“Il caso Penati scuote la politica”, così titola a tutta pagina il Corriere della Sera di lunedì 29 agosto 2011. Sono passati giusto vent’anni dall’assassinio di Libero Grassi, e nel suo ricordo, e nel ricordo dei tanti italiani massacrati direttamente e indirettamente da una politica fellona ed inerte, capace di scuotersi solo quando sono gli interessi della propria parte ad essere messi a rischio, il titolo del più autorevole e antico quotidiano italiano mi suona come un’amarissima beffa. Marcello Ravveduto, Presidente del Coordinamento Libero Grassi, su l’Unità di domenica 28 agosto ha ricordato che a Samarcanda, la trasmissione condotta da Michele Santoro, l’11 aprile 1991, Grassi aveva sì denunciato la piaga del “pizzo”, ma anche sottolineato che il primato della politica, il primato della morale, sono preceduti dal primato della “qualità del consenso”. È una primato logico, prima che etico o morale, perché è ora, nel paese dove “il fine giustifica sempre i mezzi”, di sostenere con forza che quando i mezzi sono sudici, insudiciano il più nobile dei fini, sino a renderlo inservibile allo scopo per il quale si persegue. Sin da quando le avevo sentite, quelle parole di Libero Grassi mi hanno convinto che aveva circoscritto il cuore del problema, perchè spiegò bene cosa intendeva: “ad una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia”, come riporta con puntualità Ravveduto, e non era certo il consenso espresso per questo o quel partito, ad essere in sé cattivo, perché Grassi si riferiva alle modalità con cui tutti i partiti, chi accontentandosi, chi attivandosi, accedevano e tuttora ahinoi accedono, alla raccolta del consenso. Credevo di avere avuto le allucinazioni, perché non ho più trovato nessuna eco di quelle parole, e solo dopo anni di silenzio, ho ritrovato per la prima volta un cenno alla cosa, nella presentazione di Michele Santoro, al lavoro di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini “La mafia è bianca”, dove Santoro fra l’altro scrive: “in questo film compare un piccolo brano di una trasmissione che Maurizio Costanzo e io dedicammo alla memoria di Libero Grassi. Libero faceva pigiami al piano terra di un grande palazzo qualsiasi a Palermo. La mafia lo uccise perché si rifiutava di pagare il pizzo ma …..anche perché aveva capito che la forza di cosa nostra è l’immenso reticolo di complicità su cui può contare: politici, imprenditori e gente qualunque...” concetto che in quattro parole si può tradurre in “cattiva qualità del consenso”. È cambiato qualcosa da allora? Possiamo credere che oggi sia possibile non parlare più, di “cattiva qualità del consenso”? Possiamo credere, che senza incidere tale metastasi, anche a sinistra, per quanto mi riguarda in prima persona, soprattutto a sinistra, si possa sperare davvero in una rinascita dei suoi valori fondanti, di libertà di uguaglianza di fraternità, e in una ri-partenza verso traguardi degni della sua storia? Che si possa titolare che “Il caso Penati scuote la politica”, come se il sudiciume che da decenni insozza la politica in Italia cominci a puzzare solo con “il caso Penati”, è una “vergogna” che tutti dovremmo avvertire come tale. Il sudiciume anche quello politico, lasciandolo in discariche abusive, diventa percolato, e da troppo tempo si è lasciato che la politica italiana diventasse una sorta di discarica abusiva in cui pregiudicati di ogni risma e in-eleggibili, sono da anni presenti senza che nessuno sollevi un ciglio, nascosti sotto la foglia di fico di un falso garantismo, intanto che del garantismo vero, quello iscritto nella Costituzione antifascista, è stata fatta mucillagine. O si aggredisce finalmente il cancro della “cattiva qualità del consenso”, come la intendeva Libero Grassi, o tutto si rivelerà puntualmente inutile.
Vittorio Melandri
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