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mercoledì 18 dicembre 2013
Pierpaolo Pecchiari: Considerazioni sul congresso milanese di Sel
Per quel che possono valere, queste le mie considerazioni dopo il congresso milanese di SEL.
Considerazioni estremamente critiche, perchè quello che ho visto è il profilo di un partito minoritario, incapace di dare significato concreto all'espressione "autonomia politica" e di interrogarsi su alcuni nodi essenziali - non dico di scioglierli, sarebbe davvero troppo...
Uno strumento spuntato.
Peccato, però.
Pierpaolo Pecchiari
Purtroppo il contingentamento dei tempi per gli interventi non mi ha consentito di sviluppare, se non in maniera frammentaria, le analisi che volevo condividere con voi Domenica mattina.
Rimedio intervenendo per iscritto, anche perché ho affermato che a mio avviso questo è stato un pessimo congresso, e credo di dover motivare queste affermazioni.
Dopo due giorni di dibattito, la mia impressione è che nessuno dei nodi che dovevamo sciogliere sia neppure stato affrontato.
Il dibattito congressuale doveva chiarire alcuni punti precisi:
il rapporto con il Partito Democratico, soprattutto dopo la travolgente vittoria di Renzi nella battaglia per la conquista della segreteria di quella formazione
il senso e le ricadute politiche dell'adesione di SEL al Partito dei Socialisti Europei
il modo in cui ci stiamo preparando ad affrontare le elezioni europee del Maggio 2014, e le probabili elezioni politiche del 2015
Curioso che questi punti siano al centro del dibattito tra i dirigenti nazionali (vedi "Sinistra sotto l’effetto Renzi", Preziosi, il Manifesto), mentre a Milano, a quanto pare, abbiamo preferito parlare d'altro.
Autonomia politica e rapporto con il partito Democratico
Il primo tema da affrontare riguarda l'autonomia politica del partito e il rapporto con il Partito Democratico.
Le affermazioni, ripetute da molti, circa l'indiscussa autonomia politica del partito possono confortare solo i più sprovveduti.
L'autonomia politica non si ottiene per chissà quale automatismo attraverso il combinato disposto tra la presenza di un simbolo sulle schede elettorali l'esistenza in vita di una propria organizzazione e la capacità di produrre analisi, proposte e programmi originali.
L'autonomia politica si conquista e si difende quando si dimostrano volontà e tenacia nel combattere due battaglie. In primo luogo la battaglia delle idee, sul terreno dello scontro politico-culturale. In secondo luogo la battaglia politica quotidiana, quella per definire l'agenda del dibattito pubblico, oppure, in subordine, per affermare le proprie posizioni riguardo ai temi che esso, di volta in volta, propone.
Sul terreno dello scontro politico-culturale mi pare SEL non sia neppure mai entrata. Il tentativo di arrivare a una comprensione profonda di cosa siano oggi struttura e sovrastruttura non è stato mai avviato, forse nell'illusione di poter supplire all'assenza di un'analisi della fase con prediche moralisteggianti unite all'elencazione di dati statistici ed economici descrittivi la situazione economica e sociale, spesso con l'immancabile condimento di citazioni a volte dotte, a volte "pop".
Non sono chiaramente individuabili le classi, i ceti e gli interessi il partito cui dovrebbe dare rappresentanza, né quale idea noi si abbia circa la crisi della politica e il ruolo dello Stato.
Non basta dirsi che questo è, purtroppo, il punto debole di tutte le formazioni politiche italiane, di sinistra o di destra che siano, perché - limitandoci a guardare in casa nostra - la conseguenza è che la nostra piattaforma risulta essere una curiosa mescolanza tra una serie di accorati "cahiers de doléances" e di proposte di interventi più o meno specifici, in genere più tratteggiati che dettagliati.
Per tutte queste ragioni appare poco comprensibile come il partito possa ampliare i suoi consensi al di fuori del ristrettissimo perimetro dei cosiddetti "ceti medi riflessivi".
Il partito appare ancora più debole sul versante specificamente politico.
E' chiaro a tutti che le differenze tra SEL e il PD sono rilevanti. E lo sono soprattutto dopo l'avvento del "renzismo".
La piattaforma politica del PD di Renzi non ha più alcun legame con quelle dei partiti della sinistra di governo in Europa; al massimo potrebbe essere definita "confusamente liberaldemocratica".
Ma paradossalmente, malgrado l'esistenza di ottime "basi di differenziazione" rispetto al PD, SEL pare incapace di trarne frutto.
La polemica con il Partito Democratico, da cui pure ci si vorrebbe autonomi e non subalterni, è portata - peraltro con poca convinzione - sul terreno di questioni tutto sommato marginali e contingenti: il suo appoggio al governo delle "larghe intese", e alcune discutibilissime posizioni dei suoi gruppi parlamentari su temi specifici.
SEL pare incapace o non interessata ad utilizzare l'imponente arsenale, di cui pure disporrebbe, per accendere uno scontro politico e culturale su più fronti con il Partito Democratico.
Un vero peccato, perché il governo delle "larghe intese" è destinato prima o poi a finire, mentre la presa del PD su un elettorato che, per una certa parte, sarebbe ancora recuperabile a sinistra è destinata a rimanere fortissima, se non contrastata adeguatamente.
Un esempio per tutti: la polemica contro le scellerate e confuse proposte di Renzi in tema di riforma del welfare, condotta da "Sbilanciamoci" (vedi "Welfare, il vecchio Renzi che avanza"), per ora non ha trovato eco nè sponda nel partito. Che, invece, pare avere accolto l'avvento del Matteo nazionale con favore, come si dovrebbe dedurre dalle affermazioni di Vendola su Renzi "ciclone innovatore che spazza via la vecchia nomenklatura" e l'esortazione a "farsi speranza per tutti". Credo che affermazioni di questo tipo siano quanto di peggio si possa immaginare se si vuol mettere in risalto il ruolo autonomo, non subalterno e originale che SEL potrebbe giocare in una coalizione con il PD, soprattutto con il PD renziano.
Più che un'apertura al dialogo con l'unico alleato elettorale possibile, queste dichiarazioni paiono una resa senza condizioni.
Sostenere di poter spostare a sinistra l'asse dell'azione di governo di una futura coalizione SEL-PD, quando però non si fa nulla di serio per riequilibrare i rapporti di forza elettorali e, prima ancora, politici, all'interno del centrosinistra, sfruttando le evidenti contraddizioni e ambiguità della piattaforma politica del PD, appare un evidente controsenso.
Non c'è da stupirsi se il nostro elettorato potenziale, costretto a verificare quotidianamente la scarsa propensione di SEL ad "affondare il colpo", deduca che SEL sia poco credibile; la conseguenza è lo scarsissimo appeal del partito ogniqualvolta se ne verificano i consensi nell'urna elettorale.
E' indubbio che lo spostamento a destra dell'asse politico del PD renziano apra ampi spazi a sinistra, ma questi spazi devono essere occupati velocemente e presidiati con ferrea determinazione. E oggi SEL non sta facendo niente di tutto questo.
L'adesione al PSE: un gesto senza apparenti conseguenze politiche
Indecifrabile, poi, il significato dell'adesione al PSE. L'affermazione secondo cui questa adesione "non è ideologica" non ha alcun senso politico. Del tutto incomprensibili, poi, i richiami ad una "convenzione dei progressisti europei", che derubricherei alla voce "intrattenimento leggero" se non mi fosse ben chiaro che questo è l'ennesimo maldestro tentativo per blandire quanti si oppongono all'adesione di SEL al PSE.
Di certo nessuno che sia in possesso delle sue capacità mentali può essere seriamente convinto che SEL, un partito minore di un Paese in declino e senza grande peso internazionale, possa avere un ruolo di catalizzatore in un processo di riaggregazione su basi nuove e diverse della sinistra europea - di cui peraltro nessuno, all'interno della famiglia socialista europea, sente l'esigenza o vede la necessità.
Collocarsi in una famiglia politica europea non è come scegliere la squadra del cuore, o l'automobile che si intende acquistare, o dove andare in vacanza. Scegliere una collocazione sulla scena politica internazionale ha un significato solo. O almeno, dovrebbe averlo. Significa adottare una ben precisa piattaforma politica - proprio quello che, invece, i documenti congressuali sembrano voler escludere. Tema che, però, non abbiamo discusso a fondo.
E adottare la piattaforma politica del PSE dovrebbe avere una conseguenza logica ben precisa e immediata: portarci in rotta di collisione con il Partito Democratico. Perché questo, sia storicamente che, a maggior ragione oggi, con la segreteria Renzi, rappresenta posizioni antitetiche o eccentriche rispetto a quelle di qualunque partito socialista, socialdemocratico o laburista d'Europa.
Purtroppo SEL sta perfezionando l'adesione al PSE con lo spirito di chi, così facendo, pensa al più di "potersi confrontare in Europa" e di ricevere definitivamente la patente di partito della "sinistra di governo", come se tutto ciò contasse qualcosa per i nostri (pochi) elettori.
Allo stato attuale, questa adesione - se mai verrà perfezionata, cosa che oggi pare probabile, ma non si sa mai... - non ha nessun significato e non avrà nessuna conseguenza dal punto di vista politico.
E per quanto mi riguarda giudico in modo estremamente negativo il fatto che il nostro dibattito congressuale abbia trattato la questione in termini superficiali.
L'isolamento del partito, le possibili risposte organizzative, le prossime tornate elettorali
Il mio sconcerto è massimo quando si va ad affrontare il tema della preparazione alle elezioni europee, cui arriveremo entro sei mesi, e alle elezioni politiche che, probabilmente, si terranno nel 2015.
Al congresso milanese hanno partecipato, in rappresentanza delle "forze sociali e politiche milanesi", le delegazioni della CGIL, dei Comitati per Milano e di Rifondazione Comunista. Il disinteresse del Partito Democratico è stato reso evidente dalla assenza di una qualsiasi delegazione - assenza giustificabile, ma non so quanto credibilmente giustificata, dalle celebrazioni per l'Avvento renziano che si sono tenute, proprio in questi giorni, a Milano.
La "sinistra ampia e diffusa" di cui di tanto in tanto si è vagheggiato in passato pare esistere solo nelle evocazioni di alcuni. Di certo quella milanese, se esiste, durante questo week-end aveva altro di meglio da fare, o forse non ritiene che il nostro partito sia una sponda affidabile e significativa.
La mia conclusione è che queste due giornate congressuali abbiamo dato la conferma dell'isolamento già registrato a Roma, in Piazza Santi Apostoli; e immediatamente dopo, a Milano, a quella ben più sconcertante iniziativa all'Auditorium di Radio Popolare.
Una forza politica che si ponga il problema di uscire da una condizione di minorità avrebbe dovuto analizzare le ragioni del suo oggettivo isolamento, nella politica e nella società. Nulla di tutto questo è avvenuto. L'isolamento è stato esorcizzato con i richiami alla prossima maggiore "apertura" del partito, ma ignorare i problemi non è certo il modo migliore per risolverli.
La presentazione di due ordini del giorno che ponevano questioni relative all'organizzazione del partito è stata accolta con tiepido interesse, se non addirittura con stupore. Il partito, almeno quello milanese, non sembra pronto a discutere di certi temi, e avrebbe preferito rinviare ogni discussione a una futura "conferenza nazionale d'organizzazione". Un modo elegante per fare quello che di solito fanno gli struzzi: mettere la testa sotto la sabbia di fronte a un pericolo imminente.
Come dicevo, lascia sconcertati il fatto che il tema organizzativo, che non è banale, e ha invece molto a che fare con il futuro di questo partito, sia stato quasi del tutto assente dal dibattito congressuale, e sia stato liquidato nel tradizionale, ma certo non esauriente né esaustivo alternarsi di un intervento di 5 minuti a presentazione di un OdG e di due interventi di 1 minuto a favore e contro.
Per quanto riguarda più specificamente le due tornate elettorali prossime venture, non vedo molte ragioni di ottimismo.
Dopo le affermazioni di Gennaro Migliore, che solo qualche settimana fa immaginava possibile realizzare, in occasione delle elezioni europee un'operazione "Europa Bene Comune", fotocopia della sventurata "Italia bene Comune", trovo oggi assai poco rassicuranti le rassicurazioni di Fabio Mussi, che credo intendesse rispondere a una mia domanda diretta quando ha dato per certo il fatto che le liste che SEL presenterà con il proprio simbolo includeranno "candidati esterni provenienti dalla società civile".
Purtroppo la risposta di Fabio Mussi mi fa pensare che le elezioni europee e l'adesione al PSE non saranno l'occasione per verificare la possibilità di un ampliamento del perimetro in cui SEL si muove. Al momento nessuna operazione politica particolarmente significativa pare essere stata messa in cantiere. Né verso la società civile, quella che potrebbe cercare una sponda in un partito della sinistra di governo. Né verso quel variegato insieme di soggetti politici o economico-sociali che pure potrebbero riconoscersi in una piattaforma politica simile a quella del PSE.
Ovviamente tutte le considerazioni fatte sopra su autonomia politica e rapporti con il Partito Democratico rendono assai confuso e per nulla promettente il quadro per le probabili politiche del 2015.
Un discorso a parte merita il fatto che non si sia discusso della posizione del partito in tema di legge elettorale, un argomento che, invece, torna periodicamente e prepotentemente al centro del dibattito pubblico.
L'unica cosa che mi pare di aver capito è che almeno due iscritti al nostro partito siano a favore del ritorno al "Mattarellum". Il nostro capogruppo alla Camera, Gennaro Migliore, lo ha detto chiaramente. Le elucubrazioni del nostro Presidente Nazionale Nichi Vendola, per contro, necessitano di un maggior sforzo di comprensione, perché i suoi favori andrebbero a sistemi che "favoriscano le coalizioni in uno schema bipolare, non bipartitico". Vendola pare invece ostile ad un ritorno al proporzionale, visto, chissà perché, come una condanna eterna alle "larghe coalizioni" - uno scenario che, però, dovrebbe porre più problemi al PD che non a noi.
In che modo la necessità di accordi di coalizione o di patti di desistenza - che un maggioritario basato su collegi uninominali renderebbe necessari - possa conciliarsi con il mantenimento di una residua autonomia politica mi è del tutto oscuro.
Mi fermo qui, perché il tema, ignorato dal dibattito congressuale, meriterebbe ben altri approfondimenti. Osservo solo che è curioso che in una fase come questa, e su una questione di tale peso, sia impossibile decifrare la linea del partito, nazionale o milanese, e ci siano ignote le opinioni dei nostri delegati ai congressi regionale e nazionale e, in generale, del gruppo dirigente milanese.
In compenso, però, dopo la due giorni congressuale ci è ben chiaro quali siano le posizioni di molte compagne e compagni relativamente a temi quali la vivisezione e la legalizzazione della prostituzione...
Conclusioni
Non occorre il genio della lampada per azzardare previsioni. Senza un deciso cambio di passo, di cui però al momento non si vedono né le condizioni, né gli attori protagonisti, questo partito si presenterà alle elezioni europee isolato, e assai poco credibile nelle sue affermazioni di autonomia e non subalternità rispetto al PD.
E' dubbio che, come in occasione di alcune recenti tornare amministrative, il numero degli astenuti e delle schede bianche e nulle sarà elevato. Il tema dell'Europa è tema rovente, le elezioni sono regolate da una legge elettorale proporzionale, ed è quindi prevedibile che la campagna elettorale sarà condotta con toni accesi e fortemente polarizzanti.
In questo caso, è molto probabile che il partito ottenga un risultato pessimo, il che a sua volta abbatterà la sua residua credibilità in vista delle elezioni politiche del 2015.
Questa la mia posizione, per quello che può interessare.
Nei prossimi mesi valuterò con grande attenzione la capacità del partito milanese e, soprattutto, nazionale nel dare risposte di senso compiuto sui temi che ho sollevato. E valuterò il senso che può avere il condurre una battaglia politica all'interno del partito, su una posizione che affermi con forza la nostra autonomia politica nel quadro di un rapporto di durissima competizione con il Partito Democratico, con cui sono possibili solo alleanze elettorali ma che strategicamente è altro da noi, operando nel suo stesso spazio elettorale, anche sfruttando al meglio l'adesione alla famiglia socialista europea.
Tuttavia svuotare l'oceano con un secchio bucato non è tra i miei passatempi preferiti: se questa linea rendesse conto di una posizione assolutamente isolata e personale me ne farò una ragione, e ne trarrò le dovute conseguenze.
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