UN TENTATIVO DI VALUTAZIONE POLITICA SULLA POSIZIONE DELLA CGIL
Al di là del merito relativo all’esito della trattativa tra Governo e parti sociali al riguardo della legislazione afferente il mercato del lavoro, il cui esito può ben essere considerato come quello del superamento dello Statuto dei Lavoratori inteso come atto emblematico di un’intera stagione di lotte e di riforme, ormai definitivamente archiviata, appare necessaria una valutazione di tipo più propriamente politico, riferendoci alla posizione assunta dalla CGIL e resa ancor più forte dalla decisione del Comitato Direttivo di proclamare otto ore di sciopero generale.
Sul senso complessivo di questo confronto è già stato scritto ma mi permetto di ritornarci in modo molto sintetico: questa crisi (di cui non è il caso di ricordare gli elementi scatenanti, ma che ha avuto origine dall’ondata neoliberista degli anni’80, da un gigantesco processo di finanziarizzazione dell’economia a livello globale, dalla costruzione dell’Europa delle banche, ma anche da tanti altri fattori) ha fornito spunto, nel “caso italiano” ma anche altrove, ai sempiterni ceti dominanti di portare avanti, su di un terreno esclusivamente ideologico (a proposito della tanto sbandierata “morte delle ideologie” a uso e consumo della propaganda avversa al movimento operaio) per ristabilire quelle che sono già state definite “condizioni di classe”, riportando all’indietro nel tempo rapporti di forza assolutamente sbilanciati a favore del Capitale, in una fase molto complessa e all’interno di una società articolata, della quale, da parte degli stessi ceti dominanti, vanno “disciplinate” le domande non solo sul piano economico, ma soprattutto sul piano della democrazia e delle possibilità di partecipazione politica.
Nel corso di questa trattativa il gruppo dirigente della CGIL, pur tra esitazioni e ritardi “storici” (non ripercorro qui la storia sindacale degli ultimi 30 anni, dal decreto di San Valentino a oggi: ma ne varrebbe la pena) ha avvertito questo stato di cose (mentre il “caso italiano” appare ormai un “caso” perché collocato alla coda delle vicende europee) e non ha fatto altro che “delimitare il campo”, ritornando proprio a stabilire determinate e precise condizioni di appartenenza sociale e di rappresentanza sindacale.
La CGIL, insomma, ha scelto di non isolarsi dalla propria base sociale e di rappresentarla su di un piano più ampio di quello strettamente sindacale anche al riguardo della mutata articolazione sociale.
Nel far questo, però, la CGIL ha concretamente assunto una funzione di “supplenza” della politica.
Questo elemento, della supplenza, è emerso con grande chiarezza in questi giorni, rendendo ancora più palese (se mai fosse stato possibile) il vuoto politico in cui ci stiamo trovando a sinistra a causa dell’assenza di un soggetto politico nella sinistra italiana che faccia preciso riferimento al movimento dei lavoratori.
Il rapporto diretto con il movimento dei lavoratori, pur nella complessità delle contraddizioni sociali dell’oggi, è la sola strada per ricostruire un soggetto politico fondato su basi di massa, in alternativa immediata con i modelli deleteri del “partito pigliatutti” e del “partito-elettorale-personale” in questo momento disgraziatamente egemoni nel campo democratico e nella sinistra.
Un soggetto politico fondato sulle parti migliori della nostra storia, in grado di porsi l’obiettivo di colmare il vuoto dell’esistente, senza interrogarsi su chi avesse ragione novanta, sessanta o trent’anni fa: in realtà avevamo tutti torto, considerato che ci ritroviamo la destra dei “padroni del vapore” al comando, capace di passare tranquillamente dalla versione populistica (pericolosissima) a quella tecnocratica (meno pericolosa?).
Un riferimento, quello riguardante il movimento dei lavoratori (che ovviamente comprende disoccupati, precari e pensionati, come si diceva una volta: “d’ambo i sessi”) che, ancora qualche settimana fa appariva del tutto limitato e limitante nell’accezione superficiale dei più, ma che oggi mi pare s’imponga con grande chiarezza ed efficacia anche in relazione alle esigenze di sintesi che pure vengono avanti dai diversi movimenti sociali presenti nel Paese, come ad esempio quello dei cosiddetti “benicomunisti” (a questo proposito, sul piano teorico, hanno già risposto bene alcuni proponendo di non andare “oltre” a Marx e a Keynes).
Potrà essere possibile, allora, partendo da questo punto pensare a una ricostruzione di concreta rappresentatività politica capace di misurarsi, da subito, con le novità che il prevedibile riallineamento complessivo del nostro sistema politico presenteranno sulla scena nel breve periodo?
L’occasione del “ricominciare” che dovrebbe realizzarsi nell’occasione del 120 anni dalla fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani (poi dal 1893 Partito Socialista) potrebbe essere colta anche nella direzione che ho cercato di ribadire anche questa volta, ripetendo l’assunto che “alla sinistra italiana va ricordato di essere ancora priva di un adeguato soggetto politico”.
Savona, li 21 marzo 2012 Franco Astengo
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