domenica 18 marzo 2012

Felice Besostri: Appello ai sindaci

«Cara Signora, Caro Signor Sindaco,
la Prima Commissione, Affari Costituzionali del Senato, ha ancora due giorni di lavoro, Giovedì 22 marzo la modifica costituzionale sarà definitiva.
Sono solo quattro articoli, ma lo Repubblica italiana, come disegnata dalla Costituzione non sarà più la stessa, con le sue peculiarità aveva dato origine ad una Forma di Stato, definita in dottrina come Stato delle Autonomie, che aveva avuto il suo coronamento con le modifiche costituzionali della Parte Seconda Titolo V del 2001. Il dibattito è stato polarizzato soltanto sull’art. 81 Cost., come si trattasse di definire in Costituzione politiche e teorie economiche, che è comunque un errore, a prescindere dalle proprie preferenze.

Lo Stato perseguirà il pareggio, ma a spese di Regioni, Province e soprattutto dei Comuni. Dimenticatevi i concetti di autonomia come enunciati dall’art. 5 della Costituzione, che apparentemente non viene toccato, ma svuotato di significato. Siamo chiari un intervento per ridurre i deficit delle pubbliche amministrazioni era necessario: la nostra preoccupazione è che nessuna delle cause strutturali è rimossa, in primo luogo l’evasione fiscale e previdenziale, i costi della corruzione e del clientelismo e del parassitismo della criminalità organizzata. Inoltre la discrasia tra le competenze e funzioni trasferite, dallo Stato alle Regioni e da queste o direttamente ai Comuni, e i mezzi finanziari per farvi fronte ha pesato sulla finanza locale. Il numero dei Comuni potrebbe essere ridotto, ma non in modo autoritario e senza tener conto che in caso di aggregazione, con l’attuale sistema elettorale maggioritario e con riduzione del numero dei consiglieri, le Comunità preesistenti sarebbero tagliate fuori da ogni rappresentanza. Le disposizioni di principio restano formalmente in vigore. L’art. 119 Cost. recita ancora “I Comuni, le Province ,le Città Metropolitane e le Regioni hanno autonomia di entrata e di spesa “, ma si aggiungerà “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea “.
I comuni virtuosi non saranno premiati perché la loro capacità di “ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento” con la riforma del sesto comma dell’articolo 119 Cost non solo lo potranno fare, giustamente, “con la contestuale definizione di piani di ammortamento”, ma anche “a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio”.
La nostra Costituzione, fosse stato rispettato l’ultimo comma dell’art. 81 nel testo vigente ( “Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”)avrebbe dovuto impedire la formazione dell’ingente debito pubblico, che ora si vuol ridurre non con virtuose pratiche di finanza pubblica e politica economica ed industriale, ma con l’accetta di parametri stabiliti in sede europea in vertici di capi di Stato o governo senza dover rispondere né ai propri Parlamenti, né al Parlamento Europeo: vi è quindi anche un problema di democrazia e di sovranità nazionale, altrettanto importante dell’affidabilità per i mercati finanziari, se non di più per chi pone al centro la persona con i suoi diritti umani, civici e politici, conquista della nostra civiltà.

Per di più le ricette europee non stanno funzionando, in Grecia, Portogallo e Spagna il rapporto deficit/PIL continua a crescere. In uno Stato ordinato ed efficiente questi vincoli all’autonomia degli enti locali, cellula base della partecipazione cittadina all’amministrazione pubblica e agli affari della propria Comunità, si pongono con legge ordinaria ed infatti sono già previsti i bilanci obbligatoriamente in pareggio e i limiti di spesa con il famigerato patto di stabilità, nonché la responsabilità erariale personale degli amministratori per i debiti fuori bilancio o le spese irragionevoli o illegittime. Bisognava piuttosto organizzare controlli d’efficienza e d’efficacia della spesa, da accompagnare a quelli di legalità, piuttosto che abolire ogni controllo tempestivo degli organi regionali di controllo, già previsti dall’art. 130 Cost. e abrogati con la legge costituzionale n. 3/2001. Una malintesa autonomia sta provocando ora la sua totale abrogazione.
Non è possibile arrestare la macchina, la modifica costituzionale è già stata licenziata due volte dalla Camera dei Deputati e una volta dal Senato della Repubblica, le formazioni che appoggiano il Governo l’hanno approvata e anche gruppi parlamentari in dissenso, ma per rispetto del popolo sovrano e come anticipazione delle numerose proposte di modifica dell’art. 138 Cost., che prevedono il referendum confermativo obbligatorio per ogni modifica costituzionale, chiedete con forza, che l’approvazione non avvenga con la maggioranza qualificata dei due terzi (2/3) dei componenti della Camere: per lasciare spazio a un’eventuale richiesta di referendum, da parte di 126 Deputati, 64 Senatori, 500.000 elettori o cinque Consigli Regionali.

L’interesse della Nazione prescritto dall’art. 67 Cost. è un dovere anche per parlamentari nominati grazie alle liste boccate e non eletti e una conferma popolare della modifica costituzionale da loro adottata è un modo per legittimarsi restituendo l’ultima parola ai cittadini e alle cittadine, gli stessi che hanno eletto i loro Sindaci e che eleggeranno il nuovo Parlamento. Si spera che le prossime elezioni politiche si facciano con una legge conforme a Costituzione, se la Corte d’Appello di Milano, il prossimo 22 marzo la rinviasse alla Corte Costituzionale come richiesto da 27 cittadini elettori, ai quali ho l’onore di appartenere. Il giorno 22 marzo rischia di essere una data triplicemente fatidica: è la data finale delle 5 Giornate di Milano, dell’invio alla Corte Costituzionale della legge elettorale e dell’approvazione definitiva di una riforma costituzionale, che modifica senza un largo dibattito nella società la forma di Stato delle Autonomie disegnato dai nostri Costituenti nel 1948 e rafforzato coni il consenso del Popolo nel 2001.
In coscienza fossi ancora in Senato non voterei questa riforma, perché sono stato Sindaco di un piccolo paese di 1200 abitanti e mi identifico in gran parte con la tradizione municipale del socialismo riformista milanese. Scrivete ai parlamentari delle vostre circoscrizione provinciali, ma soprattutto ai Senatori della vostra Regione, usate tutti gli strumenti di comunicazione, cui avete acceso per chiedere nell’interesse dei vostri concittadini e delle vostre concittadine: cari Senatori non approvate le modifiche alla Costituzione con la maggioranza dei 2/3, lasciate l’ultima parola a chi sta pagando e pagherà il costo del risanamento.

Con forte solidarietà con la Vostra causa
Felice C. Besostri
Senato della Repubblica, Commissione Affari Costituzionali XIII legislatura
Sindaco di Borgo San Giovanni (1983-1988)
Vice presidente vicario Commissione Ambiente, Pianificazione Territoriale e Collettività Locali dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (1996-2001)

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