Avevo titolato una mia precedente mail sul caso FIAT "Fiat ultimo atto",
titolo questa mail "Fiat anno 0"
perchè ieri si è chiusa una fase ed oggi se ne apre un'altra nelle relazioni industriali e sindacali.
Se non vi tedio troppo vorrei dare una mia particolare lettura di quanto è avvenuto e sta avvenendo nel mondo torinese, cercando di leggere l'accordo separato di ieri con la serena obiettività di chi l'aveva previsto e che aveva tentato di fare quel poco che poteva per evitarlo.
La Politica di FIAT
La prima domanda che dobbiamo porci è: "l'investimento di 1 milardo di euro a Torino è positivo o no?".
Secondo me è positivo perchè comunque mette in circolo, in una città in piena crisi economica, una massa di denaro utile per rilanciare tutte le attività economiche, e questo vale per Torino come per tutti gli altri siti in cui FIAT investe.
Ma soprattutto è importante perchè una azienda che investe pianta radici per davvero (e non solo a parole), e tende a restare sul sito perlomeno sino a che non avrà ammorizzato l'investimento (10 anni).
Sbaglia invece Marchionne a pensare di importare in Italia il modello americano tutto incentrato sull'azienda, è un modello che difficilmente attecchirà, anche perchè il modello europeo (l'economia sociale di mercato) ha dimostrato di funzionare bene anche nelle fasi di crisi, anzi funziona anche meglio del modello americano. In Europa nessuna azienda dell'auto è arrivata al quasi fallimento come CHrysler o GM.
Purtroppo Marchionne teme di farsi trovare all'uscita dalla crisi mondiale (che comunque è ancora lontana) a metà del guado, ben sopra i 2 milioni di auto ma molto sotto i 6 milioni che prevedeva come limite per stare sul mercato, e questo lo agita e lo induce a prendere scorciatoie, senza rispettare le forme di un modello di relazioni sindacali sedimentato nei decenni. Putroppo é dimostrato che le scorciatoie portano sempre verso inasprimenti sociali e politici non governabili, nemmeno con il pugno di ferro.
Valletta era molto più duro di M. , ridimensionò drasticamente la FIOM, ma dopo pochi anni la FIAT dovette fare il conto con il '69, allorchè si saldò l'alleanza tra il movimento studentesco del '68 e gli operai, eppure lui operava in una Italia molto più conservatrice dell'attuale.
La Storia dovrebbe sempre insegnare qualcosa ma temo che, anche se lo stabilimento di Pomigliano si chiama G.B. Vico, Marchionne abbia letto poco e male i corsi e ricorsi storici.
La Questione Sindacale
La nascita della newco, separa FIAT, più che dalla FIOM, da Confindustria, nasce il modello di relazioni sindacali modello americano, in cui esiste un solo sindacato "aziendale" (la UAW) ed in Italia il sindacato aziendale esiste già e si chiama FISMIC.
Temo che firmando l'accordo aziendale UILM e FIM abbiano firmato la loro condanna alla marginalità in FIAT.
Se è vero che Marchionne vuole guidare con polso fermo la fabbrica non gli servono tre o quattro sindacati ma uno solo, ed il suo sindacato di riferimento sarà FISMIC e farà di tutto per rafforzarlo.
L'errore più grande però l' ha fatto FIOM, e non l'ha fatto a Torino ma a Pomigliano, allorchè il referendum tra i lavoratori portò all'approvazione del Lodo Marchionne (60 a 40% mi pare). Fu in quella occasione che FIOM fallì, perchè, da sindacato che aveva fatto del REFERENDUM tra i lavoratori una bandiera, non comprese che aveva perso sul piano numerico, ma era diventata il riferimento di una platea molto più ampia dei proprii iscritti a Pomigliano, ed era una platea che chiedeva rappresentanza.
FIOM in quel momento doveva sedersi al tavolo e firmare l'accordo di Pomigliano, le battaglie di dettaglio poteva farle molto meglio restando dentro che non andando sdegnosamente sull'Aventino (e noi socialisti sappiamo che l'Aventino non produce mai niente di buono).
Purtroppo temo che i germi dell'antico bertinottismo di chi, per potersi tenere le mani pulite, non firma mai gli accordi siano ancora molto, troppo presenti nel corpo della FIOM.
La Questione Politica
Da quasi un anno si parla di FIAT e del piano Fabbrica Italia, in tutto questo tempo la politica italiana, ad ogni livello, non ha fatto nulla per capire cosa si nascondeva dietro la notizia dei 20 miliardi di euro di investimenti in Italia, ha detto, che era una questione tutta sindacale, da risolversi nella trattativa tra FIAT e sindacati.
Capisco che l'autonomia sindacale sia una cosa importante, ma era evidente che un Piano Industriale così importante non poteva, stante l'incapacità del Governo di nominare un nuovo Ministro dell'Industria, non coinvolgere almeno le Istituzioni locali, che qualche titolo di merito nei vari salvataggi di FIAT ce l'avevano, non ultimo la spesa con soldi pubblici (dei contribuenti) di 70 milioni per comprarsi un po' di capannoni vuoti a Mirafiori.
Più grave è peraltro il silenzio di questo ultimo mese dei Partiti torinesi di sinistra, che hanno brillato per la loro insipienza.
Nel momento in cui sarebbe stato necessario offrire una sponda politica ai sindacati, il PD ha passato il tempo a discutere di come fare le Primarie, a trescare per evitare la candidatura del Rettore del Politecnico ed a dividersi sui candidati per le primarie.
Vendola ha fatto una breve visita ad una marca di confine del suo reame per dire che la TAV va bene nella tratta Bari-Roma ma non va bene per connettere Torino a Lione con alcune generiche dichiarazioni di appoggio alle giuste rivendicazioni dei lavoratori, per poi rilanciarsi nella discussione sono il "più telegenico" ed il "miglior affabulatore" per cui voglio le Primarie per diventare leader del centro sinistra.
L'unica piccola, microscopica organizzazione che ha tentato di mettere attorno ad un tavolo i sindacalisti siamo stati noi delle associazioni torinesi del Gruppo di Volpedo durante il convegno organizzato da Labouratorio Buozzi del 27 novembre.
Noi socialisti del GdV continueremo con pervicacia e cocciutaggine a perseguire il nostro disegno politico dell'Unità Sindacale ad ogni costo, magari predicheremo nel deserto per molto tempo, ma l'Unità dei lavoratori è l'unica speranza che si può avere per rilanciare per davvero un centro sinistra che a Torino, e non solo, si è dimostrato ben al di sotto delle aspettative.
Nel momento in cui "salta" di fatto il Contratto Nazionale, emerge per noi socialisti una battaglia politica di lunga lena, il Contratto Europeo dell'Auto, dovrà essere la nostra cifra distintiva dei prossimi anni.
Da oggi in poi sospendiamo la ricerca del colpevole di una sconfitta e dedichiamoci a ricostruire qualcosa di positivo e di utile per chi si riconosce nei valori di eguaglianza, libertà e solidarietà.
Dario Allamano
35 commenti:
Caro Dario,
>altro che tediare, riflessioni utili ... però penso che dobbiamo - di
>necessità virtù - alcune questioni che tu sollevigiustamente ma in
>termini troppo generici.
>Economia sociale di mercato, ottimo riferimento, ma può essere inteso
>senza sostanza o con sostanza, vera o finta. Non a caso i sacconi di
>turno fanno discorsi di partecipazione agli utili, però senza una
>politica industriale, che non sia liberista già imposta da leggi
>nazionali sollecitate dall'U.E.
>Nel quadro liberista europeo e mondiale in cui siano costretti -
>appunto di necessità virtù - visto la la Fiat pretende responsabilità
>dai lavoratori ma alle sue sole condizioni che sono quelle del
>modello liberista e non quello del modello socialdemocratico alla
>tedesca, ebbene perchè proporre concretamente come GdV la Cogestione
>di cui all'art.44 della nostra carta costituzionale e così come è
>attuato da tempo in Germania ?Chiedere allora la responsabilità dei
>lavoratori allora in questo caso avrebbe un senso. Allora se anche su
>questo punto la Fiom fosse contraria allora non ci sarebbe dubbio che
>le sue pretese sono ancora quella della lotta di classe e non la
>difesa della CostituzApprofondiamo ?
>Un fraterno saluto.
>Luigi Fasce dal ritorno dall'Argentina
>PS
>Il prof di Torini ahimè immaturamente deceduto
>che ha fatto una relazione al congresso di SEL di Genova
>in favore del modello economico Tedesco pronunciandosi in favore
>della Codeterminazione alla tedesca è
>Massimo Roccella
>Univ Torino - Dip Scienze Giuridiche
>
caro dario ,a una prima riflessione ,non sono d'accordo.L'esclusione della fiom dalla rappresentanza aziendale è la spia di una vocazione autoritaria che va combattuta senza compromessi.Se dopo valletta ci fu il 68 e il 69,ci vuole qualcuno che difenda le basi per cambiare quello che sta succedendo.
Sono vere entrambe le cose: L'esclusione della FIOM e la spia di una vocazione autoritaria, ma l'eccessiva rigidità della FIOM porta in sè il germe della sconfitta. I riformisti giocano la partita al meglio con le carte che hanno, non buttano in aria il mazzo lasciando il tavolo da gioco...
La FIOM di Torino è minoritaria nella Fiom nazionale, che è minoritaria nella CGIL, che è minoritaria tra i lavoratori sindacalizzati, che sono minoritari nell'elettorato, come si è visto fin dal referendum sulla contingenza.
Quindi smitizziamo. Airaudo ha doti carismatiche, ma le aveva anche Bertinotti (il cui antico insegnamento continua a influenzare la FIOM di To) il quale si vantava di non avere firmato mai un accordo (che è la ragione per cui i lavoratori pagano il sindacato) forse perché convinto che il suo compito fosse di portare gli operai alla rivoluzione con scioperi continui...
Continuo a non condividere le posizioni di coloro che vivono di certezze. Soprattutto quando queste sono (facilmente) smentite dai fatti.
Non è vero che la Fiom di Torino sia minoritatia all'interno di quella nazionale. Così come è vero che, nonostante l'elevato numero di pensionati, la Cgil rappresenti, comunque, la maggioranza relativa dei lavoratori iscritti al sindacato. Sopratturro tra i metalmeccanici.
Il referendum del 1984 non ha nulla a che vedere con la situazione attuale.
Quello fu, soprattutto, uno scontro di natura "politica" e, in quanto tale, di nobile livello. Di là dalle specifiche posizioni di parte.
Non sono mai stato nè comunista nè bertinottiano. Posso quindi, senza temere l'accusa di partigianeria, affermare che Bertinotti non si è mai vantato di non aver firmato alcun accordo. Lo dicono in molti, ma è ormai solo una leggenda metropolitana.
Quanti ricordano che nel 1991, all'epoca dell'entrata in vigore della legge 223 - riforma della cassa integrazione e nascita della "mobilità" - il segretario nazionale della Cgil, responsabile del Dip.to Lavoro, era un certo Fausto Bertinotti?
Piuttosto, questo realizzato a Torino è solo l'ultimo tassello - in ordine di tempo - di un pazzle che trae origine dalla legge 30/03 e dal conseguente decreto 276/03.
Rappresenta la realizzazione di un disegno che si realizza nel segno del falso riformismo di Marco Biagi.
Se, piuttosto che affermare false certezze, si dedicasse un pò del proprio tempo alla lettura del Libro biaqnco del 2001, ci si accorgerebbe che i provvedimenti di legge adottati dai governi Berlusconi - sul tema del lavoro - erano già tutti previsti da Maroni e Biagi nel Libro del 2001.
Era sufficiente saper leggere per capire, già nel 2001, quello che si sarebbe realizzato negli anni successivi.
Tra l'altro, è opportuno evidenziare che manca ancora tanto da fare (dal loro punto di vista!).
All'uopo, è importante rilevare che il "riformista" Biagi - nel Libro bianco - oltre che di contratto nazionale ridotto a "quadro di riferimento", oltre che di salario aziendale prevalente su quello nazionale, oltre che di accordi "separati" e di revisione dello Statuto, già parlava di: salario minimo legale (all'americana), salario legato alla produttività aziendale e di natura "individuale", esigenza di intervenire rispetto alle prerogative dei giudici del lavoro, opportunità di estendere l'arbitrato (di equità), e di sostanziale ritorno alle vecchie "gabbie salariali"; seppure per macro-regioni!
La cosa che temo di più è che, purtroppo, Cisl e Uil saranno costrette a ricredersi sui vantaggi (effimeri e solo di immagine) conquistati oggi quando sarà, ormai, troppo tardi per risollevare le condizioni dei lavoratori italiani. Di tutti i lavoratori; non solo dei dipendenti di Pomigliano e Mirafiori!
Emarginare oggi la Fiom (e, con essa, la Cgil) consentirà - tra pochi anni - di "cancellare" ed ignorare la flebile voce di quelli che oggi (Cisl e Uil) vengono irretiti, con le lusinghe e gli accordi "separati", dalle vere e proprie trame governative. Forse è questa la sola "certezza" della quale preoccuparsi.
N.B. Non userei virgolette per il termine riformista se riferito a soggetti e provvedimenti quali quelli realizzati nel nostro Paese negli anni sessanta e settanta; con il primo centro-sinistra. In effetti, mi riesce del tutto impossibile usare, per Biagi, il termine riformista così come l'ho sempre usato per riferimi a compagni che si rispondevano a nomi quali: Giugni, Nenni, De Martino ed altri!
Cordialità, renato fioretti
Caro Renato, seguo il dibattito Fiom-Mirafiori con interesse e poche certezze. Personalmente mi viene difficile accettare una posizione oltranzista e tesa all'auto esclusione, ma sto provando (anche attraverso le vostre mail) a farmi un'idea non troppo influenzata dalla mia visione "aziendalista". Il tuo post xò mi impone una domanda: se, come affermi, era tutto scritto dallo 01 visto che tutto é stato portato a termine comunque e secondo programmi (con vari governi x altro), non sarebbe stato più efficace un sano confronto su principi e sulle loro implicazioni? Mal che fosse andata il risultato non sarebbe cambiato! Non conosco la fiom torinese, conosco quella lombarda da riformista mi é capitato troppo spesso di imbattermi in posizioni vecchie e incapaci di cogliere aperture o opportunità anche quando le stesse rappresentanze fiom in fabbrica lo chiedevano. Ultimamente é tornato in auge (da Sacconi come in fiom) un bla bla su partecipazione-cogestione sono temi che forse andrebbero utilizzati con minore superficialità ma entrambi chiedono dialogo e tavoli su cui aprire il confronto!
Magari ho alzato un po' i toni, ma non è accettabile la posizione di chi è così convinto di avere ragione che criminalizza gli altri sindacati e li denuncia come venduti.
Tutti i sindacati, e chi è più grosso ha più responsabilità, stanno scontando le colpe di non avere stretto collegamenti con gli altri sindacati dell'Unione europea e non avere capito il profondo cambiamento avvenuto nel mercato del lavoro. Che tende a essere fatto più di precari che di stabilizzati (in Spagna è già così) e che vede una maggiore mobilità anche tra gli operai stabilizzati, che non pensano di essere una categoria sociale stabile per il resto di una vita scandita da lotte operaie, ma spesso si considerano parcheggiati in attesa di meglio. Anche perché è cambiato il livello di istruzione degli operai.
Invece di criminalizzare dogmaticamente chi non la pensa come loro bene farebbe la Fiom a riprendere l'antico lavoro delle interviste operaie, cominciato nel momento peggiore degli anni 50, ma che preparò la riscossa del 62, che fu una sorpresa per i bonzi romani non per i quadri torinesi.
resta il fatto che il passaggio dalle rsu alle rsa segna un cambiamento pericolosissimo verso un ulteriore indebolimento dei sindacati e dei lavoratori.Questo al di là della geografia politico-sindacale tracciata da bellavita,che mi lascia piuttosto perplesso,spiega perchè la cgil sia più vicina alla fiom oggi che nella fase di pomigliano.L'accoglienza fatta a questo accordo da parte dei dirigenti torinesi del pd e del psi(?) senza sollevare almeno il problema della rappresentanza in fabbrica,costituisce un fatto molto grave che spero venga recuperato al più presto.Se no lascerà un segno di drammatiche conseguenze sull'autonomia culturale di questa sinistra dal peggiore neoliberismo.Sono francamente stupito che i ns compagni torinesi del druppo di volpedo preferiscano vecchi sarcasmi su bertinotti e la fiom piuttosto che riflettere su questo aspetto di principio e sulle conseguenze che tenderà a determinare sull'intera condizione del lavoro.Condivido l'analisi di renato sulla impostazione di biagi.Occorrerebbe solo aggiungere che la via era stata aperta dal pacchetto treu.Lo dico autocriticamente perchè mi sono trovato anch'io a sostenere alcune di quelle posizioni in nome di un riformismo che ha finito per smerciare solo le politiche dell'offerta derivanti dal cosiddetto Washington consensus.Il rispetto alla memoria di Biagi vittima del terrorismo non può fare velo al giudizio sulle sue proposte,così come la mia solidarietà verso Ichino ,più volte minacciato dalle b.r. non mi ha impedito di assumere un punto di vista critico verso le politiche sindacali da lui sostenute.
caro lanfranco, il nostro è, purtroppo, un paese dalla memoria corta ed angusta.
In effetti, quando si sostiene che la "flessibilità" e la "precarietà" siano state già prodotte dal c.d. "pacchetto" Treu, prima ancora di quella legge 30/03 che molti - a partire da Ichino - strumentalmente continuano a chiamare "Biaqgi", si dice una cosa che è vera solo in parte infinitesimale.
Tu sai bene - per averlo, come me, sostenuto - che il lavoro "interinale" di Treu - garantito e tutelato - avrebbe dovuto rivolgersi ad una "nicchia" del nostro mercato del lavoro.
Per rispondere ad esigenze reali - ed adeguate ai nuovi modi di produrre - delle aziende; senza, per questo, rappresentare la "deriva" costituita, in particolare, dalla "somministrazione a tempo indeterminato"!
Concordo sul fatto che la Treu rappresentò l'instaurazione di un "principio" potenzialmente molto pericoloso per le sorti dei lavoratori.
Ciò non toglie che tutto quanto realizzato dai governi Berlusconi - dopo l'approvazione del "Supermarket delle tipologie contrattuali" (leggi decreto 276/03) e, ancora prima, attraverso la riforma del tempo determinato - ha inteso "sanare" tutte le distorsioni createsi nel mercato del lavoro irregolare.
Con provvedimenti che, a mio parere, non hanno nulla a che spartire con il (troppo spesso richiamato) riformismo!
E' questo, in estrema sintesi, l'addebito che io rivolgo a Marco Biagi ed a quanti, come Ichino*, danno l'impressione di sposare la linea politica applicata da Berlusconi nella vicenda relativa al c.d. "falso in bilancio".
Un'opera grazie alla quale - in virtù di un provvedimento di legge ad hoc - quello che fino ad ieri era considerato un reato, viene "derubricato" o, addirittura, reso legale.
E' quanto, scientificamente, applicato attraverso le norme del "Collegato lavoro" e dello "Statuto dei lavori" che verrà.
Auguro, nonostante tutto, un buon 2011
Caro Lanfranco
i compagni/e torinesi del Gruppo di Volpedo non fanno "sarcasmi su Bertinotti e la Fiom", rilevano semplicemente che la FIOM si è progressivamente isolata su una posizione aventiniana, che questo fatto è grave per il mondo del lavoro e che secondo me questo arroccarsi è il figlio di una cultura, che io definisco bertinottiana, fatta di "principii" e di "diritti" e scarsamente attenta al realismo che ha sempre permeato il gli operai torinesi, che nel 1980 non presidiarono affatto in massa i cancelli della FIAT (lasciando l'incombenza ai funzionari sindacali ed aglioperai provenienti dalle altre province e regioni) ed anche oggi sono molto attenti nella difesa del loro posto di lavoro, perchè hanno già vissuto nel passato trentennio periodi non belli e non facili.
La differenza tra la CGIL di Pugno-Alasia e c. rispetto a quella di Bertinotti è che dopo la sconfitta del 1955 la CGIL fece una ampia ed approfondita analisi critica sui suoi errori (cfr FIAT 1955 a cura di Sergio Negri, ed. Ediesse), a tutt'oggi esistono invece sulla battaglia e sulla sconfitta del 1980 profonde remore a discuterne e quella del 1980 fu una sconfitta, se possibile, ancora più grave di quella del '55. Tu mi insegni che senza una chiara e puntuale analisi della realtà gli errori tendono a perpetuarsi ed a riprodursi.
Noi socialisti torinesi del GdV un mese fa, unici nel panorama politico torinese, abbiamo tentato, dal piccolo osservatorio politico quale è il GdV, di mettere attorno ad un tavolo a discutere FIOM, FIM e UILM, ci siamo riusciti e la discussione è stata pacata e matura, ha prodotto un dignitoso documento sulla questione FIAT ed anche sul mio commento "Fiat anno 0" Vittorio Demartino, che ha partecipato a quella tavola rotonda a nome della FIOM, ne riconosce l'obiettività.
La mia/nostra abitudine di torinesi è di discutere poco di massimi sistemi teologici ed ideologici, tentiamo invece di entrare nel merito delle questioni, senza dare voti a nessuno, sulla base una prorpia autonomia di giudizio ed a prescindere dalle bandiere. In poche parole cerchiamo di fare politica non di fare il tifo per una delle squadre in campo.
D'ora in poi il nostro l'obiettivo fondamentale sarà lavorare per recuperare, lentamente e con pazienza, una nuova possibile Unità dei sindacati confederali, partendo da Torino e dalla divisione attuale, senza nascondere la testa dentro la sabbia, ma lo facciamo volentieri proprio perchè, il 27 novembre nel nostro Convegno su "Torino e l'industria", abbiamo ascoltato tre sindacalisti onesti ed obiettivi che proponevano tesi diverse ma non antagoniste, ed è dalla capacità di trarre sintesi da tesi diverse che si valuta la bontà di una azione politica non dall'appiattimento su una tesi particolare.
Fraterni saluti
Dario Allamano
dungshCaro Dario apprezzo molto tono, contenuti e logica del tuo intervento. Credo si debba lavorare a Torino e nel resto del Paese x aggiornare le riflessioni sul ruolo, la responsabilità, i diritti e le nuove opportunità del sindacato e sul rilancio delle relazioni industriali. Senza scimmiottare realtà diverse come quella Usa o tedesca alcuni spazi x una riflessione sul tema partecipativo oggi va fatta. Approfitto di questa mail x chiedere a tutti dove posso scaricare il testo integrale dell'accordo perché in questi giorni ne ho trovati solo stralci e ho letto troppe "interpretazioni" cosi diverse tra loro da farmi immaginare che qualcuno ciurli nel manico.
Io penso che per fare una discussione seria bisognerebbe conoscere come sono regolate queste cose almeno negli altri paesi della UE. Il capitale è globalizzato su scala mondiale, ma nella UE abbiamo qualche possibilità di discutere, che finora non mi sembra neanche cercata. Fare i nostalgici del buon tempo antico, senza chiedersi come funziona il mondo, è un atteggiamento provinciale e conservatore.
Condivido quanto dice Dario, con molta maggiore esperienza di me, e condivido soprattutto la critica alla FIOM di Torino, che in 30 anni (una intera generazione) non ha fatto l'analisi sui catastrofici errori compiuti nel 1980, facendo impegnare l'intero movimento sindacale d'Italia nella difesa a oltranza di 35 operai contigui al terrorismo e esaurendo in un colpo l'altissimo credito di cui godevano su scala nazionale. In quel periodo, un po' prima e un po' dopo molti quadri giovani e meno giovani hanno lasciato il sindacato creando silenziosamente un grande vuoto.
Nella attuale FIOM torinese ci sono ancora residui del "pansindacalismo", il sindacato che deve dire la sua su ogni questione , perché rappresenta la società civile. Peccato che si schieri spesso su posizioni assolutamente minoritarie, come il NoTav, che è minoranza anche in Val di Susa (le tendenze politiche del mio territorio le conosco bene...) e in compagnia discutibile, come i no global di Azkatasuna, pittoreschi giovanotti che insieme agli squatters tendono ai " cortei militanti". La loro casa occupata è un bel centro sociale, ma quando escono combinano regolarmente guai, e hanno anche avuto una scivolata quasi antisemita. Poi non ho mai capito perchè si siano scelti il nome di un movimento terrorista, bigotto e reazionario che non a caso aveva la simpatia di Kossiga....Anche il movimento degli studenti li guarda con grande diffidenza.
PS: per quanto riguarda la TAV, la posizione prevalente tra i volpedini torinesi è che ne vogliamo 2, una che prosegua per Piacenza e raccolga nell'alessandrino il retroterra di Genova, evitando di farci fare il solito giro per Milano.
qui il testo dell'accordo e altri commenti http://www.rassegna.it/articoli/2010/12/24/69965/mirafiori-il-testo-dellaccordo-separato
a dario ripeto che non è un problema di massimi sistemi il passaggio da rsu a rsa.Insisto che questo aspetto dovrebbe essere enfatizzato dalle forze di sinistra ,qualunque sia il giudizio sul resto dell'accordo,di cui si potrebbe almeno dire che di ricatto comunque si tratta ,anche se si può ritenere preferibile e più realistico mangiare la minestra che saltare dalla finestra.Cmq la negazione del diritto a essere presente in fabbrica al maggior sindacato dei metalmeccanici ci riporta alle battaglie che ben prima dell'80 socialisti e comunisti insieme combattevano per fare entrare la Costituzione dentro le fabbriche.O sono anche queste astratte discussioni ldeologiche e teologiche?
CARO DARIO,
complimenti per la tua solita chiarezza e puntiglio nel ragionare e nel confrontarsi.
Sottoscrivo il tuo pensiero e mi auguro, in primis, che il GdV diventi una realtà sempre più interessante e coinvolgente nella città di Torino; mi auguro, inoltre, che il taglio che riesci a dare anche in questo intervento, ricco di sano ed orientato pragmatismo e, quindi, scevro dall'eccessiva filosofia politica( che tanti danni ha inferto alla sinistra italiana), possa diventare comune identità e base di partenza per la ns area politica.
Infine è mio auspicio che si possa realmente e recisamente affermare tutti insieme che "è dalla capacità di trarre sintesi da tesi diverse che si valuta la bontà di una azione politica non dall'appiattimento su una tesi particolare".
Suvvia!!!!!! Procediamo ad una sintesi consapevole e ormai necessa ria in questo come in altri settori del ns comune agire politico
Fraterni saluti dalla Sicilia a tutti i rosselliani
Compagni, calma col "pragmatismo" spesso risultato solo pasticcione e consociativo coi poteri forti....poiché è stato il cosiddetto "pragmatismo a tutti i costi" e non certo l'elaborazione di principio attenta alla realtà a causare ill progressivo depotenziamento politico, elettorale e culturale della Sinistra, in particolare di quella socialista.
Qui non ci sono tesi precostituite o "sistematizzazioni ideologiche e filosofiche" da difendere o avallare, ma c'è da riconfermare con forza solo DIRITTI fondamentali del mondo del lavoro che sembravano acquisiti (e non solo in fabbrica) ma che oggi si sta cercando di smantellare in ossequio al neo-liberismo selvaggio e padronal-globalizzatore.
Di fronte a tanto il riformista vero (che è il "rivoluzionario democratico di tutti i giorni" ...e non "una tantum") deve smetterla di fare il Don Abbondio ed il "paciere" a tutti i costi, assumendosi tutte le responsabilità di questa situazione.....i socialisti sono certamente per la "pari dignità" tra impresa e forza lavoro, ma principalmente schierati a favore di quest'ultima, specie quand'essa è seriamente minacciata come lo è oggi più che mai.
Questi principi ce li hanno trasmessi i nostri padri socialisti e nessuna "mutazione genetica" o "pragmatismo corporativo" di sorta potrà metterli in dubbio ed inficiarne la valenza.
Non lo si deve MAI dimenticare, se s'intende continuare ad onorare la parola ed il termine di SOCIALISTA.
Fraterni Saluti.
Mario Francese
La discussione sulla FIAT si sta avvitando sulla questione dei diritti
democratici, vorrei dire la mia su cos'è per me la democrazia.
Innanzitutto la democrazia ha delle regole che debbono garantire a tutti,
maggioranze e minoranze, di esprimere il proprio pensiero e di divulgarlo.
Al termine del percorso però, se non si trova un accordo unanime, esiste una
regola precisa: si decide a maggioranza.
Il caso FIAT non può discostarsi troppo da queste regole.
Oggi le Rappresentanze Sindacali Unitarie di Mirafiori Carrozzerie sono così
redistribuite sulla base di una votazione
FIM CISL 25.5%
FIOM CGIL 22.2%
FISMIC 19.1%
UGL 13.1%
UILM 13.1%
COBAS 7.0%.
I sindacati che hanno siglato l'accordo (magari separato ma sempre accordo è)
rappresentano il 70.8%, FIOM E COBAS che non hanno siglato rappresentano il
29.2%.
Sulla base delle regole democratiche chi ha siglato l'accordo ha tutti i
diritti per farlo, oggi rappresenta, almeno formalmente, la stragrande
maggioranza dei lavoratori.
Comunque è giusto che un accordo di questo importanza sia sottoposto alla
verifica di un referendum tra i lavoratori, non è detto che l'attuale
maggioranza nelle RSU abbia oggi il consenso della maggioranza dei
lavoratori, è sempre corretto verificare che questo consenso esista, ed è
cosa apprezzabile che i sindacati firmatari dell'accordo abbiano accettato di
sottoporre l'accordo al referendum.
Ma se dal referendum emerge che la maggioranza dei lavoratori approva
l'accordo, lo si firma, senza se e senza ma, altrimenti e per davvero si
prefigura una forma di democrazia deviante, in cui una forte e consistente
minoranza pretende di avere un diritto di veto, ed il diritto di veto è la
morte della democrazia.
Accettando queste regole minime di democrazia FIOM può giustamente pretendere
di veder riconosciuto il suo diritto di "rientrare" in fabbrica, perchè
dimostrerebbe non solo di rivendicare ma anche di praticare le regole
democratiche, fatto che renderebbe poco credibile per l'opinione pubblica la
forzatura di Marchionne sull'esclusione dei non firmatari.
Dario Allamano
Della serie Pirandello ... ma anche la doppiezza del linguaggio si
>potrebbe dire di queste "querelle" sul rischio per la "democrazia",
>pera alcuni, dell'accordo (per altri dicktat) Fiat.
>A me pare evidente che coloro che hanno tirato in ballo "democrazia a
>rischio" intendevano con il termine secco "democrazia" il nostro
>sistema repubblicano liberaldemocratico sancito dalla nostra Carta
>Costituzionale e non altro. Che l'accordo FIAT così fatto sia in
>totale dispregio della nostra carta costituzionale - in particolare
>titolo terzo parte economica - non ci dovrebbero essere dubbi ... ma
>Pirandello e Kakfa hanno già dertto ! Per molti vale, pragmaticamente
>s'intende "così è se vi pare".
>Se invece volessimo dibattere sul concreto penso che dovremmo
>parlare, ma con Dario abbiamo preso l'impegno di farlo a Torino
>questa primavera di Codeterminazione ... alla tedesca s'intende non
>alla Sacconi.
>Un fraterno saluto a tutti massimalisti, riformisti e ... pragmatici.
>Luigi Fasce
>PS
>per chi volesse conoscere l'esito del mio viaggio in Argentina-
>Brtasile consiglio di leggere i miei appunti di viaggio testè immessi
>in www.circolocalogerocapitini.it
>sotto argomento
>"autogestione cogestione imprese"
>buona lettura agli interessati all'argomento
>
Sono semplicemente, inequivocabilmente d'accordo con mario. Il resto é socialismo peloso.
Fraterni Auguri.
Claudio Marra
qui di seguito un pezzo interessante di rassegna stampa. Io però continuo a dire che non mi interessa una discussione basata sulla retorica ideologica, e neanche sulla storia della FIOM e della Fiat, ma vorrei sapere come sono regolate queste cose negli altri paesi che producono auto, sia in quelli dell'UE sia nel resto del mondo. Perché prima di discutere in quale mondo vorremmo essere mi interessa sapere in quale mondo sono
Francesco Forte, su Il Foglio, spiega come l'accordo rappresenti la deroga ai protocolli del 1993 riguardanti la concertazione nazionale, siglati dalla Confindustria di Luigi Abete e "dalla triplice sindacale egemonizzata dalla Cgil e dal governo Ciampi": "Essi stabilirono un patto nazionale permanente di politica dei redditi per contenere i salari" e favorire l'ingresso nell'Euro. L'accordo ammetteva la contrattazione di secondo livello, di area o aziendale, nei limiti previsti da quella nazionale: per la stipula dei contratti di secondo livello erano competenti le rappresentanze sindacali unitarie (Rsu), composte per due terzi dai rappresentanti eletti dai lavoratori delle imprese e per un terzo dai rappresentanti dei sindacati che avevano firmato il contratto nazionale. Tali Rsu, dunque, per i protocolli del 93, sono comunque composte anche da chi non ha firmato i contratti. Qui l'innovazione Marchionne, per cui i contratti aziendali non sono firmati dalle Rsu ma con i sindacati che ci stanno. Il quotidiano intervista Mario Tronti, che si sofferma sulle conseguenze politiche e sociali dell'accordo di Mirafiori: farà scomparire il conflitto dal suo habitat tipico, la fabbrica, con la prospettiva di farlo riemergere altrove in forma più diffusa. Per Tronti la svolta arriva "alla fine di un ciclo e coincide con un passaggio di crisi del sistema. La recessione globale è stata scientemente utilizzata per imporre questo cambiamento nelle relazioni industriali". Insomma, per Tronti, la globalizzazione è "per metà un fatto", "ma per metà un apparato ideologico", che si traduce in un ricatto.
Caro Allamano, se per "accordo" s'intende qualcosa di simile al referendum "marchionniano" di Pomigliano per la serie "vuoi continuare a lavorare alle mie mortificanti condizioni oppure vuoi essere licenziato con una mano davanti e l'altra di dietro?"......beh, credo che in questo caso non si possa affatto parlare di "democrazia" (?!?!?) ma di palese RICATTO!
Ed è difficile al giorno d'oggi trovare una "maggioranza" di lavoratori che, pur di poter far sopravvivere le proprie famiglie e pagare il mutuo, non sia disposto ad accettarlo!
Suvvia, siamo seri, di cosa stiamo parlando????
M.F.
ma di cosa parliamo.
E' evidente che tanti fra noi non hanno ancora capito che quando si è cominciato (strumentalmente) a parlare di:
"fine delle ideologie",
"superamento delle divisioni tra destra e sinistra",
"vecchia politica" e via dicendo,
noi socialisti - per la nostra storia e per il futuro del paese -avremmo dovuto opporci, con forza e convinzione, al tentativo di "omogenizzare" tutto e tutti!
Personalmente, continuo a volerni distinguere e qualificare in quanto uomo "di sinistra" e sostenitore di un'ideologia (si, IDEOLOGIA, non RETORICA) che allude ad una visione (socialista) più laica e più "giusta" della ns. società!
renato fioretti
Caro Compagno Mario,
solo per capire: chi o x il tramite di quale ragionamento sarà possibile distinguere in questa come in altre situazioni sicuramente delicate, a maggior ragione allorché riguardano la vita di migliaia di famiglie,la democrazia dal ricatto?altrimenti rischiamo di far saltare il banco e nessuno capirà più nulla!Grazie anticipatamente x la tua replica che, considerata la delicatezza della questione,sarà puntuale, univoca e coerente.
buon pomeriggio ed a presto
ezio
Caro Mario
non sono affatto pragmatico, ma realista si, ed il realismo, cioè il guardare la realtà per quella che è e non per quella che ci piacerebbe che fosse mi evita di imbarcarmi in tirate idelogiche sul SOCIALISMO.
La cosa che mi ha sempre molto convinto del Socialismo democratico, riformista e liberale è stata la sua continua capacità di adattare la propria strategia e la tattica al momento che si viveva, evitando che i sacri principii della DOTTRINA prevalessero sul ragionamento concreto.
Conoscere la realtà per trasformarla è sempre stata la mia frase preferita.
Bene quale è, secondo me, la realtà che oggi sitamo vivendo?
Secondo me siamo in una fase brutta di transizione che mi ricorda molto il periodo (ovviamente non l'ho vissuto ma ho letto abbastanza sull'argomento) che va dalla crisi del 1929 al 1934.
Le prime risposte a quella crisi furono a grandi linee quelle che stiamo vedendo oggi, la chiusura di tutti i canali finanziari con la caduta progressiva dell'economia in una recessione senza fine.
Era quello, come oggi, un periodo dominato dalla finanza che, passami il termine, strozzava sempre di più l'economia produttiva.
Da quella crisi l'America ne uscì dopo il '34 con il New Deal e l'Europa con la guerra.
Oggi siamo di nuovo in quelle condizioni, e l'economia produttiva soffre pesantemente i limiti posti allo sviluppo (sarebbe peraltro utile discutere di quale potrà e dovrà essere lo sviluppo futuro delle economie "mature") dai debiti assunti in capo agli Stati Sovrani per salvare le Banche nel 2008.
L' industria produttiva si acconcia ad affrontare la situazione esistente, non potendo far la guerra da sola alle Istituzioni Finanziarie, poichè le Istituzioni Politiche hanno il problema di farsi finanziare da loro il debito pubblico per cui ne sono in ostaggio, scaricano sull'anello debole (il lavoro) gli oneri derivante dalla crisi del sistema.
La diminuzione progressiva del monte salari e stipendi disponibile riduce progressivamente i consumi (siamo ancora purtroppo in un mondo dominato dai consumi) e pertando aggrava la recessione.
Ed il giro riprende dall'inizio, in sostanza il cane che si morde la coda
Come vedi la questione FIAT non è solo "democrazia vs autoritarismo" ma ha origini molto più ampie che né Marchionne, nè CGIL, CISL o UIL o Il PD o Berlusconi/Tremonti possono risolvere.
Solo iniziando a pensare in grande, all'Unione Europea coesa e pertanto forte ed in grado di esportare il suo modello di Economia Sociale di Mercato, ad un Sindacato Europeo Unito e ad un forte PSE sovranazionale, in grado di formulare proposte alte, forti e concrete si potrà pensare di uscire dal guano in cui siamo tutti cacciati.
Sarà un percorso lungo ma se evitiamo di metterci a discutere di massimi sistemi teorici, forse riusciamo a fare un po' più in fretta
Fraterni saluti
Dario Allamano
Cari compagni,
non sono ancora intervenuto su Mirafiori perché non è il mio campo e ne so davvero poco.
Ringrazio anzi tutti coloro che hanno scritto per le informazioni che hanno dato.
Pongo solo due questioni, su piani diversi, ma credo entrambe non ideologiche (anch'io però non la ritengo una parolaccia...), ma nel merito:
1) sul contenuto dell'accordo, il punto che mi pare decisamente più scandaloso è quello dell'introduzione di turni di dieci ore, a fronte di una riduzione delle pause di lavoro. D'accordo sul pieno utilizzo degli impianti, ma non a scapito della salute e della sicurezza dei lavoratori, che non può mai essere monetizzata
2) più in generale, noto una contraddizione nell'atteggiamento della CISL che da una parte si batte per il modello tedesco e per forme di cogestione (che andrebbero finalmente approfondite), dall'altra non batte ciglio (anzi...) di fronte all'esclusione da qualsiasi forma di rappresentanza sindacale di chi, bene o male, rappresenta il 25% dei lavoratori. Anche se ciò rispetta formalmente lo Statuto dei lavoratori, mi sembra comunque denotare scarso rispetto verso i lavoratori e chi li rappresenta, oltre a denotare un ulteriore restringimento degli spazi di democrazia
Un cordiale saluto a tutti e ancora auguri per un sereno 2011
Giovanni
Caro Dario,
avevo premesso che non era mia intenzione prodigarmi in "tirate ideologiche sul Socialismo" (sono di formazione laico-rosselliana, me lo posso evitare anch'io!), ma sottolinearne valori e principi differenziati e differenzianti, quello si, e ti asssicuro che non smetterò mai di farlo.
E sai perché? Perché la Democrazia è ritualizzazione dei conflitti: occorrono fini e "parti" contrapposte per caratterizzarla e determinarla.
Senza contrapposizioni (dialetticamente democratiche, s'intende) non v'è Democrazia.
Non si tratta di "teorizzazioni" ma di pura e semplice realtà dei fatti. Non puoi chiamare elefante un gatto. Punto.
Venendo all'oggetto della controversia: son d'accordo su quasi tutto ciò che hai osservato e posso comprendere anche le motivazioni di alcune delle parti del tuo scritto su cui ho tuttora delle serie perplessità.
Ma REALISTICAMENTE parlando, la mia domanda è una sola: CHI E' CHE OGGI DEVE PAGARE QUESTA CRISI? O meglio, su chi si vuole scaricarne i maggiori e più ingiusti oneri?
Iniziamo da qui, sempre realisticamente parlando, e poi credo che la discussione filerà più liscia.
Fraterni Saluti ed augurissimi laici.
Mario Francese
i socialisti stanno da un una parte sola diceva Brodolini; dalla parte dei diritti dei lavortaori, della libertà sindacale, contro il ritorno agli anni 50; contro Marchionne, la Cisl e la Uil
Caro compagno Ezio,
la risposta alla tua domanda (chi o x il tramite di quale ragionamento sarà possibile distinguere in questa come in altre situazioni sicuramente delicate, a maggior ragione allorché riguardano la vita di migliaia di famiglie, la democrazia dal ricatto?) è semplicissima: I FATTI REALI ED OGGETTIVI CHE TUTTI POSSONO CONSTATARE!
Del resto parlarono chiaro le stesse interviste Tv agli operai che motivarono il loro voto favorevole alle ipotesi Marchionne in occasione del referendum di Pomigliano!
Fraterni saluti.
Mario
Ieri sera su radio24 ho sentito un bell'intervento di alfonso gianni, che ha posto un'altra serie di questioni non ideologiche sul piano industriale che giro ai più esperti di me.
E' vero che a mirafiori si produrranno SUV (alla faccia dell'ecologia) mentre nel frattempo la Volkswagen ha pronta una nuova linea di montaggio che consentirà di produrre nuovi modelli medio-piccoli in meno tempo e con un risparmio sui costi di quasi il 40%? E' vero che il modello industriale applicato alla Fiat, quello della Toyota, è sostanzialmente fallito? Poi di chi sarà la colpa se sul mercato la Fiat perderà altre quote? Ancora dei lavoratori? Intanto, i guadagni in busta paga dei lavoratori sembrano molto meno eclatanti di quelli descritti all'inizio...
A me piacerebbe davvero, a questo punto, che i lavoratori potessero avere un loro rappresentante nel cda (o almeno nel collegio dei revisori dei conti...).
Un cordiale saluto
Giovanni
Non mi addentro in questioni cosi complesse che riguardano la pelle di altri.
Per professionalità ed esperienza avrei molto da dire, ma non modificherei certamente né ciò che si pensa qui dentro, né quello che sta succedendo là.
Dico solo che è aspirazione dell'uomo cercare l'ofelimità. Purtroppo viviamo in un mondo dove il bene (per sua natura economica) è una cosa limitata. Questo è quindi oggetto di desiderio di più persone. Oltre la piccola Italia vi sono all'esterno ben oltre 7 miliardi di persone che vogliono per lo meno stare alla pari delgi altri. Parlerei quindi non tanto di democrazia o di ricatto, quanto di stati di necessità. Tra il presce HO ed il pesce AVESSI mia madre mi consigliava sempre il pesce HO. Perché è una certezza!
Certo i SUV non sono ecologici ma la domanda di SUV è altissima in tutto il mondo. Uno dei problemi della Fiat è anche quello, o soprattutto quello, di produrre pochissimi e pessimi modelli. Oggi è difficile comprare Fiat. Le concorrenti offrono modelli migliori tecnologicamente ed a prezzi migliori. Se si vuol tener conto dell'ecologia è meglio fabbricare autobus elettrici o tram. Ma se si vuol essere competitivi bisogna dare ai consumatori quello che chiedono. E' la supply and demand rule.
Caro Giovanni, concordo con i tuoi rilievi di ieri e di oggi. Tuttavia, la causa maggiore dell'attuale situazione va riferita alla disunità delle forze sindacali, divise come non mai sulla vertenza FIAT e su altro, che sta creando anche una pericolosa frattura politica all'interno del centrosinistra, come è bene evidenziato dalle posizioni divergenti di D'Alema, Fassino, Chiamparino e Fioroni ,da un lato e Vendola, dall'altro. In questo quadro, come non si può ricordare, invece, il ruolo decisivo- mai messo nel dovuto rilievo nemmeno dalla storiografia più attenta, Crainz e Banti, per tutti- giocato dai socialisti a partire dalla metà degli anni sessanta, capaci di coniugare, attraverso la loro decisiva presenza nei tre sindacati confederali, pluralismo e unità.
Cordiali saluti e auguri di un sereno 2011.
Carlo Salvioni
Cari compagni,
ho seguito con ovvio interesse il dibattito su Marchionne e la Fiat. Ho l'impressione che si dovrebbero separare due ambiti. Uno è quello delle deprecazioni, lamentazioni, proteste, rimostranze, recriminazioni, querimonie, invettive, sarcasmi, condanne, eccetera, tenendo presente che non solo la maggioranza degli operai (sia pure, come qualcuno dice, sotto ricatto), è favorevole all'accordo; ma lo è anche l'opinione generale (politica, economica), e questo ha certamente il suo peso. Inoltre teniamo presente che nessuna condanna, lamentazione, invettiva, potrà cambiare oggi di una virgola il corso degli eventi. Per cui al momento sarebbe meglio cercare altri terreni di confronto fra lavoro e capitale, se proprio non si vuole restare inerti.
L'altro ambito è quello dell'investigazione. Credo di non essere il solo a chiedermi: come fanno in Germania (teniamo presente che circa la metà del parco macchine europeo è di produzione tedesca e in gran parte fabbricato in Germania) a realizzare macchine di ottima qualità con salari tedeschi, che sono più alti dei nostri non solo al netto (dove scontano meno tasse) ma ben di più anche al lordo? Come fanno in Francia, dove la qualità delle auto prodotte è media, e tuttavia sono auto che vendono bene, fabbricate anche qui con salari superiori ai nostri? Come fanno in Giappone, in America, in Svezia dove se pure con altri padroni, ma a salari molto robusti, continuano a produrre le due marche nazionali? Come fanno in Inghilterra, se pure non più con padroni inglesi, a produrre auto di prestigio (Rolls, Bentley, Aston Martin, Jaguar) che pure vendono in tutto il mondo? Come fanno in Polonia, a prescindere dai salari inferiori ai nostri, a produrre in modo più efficiente di noi? Se non ricordo male i polacchi ante 1989 (li ho visti all'opera) erano tutt'altro che degli stakanovisti. Eppure si sono adeguati. Ecco, sarebbe opportuno che quelli della Fiom, a cui non mancano i mezzi, viaggiassero un po’ per l'Europa e per il mondo a studiare questi fenomeni, a cercar di capire se i ritmi che si vogliono imporre sono sostenibili o no, se sono logoranti oppure vengono ragionevolmente sostenuti. E tornare con una documentazione fattuale su cui basare le loro rivendicazioni.
Cordiali saluti.
Lorenzo Borla
Lorenzo giustamente suggerisce di separare i due ambiti, mi accodo anche perchè (dopo avere letto l'accordo) mi sembra che spesso nel primo "ambito" si scrivano troppe cose "per sentito dire" o con considerazioni un poco demagogiche e forzate (su entrambi i fronti). Prima di pensare al secondo ambito credo sia anche il caso di riflettere sul perchè l'accordo (con tutte le distinzioni del caso) oggi venga visto dalla maggioranza degli italiani (a volte anche non a fondo informati come succede ormai da troppi anni) e dalla maggioranza degli operai (anche qui con tutti i distinguo del caso e con i richiamo al "ricatto") come accettabile e positivo. Ancora una volta si dimostra la distanza (che rischia di diventare siderale) tra chi "pensa" a sinistra e chi vive in questa società. Le "avanguardie" sembrano in difficoltà nel rappresentare il pensiero reale (o forse sono così avanti da essere lontane dal venire comprese da chi vive quotidianamente), lo si può vedere su tutti i fronti dalle scellerate decisioni sui candidati "non di partito ma con un partito schierato" nelle primarie milanesi, alle difficoltà che continuiamo ad avere nel rispondere alla riforma Gelmini con proposte e non solo con lamentele (ricordando che il babbo della riforma insegna a siena e si chiama Berlinguer e il più vicino "riformatore" non ha generato alcuna proposta pur professandosi rinnovatore assoluto come il buon Mussi). Nei soliti nomi che non sono in grado di presentare che le proprie ormai stanche facce e i loro ormai rituali balletti di sfide interne e distinguo (dove per solite facce possiamo inserire anche i giovinotti e le giovinotte cloni in peggio dei loro anziani sponsor). Forse sarebbe il caso di riflettere su questa distanza...non solo in casa Fiom (a proposito se qualcuno vuole avere un'idea delle difficoltà di "ragionare" con il sindacato dei metalmeccanici da "sinistra" possiamo aprire una parentesi e raccontare un po' di storie "bresciane"). Passando al secondo ambito, concordo, varrebbe la pensa di "studiare" un po' le condizioni di lavoro, ma anche quelle sociali, di chi produce (non solo auto) in germania, francia, regno unito e persino nei paesi dell'ex blocco sovietico. Ci sono condizioni di lavoro, situazioni ambientali, welfare, modelli di riferimento nell'istruzione, nel vivere quotidiano, ci sono modelli di gestione dei processi produttivi, ci sono modalità di coinvolgimento dei lavoratori e, infine, ci sono produttività diverse. Tutto questo andrebbe studiato. Anche i tabù della produttività e dei correlati sistemi premianti (temi che fanno parte delle aree contenutistiche sulle quali la sinistra italiana da troppo tempo non si interroga adeguatamente) andrebbero superati. Ultima considerazione di base (e di premessa) nel considerare i contesti nei quali si attivano processi produttivi è bene inserire (oltre ai temi di welfare) anche quelli legati agli ammortizzatori sociali e alla loro efficacia. Concludo con una riflessione provocatoria: siamo sicuri che la risposta più efficace oggi sia lo sciopero generale? Auguri a tutti di un migliore 011
Forse per costruire buone automobili occorrono:
ottimi progettisti e noi abbiamo perso moltissimi tecnici capaci e centri d'eccellenza;
ottimi ingegneri e altrettanto validi tecnici ma noi abbiamo distrutti gli istituti tecnici (ITIS);
ottimo operai ma noi non li paghiamo ed i migliori se ne vanno;
scuole aziendali per gli specialisti ma le abbiamo smantellate;
Meglio poi non parlare delle infrastrutture del Paese!
Invece di puntare sull'innovazione di prodotto e di processo (vi ricordate il dibattito degli anni 80 / 90: i Circoli di qualità, il coinvolgimento dei lavoratori nei processi produttivi) abbiamo puntato su bassi salari e tagli "lineari" alle spese senza saper scegliere modelli industriali a noi confacenti in un nuovo contesto internazionale, quello della globalizzazione.
Anche il "Sindacato" vive la sua crisi di qualità come il resto della Società italiana ma attenzione ad addossare ad esso solo la responsabilità della situazione. Maggiori sono quelle della Politica, del Padronato, dell'intellighenzia del Paese che ha preferito cullarsi nella illusoria ipotesi di poter scaricare su altri le proprie responsabilità.
Fraterni saluti.
Sergio Tremolada (già segretario della Fiom Lombardia)
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