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mercoledì 22 maggio 2013
"Internazionale socialista. Crisi e strumentalizzazioni", Paolo Borioni - Luca Cefisi
"Internazionale socialista. Crisi e strumentalizzazioni", Paolo Borioni - Luca Cefisi l'Unità 19-5-2013
L’annuncio (dato per esempio da “Europa quotidiano”) della morte della IS, l’Internazionale Socialista, richiede la classica precisazione alla Mark Twain: si tratta di una notizia grandemente esagerata. E’ vero invece che l’Internazionale, già molte volte snodo storico indispensabile, (nella Ostpolitik negli anni 70, gli accordi di Oslo tra Rabin e Arafat negli anni 90), appare oggi in crisi.
In parte è una crisi dovuta a cambiamenti profondi del sistema di relazioni globale: il consolidamento istituzionale dell’Unione Europea ha reso il PES, il Partito del Socialismo Europeo, e il suo eurogruppo parlamentare (a cui gli eurodeputati democratici italiani opportunamente aderiscono), degli efficienti organismi di coordinamento e di iniziativa politica, che tendono quindi, almeno nel nostro continente, a sostituirsi al ruolo storico della IS. Quest’ultima, trovandosi, per così dire, disimpegnata in Europa, ha trovato a livello globale un limite arduo da superare nella relativa debolezza della sua istituzione di riferimento (l’ONU) e ancor di più nell’assenza di forze socialdemocratiche in Cina, Russia, Stati Uniti, e quindi ha scontato un’assenza di influenza in alcuni teatri cruciali. L’Internazionale è però attivissima in America Latina e in Africa. L’iniziativa dei socialdemocratici tedeschi, olandesi e, in parte, scandinavi di una cosiddetta “Alleanza progressista” internazionale vuole rispondere a queste difficoltà, ma, francamente, è un segno di insoddisfazione per l’attuale funzionamento della IS, e non è in grado di sostituirsi ad essa.
Piuttosto, la discussione verte sugli strumenti e l’organizzazione, e ci sono anche ragioni spicciole (succede ovunque…), dopo che l’ultimo congresso della IS in Sudafrica ha respinto con stretta maggioranza una candidatura svedese alla carica di segretario generale, rimasta a una figura storica come il cileno Ayala. Da qui le polemiche: la principale su Tunisia ed Egitto, dove la IS è stata lenta a reagire alle novità (ma in Algeria, Libano, Iraq la stessa IS ha invece ben operato…). Un tempo pochi leader autorevoli si sarebbero riuniti per risolvere i contrasti, ma oggi non ci sono più i Mitterrand, i Soares, i Brandt, i loro successori non hanno la loro facilità nell’imporsi, e oggi la governance dell’Internazionale è molto più complessa. Non sarebbe un bene se alcuni partiti europei si rinchiudessero nella dimensione organizzativa del PES: l’annunciata Alleanza appare, in buona sostanza, uno strumento utile a un nucleo fondatore europeo che si rapporta poi con differenti interlocutori in giro per il mondo. E sarebbe una disdetta se il presidente della Is, Papandreu, fosse percepito, in Germania o altrove, come un leader debole per la vicenda greca, dove invece l’ex primo ministro greco ha dimostrato coraggio e dedizione.
Evitiamo equivoci ideologici: non ci sarà una nuova internazionale “progressista” (qualunque cosa la parola significhi), né una sostituzione della visione socialdemocratica in Europa (sebbene sia questo che qualcuno spera). Il presidente Spd Gabriel, nel sostenere recentemente la campagna elettorale di Italia Bene Comune, ha rivendicato a piena voce come la Spd non abbia cambiato nome e valori in 150 anni di storia, e che le ragioni ideali della fondazione dell’Internazionale nel lontano 1889 sono sempre all’ordine del giorno. Del resto, dove sarebbero le famiglie politiche in grande progresso con cui contaminarsi dissolvendo il socialismo europeo? I verdi sono rilevanti in pochissimi paesi, e solo in Germania sono importanti. I post-comunisti in nessun luogo guadagnano voti dalle difficoltà, innegabili, dei socialdemocratici. Lo stesso vale per i liberali progressisti: solo i Liberaldemocratici britannici erano cresciuti grazie ai delusi da Blair, ma la scelta di andare coi conservatori li ha gettati in una forte crisi. I delusi della socialdemocrazia sono molti perché essa fatica a contrapporsi alle ricette fallimentari dell’austerità, essi confluiscono però soprattutto verso astensione o partiti di protesta. Tuttavia anche nella Grande Crisi fra le due guerre fu così: si stentò a trovare soluzioni, ma poi avvenne. Ancora oggi, pur nelle difficoltà, il socialismo democratico è attrezzato a trovare soluzioni, grazie agli impulsi forti che gli provengono dai think tanks sindacali (come la Hans Böckler Stiftung), dal lavoro critico delle sue fondazioni di studio (la tedesca Friedrich Ebert, la danese Cevea, la britannica Fabian Society e molte altre che collaborano). Infine l’Internazionale Socialista, grazie per esempio alle esperienze latinomericane, può aggiungere il contributo di nuove esperienze, che (come bene indica Salvatore Biasco nel suo ultimo libro) usano senza complessi e con efficacia l’azione pubblica del governo per intervenire nel libero mercato. PES e IS, che devono certo superare le loro difficoltà contingenti nel collaborare tra loro, possono potenzialmente smentire i desideri di chi voleva, nel 2011, che l’ortodossia economica della BCE divenisse il programma obbligato della sinistra europea ed italiana. Forse questo spiega certe esagerazioni riguardo alle vicende della Internazionale Socialista.
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