domenica 18 marzo 2012

Peppe Giudice: Io e il socialismo francese

IO ED IL SOCIALISMO FRANCESE





La mia generazione di militanti socialisti è stata molto influenzata dalla cultura politica del socialismo francese. Lo voglio ribadire oggi che la possibile vittoria di Francois Hollande può rappresentare un punto di svolta nella politica europea, nonché la concreta ripresa del socialismo e della sinistra democratica in Europa.

Che la Francia sia stata una nazione speciale in Europa è un dato: la Rivoluzione Francese costituisce uno spartiacque storico: la politica e la democrazia moderna di lì hanno inizio. La Francia è la patria dei precursori del socialismo (Fourier, Saint Simon, Proudhon), in Francia (insieme all’Inghilterra ed al Belgio) sono sorte le prime società operaie, quindi il primo nucleo del movimento operaio e socialista. Con Cartesio nasce la filosofia moderna che ha il suo sviluppo nell’illuminismo. Lì nasce una idea della modernità molto diversa da quella utilitaristica (e spesso darwinista) del mondo anglosassone. Basata sull’universalismo dell’idea repubblicana di cittadinanza. La stessa filosofia classica tedesca (da Kant a Hegel a Marx ) ha le sue basi primarie in Francia.

Negli anni 70, dopo la sua riunificazione, il socialismo francese sviluppò una approfondita elaborazione culturale che ebbe una interazione positiva con l’autonomismo socialista pre-craxiano: Lombardi, Giolitti, De Martino. Anzi Lombardi fu per molti socialisti francesi un punto di riferimento ideologico essenziale. Riccardo ebbe più fortuna in Francia , terra del razionalismo, che in Italia terra dello storicismo giustificazionista (un po’ paraculo).

Proprio Gilles Martinet , uno dei più attenti esegeti di Lombardi (suo è il termine “riformismo rivoluzionario” da lui attribuito al pensiero lombardiano) mi fece conoscere approfonditamente il socialismo francese, i suoi pregi ed i suoi difetti.

Martinet è stato uno dei teorici e degli storici più importanti del socialismo e dell’intera sinistra francese. Ed un profondo conoscitore della sinistra italiana: sua moglie era la figlia di Bruno Buozzi.

Ed ha scritto molti libri ed una valanga di articoli (oltre ad essere stato uno dei più apprezzati dirigenti del PSF).

Ne ho letti molti. E lui e Lombardi hanno significativamente influito sulla mia formazione politica.

Martinet non nascondeva i molti difetti del socialismo transalpino. Primo di tutto i limiti di radicamento (che faceva da contraltare alla grande fortuna elettorale). Lui diceva che in Francia la gente difficilmente prende la tessera di un partito o di un sindacato. Infatti in Francia ci sono tre sindacati , uno ex comunista , la CGT e gli altri due socialisti, Force Ouviere e la CFDT. Ma insieme non superano i quattro milioni di iscritti. La stessa Confindustria francese organizza appena il 10% delle imprese medie e grandi. Ma, aggiungeva Martinet, i francesi sono pronti a scendere in piazza ed a paralizzare il paese se le battaglie del sindacato vengono vissute come giuste. Martinet faceva inoltre un parallelismo tra il PS francese e quello vicino del Belgio, il quale pur essendo ideologicamente vicino a quello francese (ed a quello italiano) aveva un grande radicamento in termini di tesseramento e soprattutto una forte a radicata organizzazione sindacale ed un ancor più forte movimento cooperativo.

Come contraltare i pregi del socialismo d’oltralpe stanno in una permanente tensione progettuale ed in una grande capacità di analisi critica. Che sono il prodotto della cultura razionalista che cerca sempre di prospettare in positivo ogni istanza critica.

La sinistra francese socialista libertaria è ricchissima di suggestioni. Basti pensare alla rivista “Socialisme ou Barbarie” di Castoriadis e Lefort due intellettuali di matrice luxemburghiana. In essa fu formulata la critica più radicale e di sinistra al leninismo, visto come una variante dell’ideologia borghese. Nei paesi a sviluppo capitalistico ritardato il partito di avanguardia è la prefigurazione della nuova classe dominante fondata sul capitalismo burocratico di stato che persegue con mezzi diversi gli stessi fini del capitalismo. E questa credo che sia uno dei fondamenti più radicali di una critica al comunismo o socialismo reale che non voglia far proprie le categorie liberali.

La critica contestuale al liberalismo ed al leninismo è uno dei fondamenti del mio modo di vedere il socialismo.

Negli anni 70 era diffusa la sensazione (poi rivelatasi errata) che il capitalismo fosse giunto al capolinea. La crisi energetica, l’aumento del costo delle materie prime, parevano aver esaurito il ciclo espansivo ininterrotto dal 1945. E pertanto si poneva il tema di indicare un progetto socialista radicalmente diverso da quello comunista e leninista. Sia i francesi che Lombardi (ma anche Olof Palme) videro nella transizione democratica al socialismo autogestionario la via di uscita. Ma anche se poi furono cancellate dall’agenda, alcune di quelle tesi possono tornare di attualità.

Gli anni 80 fu il periodo in cui iniziò invece una poderosa restaurazione capitalistica. Lombardi ne aveva visto le premesse nella capacità del capitale di utilizzare a proprio vantaggio le innovazioni tecnologiche nel campo dell’elettronica e dell’informatica. E successivamente nella liberalizzazione del movimenti di capitale (la globalizzazione) su cui si è basata la finanziarizzazione strutturale del capitalismo. Gran parte delle socialdemocrazie non seppero leggere ed interpretare in tempo tali mutazioni. Di qui il loro parziale declino. E c’è da dire, che mentre i socialisti italiani degli anni 80 si rimbeccillirono sulla modernizzazione martelliana (meriti e bisogni) ed il PCI non fu capace di uscire fuori dal conservatorismo della cultura togliattiana, nel PS francese un settore mantenne uno spirito critico che seppe vedere le contraddizioni della modernità. Lo stesso Lafontaine nella SPD fu molto influenzato dalle analisi dei francesi. Non a caso la revisione del programma di Godesberg negli anni 80 (voluta da Lafontaine) accoglieva molti elementi della riflessione francese.

Due grandi storici del socialismo, Massimo Salvadori e Gaetano Arfè, mi fecero poi capire, negli anni 80, che la contrapposizione tra socialismo latino e nordico, poi non aveva gran senso. Che si trattava piuttosto di mettere insieme gli elementi positivi di entrambi. Per questo poi approfondii anche le socialdemocrazie mittle e nord europee (e vi trovai molti elementi di straordinario interesse).

Ma c’è da dire che il socialismo francese e belga hanno avuto di nuovo ragione negli anni 90 quando da sole (insieme a Lafontaine) si sono opposte ad un europeismo di maniera ed ad un globalismo ingenuo. Intanto prospettando serie perplessità su una unificazione rapida della Germania (i costi di quella unificazione – che ha comunque ha creato una sorta di Mezzogiorno interno alla Germania – sono stati scaricati su tutta l’Europa), opponendosi all’ingresso di Cina e Russia nel WTO (senza clausole sociali e politiche) e poi opponendosi alla follia di un allargamento all’est (che avvantaggiava solo la Germania). Delocalizzazione, dumping sociale, questi gli effetti perversi. Tutti questi fatti si sono ritorti contro la socialdemocrazia, minacciando concretamente il modello sociale europeo e favorendo l’ascesa dei partiti xenofobi che hanno guadagnato molti consensi tra lavoratori e ceti popolari. La crisi della socialdemocrazia sta nella superficialità con cui ha affrontato male temi strutturali. Per non parlare poi dei postcomunisti italiano che da neofiti del liberalismo hanno addirittura teorizzato l’Ulivo Mondiale.

Per questo la vittoria di Hollande può avere grande valore politico nello staccare del tutto la socialdemocrazia europea dall’Europeismo di maniera (tutto a vantaggio della Germania) e dal globalismo ingenuo. Oggi de-finanziarizzazione e de-globalizzazione (intesa come vincoli più stringenti ai movimenti di capitale) sono le direttrici su cui si può incamminare una alternativa progressista ma a forte connotazione socialista (cari amici del PD). Con tutto questo non c’entra l’internazionalismo. Otto Bauer, nel 1914 metteva in evidenza la profonda differenza tra il cosmopolitismo borghese-liberale e l’internazionalismo operaio e socialista. Il primo oggi è espresso dalla dittatura del capitalismo finanziario. Il secondo lo potremo favorire se difendiamo e rafforziamo il modello sociale europeo che solo se consolidato potrà espandersi. Ciò potrà avvenire solo ridisegnando l’Europa attuale (via l’Est!) – imposizioni di clausole sociali nel commercio internazionale.



Peppe Giudice

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