Note su Fini e il suo percorso. Dieci brevi osservazioni
Stefano Rolando
15 dicembre 2010
1. C’era una volta l’MSI. Era fatto di vecchi nostalgici e di giovani facinorosi. Quel partito era morto, costituzionalmente marginale, politicamente senza proposta. E’ stato salvato dall’intuizione che Berlusconi – per pragmatismo, magari cinico – ha avuto prima degli altri sul maggioritario. La conseguenza di quel salvataggio è stato l’allineamento di Fini a Berlusconi, durato a lungo.
2. Poi la svolta di Fiuggi e la creazione di AN per mettere un vestito a una possibile eredità. Un vestito portabile al giorno d’oggi. Senza fez e camice nere. Questa cosa non è stata digerita dal “cuore” del vecchio MSI, ma è stata condivisa da colonnelli ben interessati al potere. In tempo due questi colonnelli – potere per potere – hanno scelto il potere sostanziale di Berlusconi e non quello potenziale di Fini.
3. Nell’ultimo tratto di strada – ma solo nell’ultimo tratto di strada – Fini si è trovato imbalsamato come presidente della Camera e abbandonato dalla sua vecchia gerarchia post-fascista. Senza scampo. Doveva dunque agire politicamente, cioè trovare uno spazio. Già un miracolo avere messo in campo la sua cinquantina di parlamentari e una un po’ frettolosa ma interessante “linea”.
4. Per avere identità visibile (secondo le regole dei media oggi) questo “gruppo” ha però sostanzialmente seguito la via della sinistra. Quella di preferire l’antiberlusconismo ad una chiara identità politica (al di là delle formule sulla “destra europea, eccetera, eccetera”). E la strada dell’antiberlusconismo a Berlusconi piace quando è coltivata dalla parte avversa, in particolare quando è virulenta (Di Pietro). Non piace quando è coltivata nella sua maggioranza.
5. Alla fine l’esplosione del vecchio MSI, ovvero della transitoria AN, anziché esprimere un nuovo vero soggetto politico (o anche nuovi soggetti politici) ha espresso un troncone berlusconiano e un troncone antiberlusconiano. Alla prima conta ha vinto – male, di poco, con mercimoni – il troncone berlusconiano. Il più ilare alla Camera era, sguaiatamente per il ruolo istituzionale che ricopre il ministro della Difesa, Ignazio La Russa.
6. Vero è che in una stagione politica in cui è stata snaturata la politica, la stagione del “bunga bunga” e dell’estrema “soggettivizzazione” del “caso Italia” (protagonismo smodato del premier, evaporazione dell’opposizione), è stata l’esplosione del vecchio troncone di AN a restituire connotati “politici” alla cronaca del palazzo.
7. Lo scontro tra le due anime di AN è diventata così metafora dell’antagonismo stesso di ciò che oggi si intende per “partiti”. Da un lato il partito valoriale, che coniuga tradizione e teoria, che cerca di esprimere appartenenze con qualche forma di coerenza. Dall’altro lato il comitato elettorale che esprime obbedienza al leader e organizzazione del posizionamento personale nella sfera degli interessi. Detto così è un po’ estremizzato, ma rende l’idea circa la tendenza in atto. Molti cercano di collocarsi a metà strada., Ma è lì’ che nascono i conflitti.
8. Uno “scontro” storico i fascisti lo avevano espresso nella storia d’Italia. Ne fu simbolo il “processo di Verona” e la fucilazione di Ciano e di molti gerarchi della prima ora. Esso fu la conseguenza del 25 luglio e della rivolta di palazzo contro il Duce. Il paragone è ritornato di moda nella descrizione della vicenda di Fini. Un po’ cogliendo somiglianze, un po’ non essendo più possibile paragoni.
9. La conta del 14 dicembre – anche se vale la sostanza del giudizio sulla “vittoria di Pirro” – è una vittoria psicologica, mediatica e politica di un uomo considerato finito e che proprio grazie al fatto di rivelare sempre – anche se a volte attraverso il fondo “nero” della politica e degli affari – le sue “sette vite” si consegna ad una visione magica e miracolista che alimenta il suo mito e, in questo caso, sconfigge l’immagine dello sfidante.
10. A Fini non resta ora che la lunga traversata del deserto. La formazione di un partito. L’investimento sulla sua fondazione e sui suoi gruppi culturali (da Campi a Croppi). Il duro e costoso radicamento territoriale. Il disegno di obiettivi di medio e lungo periodo. La tessitura internazionale. E si vedrà tra non meno di tre anni se saprà ribaltare la sconfitta del 14 dicembre.
2 commenti:
mi domando se proprio alla luce dell'ultimo punto della nota non sarebbe il caso che fini lasciasse la presidenza della camera.So bene che sarebbe un favore a berlusconi,ma possiamo accettare in mezzo a tutti gli strappi istituzionali di berlusconi
Se Fini fosse un po' meno narcisista comprenderebbe che la carica di Presidente della Camera gli tarpa le ali e non solo da oggi.
Purtroppo per lui i suoi neo-colonnelli sono al di sotto della media (ed anche quelli precedenti a dire la verità) e in molti casi straparlano a vanvera, ma soprattutto non hanno la stoffa di leaders (forse l'unico che ce l'ha veramente è Della Vedova)
Da libero battitore farebbe un male tremendo a SB.
Dario Allamano
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