venerdì 3 maggio 2013

Franco Astengo: Democrazia e lavoratori. Il sindacato dei Consigli

DEMOCRAZIA E LAVORATORI: IL SINDACATO DEI CONSIGLI dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Stiamo attraversando un momento davvero buio per la democrazia sindacale: in conseguenza di ciò ho pensato di ricostruire, sul piano dell’analisi storico – politica, la fase che portò, principiando all’incirca 50 anni fa, alla straordinaria stagione dei consigli operai. Un’epoca ben diversa, pur senza voler mitizzare alcunché anzi non edulcorando difficoltà e contraddizioni, da quella di vera e propria “controriforma” che stiamo attraversando. Le radici della stagione di quello che poi sarà definito “Sindacato dei Consigli” vanno ricercate, in anticipo sul ’68, allorquando la riflessione critica dilagò tra i lavoratori e si sviluppò una forte contestazione nei riguardi delle vecchie strutture e del modo di dirigere il sindacato che queste avevano esercitato fino allora. A quel punto, quello fatidico della stagione sessantottesca, il sindacato aveva già avviato un suo dibattito sia pure in forme e con gradi molto diversi da situazione a situazione. Era già in atto, in quel momento, infatti, una battaglia politica all’interno del sindacato per il rinnovamento e la costruzione di nuove forme di democrazia di base, quando avvenne l’impatto con il movimento studentesco: soprattutto in alcune zone del triangolo industriale, a Torino, a Milano e in Lombardia e in tutte le aree che, all’epoca, erano considerate di nuova industrializzazione, in modo particolare nel Veneto, a Pordenone e a Treviso. Per questa ragione si può affermare che anche i fenomeni spontanei di protagonismo e di partecipazione che si erano sprigionati nel movimento di classe trovarono interlocutori all’interno del Sindacato. Pesò, inoltre, la nuova esperienza unitaria che aveva già decollato da qualche anno in alcuni settori, non solo tra i metalmeccanici. I metalmeccanici, in ogni caso, già dal ’62 (per non risalire, addirittura, alla lotta degli elettromeccanici del ’60, quella del “Natale in Piazza” a Milano, Bergamo e Savona) avevano dato l’avvio a un coordinamento nazionale dell’azione rivendicativa fondata su una gestione sostanzialmente unitaria delle lotte e anche della trattativa. La battaglia contrattuale del ’66 fu poi condotta, sia pure in mezzo a mille difficoltà, in modo unitario, e per la prima volata, a partire da una piattaforma comune. Addirittura nel ’66 nacquero per gestire la lotta contrattuale, i primi “comitati aziendali unitari di lotta”. Ebbero sicuramente, in questo processo, un peso decisivo i contenuti specifici dell’azione rivendicativa che già negli anni’66, ’67, ’68 si facevano strada, particolarmente nell’industria e soprattutto nella grande fabbrica: contenuti di potere, di diritto all’organizzazione, di diritto all’esistenza politicamente organizzata nei luoghi di lavoro, della salute, di contestazione della determinazione unilaterale del padrone sulle cadenze, sui tempi di lavoro e sull’inquadramento professionale. Tre fattori risultarono determinanti nell’avvio della fase storica del “Sindacato dei Consigli”: la percezione nei gruppi dirigenti della crisi delle strutture burocratiche del sindacato; i nuovi problemi di direzione posti dal processo unitario e la spinta alla democrazia di base che proveniva dai nuovi obiettivi di potere dell’azione rivendicativa. Il movimento sindacale italiano riuscì a fornire, in questo modo, almeno in alcuni suoi comparti, delle risposte politiche e organizzative al travaglio che lo stava investendo in quel momento, alle sollecitazioni critiche che provenivano sia dell’interno, sia dall’esterno della classe operaia. Quella dei “consigli” fu una risposta capace di superare il conflitto tra spontaneità e organizzazione, offrendo uno sbocco reale alla domanda di rinnovamento che veniva dal basso, dotandosi di un nuovo progetto organizzativo e politico. I delegati e i consigli (il primo accordo in questo senso fu siglato alla Zoppas-Zanussi di Pordenone nel 1968) furono, infatti, il risultato di una tensione politica verso una nuova sintesi, verso un esito organico e consapevole dei processi spontanei, che maturavano nel movimento. L’esperienza concreta, quella che già nella metà degli anni’70, si delineò in molte fabbriche italiane, permise di fugare e ridimensionare dubbi che pure c’erano stati. Il consiglio di fabbrica restava l’espressione di una partecipazione di massa dei lavoratori iscritti e non iscritti al sindacato. La possibilità per tutti i lavoratori di partecipare alla formazione delle decisioni, senza dover sottostare all’obbligo dell’iscrizione preliminare, determinò – contrariamente alle previsioni – una crescita impressionante delle iscrizioni al sindacato e alle tre confederazioni che sostenevano i consigli, riducendo a uno scarto assai piccolo e sempre mobile, il rapporto fra iscritti e non iscritti all’interno dei consigli. La lotta politica condotta a viso aperto per garantire, nello stesso tempo, la rappresentanza di tutte le espressioni politiche e sindacali nei consigli di fabbrica e la più ampia dialettica delle posizioni che privilegiasse i contenuti delle lotte sindacali rispetto alle logiche generali di schieramento, consentì, inoltre, nella maggior parte dei casi, a gruppi e a forze minoritarie sul piano nazionale, di trovare uno spazio ben superiore a quello che avrebbero avuto nelle vecchie commissioni interne. Ho cercato di ricostruire essenzialmente la genesi dell’emergere di questa fondamentale sede d’espressione dei lavoratori in una fase “alta” nella complessa vicenda storica del movimento operaio in Italia. Potrei concludere a questo punto, non rinuncio però almeno ad abbozzare quelle che furono le cause primigenie della crisi del Sindacato dei Consigli già verso la seconda metà degli anni’70; ben prima, insomma, del decreto di San Valentino 1984 che tagliò, per opera di un ministro socialista, De Michelis, di un governo socialista, Craxi, quattro punti di scala mobile mandando in crisi definitiva il residuo di unità sindacale che ancora esisteva e terremotando definitivamente la sinistra. Alla metà degli anni’70, infatti, cominciarono a rendersi evidenti gli elementi di impoverimento della vitalità dei Consigli e una sorta di crisi di identità. Le ragioni di questa crisi possono essere fatte risalire, prima di tutto, a un’involuzione burocratica all’interno della struttura dei consigli, il cui funzionamento presupponeva, invece, non soltanto l’applicazione di regole astratte ma un progetto, una politica: quel progetto e quella politica che erano state, all’origine, la ragion d’essere della forma specifica di organizzazione dei consigli. Era venuto a mancare, scrive Bruno Trentin nel suo “Il sindacato dei consigli” (Editori Riuniti 1980) “un lavoro, un’iniziativa costante, una riflessione creativa e una vera lotta politica. Senza di questo il consiglio, come qualsiasi altro strumento di democrazia di base, ripiomba nella logica dell’amministrazione passiva dell’esistente”. La battaglia per la partecipazione organizzata dei lavoratori alla lotta sociale, la battaglia per una partecipazione consapevole si dimostrò così, in allora, impossibile da vincere una volta per sempre, ma da conquistare giorno per giorno. Franco Astengo

2 commenti:

claudio bellavita ha detto...

caro Astengo, hai ricordato una fase importante della storia del sindacato, ma vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse come i consigli si rapportavano alle commisioni interne : le superavano in quanto erano forme ancora più democratiche? e come si è passati alle RSA nominate dal sindacato, di certo un arretramento burocratico che ha ammazzato la partecipazione in un periodo storico in cui la condizione operaia non veniva vista con il senso di appartenenza e di dignità di classe, ma come fase transitoria della vita. quasi per "stato di necessità" da superare il più presto possibile.

franco ha detto...

Caro Claudio, certamente i consigli hanno superato le commissioni interne proprio sul terreno della democrazia e della raccolta della complessità della domanda in fabbrica, e fuori dalla fabbrica, sorta da una sorta di "spontaneismo virtuoso" che ho, cercato, nel testo di definire nel suo collegamento con una capacità di sintesi e di proposta che proprio i consigli erano in grado esprimere. Alla base della chiusura dell'esperienza il ritorno burocratico delle sigle, delle appartenenze partitiche ma soprattutto la trasformazione del ciclo produttivo, e quello che tu definisci giustamente la fine del sentirsi "classe" e portarne la realtà con dignità ed orgoglio. Grazie Franco Astengo