lunedì 1 agosto 2011

Franco Astendo: Deriva tecnocratica e crisi del partito personale

DERIVA TECNOCRATICA E CRISI DEL PARTITO PERSONALE
La gravità della crisi politica ed economica che sta attraversando il nostro Paese, nel quadro più complesso della situazione internazionale (basta pensare agli USA), sta assumendo caratteristiche molto particolari sulle quali si sono intrattenuti, oggi 1 Agosto, sulle colonne del “Corriere della Sera” e di “Repubblica”, due tra i più autorevoli politologi italiani, Angelo Panebianco e Ilvo Diamanti.
Da un lato Panebianco analizza la prospettiva del “governo tecnico”, quale risposta alla ormai imperante sfiducia nella democrazia rappresentativa: anzi un “governo tecnico” inteso quasi come fattore di “sospensione della democrazia”, laddove si scrive che esistono umori diffusi che indicano come in Italia, oggi, bisognerebbe fare certe cose e che i politici, proprio perché vincolati dagli elettori da un rapporto di rappresentanza, non siano in grado di farle.
Il dato emergente di questi “umori” non può che essere definito, almeno dal nostro punto di vista, come quello espressivo della “vera” antipolitica, non soltanto dell’espressione dell’antipolitica diciamo così di venatura “qualunquista”, ma di quell’antipolitica attraverso la quale si rischia di arrivare a un restringimento reale di canali di partecipazione democratica (del resto, nella discussione, sui “costi della politica”, si arriva spesso a questo tipo di conclusione e il “tagliare” si dirige proprio nel senso del “ridurre” spazi, invece di affrontare l’incredibile mole di privilegi fuori-misura di cui il ceto politico gode, a tutti i livelli, e il tema della corruzione, mai come adesso emergente, come dimostrano le molte inchieste in corso).
Del resto, l’assalto “tecnocratico” (che possiamo però permetterci di definire di “destra”, anche perché la politica non consente vuoti e chi intende occuparsene, anche sotto la bandiera dell’“anti” è chiamato comunque, oggettivamente, a schierarsi) si combina con una crisi verticale del sistema che, proprio Diamanti, indica nella deriva del “partito personale”.
Il “partito personale” ha rappresentato la risposta, prima a destra poi a sinistra, all’implosione dei grandi partiti di massa, avvenuta all’inizio degli anni’90 del secolo scorso: la prima risposta, in quella direzione fu la Lega – come ricorda opportunamente Diamanti – poi Forza Italia che riuscì, attraverso il meccanismo del partito “personale – azienda” a realizzare il capolavoro di incentrare l’intero sistema su di una sola persona.
Poi vennero le imitazioni e, sempre citando Diamanti, sono elencati: IDV, SeL, Udc, Fli, Api (i radicali fin dagli anni’80 avevano impostato la loro presentazione elettorale sul “nome” del leader: prima Panella e poi Bonino).
Restano esclusi, nella sostanza, il PRC (giudicato ormai invisibile) e l’esperimento del PD di Veltroni (nuova DC spostata a sinistra, con le “primarie” in luogo dei congressi, per regalare un’investitura di massa a “un leader”).
Tutto il meccanismo adesso è in forte difficoltà, il motore si è inceppato, proprio perché il leader sul quale si era incentrato l’intero sistema appare in declino e contemporaneamente la personalizzazione ha logorato i partiti.
In questo modo si apre la strada alla tecnocrazia di destra, perché ci avviamo (citiamo ancora Diamanti) “ a un futuro prossimo, già iniziato, senza leader e senza partiti.
Quale risposta possibile?
Corriamo il rischio di ripeterci, rispetto ad altre recenti analoghe occasioni, almeno per quel che riguarda la sinistra: occorre aprire la riflessione sui corpi intermedi, sull’organizzazione politica, sulla necessità della costruzione di un partito effettivamente radicato nella società, capace di intrecciare cultura e politica e su quella base esprimere capacità di rappresentanza e di costruire un nuovo gruppo dirigente.
Un partito che deve saper tener conto, ed è questo il punto conclusivo sul quale vorremmo soffermarci, capace di collocarsi sull’insieme delle concrete fratture sociali: quelle “storiche” della condizione materiale di vita e quelle “post-materialiste” della volontà, collettiva e dei singoli, di stabilire gli stili di vita più consoni alla società di oggi, alla necessità di salvaguardare il territorio, di realizzare più ricchi rapporti umani, di essere adeguati alla velocità dell’innovazione tecnologica e all’emergere, conseguente, di nuovi bisogni che attraversano le differenze di etnia, di genere, di generazione.
Savona, li 1 agosto 2011 Franco Astengo

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