la provincia’ anche
nell’ambito della Città metropolitana.
Di fatto, di là dalle parole, Governo e Parlamento, dimostrano di non
credere che Expo 2015 sia l’occasione perfetta per catalizzare le energie e
le idee autonomamente già in campo collegate all’unica, nuova visione
politica e sociale capace di avviare progetti e know how pilota orientati a
un nuovo modello di economia sostenibile. Expo rappresenta anche
l’occasione per verificare la bontà e l’efficacia degli approcci normativi
e delle soluzioni organizzative che i Paesi partecipanti, godendo di una
sorta di extraterritorialità, metteranno in atto nella realizzazione dei
loro padiglioni. Sulla base del confronto tra esperienze concrete sarà
infatti possibile, comprendere come meglio affrontare le tante, troppe,
rigidità burocratiche e anche ideologiche che mettono piombo nelle ali
dell’auspicato e possibile cambiamento.
Milano e la sua area metropolitana, a partire dall’assunzione diretta di
iniziativa da parte dei Comuni e dei Sindaci, sostenuti spesso da
un’eterogenea cittadinanza attiva, possono impedire che la sclerosi
istituzionale, frutto di troppi vincoli corporativi pubblici e privati,
trascini il Paese definitivamente nel baratro.
Il Comune di Milano, guidato da Giuliano Pisapia, è naturalmente chiamato a
coordinare e guidare questo sforzo collettivo e collegiale. In primo luogo
per il peso e il ruolo che ha nei confronti del Governo centrale a difesa
degli interessi dell’area metropolitana milanese. Ruolo che potrà essere
ancor più forte se saprà anche diventare catalizzatore degli interessi
primari di autonomia responsabile dell’insieme delle aree metropolitane.
Stanno nell’assunzione di questo ruolo le reali possibilità di una ripresa
economica basata su una mobilità moderna e sostenibile, sulla qualità della
vita e dell’ambiente cittadino, per realizzare nei prossimi anni una grande
area metropolitana luogo della produzione, dell’innovazione e della
conoscenza.
Sergio Vicario
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