LA FORMAZIONE DELLA “CLASSE DIRIGENTE”
Il PD è di fronte alla “questione morale”, il dato appare chiaro e inequivocabile e non serve rifugiarsi dietro al motto evangelico della trave e della pagliuzza (anche se, nel caso dell’avversario nell’occhio non c’è una trave ma L’Empire State Building) e neppure è utile affermare, come fa oggi sulle colonne del “Corriere della Sera” l’attuale sindaco di Sesto San Giovanni che “bisogna amministrare la Città”, in una lettera dove trasuda la pressione che la cosiddetta “antipolitica” pone nei confronti delle istituzioni e dei suoi rappresentanti.
Sarebbe sbagliato se si riducesse il tutto a casi singoli e non si esplorasse fino in fondo ciò che sta accadendo: come si sia verificato un mutamento radicale dell’agire politico che ha, da un lato favorito questo tipo di fenomeni negativi e dall’altro proprio la crescita di quella che abbiamo già definito “antipolitica”.
I casi, negli ultimi tempi, si stanno moltiplicando e pare abbiano tutti elementi comuni: dalla sanità pugliese, al trasporto aereo, alle tangenti raccolte per una squadra di basket (come in Liguria, “terra madre” degli scandali politici ripensando al Teardo anni’80).
L’elemento comune è quello della “resistibile ascesa” di determinati personaggi, dei quali apparentemente non si sono mai verificate le iniziative politico – amministrative consentendo (non si capisce bene perché) commistioni tra pubblico e privato attraversanti addirittura lo stesso nucleo familiare, il cumulo improprio di cariche tra partito e consigli d’amministrazione, ruoli dirigenziali e istituzionali cumulati in comuni viciniori nei quali problematiche importanti (in particolare in tema di assetto del territorio e di ambiente) sono comuni (quasi il classico gioco del “controllore e controllato”).
Perché ciò sia avvenuto rimane un mistero, quando sarebbe stato facile fermare questi ambiziosi personaggi impedendo il cumulo di incarichi o l’intreccio tra scelte amministrative e forniture: indubbiamente il caso di Sesto San Giovanni è il più grave, per il rilievo politico di grandissima portata.
Ci troviamo, infatti “nel cuore” della direzione politica del PD e se le azioni della magistratura si dovessero rivelare del tutto fondate, il colpo sarebbe tremendo, e non pare proprio che ci si stia attrezzando a dovere, i passi sono stati esitanti, del tutto insufficienti rispetto alla prospettiva che sta aprendosi.
Il nodo però sta tutto in una domanda: come si forma una “classe dirigente”? Già affermare “classe dirigente” fornisce un segnale negativo, parla di separatezza, davvero di “casta”, non chiarisce i meccanismi di interscambio con la società.
Non mitizziamo ovviamente la “società civile”, un errore commesso da molti all’epoca – ad esempio – di “Tangentopoli”: è evidente però che, in questa fase, sia risaltata una forma inedita di “autonomia del politico” basata non sull’identità collettiva dei soggetti, ma sul personalismo di una condizione effettivamente soggettiva da conservare, curare, accrescere perché portatrice proprio di benefici (nella maggior parte dei casi “fuori mercato”) individuali.
Il PD, come altri soggetti (non osiamo usare la parola partiti, che ha un grande significato, sul piano dell’indicazione della qualità di una democrazia : pensiamo che, a sinistra, esistono soggetti che si collocano al di fuori dell’art.49 della Costituzione e parlano di “rinnovamento”) è cascato nella trappola modificandosi a uso dei desiderata dell’avversario: personalizzazione, competizione maggioritaria, prevalenza (a tutti i livelli centrali e periferici) dell’idea della governabilità in luogo dell’idea della rappresentanza politica, svilimento del radicamento sociale e del ruolo degli iscritti, costretti a recitare la parte dei replicanti nelle improbabili “primarie”, nessun meccanismo di selezione dell’attività politica in base all’esperienza, alla cultura, alla capacità organizzativa. “Fidelizzazione” e “Personalismo” questa l’accoppiata perdente, dalla quale sono usciti entrambi i poli negativi d questa vicenda: da un lato l’emergere della “questione morale” e dell’altra il populismo (anche questo mutuato dall’avversario, in una logica di omologazione che è poi il tema dominante della crisi del PD) di facili “rottamatori” e di “affabulatori” di vario genere.
Abbiamo speso parole amare: l’invito è quello di andare a fondo; il pericolo vero è che non ci sia più uno spazio, in questa fase, per una classe politica di riferimento, ma soltanto per una “presunta” classe dirigente autoreferenziale .
Non si venga a raccontare, infine, la favola del consenso realizzato alle elezioni: nel caso referendum e amministrative sono già passati e si debbono fare i conti sui dati reali, partendo dal complesso degli elettori, il calo a destra come a sinistra è impressionante e i rischi, in questa crisi verticale, dietro l’angolo.
Savona, li 29 agosto 2011 Franco Astengo
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