sabato 4 dicembre 2010

D'Alema: è vero, il socialismo non basta

http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/123047/e_vero_il_socialismo_non_basta


È vero, il socialismo non basta



Oggi, in Europa, siamo testimoni di una crisi della socialdemocrazia e delle forze socialdemocratiche. Nei sistemi bipolari l’alternanza al governo è fisiologica. In questa alternanza fisiologica, la sinistra ha avuto il suo ciclo positivo negli anni ’90: un corso favorevole che per alcuni paesi è andato ben oltre quel decennio. In questo momento, invece, viviamo un periodo in cui questa fisiologia è particolarmente negativa. In verità non assistiamo più alla semplice alternanza tra forze conservatrici e forze socialdemocratiche, ma alla crisi della socialdemocrazia, che è parte della crisi dei sistemi politici e democratici europei.
Non dobbiamo indulgere in una analisi consolatoria dei tempi che stiamo attraversando. La crisi ha portato alla luce la questione della rilevanza dei nostri valori: siamo stati sconfitti perché, sulla scia della Terza via, li abbiamo abbandonati. A prima vista, la chiave per vincere ancora potrebbe essere un ritorno all’ortodossia, mettendo da parte l’esperienza degli anni ’90.
La gran parte delle critiche alla Terza via, a mio parere, hanno fondamento. La sua principale mancanza era la subordinazione culturale al neoliberismo e una visione troppo ottimistica della globalizzazione. Tuttavia credo anche che essa abbia lasciato una eredità positiva, non dimenticando che essa è stata una risposta alla crisi del modello tradizionale socialdemocratico.
Negli ultimi anni abbiamo visto la sconfitta di entrambe le esperienze: la sconfitta della componente del socialismo europeo, che ha abbracciato acriticamente il destino della globalizzazione, ma anche di quelle componenti che si illudevano fosse possibile proteggere lo stato sociale dalle sfide di un mondo globalizzato.
Se la Terza via ha rappresentato una risposta inadeguata alla crisi del modello socialdemocratico, dovremmo anche considerare che le fondamenta di quel modello sono scomparse: una certa idea di crescita economica in Europa, la centralità del modello fordista di organizzazione del lavoro, il primato dello stato e la dimensione nazionale in opposizione a quella internazionale.
Oggi la destra sta vincendo in Europa. Ma credo che questa destra non sia in grado di fornire risposte. E quelle che sta dando sono semplicistiche e regressive. Si consideri per esempio la riscoperta delle radici identitarie, la paura degli immigrati, il legame con la terra, l’uso politico della religione. Questa destra, in realtà, ha mostrato la sua capacità di interpretare i sentimenti e gli umori più profondi della società moderna, di cavalcare le sue paure. Ma sembra particolarmente debole nella sua capacità di gestire la crisi e di offrire soluzioni. Guardiamo gli ultimi sondaggi: Angela Merkel si trova in questo momento in una situazione di minoranza; la maggioranza degli italiani non sostiene più il governo Berlusconi; in Francia, la posizioni di Sarkozy non è migliore.
Considerato questo contesto favorevole, dovrebbe essere possibile gettare le fondamenta di un nuovo ciclo progressista, ma dobbiamo aver presente che le difficoltà della destra non corrispondono automaticamente al successo della sinistra. Infatti in nessuno degli stati che ho citato i partiti socialdemocratici possono emergere da soli come una alternativa concreta. Nonostante il fatto che socialisti e socialdemocratici sono e rimarranno la forza di maggioranza all’interno della sinistra, non dobbiamo sottovalutare l’estrema frammentazione del panorama politico. Penso ad esempio ai Verdi, a formazioni politiche locali.
Dunque, la principale sfida che socialisti e socialdemocratici devono affrontare oggi è la progettazione di un nuovo ciclo politico, che non deve essere il semplice ritorno al vecchio modello tradizionale socialdemocratico. Piuttosto, dobbiamo considerare il contributo che la socialdemocrazia europea può offrire ad una coalizione progressista e democratica. Non lo dico soltanto dal punto di vista partitico, ma anche in termini culturali e sociali più ampi e profondi. Un’ampia coalizione della quale la socialdemocrazia sarà solo una componente.
Su quale piattaforma dovrebbe essere costruita questa alternativa progressista europea? Sono convinto che si debba basare su tre pilastri: democrazia, uguaglianza, conoscenza e cultura. Per quanto riguarda il primo, la questione della democrazia deve riguadagnare centralità nel nostro pensiero e nel nostro messaggio. La democrazia è nata e si è sviluppata negli stati-nazione. Oggi la democrazia come la conoscevamo è messa in discussione dal dispiegarsi della globalizzazione, dalla asimmetria tra il potere dei grandi gruppi finanziari e gli strumenti per l’azione pubblica. Dobbiamo rimettere la politica davanti all’economia, dobbiamo sostenere il principio che le istituzioni politiche e democratiche devono dirigere e regolare l’economia al di là dei confini degli stati-nazione (...) Il secondo pilastro di questo nuovo progetto progressista deve essere l’uguaglianza. Lo sviluppo globale non regolamentato ha prodotto ineguaglianze intollerabili e insostenibili, non solo tra paesi ricchi e paesi poveri, ma persino all’interno degli stessi paesi ricchi. La ricchezza globale è cresciuta, ma la sua distribuzione è stata ineguale. Secondo l’Ocse, nonostante la crescita della ricchezza a livello globale, povertà e diseguaglianze sociali sono cresciute nella maggior parte degli stati sviluppati. Una delle conseguenze di questa diseguaglianza è lo spostamento della ricchezza dal lavoro al capitale. Questo è determinato sia dalla competizione dei paesi emergenti (che hanno schiacciato il costo del lavoro) sia dal fatto che la mobilità dei capitali ha favorito lo squilibrio dei sistemi di tassazione, che hanno gradualmente spostato il peso fiscale su lavoro e imprese. Una riduzione delle diseguaglianze richiede in parte politiche nazionali, ma può essere ottenuta solo a livello internazionale. Per questa ragione, la Financial Transaction Tax rappresenta non solo uno strumento contro la speculazione, ma un importantissimo fattore di equità e giustizia sociale. (...) Per quanto riguarda il terzo pilastro, credo che la promozione della conoscenza e della cultura debba diventare elemento fondamentale del progressismo europeo, perché una nuova fase di sviluppo può essere fondata solo su queste premesse cruciali. Il mondo sta attraversando una fase di trasformazione. La classifica dei paesi più ricchi è in costante cambiamento. Dobbiamo essere consapevoli che nel 2025 la Cina e l’India produrranno il 40 per cento del Pil globale, mentre l’Unione Europea rischia di raggiungere solo il 15 per cento. Alla luce di questi dati, cultura, ricerca e innovazione devono diventare uno dei più importanti asset della Ue.
Non sono d’accordo con chi dice che in un momento così difficile non possiamo permetterci di investire in ricerca e sviluppo. Al contrario, sono certo che è esattamente in questi tempi di crisi che dobbiamo investire nella ricerca, nello sviluppo di nuove tecnologie ecocompatibili, nell’istruzione e nell’università. In un momento di crisi globale l’istruzione e la ricerca non sono un lusso, ma piuttosto il motore dello sviluppo. (...) Democrazia, uguaglianza e innovazione devono essere le fondamenta sulle quali costruire una nuova stagione progressista. Questo è il momento di essere coraggiosi. Dobbiamo sapere che per portare a termine con successo questo obiettivo le forze socialdemocratiche non possono essere sole. Se le parole hanno significato e valore, la socialdemocrazia tradizionale, che ha rappresentato una delle correnti politiche più importanti e ricche del Ventesimo secolo in Europa, da sola non è più sufficiente. La sfida, per noi, è intraprendere una trasformazione radicale, metterci in gioco, coinvolgere le forze progressiste e democratiche al di là dei nostri confini, al di là della nostra famiglia politica. Si può pensare che la costruzione di una moderna forza progressista e democratica, che miri al suo rinnovamento culturale, sia un problema solo italiano. Non è così. Guardiamo a quanto sta succedendo nel mondo al di fuori del Vecchio Continente. Nessuno dei grandi partiti progressisti al potere, in questo momento di straordinari cambiamenti si chiama socialista o ha a che fare con la nostra tradizione. Persino l’Internazionale Socialista sembra essere un’organizzazione troppo eurocentrica, che non dà la necessaria e giusta rappresentanza alle grandi e originali forze che stanno animando le trasformazioni politiche nei loro paesi. Si tratta di interlocutori essenziali, se vogliamo dare una risposta progressista alla crisi globale. Si pensi al Partito Democratico americano, al Pt brasiliano, al Partito del Congresso in India o all’African National Congress.
Abbiamo imboccato la strada giusta quando abbiamo costituito il Global Progressive Forum. Adesso è giunto il momento per un passo avanti ulteriore: istituire un “global progressive movement”, nel quale paesi di miliardi di persone possano essere protagonisti, non semplici osservatori. Dovremmo essere gli orgogliosi promotori di questa iniziativa, per ampliare i nostri confini, per rinnovare le nostre idee e le nostre proposte. Dobbiamo lavorare insieme, progressisti e democratici di tutto il mondo, per mettere in atto questi cambiamenti.
Intervento del presidente della Feps al consiglio Pse (Varsavia, 3 dicembre 2010)

Massimo D'Alema

23 commenti:

Giampaolo ha detto...

E' vero: per questo sarebbe meglio che D'Alema si mettesse da parte. I danni della sua strategia e DELLE VARIE TATTICHE da lui usate, sono il sinallagma delle sue teorie fallimentari. E' che nessuno fa l'autocritica dei propri comportamenti, perché si sente insostituibile ed unto dal SIGNORE. Questo signore poi, che di socialismo di qualsiasi livello, non ha nulla è anche vicepresidente dell'Internazionale. Come dire la contraddizione in persona. Meglio che vada ad Escort: sarebbe più produttivo!

lanfranco ha detto...

Non è la prima uscita di questo genere di d'alema che già un anno fa fece un discorso di critica alla terza via alla london school...Semmai stavolta noto una certa attenuazione della critica alla subalternità della terza via al neoliberismo,con una parallela accentuazione critica al vecchio modello socialdemocratico.Il tutto mi pare debole perchè,forse anche per giustificare l'anomalia italiana,d'alema sposta il tutto sull'esigenza di un'ampia coalizione dai contorni indefiniti(cosa c'entra il pd americano,o il p.del congresso indiano?),citando i verdi e i p.locali,cioè cose che non hanno nulla a che vedere con il pd come ex pci +ex dc dell'italia.Ma il vero punto di debolezza sta secondo me nell'indicazione programmatica.Troppo generico il richiamo alla democrazia che in una dimensione sovranazionale deve comandare sull'economia.Troppo generico il richiamo all'eguaglianza.Forse se si strutturasse il discorso in termini di controllo del capitale finanziario,di controllo del movimento dei capitali,di riorganizzazione dei legami politici e sindacali fra i lavoratori di oggi più frantumati e sfruttati in confronto ai tempi del modello socialdemocratico classico(Fiat docet),se in un momento come questo si prendesse di petto l'impianto liberista dell'unione europea e la sua folle politica di austerity mentre si punta a salvare le banche con i soldi pubblici e i tagli ai salari e al welfare ....forse si capirebbe di più cosa devono fare i socialdemocratici a livello europeo,così come nei paesi forti come la germania o nei paesi deboli come i piigs.Invece questi discorsi vagano sempre fra i sommi principi per non pagare dazio.lasciano tutti con la coscienza tranquilla come se fossero altri quelli che devono fare le cose.ora sembra che tutto debba spostarsi alla ricerca di queste miracolose nuove coalizioni per andare oltre la socialdemocrazia.così d'alema può tornare a casa convinto di poter tenere insieme la critica a sinistra alla terza via e un pd che non osa neppure alzare la voce su marchionne.Dobbiamo porre una sola domanda a d'alema:come si traduce in italiano il superamento della "subordinazione culturale al neoliberismo"?

dario ha detto...

Nell'attesa che D'Alema ci spieghi la nuova Terza Via, noi socialisti per
intanto ci accontentiamo del socialismo democratico, sarà vecchio, con
qualche ruga, ma tutto sommato esiste e resiste ai vari nuovismi,
soprattutto a quelli degli ex post furono comunisti.
Dario Allamano

luciano ha detto...

D'Alema non ê cinico come spesso lo dipingono, è un filantropo ! Poteva fare una fortuna brevettando la geniale idea del PD. Invece la mette a disposizione di tutti. Gratis ! I socialisti europei ringraziano.
Luciano

felice ha detto...

Ieri D'Alema è ritornato sul tema con un articolo sul Riformista, sul fatto chela socialdemocrazia non basta. Sia pure in forma più moderata la sua analisi appartiene al filone del doppio fallimento: il comunismo è fallito ma anhe la socialdemocrazia. L'equiparazioone, di riffa o di raffa, dei due fallimenti è stucchevole. Il "fallimento della socialdemocrazia" consiste nel non avre raggiunto il suo ideale ultimo, cioè una società socialista, mentre il falimento del comunismo è che la sua realizzazione, il cosiddetto realexistierender Sazialismus, ha tradito gli ideali di una società socialista. L'instaurarsi con metodi violenti di un regime burocratico, poliziesco, repressivo, illiberale ed economicamente inefficiente non soltanto ha oppresso miglioni di cittadini e di lavoratori, senza libertà sindacale, ma ha impedito o contenuto l'espansione dell'idea stessa di socialismo, in particolare nei PAESI ECONOMICAMENTE SVILUPPATI. la socialdemocrazia, con l'apporto del liberalismo progressista (Beveridge) ha creato il welfare state, che rappresenta il più alto punto di tutela sociale mai raggiunto dall'umanità nella sua storia. La difesa del welfare, anzi la sua estensione in paesi come l'Italia dove è incompleto per disoccupati, giovani e precari, non rappresenta una proposta conservatrice, un puro ritorno alle origini dopo la sbandata neo-liberista, ma è al centro dello scontro per l'uscita dalla crisi. Uscire da sinistra dalla crisi è l'unica via per uscire dalla crisi della sinistra. Porre come centrale che la crisi debba essere pagata dai suoi resposabili e non dai cittadini che ne sono state vittime pone in primo piano la critica al modello di società in ui viviamo e dei suoi meccanismi di potere, in particolare le lobby economiche e finanziarie, che dominano la scelta dei governi. La ricetta dei tagli indiscriminati al welfare e alle spese pubbliche nei servizi pubblici universali e essenziali deve essere netta. Si tassino prima gli utili finanziari, si introduca un'imposta patrimoniale sulle grandi fortune e una forte progressione sui guadagni dei grandi manager e si taglino le spese militari. Questo lo può fare una sinistra che se va oltre la socialdemocrazia lo fa con un'alleanza rosso.rosso-verde e sia ispirata dalle sue radici vechie e nuove, cioè una sinistra democratica, socialista, ambientalista, comunista e libertaria e non ricorrendo il centro.

giovanni ha detto...

In una recente intervista a la Repubblica (2 dicembre, p. 13), a proposito di un possibile ingresso di Vendola nel PD, marini diceva (sia pure molto in ritardo) una cosa interessante:

<>.

Certo Marini parla pro domo sua e non è Delors, ma forse sarebbe un discorso da riprendere.

giuseppe ha detto...

Nessuno di noi s'interessa al pd e poi tutti parliamo di d'alema....i socialisti siamo sempre speciali....gchiofalo

filomeno ha detto...

a me vendola non sembra tutto questo radicalismo.

Anonimo ha detto...

neanche a me, però è anche vero che è qualcosa di diverso dalla tradizione socialista e non devi sottovalutare l'aspetto soggettivo.
In un partito socialista europeo ci possono stare sia vendola che marini, ma evidentemente è difficile farglielo capire...

geppino ha detto...

Non sono sicuro della precedente trasmissione.
Quindi invio nuovamente il mio commento all'intervento di D'Alema.
La mia posizione è un pò più articolata rispetto a quella esposta da Turci e Besostri.
In merito al commento di Felice 2 sole considerazioni:
1) D'Alema non affronta il tema del fallimento del comunismo (argomento ormai archiviato)bensì la questione della "crisi" (che è cosa diversa ovviamente da "fallimento") delle terze vie e delle socialdemocrazie;
2)la risposta alla crisi delle socialdemocrazie (che è questione vera e non meramente speciosa)non può essere affidata al programma "più welfare e più tasse sui ricchi".
Per questo non sottovaluto il contributo di D'Alema quando parla di Democrazia, Uguaglianza e Conoscenza (ed io ho aggiunto Libertà). (segue il commento)
Geppino Vetrano (05.2.2010)
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geppino ha detto...

So bene quanti danni ha prodotto il "dalemismo". Una cosa però è indubbia: D'Alema, tra i dirigenti politici italiani del centro-sinistra (escludo quindi gli intellettuali), è ancora uno che pensa e fa pensare!
Fatemi altri nomi: un pò Bertinotti, Prodi e poi?
Non voglio offendere gli altri; voglio solo dire che da altri provengono contributi "parziali", cioè non sufficienti per percepire una visione.
D'Alema approfondisce il ragionamento svolto alla London School. Egli va oltre la critica alle terze vie per manifesta subalternità al neoliberismo (fatto positivo), per porre al centro della riflessione anche l'altro corno del problema e cioè la crisi del modello socialdemocratico (fatto vero) per il venir meno delle condizioni che hanno favorito il suo successo nel secolo scorso.

geppino ha detto...

Crisi che non può essere derubricata per il sol fatto che le risposte della destra si rivelano anch'esse inadeguate (anche questo passaggio mi sembra corretto)
Che cosa c'è, allora, oltre queste due crisi? Questo mi sembra il punto vero di una moderna discussione sulla sinistra ed il socialismo.
Ci sono, a mio avviso, due modi per affrontare il dilemma: approfondire l'aspetto teorico- programmatico della sinistra del terzo millennio ridefinendo gli obiettivi politici, programmatrici ed economici (operazione lunga e difficile); affrontare il tema partendo - in maniera più pragmatica - dalle strategie in grado di rilanciare un nuovo progetto politico.

geppino ha detto...

D'Alema, con l'audacia che altri non hanno (mi riferisco, Lanfranco, per esempio a Ranieri nel seminario da te organizzato a Roma con Biasco), si muove, con indubbia originalità, in questa seconda prospettiva e imposta le principali basi su cui progettare l'avvio di un nuovo ciclo politico.
Non c'è dubbio che questo è il fondamentale punto di divisione con i Democrat poiché noi siamo impegnati nel difficile tentativo di ridefinire il nuovo profilo della sinistra e riconosciamo proprio nella debolezza dell'impianto teorico-programmatico del PD la principale ragione dello smarrimento di tanti compagni che militano in quel partito e, in fin dei conti, della fragilità di quest'ultimo.
Tuttavia nel ragionamento di D'Alema ci sono spunti che meritano sicuramente apprezzamento.
Egli muove innanzitutto dalla consapevolezza (tutt'altro che acquisita in vasti ambienti ancora seguaci del mito dell'autosufficienza teorica) dell'insufficienza delle culture della sinistra del '900 a fornire risposte efficaci alle nuove sfide del mondo globalizzato. Secondo D'Alema, i movimenti socialisti e socialdemocratici non possono compiere questo sforzo di ridefinizione del proprio progetto politico da soli e sul piano teorico questa riflessione è senz'altro comune alla nostra ed a quella che lo stesso Vendola ha sviluppato, con riferimento alla nuova sinistra, nell'intervento conclusivo al Congresso.
In questa ricerca di interlocutori su scala mondiale, non mi sembra sbagliata l'attenzione al Partito Democratico americano, al Partido dos Trabalhadores brasiliano, al Partito del Congresso in India o all´African National Congress; in ambito europeo e nazionale, Lanfranco, non sottovaluterei neanche il riferimento ai cd. partiti locali poiché, per quanti sforzi si potranno fare, il futuro ci consegnerà sempre più uno scenario polverizzato caratterizzato da fenomeni locali come reazione alla crisi dello Stato nazionale ed alla globalizzazione (il problema, allora, è quello di offrire ad essi una cornice politica dentro la quale sviluppare solide alleanze).
Il limite che, invece, ravviso nella sua analisi e l'assenza di qualsivoglia riferimento alle formazioni di sinistra che, come SEL in Italia, hanno compiuto una interessante evoluzione rispetto alle origini neo o paleo-comuniste. In questa deliberata omissione, a mio avviso, ricompare il D'Alema che a tutti i costi tenta di vendere ed esportare il suo prodotto in Europa.
Anche la triade destinata a costituire la cornice della Sua alternativa progressista mi pare degna di attenzione. Democrazia, Uguaglianza, Conoscenza e Cultura possono senz'altro apparire assets un po' generici se non declinati nell'ambito di una critica alle politiche europee in atto; essi, tuttavia, mi sembrano importanti passi avanti rispetto a quell'universo indistinto che oggi è il PD.
Dal Presidente della Feps mi sarei aspettato l'aggiunta del quarto pilastro: la Libertà che è un valore intrinseco, primario, distinto dall'eguaglianza che, invece, è un valore di condizione per l'attuazione della libertà.
Ma, a ben vedere, il tratto originale del nuovo contributo di D'Alema sta anche in queste omissioni che, lungi dall'essere delle dimenticanze, appaiono sintomatiche della sua ricerca verso una soluzione possibile dopo la crisi delle socialdemocrazie e delle terze vie.
Io penso, infine, che, quando saremo un po'più strutturati, dovremmo trovare il modo di invitarlo ad un confronto con la rete poiché se qualcosa di positivo potrà ancora accadere nel PD, piaccia o non piaccia, dipenderà da lui.
geppino vetrano (04.12.2010)

angelo giubileo ha detto...

La terza via del socialismo
Nel suo intervento di ieri a Varsavia al
consiglio Pse, Massimo D'Alema, in qualità di presidente della Feps, ha
svolto una relazione politica improntata sull’odierna crisi della
socialdemocrazia “tradizionale”, così come non solo in Europa. Il
giudizio finale complessivo è stato piuttosto netto: “se le parole
hanno significato e valore, la socialdemocrazia tradizionale (…) da
sola non è più sufficiente”.
Ma se le parole hanno significato e
valore, è per l’appunto con queste che bisogna fare i conti; e allora
il discorso, è facile intuirlo, è in realtà molto ma molto più
complesso di quanto possa semplicemente apparire; al punto che due
paginette dattiloscritte appaiono senz’altro insufficienti, ma pur
sempre possono servire a dare un’idea di dove s’intenda andare a
parare. Il nuovo progetto “progressista” del socialismo europeo
dovrebbe, secondo il giudizio di D’Alema, poggiare su tre pilastri:
“democrazia, uguaglianza e innovazione”. Sì che, c’è da chiedersi cosa
dovrebbe rappresentare il nuovo rispetto alla cultura tipica della
socialdemocrazia definita tradizionale.

angelo ha detto...

A ben vedere, il concetto di
“democrazia” rappresenta in effetti il vero e proprio caposaldo di una
nuova “ideologia”, secondo la parola in voga nel secolo scorso, servita
per quasi due secoli a caratterizzare i diversi schieramenti politici
tra loro diversamente contrapposti. In proposito, del tutto
significativo è il dibattito ancora recente svolto in ambito
internazionale circa la legittimità o soltanto l’opportunità di
esportare la democrazia nei paesi che ne risulterebbero ancora privi.
Il principio democratico, nelle sue varie articolazioni, fonda il
diritto della maggioranza a governare una collettività in confronto all’
azione svolta dalla minoranza, in un sistema di articolazione del
potere più o meno ramificato e quindi in un’ottica bipolare formata
nell’ambito di ciascun polo da una o più parti politiche.

angelo ha detto...

In principio
di intervento, D’Alema dice che “nei sistemi bipolari l’alternanza è
fisiologica” e che “la crisi (della socialdemocrazia) ha portato alla
luce la questione della rilevanza dei nostri valori: siamo stati
sconfitti perché, sulla scia della Terza via, li abbiamo abbandonati”.
Ora, mi permetto di dubitare: quale alternanza ha visto mai l’occidente
prima della caduta dei due blocchi di potere americano e sovietico?

angelo ha detto...

In
secondo luogo: non è stato forse proprio grazie alla scelta della Terza
via che, nel corso degli anni novanta, e ancora oltre, è stato
possibile ad alcuni schieramenti di centro-sinistra governare le
maggioranze all’interno di molti paesi, e non solo europei? E ancora:
se bene comprendiamo la scelta della Terza via tra il neoliberismo
della destra e le politiche assistenziali della vecchia sinistra, cosa
rappresenterebbe di diverso, almeno sul piano nominalistico, il futuro
del nuovo progetto, se non per l’appunto una diversa via tra la
socialdemocrazia “tradizionale” e il neo liberismo delle forze
conservatrici; e quindi, direi ancora, sostanzialmente una Terza via?
Certo, sarebbe contraddittorio pensare che si è detto male della Terza
via per dire poi bene di un’ipotesi progettuale che, sul piano del
discorso logico, dovrebbe per forza essere altro; ma che poi, di fatto,
non lo è. Perché, in realtà, di una Terza via ancora si tratta, ed è la
via della democrazia liberale, stretta tra il principio liberale e
maggioritario della democrazia e l’esigenza tuttavia di impedire ciò
che Alexis Clèrel de Tocqueville (1805-1859) definiva “tirannia della
maggioranza”. Secondo quanto da lui affermato, “per me, quando sento la
mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m' importa di
sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la
testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge».
Ed
è questo il motivo per il quale, per la costruzione, necessita un
secondo pilastro, che è quello detto, da sempre a sinistra, dell’
uguaglianza. E D’Alema, anche da questo punto di vista, non dice niente
di nuovo rispetto ad un recente passato. In un agone più ampio, che è
quello del mondo globalizzato, occorre che la politica si riappropri
dei propri spazi di potere sottraendoli all’economia del capitale, in
modo da ridurre le diseguaglianze, mediante sistemi di tassazione
finalizzati allo spostamento della ricchezza dal capitale al lavoro.
Rispetto ad un passato piuttosto recente, perché infatti, rispetto alla
vecchia socialdemocrazia, non si tratterà di provvedere esclusivamente
in termini redistributivi. Bisognerà, invece, cercare e promuovere l’
innovazione scientifica e tecnologica, cioè il terzo pilastro;
“consapevoli che nel 2025 la Cina e l’India produrranno il 40 per cento
del PIL globale, mentre l’Unione Europea rischia di raggiungere solo il
15 per cento. Alla luce di questi dati, cultura, ricerca e innovazione
devono diventare uno dei più importanti asset della Ue”.
Non la
vogliamo chiamare Terza via, ma questo importa poco. Ciò che più conta
è invece il fatto che, se le parole hanno un significato, è in gran
parte ancora vero quello che Bobbio scriveva già nell’immediato
dopoguerra (1946): “La caratteristica dello Stato democratico è questa:
che individuo e Stato non sono più l’uno contro l’altro armati, ma s’
identificano nella medesima volontà generale, che è la volontà di tutti
che comanda a ciascuno. Nella lotta tra liberalismo e socialismo,
accesasi il secolo scorso e aperta tuttora, la democrazia ha sempre
rappresentato la salvezza dello Stato liberale che non vuole
trasformarsi nel suo opposto, e dello Stato socialista che non vuole
ricadere nell’anarchismo. E’ stata invocata a volta a volta come
correttivo dell’uno e dell’altro. Come tale, ha pur rappresentato il
punto d’accordo delle opposte tendenze”.
Quanto ad oggi, trovo l’
intervento di D’Alema senz’altro convincente; anche se, rispetto ad
ieri, sostanzialmente non aggiunge nulla di nuovo.
Angelo
Giubileo

claudio ha detto...

Massimo D'Alema è stato eletto all'unanimità presidente della Foundation for European Progressive Studies nel corso dell'Assemblea Generale che si è riunita il 30 giugno 2010 a Bruxelles.

La Foundation for European Progressive Studies (FEPS) è una fondazione politica europea costituita nel 2008 su iniziativa della Commissione e del Parlamento europeo per sviluppare, insieme ad altre istituzioni analoghe, idee e strategie per i partiti politici dell’Unione europea. La FEPS, che ha sede a Bruxelles, è ad oggi costituita da 77 organizzazioni, di cui 40 sono fondazioni politiche nazionali e altrettante sono partiti politici. La Fondazione Italianieuropei è divenuta membro della FEPS sin dalla sua costituzione, e da allora fa parte dell’Assemblea Generale, il principale organo decisionale della FEPS, e del Bureau, che invece ne è l’organo esecutivo. D’Alema è il primo presidente eletto della FEPS.

Il misero compitino che il “fumi...stofelico” Massimo ha saputo preparare come neopresidente della Feps in effetti si traduce in questa selezione di frasi tratte dal suo discorso. La domanda é: se la ricetta é maggiore democrazia, maggiore uguaglianza e maggiore innovazione da dove si evince che la socialdemocrazia non ha le caratteristiche per sviluppare una politica conseguente, caratterizzata d’altro canto da sempre da questi “pilastri”? Forse il Massimo si confonde con il suo vero partito d’origine, visto che ha fatto parte del PSE per una breve e infruttuosa stazione.

“Nessuno dei grandi partiti progressisti al potere, in questo momento di straordinari cambiamenti si chiama socialista o ha a che fare con la nostra [?] tradizione.
Oggi, in Europa, siamo testimoni di una crisi della socialdemocrazia e delle forze socialdemocratiche.
Non dobbiamo indulgere in una analisi consolatoria dei tempi che stiamo attraversando. La crisi ha portato alla luce la questione della rilevanza dei nostri valori: siamo stati sconfitti perché, sulla scia della Terza via, li abbiamo abbandonati. A prima vista, la chiave per vincere ancora potrebbe essere un ritorno all’ortodossia, mettendo da parte l’esperienza degli anni ’90.
Sono convinto che [questa alternativa progressista europea] si debba basare su tre pilastri: democrazia, uguaglianza, conoscenza e cultura.
Democrazia, uguaglianza e innovazione devono essere le fondamenta sulle quali costruire una nuova stagione progressista.
La sfida, per noi, è intraprendere una trasformazione radicale, metterci in gioco, coinvolgere le forze progressiste e democratiche al di là dei nostri confini, al di là della nostra famiglia politica. Si può pensare che la costruzione di una moderna forza progressista e democratica, che miri al suo rinnovamento culturale, sia un problema solo italiano. Non è così.”

Evidentemente il Massimo non ha ben chiari i concetti di democrazia, socialismo e sfide progressiste.
Infatti propone come modello per l’Europa il pasticciaccio brutto del Partito Democratico in sostituzione del fallito modello comunista.

E noi come gli rispondiamo?

Claudio Marra

sergio ha detto...

Una premessa: Dalema non mi è mai stato simpatico ma se per questo neanche Craxi, tuttavia penso che si debbano disgiungere le antipatie dalle parole (specie se poi, a queste, seguono fatti).

Passiamo all'analisi della discussione sul perché le Socialdemocrazie europee sono in crisi e certamente lo sono; le varianti sono state diverse così come l'approccio culturale ai problemi, ma ben poche sono al potere in Europa. Le ragioni sono tante, forse, un poco, anche l'aver raggiunto traguardi di notevole valore dati troppo presto per scontati ed irreversibili; la critica che mi sento di portare è relativa alla subalternità culturale che, con responsabilità diverse, le "varianti socialiste e socialdemocratiche" hanno subito senza opporre particolare resistenza. Io non ricordo, in Europa, nessuna vera novità politica dopo il "Progetto Maidner" (che tra l'altro da noi socialisti italiani abbiamo snobbato) che costò ai Socialisti svedesi la prima sconfitta elettorale del dopoguerra.

Non vi è stata nessuna novità nelle teorie economiche che venissero "adottate" né dall'Internazionale Socialista né dal PSE per non parlare dei singoli Partiti socialisti o socialdemocratici d'Europa o nel mondo; pensiamo un po' alla discussione sulla globalizzazione e sui costi benefici che questa avrebbe dovuto introdurre nel mondo. Invano ho letto almeno una decina e forse più di libri sull'argomento senza trovare critiche argomentate da parte di politici o pensatori dichiaratamente socialisti.

L'egemonia delle teorie della "nuova destra" americana è stata quasi assoluta mentre noi (italiani ma anche europei) a ragionare su terze o quarte vie o sulla fine ormai avvenuta del Comunismo (sovietico, visto che quelli cinese, cubano e nord coreano, sussistono sia pure in forme "stravaganti").

In Italia poi, la distruzione di qualsiasi ipotesi socialista, è stata particolarmente voluta da destra e sinistra, eravamo visti come r... Fatto, tuttavia, che non avrebbe modificato di una virgola la riflessione politica europea sulle nuove politiche economiche da reiventare culturalmente.

Riprendendo il filo della discussione iniziale: la mia critica a Dalema non verte sul modello di organizzazione politica che si dovrebbe costruire nè sulla sua critica al modello socialdemocratico ma sulla sua proposta inconsistente relativamente al fatto che un Partito o una coalizione di partiti dovrebbe avere prioritariamente una visione culturale e poi politica comune di possibili diversi scenari economici e politici per una nuova società se non socialista certamente più democratica, giusta, solidale, con uno sviluppo non aggressivo nei confronti del Pianeta e dei popoli che lo abitano di quella che abbiamo sviluppato fino ad oggi.

Saluti.
Sergio Tremolada

lanfranco ha detto...

Non credo che il problema sia il vecchio ritornello del fallimento parallelo del comunismo e delia socialdemocrazia.interpretarlo così si farebbe torto all'intelligenza di d'alema.semmai critico il parallelismo vecchio modello socialdemocratico e terza via.Non c'è dubbio cmq che uno dei passaggi obbligatori in cfr al vecchio modello socialdemocratico sia il passaggio vero a una dimensione internazionale e come minimo europea,superando il miope nazionalismo delle politiche dei p. socialdemocratici di cui abbiamo discusso anche al convegno del 25 scorso.quello che non mi convince è l'enfasi retorica e fuorviante secondo cui la questione sarebbe di passare dalla socialdemocrazia a più ampie coalizioni.Non perchè sia contro le alleanze(verdi,linke varie,etcc) ma perchè mi sembra un parlar d'altro(o peggio un tentativo di rivendere all'estero il modello PD) in cfr all'esigenza di approfondire la lettura delle novità del capitalismo finanziario internazionale,dei suoi meccanismi di sviluppo e di crisi,delle politiche che si devono metter in atto per contrastarlo(cose che vanno molto oltre puri meccanismi redistributivi più equi).Ancora una volta rinvio alla lettera degli economisti del giugno scorso,o alle linee indicate da biasco nel convegno di giugno,per stare solo a autori italiani.Queste cose fanno fatica a filtrare nel dibattito a sinistra,mentre sembrano in tanti accettare l'idea della ineluttabilità delle attuali politiche europee e nel frattempo la crisi si aggrava sotto i nostri occhi,fino al punto di farci dubitare della sopravvivenza dell'euro e dell'europa politica.La mia seconda critica al testo di d'alema è quella di pensare di cavarsela col solito bilancino dei valori,sempre buoni e sempre validi,ma inutili se non si declinano in analisi adeguate e in conseguenti scelte strategiche.Cosa che peraltro d'alema sa meglio di tutti noi.
Ora mi andrò a leggere i documenti approvati a varsavia sperando di trovarci ricette più efficaci

giampaolo ha detto...

Siccome concordo con Lanfranco sulla non ovvietà delle cose del lider Maximo, mi faccio una riflessione con ujna lunga passeggiata. poi vado in cucina a farmi ujna scorpacciata di aria fritta: è leggera, non ingrassa, non gonfia, ma soprattutto ti fa dormire sonni tranquilli.

dario ha detto...

Prima di provare a discutere nel merito della questione "socialdemocrazia si
socialdemocrazia no" e di centralismo europeo, vorrei dare una piccola
informazione a Geppino Vetrano : mi pare di ricordare che il Partido dos
Trabalhadores brasiliano, e il Partito del Congresso in India hanno chiesto
ed ottenuto l'adesione all'Internazionale socialista, sarebbe il caso che
qualcuno passasse la notizia anche a D'Alema.

Nel merito delle questioni politiche poste da Baffino:
a- che la socialdemocrazia sia una esperienza essenzialmente europea mi pare
un dato storico assodato;
b- è comunque una esperienza politica che ha contribuito a costruire, più o
meno bene, un mondo in cui i diritti sociali e civili sono ampiamente
garantiti, e dove da quasi settantanni la DEMOCRAZIA vi è di casa, sia pure
con rischi populistici di ritorno all'indietro.
c- non altrettanto si può dire degli ex paesi comunisti, l'ex impero sovietico
è uscito dalla sua crisi economica e politica con governi populisti ed
autoritari; l'altro impero che ancora si definisce comunista, quello cinese,
ha abbracciato le peggiori teorie liberiste, miscelandole con l'autoritarismo
del Partito Unico, senza alcuna garanzia per i diritti civili e sociali.

Ergo

sarebbe il caso che l'Europa, ed in particolare il PSE, come sosteniamo dal
nostro piccolo noi socialisti del Gruppo di Volpedo, provasse a ricercare una
sua univoca proposta politica, per poi tentare di esportare il suo modello di
ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO, non di importare i modelli liberisti (e non
liberali) degli Stati Uniti.
Forse anche questo sfugge a Baffino: gli USA da almeno trentanni non sono più
un paese in cui predomina l'ideologia liberale (quella per capirci che aveva
un' agenzia antitrust che era capace di far scindere l'American Telephone and
Telegraph in 5 società perchè era diventata troppo grande e pericolosa), sono
ormai uno Stato profondamente illiberale in cui continuano a prevalere le
lobbies economiche liberiste.

Un vero limite del PSE è quello essere un Partito confederale che per
garantire a Martini Schultz i voti del PD nel Parlamento Europeo ha accettato
di affidare a personaggi come d'Alema la presidenza della propria Fondazione
di Studi, sono abbastanza realista da comprendere sono voti utili per
resistere all'offensiva delle destre, ma con D'Alema non si va molto lontano
e soprattutto non si innova e rinnova nulla.
É stato un personaggio politico incapace di rinnovare, nel momento in cui
l'unico concorrente vero a sinistra del PCI-PDS (il PSI) veniva distrutto, il
suo partito in Italia, che, pur di non ridefinirsi socialista, ha infilato in
questi ultimi ventanni una serie di sconfitte che faranno storia, e che
tutt'oggi non sa cosa fare.
Nel momento in cui il blocco sociale berlusconiano si sta sfaldando la
sinistra italiana, di cui il Partito di D'Alema è il maggio azionista, è
bloccato su una variabilità estrema di strategie, ma nessuna che realmente si
richiami all'unica ideologia che è rimasta in piedi dopo la caduta del muro
di Berlino: il socialismo democratico.
Dario Allamano

peppe ha detto...

Poichè D'Alema è stato il principale affossatore della sinistra italiana (in un altro paese appena apriva bocca lo avrebbero preso a calci in culo) non ha nessuna autorità per dare lezioni al socialismo. Il peggior prodotto del postcomunismo italiano riptete la solita solfa. Che insieme al comunismo è morta la socialdemocrazia. Una stronzta. Fra l'altro uno dei grandi partiti prpgrssisti che cita, il PT brasiliano è espressamenre socialista; in Argentina l'ala sinistra del peronismo (la Fernandez) si appresta ad entrare nell'iNternazionale Socialista (ed assume il socialismo democratico come suo orizzonte). L'Eurocentrismo della Interanzionale Socialista è stato superato 35 anni fa da Willy Brandt (con la fattiva collaborazione di Craxi, Mitterand e Gonzalez) Oggi nella IS vi sono molti ex movimemti di liberazione come quelli dell'Angola (MPLA) e del MOazambico (FRELIMO). In America Latina c'è il fronte sandinista. E sono entarti tutti prima che vi entrasse D'Alema. Il quale farebbe meglio a stare zitto e togliere il disturbo.