Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
venerdì 31 dicembre 2010
Claudio Bellavita: Peccato per Vendola
Aveva destato tante speranze, aveva vinto contro le burocrazie dei partiti implosi in se stessi, parlava un linguaggio diverso, entusiasmava i giovani. Anche lui sta per finire il suo volo, abbattuto dalla ferrea ostinazione della FIOM, il movimento bertinottiano del no sempre, a prescindere, che dopo ogni sconfitta fa una fuga in avanti per cercare di coinvolgere sempre più gente nei suoi disastri. Sarà battuta al referendum, dopo farà uno sciopero generale di categoria per protestare contro quelli che non hanno votato come voleva FIOM, poi farà il suo sindacato confederale, per staccarsi dalla CGIL che ha rifiutato di seguirla in uno sciopero generale suicida, e gli ha fatto l'estrema offesa di nominare segretario generale la Camusso , che fu estromessa dalla FIOM di Sabatini perche non era abbastanza massimalista, non senza vari tentativi di processi popolari.
Infine, attuando la cinghia di trasmissione al contrario, si metterà in politica, alla guida della sinistra del no, tante parole, tante lagne, nessun progetto, ma no a tutto. No a vedere cosa succede nel mondo nel settore auto, no alla TAV, no agli inceneritori e alle discariche: tra 10 anni Torino come Napoli, no alle tangenziali e alle metropolitane. no anche alla produzione di auto in FIAT, perché inquinano, e come si permette Marchionne di fare produrre dei SUV proprio a Torino, dove ci siamo noi, così ecologisti. Manterremo l'occupazione a Mirafiori facendo coltivare cardi gobbi, così daremo uno sbocco equosolidale ai pescatori peruviani che svendono le loro acciughe. A Mirafiori si faranno vasetti di bagna cauda, da vendere in val di Susa, ovviamente a prezzo politico.
Peccato anche per Passoni, ci sarà anche il no alle primarie, inquinate dall'inaccettabile presenza di un Fassino che si permette di criticare la sacra FIOM e va scomunicato. Alle comunali si presenterà la lista del no a Fassino, con l'obiettivo di cedere il comune a Lega e PDL.
Grazie, compagni, siete sempre quelli che ha fatto cadere l'unico governo decente della seconda repubblica per una impuntatura di cui nessuno ricorda più le ragioni. Siete sempre quelli che han fatto fare 35 giorni di sciopero senza un'ombra di cassa di resistenza e senza verificare cosa ne pensavano in fabbrica, per una difesa di principio di 61 contigui al terrorismo. No anche a fare inchieste in fabbrica, il nostro tempo lo dobbiamo occupare al gioco di chi è più di sinistra di chi
Infine, attuando la cinghia di trasmissione al contrario, si metterà in politica, alla guida della sinistra del no, tante parole, tante lagne, nessun progetto, ma no a tutto. No a vedere cosa succede nel mondo nel settore auto, no alla TAV, no agli inceneritori e alle discariche: tra 10 anni Torino come Napoli, no alle tangenziali e alle metropolitane. no anche alla produzione di auto in FIAT, perché inquinano, e come si permette Marchionne di fare produrre dei SUV proprio a Torino, dove ci siamo noi, così ecologisti. Manterremo l'occupazione a Mirafiori facendo coltivare cardi gobbi, così daremo uno sbocco equosolidale ai pescatori peruviani che svendono le loro acciughe. A Mirafiori si faranno vasetti di bagna cauda, da vendere in val di Susa, ovviamente a prezzo politico.
Peccato anche per Passoni, ci sarà anche il no alle primarie, inquinate dall'inaccettabile presenza di un Fassino che si permette di criticare la sacra FIOM e va scomunicato. Alle comunali si presenterà la lista del no a Fassino, con l'obiettivo di cedere il comune a Lega e PDL.
Grazie, compagni, siete sempre quelli che ha fatto cadere l'unico governo decente della seconda repubblica per una impuntatura di cui nessuno ricorda più le ragioni. Siete sempre quelli che han fatto fare 35 giorni di sciopero senza un'ombra di cassa di resistenza e senza verificare cosa ne pensavano in fabbrica, per una difesa di principio di 61 contigui al terrorismo. No anche a fare inchieste in fabbrica, il nostro tempo lo dobbiamo occupare al gioco di chi è più di sinistra di chi
giovedì 30 dicembre 2010
mercoledì 29 dicembre 2010
Giuseppe Giudice: Marchionne e la II Repubblica
Da Facebook
Marchionne e la II Repubblica.
pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno mercoledì 29 dicembre 2010 alle ore 3.10
Marchionne e la II Repubblica.
Forse qualcuno definirà la II Repubblica come quella di Marchionne. Che è colui che da il colpo di maglio finale a tutto ciò che di buono e positivo che si è costruito nella Prima. In questo caso i diritti del lavoro e la libertà sindacale.
Ma Marchionne ed il caso Fiat sono la parabola conclusiva di un processo di regressione economica e sociale che parte agli inizi degli anni 90 e si sviluppa successivamente.
Quando io dico che Mani Pulite ha agito conformemente agli interessi del capitalismo finanziario internazionale non intendo certo dire che Borrelli e Di Pietro (su quest’ultimo forse qualche dubbio ce l’avrei) agissero su ordine diretto di Wall Street. E’ che, ad un certo punto, si è creata una convergenza oggettiva tra il protagonismo esasperato di un pezzo della magistratura, i poteri forti nazionali e quelli internazionali. E che ha agito all’inizio su un clima di forte consenso popolare. La corruzione esisteva così come le degenerazioni dei partiti.
Ma queste azioni concomitanti non intendevano sul serio colpire la corruzione. Se lo si voleva fare si poteva benissimo separare quella che era “illegalità di sistema” (finanziamento illecito ai partiti) dalla corruzione personale (arricchimenti illeciti). Ma non era questo l’obbiettivo quanto quello di indirizzare l’indignazione popolare verso la distruzione sic et simpliciter del sistema dei partiti e favorire il controllo della politica da parte della tecnocrazia (da Tremonti a Ciampi a Padoa Schioppa il governo della economia è stato affidato ad essi in questi 16 anni) e dare ad un pezzo della magistratura la potestà di controllo sulla evoluzione politica. Tecnocrazia (Tremonti, Prodi) e populismo (Berlusconi, Di Pietro) sono gli assi portanti.
Comunque la prima cosa a cui puntavano i costruttori della II Repubblica era lo smantellamento del settore pubblico dell’economia, particolarmente vasto in Italia. Ora in esso c’era parte che certo poteva essere privatizzata (penso all’industria alimentare), ma c’erano settori strategici e vitali per la nostra economia che né potevano essere svenduti né potevano sfuggire a forme di controllo pubblico.
Certo quella delle privatizzazioni generalizzate era l’ideologia dominante in pezzi della stessa Commissione Europea. Ma molti stati (a partire dalla Francia ) hanno sempre rifiutato di privatizzare servizi pubblici e settori strategici. Il paese in cui si è privatizzato quasi tutto, si è privatizzato malissimo, è stata l’Italia della II Repubblica. Con responsabilità trasversali tra i due schieramenti.
In più si è rifiutato di inserire qualsiasi forma di democrazia economica (co-determinazione) e di fondare una politica industriale (parola orribile per i liberisti!!!) per orientare lo sviluppo di settori che erano la spina dorsale della economia italiana. Alla fine lo ha spiegato bene Luciano Gallino: l’Italia con lo smantellamento delle imprese pubbliche ha sofferto una desertificazione industriale, un abbassamento della qualità della produzione, un sistema privato che ha comprato il settore pubblico non solo a prezzi stracciati ma tramite un sistema di partite di giro con gli stessi soldi pubblici cioè dei contribuenti!
Alla fine degli anni 90 anche nel centrosinistra è prevalsa l’idea anglosassone in sedicesima che bisognava puntare sui prodotti finanziari piuttosto che sull’industria (si diceva allora che la Germania ed il Giappone erano i paesi più arretrati del mondo, per non parlare della Francia “statalista” di Jospin!). E che se anche si perdeva l’industria dell’auto nazionale non era poi così grave! La Fiat ha seguito questa linea, ha investito molto in finanza (la finanziarizzazione non si basa sulla contrapposizione tra capitalismo finanziario ed industriale, ma nel fatto che è quello industriale che invece di investire in innovazione ed attività produttive sposta i suoi profitti verso la finanza)
Quindi la Fiat ha perso un decennio rispetto ad altre case automobilistiche. Ha marginalizzato il settore abbassando notevolmente la qualità (la differenza tra la prima e la seconda Punto fatte a Melfi era evidente – non parlo della Grande Punto), disinvestendo in innovazione (i brevetti Fiat sono stati venduti ad altri). Ora era difficile che la Fiat (anche tramite la Grande Punto o la Panda) potesse recuperare un divario di dieci anni.
Ecco come spunta il Marchionne di turno che dice: “ la mia è una vocazione terzomondista: se volete che gli stabilimenti restino in Italia, dovete accettare condizioni di lavoro da terzo mondo”. Il ricatto consentito da un governo di centrodestra ma anche da settori del PD che invece di dire alla Fiat (come si è fatto in Germania ed in Francia): “se delocalizzi ti sogni tutti i contributi pubblici (un argomento serio per la Fiat che lo stabilimento di Melfi lo ha avuto gratis)” plaudono a Marchionne. Il quale costruirà a Mirafiori SUV americane , macchine ingombranti ed inquinanti, in totale antagonismo con le scelte di altre case volte a ridurre i consumi e le emissioni inquinanti (basti pensare agli investimenti sulle “auto ibride”) o comunque sulla eco-compatibilità (estesa ai modelli popolari). Che senso ha produrre auto che ormai sviluppano più di 200 CV (quando ci sono i limiti di 130 orari)?
Sul modello Marchionne la resistenza è importante ma non basta. Dobbiamo essere in grado come sinistra di proporre linee di politica industriale ed economica alternative rispetto a quelle che ci ripropongono modelli di crescita fondata sulla ipertrofia dei consumi privati.
Il PD si è spaccato sulla vicenda Fiat. Ma il vertice non prende posizione. Sinceramente il PD è una frana. Questo è un handicap per una sinistra di governo che non può tollerare i gargarismi velleitari di Cremaschi (in passato la FIOM ha subito gli effetti di un minoritarismo isolazionista –oggi certo ha ragione e va difesa, ma Cremaschi dovrebbe togliersi dai c….) ma neanche le assurdità di Fassino e Chiamparino a braccetto con Marchionne… (che brutta fine per certi ex comunisti – alla fine sono alla stregua dei Sacconi e dei Brunetta).
PEPPE GIUDICE
Marchionne e la II Repubblica.
pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno mercoledì 29 dicembre 2010 alle ore 3.10
Marchionne e la II Repubblica.
Forse qualcuno definirà la II Repubblica come quella di Marchionne. Che è colui che da il colpo di maglio finale a tutto ciò che di buono e positivo che si è costruito nella Prima. In questo caso i diritti del lavoro e la libertà sindacale.
Ma Marchionne ed il caso Fiat sono la parabola conclusiva di un processo di regressione economica e sociale che parte agli inizi degli anni 90 e si sviluppa successivamente.
Quando io dico che Mani Pulite ha agito conformemente agli interessi del capitalismo finanziario internazionale non intendo certo dire che Borrelli e Di Pietro (su quest’ultimo forse qualche dubbio ce l’avrei) agissero su ordine diretto di Wall Street. E’ che, ad un certo punto, si è creata una convergenza oggettiva tra il protagonismo esasperato di un pezzo della magistratura, i poteri forti nazionali e quelli internazionali. E che ha agito all’inizio su un clima di forte consenso popolare. La corruzione esisteva così come le degenerazioni dei partiti.
Ma queste azioni concomitanti non intendevano sul serio colpire la corruzione. Se lo si voleva fare si poteva benissimo separare quella che era “illegalità di sistema” (finanziamento illecito ai partiti) dalla corruzione personale (arricchimenti illeciti). Ma non era questo l’obbiettivo quanto quello di indirizzare l’indignazione popolare verso la distruzione sic et simpliciter del sistema dei partiti e favorire il controllo della politica da parte della tecnocrazia (da Tremonti a Ciampi a Padoa Schioppa il governo della economia è stato affidato ad essi in questi 16 anni) e dare ad un pezzo della magistratura la potestà di controllo sulla evoluzione politica. Tecnocrazia (Tremonti, Prodi) e populismo (Berlusconi, Di Pietro) sono gli assi portanti.
Comunque la prima cosa a cui puntavano i costruttori della II Repubblica era lo smantellamento del settore pubblico dell’economia, particolarmente vasto in Italia. Ora in esso c’era parte che certo poteva essere privatizzata (penso all’industria alimentare), ma c’erano settori strategici e vitali per la nostra economia che né potevano essere svenduti né potevano sfuggire a forme di controllo pubblico.
Certo quella delle privatizzazioni generalizzate era l’ideologia dominante in pezzi della stessa Commissione Europea. Ma molti stati (a partire dalla Francia ) hanno sempre rifiutato di privatizzare servizi pubblici e settori strategici. Il paese in cui si è privatizzato quasi tutto, si è privatizzato malissimo, è stata l’Italia della II Repubblica. Con responsabilità trasversali tra i due schieramenti.
In più si è rifiutato di inserire qualsiasi forma di democrazia economica (co-determinazione) e di fondare una politica industriale (parola orribile per i liberisti!!!) per orientare lo sviluppo di settori che erano la spina dorsale della economia italiana. Alla fine lo ha spiegato bene Luciano Gallino: l’Italia con lo smantellamento delle imprese pubbliche ha sofferto una desertificazione industriale, un abbassamento della qualità della produzione, un sistema privato che ha comprato il settore pubblico non solo a prezzi stracciati ma tramite un sistema di partite di giro con gli stessi soldi pubblici cioè dei contribuenti!
Alla fine degli anni 90 anche nel centrosinistra è prevalsa l’idea anglosassone in sedicesima che bisognava puntare sui prodotti finanziari piuttosto che sull’industria (si diceva allora che la Germania ed il Giappone erano i paesi più arretrati del mondo, per non parlare della Francia “statalista” di Jospin!). E che se anche si perdeva l’industria dell’auto nazionale non era poi così grave! La Fiat ha seguito questa linea, ha investito molto in finanza (la finanziarizzazione non si basa sulla contrapposizione tra capitalismo finanziario ed industriale, ma nel fatto che è quello industriale che invece di investire in innovazione ed attività produttive sposta i suoi profitti verso la finanza)
Quindi la Fiat ha perso un decennio rispetto ad altre case automobilistiche. Ha marginalizzato il settore abbassando notevolmente la qualità (la differenza tra la prima e la seconda Punto fatte a Melfi era evidente – non parlo della Grande Punto), disinvestendo in innovazione (i brevetti Fiat sono stati venduti ad altri). Ora era difficile che la Fiat (anche tramite la Grande Punto o la Panda) potesse recuperare un divario di dieci anni.
Ecco come spunta il Marchionne di turno che dice: “ la mia è una vocazione terzomondista: se volete che gli stabilimenti restino in Italia, dovete accettare condizioni di lavoro da terzo mondo”. Il ricatto consentito da un governo di centrodestra ma anche da settori del PD che invece di dire alla Fiat (come si è fatto in Germania ed in Francia): “se delocalizzi ti sogni tutti i contributi pubblici (un argomento serio per la Fiat che lo stabilimento di Melfi lo ha avuto gratis)” plaudono a Marchionne. Il quale costruirà a Mirafiori SUV americane , macchine ingombranti ed inquinanti, in totale antagonismo con le scelte di altre case volte a ridurre i consumi e le emissioni inquinanti (basti pensare agli investimenti sulle “auto ibride”) o comunque sulla eco-compatibilità (estesa ai modelli popolari). Che senso ha produrre auto che ormai sviluppano più di 200 CV (quando ci sono i limiti di 130 orari)?
Sul modello Marchionne la resistenza è importante ma non basta. Dobbiamo essere in grado come sinistra di proporre linee di politica industriale ed economica alternative rispetto a quelle che ci ripropongono modelli di crescita fondata sulla ipertrofia dei consumi privati.
Il PD si è spaccato sulla vicenda Fiat. Ma il vertice non prende posizione. Sinceramente il PD è una frana. Questo è un handicap per una sinistra di governo che non può tollerare i gargarismi velleitari di Cremaschi (in passato la FIOM ha subito gli effetti di un minoritarismo isolazionista –oggi certo ha ragione e va difesa, ma Cremaschi dovrebbe togliersi dai c….) ma neanche le assurdità di Fassino e Chiamparino a braccetto con Marchionne… (che brutta fine per certi ex comunisti – alla fine sono alla stregua dei Sacconi e dei Brunetta).
PEPPE GIUDICE
martedì 28 dicembre 2010
sergio tremolada: Monumento a Pertini
Care Compagne e Compagni,
ringrazio Dario per la solerzia con cui ci puntualizza le vicende FIAT che, anch'io, penso siano emblematiche dei nuovi paradigmi sindacali; in fondo non mi dispiace che il fronte dei si e dei no siano compositi (non solo di un'area ben delineata).
Questo fatto ci obbliga a non fare semplificazioni ed essere più accorti.
Forrei tuttavia segnalarvi anche un'altra questione che, solo apparentemente, non sembra essere collegata alle questioni del Lavoro:
a Milano vi è un (brutto) monumento a Pertini, una specie di scatola aperta che sul retro (sic) ha una piccola fontana; la targa del nome (di bronzo) è particolarmente piccola e ormai deteriorata.
Ma un monumento è sempre un monumento! Oltretutto da sulla via Manzoni, una bella via vicina al "quadrilatero del lusso". Ed ecco che l'ineffabile Giunta Moratti concede ad una nota casa appunto del lusso di costruire (spero in precario) una orribile scatola di vetro ed alluminio che è diventata un negozio natalizio (si spera).
Esattamente come sulla piazza del Duomo un'altro edificio a forma di scatole (plurale) da regalo con tanto di fiocchi, è stato concesso a Tiffany (gioielli di lusso) che ha contraccambiato con un gigantesco albero di Natale illuminato (un tronco di abete con inchiodati i rami illuminati).
Solo qualche flebile voce si è sollevata, per quest'ultimo sfregio alla città medaglia d'oro alla Resistenza, ma sul monumento a Pertini (che giace in uno stato di abbandono e transennato per "lavori in corso) niente neanche dai due Sindaci socialisti ancora viventi e grandi elettori dell'attuale maggioranza ( che concede loro alcune briciole).
Vogliamo darci da fare ed organizzare, tutti i Socialisti assieme, qualcosa che saldi le questioni del Lavoro, della Resistenza e della Dignità dei nostri padri della Patria?
Ciao a tutti.
Sergio Tremolada (Nuova Società)
ringrazio Dario per la solerzia con cui ci puntualizza le vicende FIAT che, anch'io, penso siano emblematiche dei nuovi paradigmi sindacali; in fondo non mi dispiace che il fronte dei si e dei no siano compositi (non solo di un'area ben delineata).
Questo fatto ci obbliga a non fare semplificazioni ed essere più accorti.
Forrei tuttavia segnalarvi anche un'altra questione che, solo apparentemente, non sembra essere collegata alle questioni del Lavoro:
a Milano vi è un (brutto) monumento a Pertini, una specie di scatola aperta che sul retro (sic) ha una piccola fontana; la targa del nome (di bronzo) è particolarmente piccola e ormai deteriorata.
Ma un monumento è sempre un monumento! Oltretutto da sulla via Manzoni, una bella via vicina al "quadrilatero del lusso". Ed ecco che l'ineffabile Giunta Moratti concede ad una nota casa appunto del lusso di costruire (spero in precario) una orribile scatola di vetro ed alluminio che è diventata un negozio natalizio (si spera).
Esattamente come sulla piazza del Duomo un'altro edificio a forma di scatole (plurale) da regalo con tanto di fiocchi, è stato concesso a Tiffany (gioielli di lusso) che ha contraccambiato con un gigantesco albero di Natale illuminato (un tronco di abete con inchiodati i rami illuminati).
Solo qualche flebile voce si è sollevata, per quest'ultimo sfregio alla città medaglia d'oro alla Resistenza, ma sul monumento a Pertini (che giace in uno stato di abbandono e transennato per "lavori in corso) niente neanche dai due Sindaci socialisti ancora viventi e grandi elettori dell'attuale maggioranza ( che concede loro alcune briciole).
Vogliamo darci da fare ed organizzare, tutti i Socialisti assieme, qualcosa che saldi le questioni del Lavoro, della Resistenza e della Dignità dei nostri padri della Patria?
Ciao a tutti.
Sergio Tremolada (Nuova Società)
Comunicato Associazione Labour Riccardo Lombardi: Accordo Fiat, un vulnus per le relazioni sociali e la democrazia
Comunicato Associazione
LABOUR “Riccardo Lombardi”
Roma, 27 dicembre 2010
ACCORDO FIAT: UN “VULNUS” PER LE RELAZIONI SOCIALI E LA DEMOCRAZIA
In tutta la complessa vicenda sindacale che da mesi sta interessando la Fiat c’è, soprattutto, un aspetto che - a nostro giudizio - occorre evidenziare prima di altri: la conclusione, in particolare, dell’accordo separato di Mirafiori segna una ferita, un passo indietro nella qualità delle relazioni sociali e quindi della democrazia di questo Paese. Il fatto, poi, che a questo corrisponda l’impegno per un investimento di un miliardo di euro nello stabilimento di Torino rappresenta, significativamente, il prezzo di questa parte di democrazia sacrificata.
Per quanto riguarda gli attori diretti dell’accordo i vantaggi per l’azienda sono, o dovrebbero essere, del tutto ovvii, mentre per la controparte sindacale che ha sottoscritto è evidente il peso del ricatto, ma anche il rischio di una deriva dove risulterà sempre più difficile potersi arrestare.
Ma al di fuori dei diretti interessati locali, nessuno a livello politico dovrebbe considerare positivamente questa sconfitta della nostra democrazia. Occorre invece segnalare con allarme che cosi non è: non solo il presidente del Consiglio e vari ministri hanno trovato il modo di esprimere un giudizio positivo e di considerare quell’accordo come un passo in avanti per l’ammodernamento di questo paese! Ma giudizi non molto dissimili sono stati espressi da esponenti di primo piano del centro sinistra.
Come Associazione LABOUR “Riccardo Lombardi” riteniamo necessario richiamare l’attenzione di tutte le forze democratico sulla gravità di un evento che va molto oltre la dialettica tra le forze sociali del territorio interessato e rappresenta invece un precedente pericoloso. Specie in relazione al fatto che le forze attualmente al governo ne hanno voluto, strumentalmente, esaltare la valenza positiva, a conferma di un concezione del tutto reazionaria e arretrata dei rapporti e delle relazioni sociali.
Noi chiediamo alle organizzazioni politiche, alle associazioni, ai circoli, di manifestare una posizione di netta critica, denunciando come oggi sia clamorosamente assente, non solo una seria politica industriale, ma anche una concezione di difesa della democrazia e delle conquiste sociali. Domandiamo di manifestare una volontà alternativa rispetto alle prospettive implicite nei provvedimenti decisi, di evidenziare diffusamente il rischio di derive autoritarie, nonché l’aggravamento di un declino economico, sociale e civile già da tempo in atto nel nostro Paese.
per l’Associazione LABOUR “R.Lombardi”
Renzo Penna, Mauro Beschi, Sergio Ferrari
LABOUR “Riccardo Lombardi”
Roma, 27 dicembre 2010
ACCORDO FIAT: UN “VULNUS” PER LE RELAZIONI SOCIALI E LA DEMOCRAZIA
In tutta la complessa vicenda sindacale che da mesi sta interessando la Fiat c’è, soprattutto, un aspetto che - a nostro giudizio - occorre evidenziare prima di altri: la conclusione, in particolare, dell’accordo separato di Mirafiori segna una ferita, un passo indietro nella qualità delle relazioni sociali e quindi della democrazia di questo Paese. Il fatto, poi, che a questo corrisponda l’impegno per un investimento di un miliardo di euro nello stabilimento di Torino rappresenta, significativamente, il prezzo di questa parte di democrazia sacrificata.
Per quanto riguarda gli attori diretti dell’accordo i vantaggi per l’azienda sono, o dovrebbero essere, del tutto ovvii, mentre per la controparte sindacale che ha sottoscritto è evidente il peso del ricatto, ma anche il rischio di una deriva dove risulterà sempre più difficile potersi arrestare.
Ma al di fuori dei diretti interessati locali, nessuno a livello politico dovrebbe considerare positivamente questa sconfitta della nostra democrazia. Occorre invece segnalare con allarme che cosi non è: non solo il presidente del Consiglio e vari ministri hanno trovato il modo di esprimere un giudizio positivo e di considerare quell’accordo come un passo in avanti per l’ammodernamento di questo paese! Ma giudizi non molto dissimili sono stati espressi da esponenti di primo piano del centro sinistra.
Come Associazione LABOUR “Riccardo Lombardi” riteniamo necessario richiamare l’attenzione di tutte le forze democratico sulla gravità di un evento che va molto oltre la dialettica tra le forze sociali del territorio interessato e rappresenta invece un precedente pericoloso. Specie in relazione al fatto che le forze attualmente al governo ne hanno voluto, strumentalmente, esaltare la valenza positiva, a conferma di un concezione del tutto reazionaria e arretrata dei rapporti e delle relazioni sociali.
Noi chiediamo alle organizzazioni politiche, alle associazioni, ai circoli, di manifestare una posizione di netta critica, denunciando come oggi sia clamorosamente assente, non solo una seria politica industriale, ma anche una concezione di difesa della democrazia e delle conquiste sociali. Domandiamo di manifestare una volontà alternativa rispetto alle prospettive implicite nei provvedimenti decisi, di evidenziare diffusamente il rischio di derive autoritarie, nonché l’aggravamento di un declino economico, sociale e civile già da tempo in atto nel nostro Paese.
per l’Associazione LABOUR “R.Lombardi”
Renzo Penna, Mauro Beschi, Sergio Ferrari
lunedì 27 dicembre 2010
Peppe Giudice: Sinistra, "teorie del complotto" e sindrome giustizialista
Prendetevela comoda nel rispondere. E’ un argomento
Che dovremo affrontare spesso.
Sinistra, “teorie del complotto” e sindrome giustizialista.
Ho avuto modo di leggere il famoso “Piano di Rinascita Democratica” della P2. Non l’avevo mai letto prima. L’ho trovato su Internet e gli ho dato una occhiata.
Fu trovato in un sottofondo della valigia portata dalla figlia di Gelli nel 1982, ma secondo gli esperti esso è datato 1976 e pare sia stato materialmente steso dal senatore Cosentino della DC (credo affiliato alla P2).
In quel documento (che è strutturato come un agglomerato di appunti) ho ritrovato il pensiero tipico della destra democristiana degli anni 70 (condiviso da settori del PSDI e dal PLI) di una svolta in senso conservatrice e di tipo neo-gollista della democrazia italiana (condiviso apertamente allora da uomini come Indro Montanelli ad esempio). Un programma conservatore che puntava, allora, ad esempio, a spaccare l’unità sindacale mediante scissioni a destra nella Cisl e nella UiL (ma allora c’erano la Cisl di Carniti e la Uil di Benvenuto – artefici dell’unità sindacale), a regolamentare il diritto di sciopero. Ma non era un programma apertamente reazionario e fascista ( sul modello del regime franchista o della dittatura dei Colonnelli in Grecia).
Io credo che a questo “piano” sia stata data una importanza esagerata, come se esso fosse stato l’elemento regolatore della politica italiana da 40 anni ad oggi.
Intendiamoci la P2 era una cosa maledettamente seria. E non era una “Loggia deviata”. Era una Loggia Coperta ( come risulta dagli atti della commisione parlamentare) i cui scopi erano apertamente sostenuti ed appoggiati dalla Massoneria ufficiale. Io ho una profonda avversione per le massonerie e per tutte quelle forme di associazionismo segreto con caratteristiche mistico-iniziatiche.
E l’Italia è sempre stato un paese in cui i poteri occulti ed invisibili hanno contato più rispetto ad altri paesi europei. Non dimentichiamo che l’Italia era e resta un paese di frontiera (fino all’89 tra est ed ovest e dopo di esso tra Nord e Sud del Mediterraneo). La posizione geografica della nostra penisola al centro del Mediterraneo ci consentì 2000 anni fa di divenire , e per lungo tempo, la più grande potenza mondiale. Ci ha portato dopo la sconfitta nella II guerra mondiale ad essere terreno di esercitazioni di poteri occulti e di trame dei servizi segreti dell’ovest e dell’est. Gelli stesso è stato collaboratore sia della Cia che del Kgb.
La collocazione internazionale dell’Italia ha quindi condizionato notevolmente la nostra politica interna.
Ma da qui a pensare che la storia repubblicana sia stata permanentemente una storia di complotti dirette da forze demoniache ce ne corre. Non solo; ma chi la pensa in questi termini svaluta tutta la nostra storia democratica e rivaluta surrettiziamente il fascismo.
C’è chi di fatto ha immaginato (e qui ci sono i Travaglio – che essendo amico di Montanelli avrebbe essere d’accordo con il piano della P2 – i Gherardo Colombo, ed in genere tutti i sostenitori del giustizialismo) che l’Italia è pressappoco come la California di Zorro, degli inizi dell’800. Allora essa apparteneva al Messico (non ancora indipendente – si chiamava Vice-Regno della Nuova Spagna). E la storia di Zorro, come tutti sappiamo, era la storia di questo nobile spagnolo-messicano (Don Diego de la Vega) che lottava contro i ricchi proprietari che da un lato sfruttavano i contadini e dall’altro organizzavano complotti per svendere la California a potenze straniere.
Ora la storia di Zorro (come quella di Tex Willer) è bella e appassionante, carica di valori etici (magari la facessero vedere ai bambini di oggi), ma non è certo un paradigma di storia della II metà del 900.
Io appartengo ad una generazione di socialisti che, grazie a Dio, non ha mai accettato Claudio Martelli ed ha subito nella loro formazione una certa influenza di Marx ed Engels (come tutti i socialisti da Turati a Craxi stesso), non certo del Marx dogmatico e autoritario della III Internazionale, ma di quello critico e democratico (di Mondolfo e Otto Bauer). Chi è cresciuto in una certa scuola di pensiero (e naturalmente di altri pensatori che rifiutano schematismi) sa bene che ogni rappresentazione unilaterale e riduttiva dei fatti storici è fuorviante.
Prima ho fatto la caricatura di un certo pensiero, ma al di là delle esagerazioni che vi ho impresso, non c’è dubbio che, soprattutto dopo l’89, un modo schematico e tendenzioso di guardare alla realtà storica è servita a giustificare una ideologia profondamente giacobina ed antidemocratica (come diceva Proudhon, il giacobinismo è la variante moderna dell’assolutismo politico) di un progetto salvifico gestito dai demiurghi del “bene, dell’onestà, della trasparenza”. Come ogni progetto salvifico esso non tollera contraddittorio, è integralista. Vuole salvare il paese dalla corruzione, dal ceto politico (ma poi anch’esso diventa ceto politico) dal ritorno alla I Repubblica. Demonizza la politica ed il suo ruolo in economia (fattore di corruzione) ma poi pretende l’acqua pubblica (contraddizione più forte non ne ho mai vista).
E’una ondata antipolitica che con gradazioni diverse e spessori molto diversi accomuna Occhetto e Veltroni, Santoro e Gherardo Colombo, Di Pietro e Grillo. Già Occhetto e Veltroni. Qualcuno potrebbe obbiettare: ma che centrano.
In una nota passata parlai della riflessione che fece Claudio Signorile (una riflessione più da storico, perché è da anni fuori della politica attiva) sulla doppia mutazione ideologica nel PSI e nel PCI alla fine degli anni 80. La vedeva nel PSI nelle tesi neoliberali e neoutlitaristiche (anglosassoni) di Martelli – una secca rottura con la tradizione socialista precedente (compreso Craxi). La vedeva nella idea del contestuale superamento della socialdemocrazia e del comunismo, un superamento che non contemplava la ricerca su un nuovo socialismo (del III millennio) ma sfociava in un giacobinismo salvifico ed integralista: l’ideologia della salvezza della nazione dai poteri occulti – una forma di populismo postmoderno
Naturalmente in Occhetto e Veltroni l’elemento integralista è molto meno forte rispetto a Colombo o a Grillo.
La più grande falsificazione di questa ideologia è nella esaltazione di una presunta democrazia partecipativa (contro quella dei partiti) che è in totale contraddizione con la sua esaltazione del leader carismatico ed assoluto che “manda a fare in …… il mondo intero” . Per cui la partecipazione si riduce tutta ad un fenomeno da tifoseria calcistica di scalmanati che urlano sempre più forte ad ogni vaffanculo pronunciato dal leader. La democrazia partecipativa è ovviamente tutt’altra cosa: è un rapporto aperto a due vie tra dirigenti che hanno il senso del limite ed una base pensante e raziocinante. E’ vero che questo qualunquismo è il prodotto della degenerazione dei partiti attuali. Ma esso è un rimedio peggiore del male. Non dobbiamo dimenticarlo. Ovviamente quando parlo di forme lideristiche non penso affatto a Vendola. Chi mette sullo stesso piano Vendola con Grillo e Di Pietro è un imbroglione. Vendola esprime concetti e valori, rivendica istanze politiche basilari per la sinistra come la centralità della giustizia sociale. Ha una funzione di supplenza rispetto al nullismo del PD che richiede una certa fase di personalizzazione per accedere ai mass media. Il suo è un progetto (che va reso rigoroso su alcuni punti) ma che esprime valori forti e positivi: nulla a che vedere con il nullismo plebeo e sguaiato di Grillo e Di Pietro.
E se andiamo ad analizzare in profondità la stessa speculare sguaiatezza plebea e pecoreccia nonché lo stesso integralismo salvifico lo troviamo in Berlusconi (“salverò il paese dal comunisti e dalle toghe rosse” – chi non la pensa come lui è inevitabilmente comunista e toga rossa.)
La lotta contro questa destra e contro quella ancora peggiore di Marchionne (che sopravvive a Berlusconi) non sarà vinta dai falsi Zorro o dai falsi Tex Willer (il quale ha comunque un senso della giustizia tale da non permettergli di diventare un “politicante” e ritornare dopo ogni avventura con Carson nella riserva Navajo).
Contro questa destra non servono le alchimie delle alleanze, non serve ovviamente il nullismo del PD (la nascita di questo partito è stata un vero disastro), occorre ricostruire una cultura ed un progetto chiari della sinistra a ispirazione socialista (al di fuori di recinti identitari). Un processo che non può fermarsi ad ogni scadenza elettorale, ma che deve essere cosciente del fatto che tali scadenze non saranno affatto risolutive e bisogna guardare oltre esse. IL network che nascerà subito dopo le feste, mettendo in rete le idee ed il lavoro di coloro che credono che anche in Italia ci possa essere una sinistra larga di ispirazione socialista, tende a guardare oltre. Anche oltre la attuale configurazione dei soggetti politici, consci della transitorietà, ma con in testa ben chiaro l’obbiettivo: il socialismo del XXI secolo come bussola della nuova sinistra.
Ora dobbiamo ben sapere che cosa oggi può essere d’ostacolo a questo progetto, soprattutto nel caso di elezioni anticipate.
1) una alleanza del PD con il III Polo che in pratica comporterebbe il suo ulteriore spostamento al centro e la rottura con SEL.
2) Una alleanza tra Vendola e Di Pietro come conseguenza di tale scelta del PD
Entrambi questi scenari sono deleteri. A meno che SeL non voglia andare isolata (ma la legge elettorale è infida e costringe in questo sciagurato caso a fare alleanza con Di Pietro). Sel per limitare i danni potrebbe fare un forte pressing per favorire una scissione a sinistra del PD (su questo bisogna puntare se il PD fa tale scelta) ed andare alla trattativa con Di Pietro da posizioni di forza (comunque oggi SeL sorpassa l’IDV – che da un po’ di tempo arretra).
Io credo che alla fine il III polo non farà l’alleanza con il PD. Fini non può accettarla. E Casini non credo che possa rompere con esso. Penso che vogliano piuttosto usare il III Polo per non far prendere la maggioranza a Berlusconi al senato ed essere quindi condizionanti nella prossima legislatura. E quindi si potrebbe prefigurare un asse PD-SEL-IDV (più minori : P.Rad. Ps Fed sin). Ma qui occorre dare al rapporto PD-SEL il ruolo di motore dell’alleanza ed emarginare Di Pietro.
Poi è possibile lo scenario (che forse oggi Berlusconi preferisce) che allontana le elezioni. Casini gli tira le castagne dal fuoco (ed in tale quadro può rompere con Fini); occorre vedere la reazione di Bossi che vedrebbe ridimensionato il federalismo.
In ogni caso le ragioni forti della debolezza politica e culturale della sinistra resteranno anche dopo questi vari scenari. Marchionne certe cose le può fare perché vede questa debolezza.
La crisi della sinistra italiana è di gran lunga peggiore rispetto a quella del resto d’Europa. Sia perché comunque lì ci sono partiti che hanno il 25-30% (i socialisti) , poi i verdi e le sinistre minoritarie. Sia perché la memoria socialista di questi partiti ha permesso loro di superare lo sbandamento degli anni 90 in senso liberale.
In Italia la memoria socialista è stata cancellata da un pezzo consistente del PDS che è rifluito sul nuovismo veltroniano (alla base del PD), sia dalla distruzione del PSI e dalla sua demonizzazione in cui l’integralismo antipolitico ha fatto la parte del leone. Insomma per costoro il PSI (sulla base degli schematismi e delle ottusità proprie di questa subcultura) degli anni 80 era una associazione a delinquere e Craxi era il male assoluto (al servizio delle trame più assurde).
Ora se un pezzo di quello che si definisce sinistra che pretende di essere tale e stare con Di Pietro e Grillo giudica i socialisti con tale metro, ogni interlocuzione con tra l’area socialista e costoro è impossibile. E non serve in questo caso dire: “Pertini era un vero socialista, ma Craxi era un criminale” dimenticando che Pertini diede l’incarico a Craxi per ben due volte di fare il governo e dopo il 1985 si iscrisse al gruppo socialista al senato. Quindi Pertini (che qualche dissenso con Craxi lo ha pure avuto) non considerava affatto Craxi un criminale, ma un socialista con cui certo poteva avere dissensi, ma sempre sul piano rigorosamente politico. Insomma Pertini non considerava Craxi “un pericolo per la democrazia” come incautamente disse Berlinguer (certe parole non soppesate fanno guai per anni).
Poi tanti socialisti come me hanno fatto e faranno le proprie critiche politiche a Craxi (come poi le hanno fatto a D’Alema). Ma tenendo presente che né Craxi né D’Alema sono fenomeni criminali. Anche considerando le condanne che Craxi ha avuto ( voglio sottolineare a proposito che il finanziamento illecito ai partiti è sempre legati a fatti corruttivi – di “corruzione ambientale” come si diceva. Le aziende non danno i soldi per beneficienza ma per avere dei favori dai partiti. Qui c’era la “corruzione ambientale”. Del resto Gerardo D’Ambrosio ha escluso che Craxi si sia arricchito personalmente (e D’Ambrosio le carte se le è lette tutte) – forse altri sì nel PSI.
E del resto la storia politica di Craxi non è riducibile a Tangentopoli.
In conclusione non ci sarà “pace” vera a sinistra se non si tornerà a ragionare sul versante della politica. Se uno sostiene che il PSI era una associazione a delinquere non basta poi dire “però Pertini o Peppe Giudice (scusatemi la autocitazione) sono bravi”. Pertini e Peppe Giudice erano o dei cretini o dei complici se il ragionamento è corretto. Quante volte mi hanno detto: “si ma tu sei un socialista onesto”. No! Gli ho detto: “ se voi ritenete il PSI un covo di ladri io sono loro complice e non sono affatto onesto e per bene. E preferisco essere disonesto piuttosto che ipocrita”
Che in un partito ci possano essere fenomeni degenerativi e da noi nel PSI ce ne sono stati, eccome, come coloro che avendo pienamente acquisito la mutazione generica “martelliana” stanno organicamente con il PDL, questo non autorizza ad assumere atteggiamenti di integralismo stupido ed ottuso. Integralismo che è oggi il frutto di quella antipolitica che in parte è anche di una deformazione del pensiero di Berlinguer (che Grillo esalta. Ma a Berlinguer tale esaltazione non credo sarebbe piaciuta).
Non parlo con la mente rivolta al passato, perché tale sub-cultura è viva e presente. O la si combatte seriamente in profondità facendone emergere la erroneità o quel poco di sinistra che resta sarà travolta dall’antipolitica.
Oggi l’avversario della sinistra di governo non è il vecchio massimalismo (Turati apparirebbe come un pericoloso estremista per Casini) ma è da un lato il moderatismo e l’opportunismo del PD e dall’altro l’integralismo giustizialista – furbacchione in Di Pietro – e col complesso del giustiziere in De Magistris.
Ovviamente una sinistra di governo di ispirazione socialista non può derubricare la questione morale. Ma essa non si affronta con gli epigoni di Zorro. Ma attivando forti strumenti di prevenzione e soprattutto oggi con l’eliminazione degli sprechi enormi determinati dai costi impropri della politica assolutamente non giustificabili. Sarebbe stato interessante se SeL avesse preso iniziative in tutte le regioni ove è presente per ridurre indennità ed eliminare tutte le società miste inutili.
Buon Natale
Peppe Giudice
Che dovremo affrontare spesso.
Sinistra, “teorie del complotto” e sindrome giustizialista.
Ho avuto modo di leggere il famoso “Piano di Rinascita Democratica” della P2. Non l’avevo mai letto prima. L’ho trovato su Internet e gli ho dato una occhiata.
Fu trovato in un sottofondo della valigia portata dalla figlia di Gelli nel 1982, ma secondo gli esperti esso è datato 1976 e pare sia stato materialmente steso dal senatore Cosentino della DC (credo affiliato alla P2).
In quel documento (che è strutturato come un agglomerato di appunti) ho ritrovato il pensiero tipico della destra democristiana degli anni 70 (condiviso da settori del PSDI e dal PLI) di una svolta in senso conservatrice e di tipo neo-gollista della democrazia italiana (condiviso apertamente allora da uomini come Indro Montanelli ad esempio). Un programma conservatore che puntava, allora, ad esempio, a spaccare l’unità sindacale mediante scissioni a destra nella Cisl e nella UiL (ma allora c’erano la Cisl di Carniti e la Uil di Benvenuto – artefici dell’unità sindacale), a regolamentare il diritto di sciopero. Ma non era un programma apertamente reazionario e fascista ( sul modello del regime franchista o della dittatura dei Colonnelli in Grecia).
Io credo che a questo “piano” sia stata data una importanza esagerata, come se esso fosse stato l’elemento regolatore della politica italiana da 40 anni ad oggi.
Intendiamoci la P2 era una cosa maledettamente seria. E non era una “Loggia deviata”. Era una Loggia Coperta ( come risulta dagli atti della commisione parlamentare) i cui scopi erano apertamente sostenuti ed appoggiati dalla Massoneria ufficiale. Io ho una profonda avversione per le massonerie e per tutte quelle forme di associazionismo segreto con caratteristiche mistico-iniziatiche.
E l’Italia è sempre stato un paese in cui i poteri occulti ed invisibili hanno contato più rispetto ad altri paesi europei. Non dimentichiamo che l’Italia era e resta un paese di frontiera (fino all’89 tra est ed ovest e dopo di esso tra Nord e Sud del Mediterraneo). La posizione geografica della nostra penisola al centro del Mediterraneo ci consentì 2000 anni fa di divenire , e per lungo tempo, la più grande potenza mondiale. Ci ha portato dopo la sconfitta nella II guerra mondiale ad essere terreno di esercitazioni di poteri occulti e di trame dei servizi segreti dell’ovest e dell’est. Gelli stesso è stato collaboratore sia della Cia che del Kgb.
La collocazione internazionale dell’Italia ha quindi condizionato notevolmente la nostra politica interna.
Ma da qui a pensare che la storia repubblicana sia stata permanentemente una storia di complotti dirette da forze demoniache ce ne corre. Non solo; ma chi la pensa in questi termini svaluta tutta la nostra storia democratica e rivaluta surrettiziamente il fascismo.
C’è chi di fatto ha immaginato (e qui ci sono i Travaglio – che essendo amico di Montanelli avrebbe essere d’accordo con il piano della P2 – i Gherardo Colombo, ed in genere tutti i sostenitori del giustizialismo) che l’Italia è pressappoco come la California di Zorro, degli inizi dell’800. Allora essa apparteneva al Messico (non ancora indipendente – si chiamava Vice-Regno della Nuova Spagna). E la storia di Zorro, come tutti sappiamo, era la storia di questo nobile spagnolo-messicano (Don Diego de la Vega) che lottava contro i ricchi proprietari che da un lato sfruttavano i contadini e dall’altro organizzavano complotti per svendere la California a potenze straniere.
Ora la storia di Zorro (come quella di Tex Willer) è bella e appassionante, carica di valori etici (magari la facessero vedere ai bambini di oggi), ma non è certo un paradigma di storia della II metà del 900.
Io appartengo ad una generazione di socialisti che, grazie a Dio, non ha mai accettato Claudio Martelli ed ha subito nella loro formazione una certa influenza di Marx ed Engels (come tutti i socialisti da Turati a Craxi stesso), non certo del Marx dogmatico e autoritario della III Internazionale, ma di quello critico e democratico (di Mondolfo e Otto Bauer). Chi è cresciuto in una certa scuola di pensiero (e naturalmente di altri pensatori che rifiutano schematismi) sa bene che ogni rappresentazione unilaterale e riduttiva dei fatti storici è fuorviante.
Prima ho fatto la caricatura di un certo pensiero, ma al di là delle esagerazioni che vi ho impresso, non c’è dubbio che, soprattutto dopo l’89, un modo schematico e tendenzioso di guardare alla realtà storica è servita a giustificare una ideologia profondamente giacobina ed antidemocratica (come diceva Proudhon, il giacobinismo è la variante moderna dell’assolutismo politico) di un progetto salvifico gestito dai demiurghi del “bene, dell’onestà, della trasparenza”. Come ogni progetto salvifico esso non tollera contraddittorio, è integralista. Vuole salvare il paese dalla corruzione, dal ceto politico (ma poi anch’esso diventa ceto politico) dal ritorno alla I Repubblica. Demonizza la politica ed il suo ruolo in economia (fattore di corruzione) ma poi pretende l’acqua pubblica (contraddizione più forte non ne ho mai vista).
E’una ondata antipolitica che con gradazioni diverse e spessori molto diversi accomuna Occhetto e Veltroni, Santoro e Gherardo Colombo, Di Pietro e Grillo. Già Occhetto e Veltroni. Qualcuno potrebbe obbiettare: ma che centrano.
In una nota passata parlai della riflessione che fece Claudio Signorile (una riflessione più da storico, perché è da anni fuori della politica attiva) sulla doppia mutazione ideologica nel PSI e nel PCI alla fine degli anni 80. La vedeva nel PSI nelle tesi neoliberali e neoutlitaristiche (anglosassoni) di Martelli – una secca rottura con la tradizione socialista precedente (compreso Craxi). La vedeva nella idea del contestuale superamento della socialdemocrazia e del comunismo, un superamento che non contemplava la ricerca su un nuovo socialismo (del III millennio) ma sfociava in un giacobinismo salvifico ed integralista: l’ideologia della salvezza della nazione dai poteri occulti – una forma di populismo postmoderno
Naturalmente in Occhetto e Veltroni l’elemento integralista è molto meno forte rispetto a Colombo o a Grillo.
La più grande falsificazione di questa ideologia è nella esaltazione di una presunta democrazia partecipativa (contro quella dei partiti) che è in totale contraddizione con la sua esaltazione del leader carismatico ed assoluto che “manda a fare in …… il mondo intero” . Per cui la partecipazione si riduce tutta ad un fenomeno da tifoseria calcistica di scalmanati che urlano sempre più forte ad ogni vaffanculo pronunciato dal leader. La democrazia partecipativa è ovviamente tutt’altra cosa: è un rapporto aperto a due vie tra dirigenti che hanno il senso del limite ed una base pensante e raziocinante. E’ vero che questo qualunquismo è il prodotto della degenerazione dei partiti attuali. Ma esso è un rimedio peggiore del male. Non dobbiamo dimenticarlo. Ovviamente quando parlo di forme lideristiche non penso affatto a Vendola. Chi mette sullo stesso piano Vendola con Grillo e Di Pietro è un imbroglione. Vendola esprime concetti e valori, rivendica istanze politiche basilari per la sinistra come la centralità della giustizia sociale. Ha una funzione di supplenza rispetto al nullismo del PD che richiede una certa fase di personalizzazione per accedere ai mass media. Il suo è un progetto (che va reso rigoroso su alcuni punti) ma che esprime valori forti e positivi: nulla a che vedere con il nullismo plebeo e sguaiato di Grillo e Di Pietro.
E se andiamo ad analizzare in profondità la stessa speculare sguaiatezza plebea e pecoreccia nonché lo stesso integralismo salvifico lo troviamo in Berlusconi (“salverò il paese dal comunisti e dalle toghe rosse” – chi non la pensa come lui è inevitabilmente comunista e toga rossa.)
La lotta contro questa destra e contro quella ancora peggiore di Marchionne (che sopravvive a Berlusconi) non sarà vinta dai falsi Zorro o dai falsi Tex Willer (il quale ha comunque un senso della giustizia tale da non permettergli di diventare un “politicante” e ritornare dopo ogni avventura con Carson nella riserva Navajo).
Contro questa destra non servono le alchimie delle alleanze, non serve ovviamente il nullismo del PD (la nascita di questo partito è stata un vero disastro), occorre ricostruire una cultura ed un progetto chiari della sinistra a ispirazione socialista (al di fuori di recinti identitari). Un processo che non può fermarsi ad ogni scadenza elettorale, ma che deve essere cosciente del fatto che tali scadenze non saranno affatto risolutive e bisogna guardare oltre esse. IL network che nascerà subito dopo le feste, mettendo in rete le idee ed il lavoro di coloro che credono che anche in Italia ci possa essere una sinistra larga di ispirazione socialista, tende a guardare oltre. Anche oltre la attuale configurazione dei soggetti politici, consci della transitorietà, ma con in testa ben chiaro l’obbiettivo: il socialismo del XXI secolo come bussola della nuova sinistra.
Ora dobbiamo ben sapere che cosa oggi può essere d’ostacolo a questo progetto, soprattutto nel caso di elezioni anticipate.
1) una alleanza del PD con il III Polo che in pratica comporterebbe il suo ulteriore spostamento al centro e la rottura con SEL.
2) Una alleanza tra Vendola e Di Pietro come conseguenza di tale scelta del PD
Entrambi questi scenari sono deleteri. A meno che SeL non voglia andare isolata (ma la legge elettorale è infida e costringe in questo sciagurato caso a fare alleanza con Di Pietro). Sel per limitare i danni potrebbe fare un forte pressing per favorire una scissione a sinistra del PD (su questo bisogna puntare se il PD fa tale scelta) ed andare alla trattativa con Di Pietro da posizioni di forza (comunque oggi SeL sorpassa l’IDV – che da un po’ di tempo arretra).
Io credo che alla fine il III polo non farà l’alleanza con il PD. Fini non può accettarla. E Casini non credo che possa rompere con esso. Penso che vogliano piuttosto usare il III Polo per non far prendere la maggioranza a Berlusconi al senato ed essere quindi condizionanti nella prossima legislatura. E quindi si potrebbe prefigurare un asse PD-SEL-IDV (più minori : P.Rad. Ps Fed sin). Ma qui occorre dare al rapporto PD-SEL il ruolo di motore dell’alleanza ed emarginare Di Pietro.
Poi è possibile lo scenario (che forse oggi Berlusconi preferisce) che allontana le elezioni. Casini gli tira le castagne dal fuoco (ed in tale quadro può rompere con Fini); occorre vedere la reazione di Bossi che vedrebbe ridimensionato il federalismo.
In ogni caso le ragioni forti della debolezza politica e culturale della sinistra resteranno anche dopo questi vari scenari. Marchionne certe cose le può fare perché vede questa debolezza.
La crisi della sinistra italiana è di gran lunga peggiore rispetto a quella del resto d’Europa. Sia perché comunque lì ci sono partiti che hanno il 25-30% (i socialisti) , poi i verdi e le sinistre minoritarie. Sia perché la memoria socialista di questi partiti ha permesso loro di superare lo sbandamento degli anni 90 in senso liberale.
In Italia la memoria socialista è stata cancellata da un pezzo consistente del PDS che è rifluito sul nuovismo veltroniano (alla base del PD), sia dalla distruzione del PSI e dalla sua demonizzazione in cui l’integralismo antipolitico ha fatto la parte del leone. Insomma per costoro il PSI (sulla base degli schematismi e delle ottusità proprie di questa subcultura) degli anni 80 era una associazione a delinquere e Craxi era il male assoluto (al servizio delle trame più assurde).
Ora se un pezzo di quello che si definisce sinistra che pretende di essere tale e stare con Di Pietro e Grillo giudica i socialisti con tale metro, ogni interlocuzione con tra l’area socialista e costoro è impossibile. E non serve in questo caso dire: “Pertini era un vero socialista, ma Craxi era un criminale” dimenticando che Pertini diede l’incarico a Craxi per ben due volte di fare il governo e dopo il 1985 si iscrisse al gruppo socialista al senato. Quindi Pertini (che qualche dissenso con Craxi lo ha pure avuto) non considerava affatto Craxi un criminale, ma un socialista con cui certo poteva avere dissensi, ma sempre sul piano rigorosamente politico. Insomma Pertini non considerava Craxi “un pericolo per la democrazia” come incautamente disse Berlinguer (certe parole non soppesate fanno guai per anni).
Poi tanti socialisti come me hanno fatto e faranno le proprie critiche politiche a Craxi (come poi le hanno fatto a D’Alema). Ma tenendo presente che né Craxi né D’Alema sono fenomeni criminali. Anche considerando le condanne che Craxi ha avuto ( voglio sottolineare a proposito che il finanziamento illecito ai partiti è sempre legati a fatti corruttivi – di “corruzione ambientale” come si diceva. Le aziende non danno i soldi per beneficienza ma per avere dei favori dai partiti. Qui c’era la “corruzione ambientale”. Del resto Gerardo D’Ambrosio ha escluso che Craxi si sia arricchito personalmente (e D’Ambrosio le carte se le è lette tutte) – forse altri sì nel PSI.
E del resto la storia politica di Craxi non è riducibile a Tangentopoli.
In conclusione non ci sarà “pace” vera a sinistra se non si tornerà a ragionare sul versante della politica. Se uno sostiene che il PSI era una associazione a delinquere non basta poi dire “però Pertini o Peppe Giudice (scusatemi la autocitazione) sono bravi”. Pertini e Peppe Giudice erano o dei cretini o dei complici se il ragionamento è corretto. Quante volte mi hanno detto: “si ma tu sei un socialista onesto”. No! Gli ho detto: “ se voi ritenete il PSI un covo di ladri io sono loro complice e non sono affatto onesto e per bene. E preferisco essere disonesto piuttosto che ipocrita”
Che in un partito ci possano essere fenomeni degenerativi e da noi nel PSI ce ne sono stati, eccome, come coloro che avendo pienamente acquisito la mutazione generica “martelliana” stanno organicamente con il PDL, questo non autorizza ad assumere atteggiamenti di integralismo stupido ed ottuso. Integralismo che è oggi il frutto di quella antipolitica che in parte è anche di una deformazione del pensiero di Berlinguer (che Grillo esalta. Ma a Berlinguer tale esaltazione non credo sarebbe piaciuta).
Non parlo con la mente rivolta al passato, perché tale sub-cultura è viva e presente. O la si combatte seriamente in profondità facendone emergere la erroneità o quel poco di sinistra che resta sarà travolta dall’antipolitica.
Oggi l’avversario della sinistra di governo non è il vecchio massimalismo (Turati apparirebbe come un pericoloso estremista per Casini) ma è da un lato il moderatismo e l’opportunismo del PD e dall’altro l’integralismo giustizialista – furbacchione in Di Pietro – e col complesso del giustiziere in De Magistris.
Ovviamente una sinistra di governo di ispirazione socialista non può derubricare la questione morale. Ma essa non si affronta con gli epigoni di Zorro. Ma attivando forti strumenti di prevenzione e soprattutto oggi con l’eliminazione degli sprechi enormi determinati dai costi impropri della politica assolutamente non giustificabili. Sarebbe stato interessante se SeL avesse preso iniziative in tutte le regioni ove è presente per ridurre indennità ed eliminare tutte le società miste inutili.
Buon Natale
Peppe Giudice
Paola Meneganti: Regali di Natale
Tra i regali di Natale possiamo citare la riforma Gelmini, che spappolerà l'Università pubblica. Un coacervo, insopportabile nel suo falso ammantarsi di parole come "razionalizzazione", che in realtà non affronta le - evidenti - storture del sistema Università, ma anzi le usa come leva per distruggere quel che di didattica e di ricerca era - egregiamente - rimasto. Come dire: c'è un arto malato, o anche dieci dita, ok si proceda con l'eutanasia. Ma è chiaro l'intento, no? Ci vogliono pecore, bestie docili e obbedienti, incapaci di distinguere tra parole, concetti, idee. Mi ha colpito, nei giorni scorsi, un episodio tra i tanti, a un dipresso folli, di cui è costellata la nostra cronaca. Quel tal Fabrizio Corona esulta, dopo aver ascoltato una - evidente - condanna in tribunale. Non aveva capito l'italiano. Così ci vogliono.
Altro dono avvelenato, anche se prenatalizio, il "collegato lavoro". Smantellamento pervicace e costante di un sistema di diritti, di doveri, di libertà e di soggettività, per come si esprimevano nel mondo del lavoro. Anche qui domina l'idea di assopimento, di annichilimento, di servaggio da esercitare nei confronti di chi, alle prese con la ricerca di lavoro, il lavoro che non c'è o che c'è, ma è prigioniero del precariato e del ricatto e della solitudine, è maggiormente soggetto/soggetta al silenzio. Dategli da faticare impauriti per cercare il pane, così alle rose - alla partecipazione politica, alla discussione, alla lettura, allo studio, alla relazione - non penseranno certo.
Così il "modello FIAT". Qui mi viene la rabbia, non tanto per il padrone Marchionne, che probabilmente non fa che il suo mestiere, quanto per chi, da "centrosinistra" (così si dicono) giudica l'accordo sottoscritto da FIAT, CISL e UIL (FIM e UILM) "un positivo passo in avanti". Cito un nome che mi ha colpito: Chiamparino. Eppure, lui di relazioni industriali, del mondo del lavoro e della relazione conflittuale capitale-democrazia-avoro, dovrebbe saperne qualcosa. Di uno come Ichino non voglio parlare (l'inventore del termine "fannulloni" per chi lavora nella Pubblica Amministrazione). Di CISL e UIL neppure. Resiste la FIOM, resiste la CGIL. Dice che cresce lo sconcerto nel Pd (ho letto una nota preoccupata di Stefano Fassina). Non amo il conflitto per il conflitto, non mi piacciono gli assalti alle zone rosse, o simili, non mi piacciono le parole grosse, ho scritto svariate volte mettendo in guardia contro azioni e parole violente, ma una cosa credo che sia chiara: chi giudica positivamente questo modello, basato sulla repressione della libertà sindacale e sulla messa in questione dei diritti di lavoratrici e lavoratori, diritti come le condizioni di lavoro, i tempi di vita, il futuro, quindi sulla negazione della Costituzione repubblicana, sta dall'altra parte. Sarà servito, almeno, a fare chiarezza. E dico loro, come la vecchia canzone: "provate voi a lavorar".
Altro dono avvelenato, anche se prenatalizio, il "collegato lavoro". Smantellamento pervicace e costante di un sistema di diritti, di doveri, di libertà e di soggettività, per come si esprimevano nel mondo del lavoro. Anche qui domina l'idea di assopimento, di annichilimento, di servaggio da esercitare nei confronti di chi, alle prese con la ricerca di lavoro, il lavoro che non c'è o che c'è, ma è prigioniero del precariato e del ricatto e della solitudine, è maggiormente soggetto/soggetta al silenzio. Dategli da faticare impauriti per cercare il pane, così alle rose - alla partecipazione politica, alla discussione, alla lettura, allo studio, alla relazione - non penseranno certo.
Così il "modello FIAT". Qui mi viene la rabbia, non tanto per il padrone Marchionne, che probabilmente non fa che il suo mestiere, quanto per chi, da "centrosinistra" (così si dicono) giudica l'accordo sottoscritto da FIAT, CISL e UIL (FIM e UILM) "un positivo passo in avanti". Cito un nome che mi ha colpito: Chiamparino. Eppure, lui di relazioni industriali, del mondo del lavoro e della relazione conflittuale capitale-democrazia-avoro, dovrebbe saperne qualcosa. Di uno come Ichino non voglio parlare (l'inventore del termine "fannulloni" per chi lavora nella Pubblica Amministrazione). Di CISL e UIL neppure. Resiste la FIOM, resiste la CGIL. Dice che cresce lo sconcerto nel Pd (ho letto una nota preoccupata di Stefano Fassina). Non amo il conflitto per il conflitto, non mi piacciono gli assalti alle zone rosse, o simili, non mi piacciono le parole grosse, ho scritto svariate volte mettendo in guardia contro azioni e parole violente, ma una cosa credo che sia chiara: chi giudica positivamente questo modello, basato sulla repressione della libertà sindacale e sulla messa in questione dei diritti di lavoratrici e lavoratori, diritti come le condizioni di lavoro, i tempi di vita, il futuro, quindi sulla negazione della Costituzione repubblicana, sta dall'altra parte. Sarà servito, almeno, a fare chiarezza. E dico loro, come la vecchia canzone: "provate voi a lavorar".
domenica 26 dicembre 2010
Renzo Penna: Una fine d'anno segnata da precarietà e incertezza
UNA FINE D’ANNO SEGNATA DA PRECARIETA’ E INCERTEZZA SUL FUTURO
di Renzo Penna
Quest’anno risulta particolarmente difficile far finta di nulla, accendere le luci di Natale e predisporsi con animo sereno alle tradizionali feste pagane del capodanno. Lasciando fuori dalla porta, anche se per poche ore, i problemi e le preoccupazioni. I racconti di una realtà cruda, piena di difficoltà per il presente e senza speranze sul futuro, occupano, infatti, i giorni della vigilia, poco rispettosi della consueta tregua che prepara la serena attesa della nascita del bambino. Un’atmosfera solitamente capace di coinvolgere e accomunare credenti e non.
Sono centinaia, infatti, le fabbriche importanti chiuse, con migliaia di lavoratori che le occupano e al loro interno trascorreranno le festività, resistendo con ostinazione a considerare finito il loro lavoro che, quasi sempre, non trova alternative. Noi conosciamo solo i casi più eclatanti che riescono a bucare la generale indifferenza dei media: le lavoratrici della OMSA di Faenza, i lavoratori della Eaton di Massa Carrara, della Vinyls di Marghera, della Fincantieri di Ancona, della Fiat di Termini Imerese. Luoghi e presenze storiche del lavoro industriale che segnalano, meglio di qualsiasi analisi sociologica, il declino del Paese. Con un governo in altre faccende affaccendato e incapace fin’anche di immaginare una seria politica industriale.
L’accordo senza la Fiom di Mirafiori: un pessimo segnale
In questo clima l’accordo della Fiat per la nuova società che gestirà Mirafiori segna una pessima svolta nelle relazioni industriali. Vengono ricattati i lavoratori con la promessa degli investimenti e si punta a importare il modello di legislazione del lavoro e delle libertà sindacali degli Usa che è notevolmente più arretrato di quello vigente in Europa. Per questo si esclude la Fiom, il sindacato che - come scrive Luciano Gallino - sin dagli anni del dopoguerra è stato quello di maggior peso nel grande stabilimento torinese. E aumentano le divisioni tra i sindacati in un momento in cui i lavoratori dipendenti avrebbero, al contrario, bisogno di sindacati forti e uniti, per affrontare i drammatici problemi sociali ed economici che li riguardano.
La disoccupazione, intanto, è in continuo aumento. Con la cassa integrazione a termine supera l’11%, il valore più alto degli ultimi anni. Ma è il tasso della disoccupazione giovanile che raggiunge il 24,7% a preoccupare di più, mentre, per le donne del mezzogiorno, tocca un massimo del 36 per cento. E le proteste dei ricercatori e degli studenti di questi mesi, che si sono intensificate e cresciute nelle ultime settimane, utilizzano la controriforma dell’Università del governo per manifestare le loro ragioni e rendere pubbliche le preoccupazioni sul futuro di un’intera generazione.
Le proteste degli studenti: una generazione che non trova ascolto
Una generazione che non trova ascolto nei palazzi del potere e della politica, sente di essere poco considerata e sa di avere, in prospettiva, meno opportunità in termini di lavoro, reddito e Welfare nei confronti dei propri padri. D’altronde è l’autorevole ufficio studi della Banca d’Italia che prevede per i prossimi anni un forte rischio previdenziale per quasi la metà dei lavoratori che andranno in pensione con meno del 60% in rapporto allo stipendio. Una percentuale che nel 2040, a parità di anni di contribuzione, si ridurrà al 52%. Mentre l’Imps evita di indicare l’ammontare della pensione per le finte partite Iva o di chi è stabilmente precario.
Una occasione di ascolto dei movimenti giovanili che - ricorda Curzio Maltese - il nostro Paese ha già perso nel 2001 a Genova, quando ne ha oscurato le ragioni, esaltando le violenze, invece di riflettere sui profetici documenti del movimento “no global” che denunciavano la finanza internazionale, le bolle speculative, la privatizzazione dell’acqua, l’evoluzione del mercato agricolo mondiale e i cambiamenti climatici. Molto opportuna e apprezzata è, quindi, stata la decisione del presidente Napolitano di incontrare una delegazione di studenti della capitale, al termine della grande e pacifica manifestazione di mercoledì, per ascoltare le loro esigenze e le loro proposte.
I due esempi solidali di Alessandria
Ma qualche indicazione di speranza, di ripresa d’iniziativa e di concreta solidarietà che viene anche dalla nostra città, ci può aiutare a vivere le festività di fine anno con minore rassegnazione e maggiore voglia di cambiare una situazione nella quale a prevalere, in troppi campi, è l’ingiustizia. Mentre l’Amministrazione del Comune continua nella svendita del patrimonio pubblico e, invece di affidare, come sarebbe giusto, la Casa di riposo comunale ai centri sociali dell’alessandrino con rette adeguate per gli anziani indigenti, incurante dei problemi di bilancio si appresta a celebrare la fine d’anno con inutili e costosi fuochi, ritorna la sera del 31 la marcia della pace ad occuparsi del disagio degli ultimi. E sui quotidiani trova spazio, gestita da volontari, l’Outlet dei poveri promossa dalla Camera del Lavoro di Alessandria. Un negozio speciale dove abiti e cose usate trovano, rigorosamente gratis, un nuovo padrone. Un esempio di sobrietà e di sostenibilità che fa dello scambio, del riuso e del riutilizzo il modello di una società che nella crisi sceglie di aiutare i più deboli, impara a non sprecare e rappresenta l’opposto di quella basata sui consumi indiscriminati, sull’usa e getta, che grandi responsabilità ha avuto nei confronti dell’attuale crisi.
25 dicembre 2010
di Renzo Penna
Quest’anno risulta particolarmente difficile far finta di nulla, accendere le luci di Natale e predisporsi con animo sereno alle tradizionali feste pagane del capodanno. Lasciando fuori dalla porta, anche se per poche ore, i problemi e le preoccupazioni. I racconti di una realtà cruda, piena di difficoltà per il presente e senza speranze sul futuro, occupano, infatti, i giorni della vigilia, poco rispettosi della consueta tregua che prepara la serena attesa della nascita del bambino. Un’atmosfera solitamente capace di coinvolgere e accomunare credenti e non.
Sono centinaia, infatti, le fabbriche importanti chiuse, con migliaia di lavoratori che le occupano e al loro interno trascorreranno le festività, resistendo con ostinazione a considerare finito il loro lavoro che, quasi sempre, non trova alternative. Noi conosciamo solo i casi più eclatanti che riescono a bucare la generale indifferenza dei media: le lavoratrici della OMSA di Faenza, i lavoratori della Eaton di Massa Carrara, della Vinyls di Marghera, della Fincantieri di Ancona, della Fiat di Termini Imerese. Luoghi e presenze storiche del lavoro industriale che segnalano, meglio di qualsiasi analisi sociologica, il declino del Paese. Con un governo in altre faccende affaccendato e incapace fin’anche di immaginare una seria politica industriale.
L’accordo senza la Fiom di Mirafiori: un pessimo segnale
In questo clima l’accordo della Fiat per la nuova società che gestirà Mirafiori segna una pessima svolta nelle relazioni industriali. Vengono ricattati i lavoratori con la promessa degli investimenti e si punta a importare il modello di legislazione del lavoro e delle libertà sindacali degli Usa che è notevolmente più arretrato di quello vigente in Europa. Per questo si esclude la Fiom, il sindacato che - come scrive Luciano Gallino - sin dagli anni del dopoguerra è stato quello di maggior peso nel grande stabilimento torinese. E aumentano le divisioni tra i sindacati in un momento in cui i lavoratori dipendenti avrebbero, al contrario, bisogno di sindacati forti e uniti, per affrontare i drammatici problemi sociali ed economici che li riguardano.
La disoccupazione, intanto, è in continuo aumento. Con la cassa integrazione a termine supera l’11%, il valore più alto degli ultimi anni. Ma è il tasso della disoccupazione giovanile che raggiunge il 24,7% a preoccupare di più, mentre, per le donne del mezzogiorno, tocca un massimo del 36 per cento. E le proteste dei ricercatori e degli studenti di questi mesi, che si sono intensificate e cresciute nelle ultime settimane, utilizzano la controriforma dell’Università del governo per manifestare le loro ragioni e rendere pubbliche le preoccupazioni sul futuro di un’intera generazione.
Le proteste degli studenti: una generazione che non trova ascolto
Una generazione che non trova ascolto nei palazzi del potere e della politica, sente di essere poco considerata e sa di avere, in prospettiva, meno opportunità in termini di lavoro, reddito e Welfare nei confronti dei propri padri. D’altronde è l’autorevole ufficio studi della Banca d’Italia che prevede per i prossimi anni un forte rischio previdenziale per quasi la metà dei lavoratori che andranno in pensione con meno del 60% in rapporto allo stipendio. Una percentuale che nel 2040, a parità di anni di contribuzione, si ridurrà al 52%. Mentre l’Imps evita di indicare l’ammontare della pensione per le finte partite Iva o di chi è stabilmente precario.
Una occasione di ascolto dei movimenti giovanili che - ricorda Curzio Maltese - il nostro Paese ha già perso nel 2001 a Genova, quando ne ha oscurato le ragioni, esaltando le violenze, invece di riflettere sui profetici documenti del movimento “no global” che denunciavano la finanza internazionale, le bolle speculative, la privatizzazione dell’acqua, l’evoluzione del mercato agricolo mondiale e i cambiamenti climatici. Molto opportuna e apprezzata è, quindi, stata la decisione del presidente Napolitano di incontrare una delegazione di studenti della capitale, al termine della grande e pacifica manifestazione di mercoledì, per ascoltare le loro esigenze e le loro proposte.
I due esempi solidali di Alessandria
Ma qualche indicazione di speranza, di ripresa d’iniziativa e di concreta solidarietà che viene anche dalla nostra città, ci può aiutare a vivere le festività di fine anno con minore rassegnazione e maggiore voglia di cambiare una situazione nella quale a prevalere, in troppi campi, è l’ingiustizia. Mentre l’Amministrazione del Comune continua nella svendita del patrimonio pubblico e, invece di affidare, come sarebbe giusto, la Casa di riposo comunale ai centri sociali dell’alessandrino con rette adeguate per gli anziani indigenti, incurante dei problemi di bilancio si appresta a celebrare la fine d’anno con inutili e costosi fuochi, ritorna la sera del 31 la marcia della pace ad occuparsi del disagio degli ultimi. E sui quotidiani trova spazio, gestita da volontari, l’Outlet dei poveri promossa dalla Camera del Lavoro di Alessandria. Un negozio speciale dove abiti e cose usate trovano, rigorosamente gratis, un nuovo padrone. Un esempio di sobrietà e di sostenibilità che fa dello scambio, del riuso e del riutilizzo il modello di una società che nella crisi sceglie di aiutare i più deboli, impara a non sprecare e rappresenta l’opposto di quella basata sui consumi indiscriminati, sull’usa e getta, che grandi responsabilità ha avuto nei confronti dell’attuale crisi.
25 dicembre 2010
sabato 25 dicembre 2010
venerdì 24 dicembre 2010
Dario Allamano: Fiat anno zero
Avevo titolato una mia precedente mail sul caso FIAT "Fiat ultimo atto",
titolo questa mail "Fiat anno 0"
perchè ieri si è chiusa una fase ed oggi se ne apre un'altra nelle relazioni industriali e sindacali.
Se non vi tedio troppo vorrei dare una mia particolare lettura di quanto è avvenuto e sta avvenendo nel mondo torinese, cercando di leggere l'accordo separato di ieri con la serena obiettività di chi l'aveva previsto e che aveva tentato di fare quel poco che poteva per evitarlo.
La Politica di FIAT
La prima domanda che dobbiamo porci è: "l'investimento di 1 milardo di euro a Torino è positivo o no?".
Secondo me è positivo perchè comunque mette in circolo, in una città in piena crisi economica, una massa di denaro utile per rilanciare tutte le attività economiche, e questo vale per Torino come per tutti gli altri siti in cui FIAT investe.
Ma soprattutto è importante perchè una azienda che investe pianta radici per davvero (e non solo a parole), e tende a restare sul sito perlomeno sino a che non avrà ammorizzato l'investimento (10 anni).
Sbaglia invece Marchionne a pensare di importare in Italia il modello americano tutto incentrato sull'azienda, è un modello che difficilmente attecchirà, anche perchè il modello europeo (l'economia sociale di mercato) ha dimostrato di funzionare bene anche nelle fasi di crisi, anzi funziona anche meglio del modello americano. In Europa nessuna azienda dell'auto è arrivata al quasi fallimento come CHrysler o GM.
Purtroppo Marchionne teme di farsi trovare all'uscita dalla crisi mondiale (che comunque è ancora lontana) a metà del guado, ben sopra i 2 milioni di auto ma molto sotto i 6 milioni che prevedeva come limite per stare sul mercato, e questo lo agita e lo induce a prendere scorciatoie, senza rispettare le forme di un modello di relazioni sindacali sedimentato nei decenni. Putroppo é dimostrato che le scorciatoie portano sempre verso inasprimenti sociali e politici non governabili, nemmeno con il pugno di ferro.
Valletta era molto più duro di M. , ridimensionò drasticamente la FIOM, ma dopo pochi anni la FIAT dovette fare il conto con il '69, allorchè si saldò l'alleanza tra il movimento studentesco del '68 e gli operai, eppure lui operava in una Italia molto più conservatrice dell'attuale.
La Storia dovrebbe sempre insegnare qualcosa ma temo che, anche se lo stabilimento di Pomigliano si chiama G.B. Vico, Marchionne abbia letto poco e male i corsi e ricorsi storici.
La Questione Sindacale
La nascita della newco, separa FIAT, più che dalla FIOM, da Confindustria, nasce il modello di relazioni sindacali modello americano, in cui esiste un solo sindacato "aziendale" (la UAW) ed in Italia il sindacato aziendale esiste già e si chiama FISMIC.
Temo che firmando l'accordo aziendale UILM e FIM abbiano firmato la loro condanna alla marginalità in FIAT.
Se è vero che Marchionne vuole guidare con polso fermo la fabbrica non gli servono tre o quattro sindacati ma uno solo, ed il suo sindacato di riferimento sarà FISMIC e farà di tutto per rafforzarlo.
L'errore più grande però l' ha fatto FIOM, e non l'ha fatto a Torino ma a Pomigliano, allorchè il referendum tra i lavoratori portò all'approvazione del Lodo Marchionne (60 a 40% mi pare). Fu in quella occasione che FIOM fallì, perchè, da sindacato che aveva fatto del REFERENDUM tra i lavoratori una bandiera, non comprese che aveva perso sul piano numerico, ma era diventata il riferimento di una platea molto più ampia dei proprii iscritti a Pomigliano, ed era una platea che chiedeva rappresentanza.
FIOM in quel momento doveva sedersi al tavolo e firmare l'accordo di Pomigliano, le battaglie di dettaglio poteva farle molto meglio restando dentro che non andando sdegnosamente sull'Aventino (e noi socialisti sappiamo che l'Aventino non produce mai niente di buono).
Purtroppo temo che i germi dell'antico bertinottismo di chi, per potersi tenere le mani pulite, non firma mai gli accordi siano ancora molto, troppo presenti nel corpo della FIOM.
La Questione Politica
Da quasi un anno si parla di FIAT e del piano Fabbrica Italia, in tutto questo tempo la politica italiana, ad ogni livello, non ha fatto nulla per capire cosa si nascondeva dietro la notizia dei 20 miliardi di euro di investimenti in Italia, ha detto, che era una questione tutta sindacale, da risolversi nella trattativa tra FIAT e sindacati.
Capisco che l'autonomia sindacale sia una cosa importante, ma era evidente che un Piano Industriale così importante non poteva, stante l'incapacità del Governo di nominare un nuovo Ministro dell'Industria, non coinvolgere almeno le Istituzioni locali, che qualche titolo di merito nei vari salvataggi di FIAT ce l'avevano, non ultimo la spesa con soldi pubblici (dei contribuenti) di 70 milioni per comprarsi un po' di capannoni vuoti a Mirafiori.
Più grave è peraltro il silenzio di questo ultimo mese dei Partiti torinesi di sinistra, che hanno brillato per la loro insipienza.
Nel momento in cui sarebbe stato necessario offrire una sponda politica ai sindacati, il PD ha passato il tempo a discutere di come fare le Primarie, a trescare per evitare la candidatura del Rettore del Politecnico ed a dividersi sui candidati per le primarie.
Vendola ha fatto una breve visita ad una marca di confine del suo reame per dire che la TAV va bene nella tratta Bari-Roma ma non va bene per connettere Torino a Lione con alcune generiche dichiarazioni di appoggio alle giuste rivendicazioni dei lavoratori, per poi rilanciarsi nella discussione sono il "più telegenico" ed il "miglior affabulatore" per cui voglio le Primarie per diventare leader del centro sinistra.
L'unica piccola, microscopica organizzazione che ha tentato di mettere attorno ad un tavolo i sindacalisti siamo stati noi delle associazioni torinesi del Gruppo di Volpedo durante il convegno organizzato da Labouratorio Buozzi del 27 novembre.
Noi socialisti del GdV continueremo con pervicacia e cocciutaggine a perseguire il nostro disegno politico dell'Unità Sindacale ad ogni costo, magari predicheremo nel deserto per molto tempo, ma l'Unità dei lavoratori è l'unica speranza che si può avere per rilanciare per davvero un centro sinistra che a Torino, e non solo, si è dimostrato ben al di sotto delle aspettative.
Nel momento in cui "salta" di fatto il Contratto Nazionale, emerge per noi socialisti una battaglia politica di lunga lena, il Contratto Europeo dell'Auto, dovrà essere la nostra cifra distintiva dei prossimi anni.
Da oggi in poi sospendiamo la ricerca del colpevole di una sconfitta e dedichiamoci a ricostruire qualcosa di positivo e di utile per chi si riconosce nei valori di eguaglianza, libertà e solidarietà.
Dario Allamano
titolo questa mail "Fiat anno 0"
perchè ieri si è chiusa una fase ed oggi se ne apre un'altra nelle relazioni industriali e sindacali.
Se non vi tedio troppo vorrei dare una mia particolare lettura di quanto è avvenuto e sta avvenendo nel mondo torinese, cercando di leggere l'accordo separato di ieri con la serena obiettività di chi l'aveva previsto e che aveva tentato di fare quel poco che poteva per evitarlo.
La Politica di FIAT
La prima domanda che dobbiamo porci è: "l'investimento di 1 milardo di euro a Torino è positivo o no?".
Secondo me è positivo perchè comunque mette in circolo, in una città in piena crisi economica, una massa di denaro utile per rilanciare tutte le attività economiche, e questo vale per Torino come per tutti gli altri siti in cui FIAT investe.
Ma soprattutto è importante perchè una azienda che investe pianta radici per davvero (e non solo a parole), e tende a restare sul sito perlomeno sino a che non avrà ammorizzato l'investimento (10 anni).
Sbaglia invece Marchionne a pensare di importare in Italia il modello americano tutto incentrato sull'azienda, è un modello che difficilmente attecchirà, anche perchè il modello europeo (l'economia sociale di mercato) ha dimostrato di funzionare bene anche nelle fasi di crisi, anzi funziona anche meglio del modello americano. In Europa nessuna azienda dell'auto è arrivata al quasi fallimento come CHrysler o GM.
Purtroppo Marchionne teme di farsi trovare all'uscita dalla crisi mondiale (che comunque è ancora lontana) a metà del guado, ben sopra i 2 milioni di auto ma molto sotto i 6 milioni che prevedeva come limite per stare sul mercato, e questo lo agita e lo induce a prendere scorciatoie, senza rispettare le forme di un modello di relazioni sindacali sedimentato nei decenni. Putroppo é dimostrato che le scorciatoie portano sempre verso inasprimenti sociali e politici non governabili, nemmeno con il pugno di ferro.
Valletta era molto più duro di M. , ridimensionò drasticamente la FIOM, ma dopo pochi anni la FIAT dovette fare il conto con il '69, allorchè si saldò l'alleanza tra il movimento studentesco del '68 e gli operai, eppure lui operava in una Italia molto più conservatrice dell'attuale.
La Storia dovrebbe sempre insegnare qualcosa ma temo che, anche se lo stabilimento di Pomigliano si chiama G.B. Vico, Marchionne abbia letto poco e male i corsi e ricorsi storici.
La Questione Sindacale
La nascita della newco, separa FIAT, più che dalla FIOM, da Confindustria, nasce il modello di relazioni sindacali modello americano, in cui esiste un solo sindacato "aziendale" (la UAW) ed in Italia il sindacato aziendale esiste già e si chiama FISMIC.
Temo che firmando l'accordo aziendale UILM e FIM abbiano firmato la loro condanna alla marginalità in FIAT.
Se è vero che Marchionne vuole guidare con polso fermo la fabbrica non gli servono tre o quattro sindacati ma uno solo, ed il suo sindacato di riferimento sarà FISMIC e farà di tutto per rafforzarlo.
L'errore più grande però l' ha fatto FIOM, e non l'ha fatto a Torino ma a Pomigliano, allorchè il referendum tra i lavoratori portò all'approvazione del Lodo Marchionne (60 a 40% mi pare). Fu in quella occasione che FIOM fallì, perchè, da sindacato che aveva fatto del REFERENDUM tra i lavoratori una bandiera, non comprese che aveva perso sul piano numerico, ma era diventata il riferimento di una platea molto più ampia dei proprii iscritti a Pomigliano, ed era una platea che chiedeva rappresentanza.
FIOM in quel momento doveva sedersi al tavolo e firmare l'accordo di Pomigliano, le battaglie di dettaglio poteva farle molto meglio restando dentro che non andando sdegnosamente sull'Aventino (e noi socialisti sappiamo che l'Aventino non produce mai niente di buono).
Purtroppo temo che i germi dell'antico bertinottismo di chi, per potersi tenere le mani pulite, non firma mai gli accordi siano ancora molto, troppo presenti nel corpo della FIOM.
La Questione Politica
Da quasi un anno si parla di FIAT e del piano Fabbrica Italia, in tutto questo tempo la politica italiana, ad ogni livello, non ha fatto nulla per capire cosa si nascondeva dietro la notizia dei 20 miliardi di euro di investimenti in Italia, ha detto, che era una questione tutta sindacale, da risolversi nella trattativa tra FIAT e sindacati.
Capisco che l'autonomia sindacale sia una cosa importante, ma era evidente che un Piano Industriale così importante non poteva, stante l'incapacità del Governo di nominare un nuovo Ministro dell'Industria, non coinvolgere almeno le Istituzioni locali, che qualche titolo di merito nei vari salvataggi di FIAT ce l'avevano, non ultimo la spesa con soldi pubblici (dei contribuenti) di 70 milioni per comprarsi un po' di capannoni vuoti a Mirafiori.
Più grave è peraltro il silenzio di questo ultimo mese dei Partiti torinesi di sinistra, che hanno brillato per la loro insipienza.
Nel momento in cui sarebbe stato necessario offrire una sponda politica ai sindacati, il PD ha passato il tempo a discutere di come fare le Primarie, a trescare per evitare la candidatura del Rettore del Politecnico ed a dividersi sui candidati per le primarie.
Vendola ha fatto una breve visita ad una marca di confine del suo reame per dire che la TAV va bene nella tratta Bari-Roma ma non va bene per connettere Torino a Lione con alcune generiche dichiarazioni di appoggio alle giuste rivendicazioni dei lavoratori, per poi rilanciarsi nella discussione sono il "più telegenico" ed il "miglior affabulatore" per cui voglio le Primarie per diventare leader del centro sinistra.
L'unica piccola, microscopica organizzazione che ha tentato di mettere attorno ad un tavolo i sindacalisti siamo stati noi delle associazioni torinesi del Gruppo di Volpedo durante il convegno organizzato da Labouratorio Buozzi del 27 novembre.
Noi socialisti del GdV continueremo con pervicacia e cocciutaggine a perseguire il nostro disegno politico dell'Unità Sindacale ad ogni costo, magari predicheremo nel deserto per molto tempo, ma l'Unità dei lavoratori è l'unica speranza che si può avere per rilanciare per davvero un centro sinistra che a Torino, e non solo, si è dimostrato ben al di sotto delle aspettative.
Nel momento in cui "salta" di fatto il Contratto Nazionale, emerge per noi socialisti una battaglia politica di lunga lena, il Contratto Europeo dell'Auto, dovrà essere la nostra cifra distintiva dei prossimi anni.
Da oggi in poi sospendiamo la ricerca del colpevole di una sconfitta e dedichiamoci a ricostruire qualcosa di positivo e di utile per chi si riconosce nei valori di eguaglianza, libertà e solidarietà.
Dario Allamano
mercoledì 22 dicembre 2010
martedì 21 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
domenica 19 dicembre 2010
sabato 18 dicembre 2010
Andrea Ermano: E dopo?
Dall'Avvenire dei lavoratori
EDITORIALE
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E dopo?
--------------------------------------------------------------------------------
di Andrea Ermano
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Laddove il vascello nazionale andasse a frantumarsi tra i marosi della mondializzazione, i poteri forti perderebbero una bella cuccagna di privilegi, e giustamente si preoccupano, cercando una via d’uscita. Evitare il naufragio dell’Italia risponde d’altronde anche agli interessi prevalenti del popolo lavoratore e della comunità internazionale. Di conseguenza, è ancora dato sperare che il nostro paese riesca, con un qualche misterioso guizzo di genio, a scansare lo schianto.
“Il governo mangerà il panettone, ma non la colomba”, prevede il leghista Calderoli. “Lui” invece assicura di poter arrivare a fine legislatura. “Lui” è Silvio Berlusconi che, a margine del Consiglio europeo di Bruxelles, si è definito “l’unico boss virile”, come suona l’anagramma del suo nome. Tra Bossi e il “boss virile” si preannuncia, così, un conflitto d’interessi che prima o poi potrebbe determinare il crac dell’attuale maggioranza.
Fin dai tempi antichi si sa che ogni determinazione pone fine a qualcosa, ma dà inizio a qualcosa d’altro. E, dunque, in questi istanti finali, in questo sbrindellato minutaggio di recupero nel secondo e ultimo tempo supplementare del berlusconismo, che cosa, di grazia, sta cominciando?
Può darsi che, per conservare l’unità nel centocinquantesimo dalla nascita dello stato italiano, il nostro establishment punti allo smontaggio della Lega, sempre più simile del resto a un reperto bellico inesploso. Nel Carroccio oscuramente lo intuiscono. Infatti, non chiedono altri ministeri (come pur potrebbero), ma elezioni anticipate, onde mettere in sicurezza il capitale di consensi prima della tempesta.
Se il cedimento strutturale del governo avvenisse non subito, ma tra un paio di mesi, potrebbero mancare i margini per elezioni anticipate prima dell’autunno prossimo. Una continuazione della legislatura con altro premier favorirebbe a quel punto il parto di un governo di “responsabilità nazionale”. Parto lieto ad alcuni, ma doloroso ad altri, perché ogni nuova maggioranza – inevitabilmente imperniata sui terzopolisti di Fini, Casini e Rutelli – innescherebbe una serie di spaccature sia nel campo del PDL, sia in quello del PD, incluse le file padane e dipietriste: i moderati di ogni schieramento convergerebbero verso il centro.
Ci stiamo avvicinando al bivio. Il tentativo gattopardesco di scaricare l’intera crisi di sistema sulla politica, affinché l’assetto di potere rimanesse immutato, dovrà lasciare il posto a riforme vere. E qui sorgono le preoccupazioni più serie, perché riforme vere presupporrebbero, diciamo così, una “decrescita” dei poteri forti, una loro capacità di autoriforma, per la quale non si ravvisano moltissimi precedenti storici.
Le gerarchie vaticane preferirebbero tirare a campare, almeno per un po’, senz'ancora uscire dal berlusconismo. E dopo?
Che le necessarie riforme possano realizzarsi grazie a una nuova maggioranza di responsabilità nazionale imperniata sul neo-centrismo è ipotesi tutta da verificare. L’abitudine storica delle corporazioni di delegare ad altri ogni sforzo e rinuncia lascia temere l’insorgere di gravi tensioni sociali. Forse è proprio questo ciò che si attende da parte di lor signori per scatenare poi la reazione d’ordine. Non sarebbe la prima volta.
E a sinistra? Che si fa? Quando gli ultimi neo-centristi avranno abbandonato la sinistra al suo destino per non morire socialisti, resterebbe una possibilità: iniziare ora, adesso, subito, a lavorare per una solida alternativa politica. Occorre un'alleanza neo-frontista, sul genere di quella stipulata tra Pietro Nenni e Palmiro Togliatti. Si dirà che fu l’Errore degli Errori perché, all'inizio della guerra fredda, consegnò il popolo di sinistra a un lungo destino di opposizione. Vero, ma la guerra fredda non c’è più.
Una sinistra capace di candidarsi domani al governo del Paese, anche se ciò oggi non si annuncia come un obiettivo immediato, andrebbe a costituire una preziosissima riserva di democrazia, soprattutto quando il disegno neo-centrista, emergente dietro la fine dell’era berlusconiana, esaurisse (prevedibilmente) la propria spinta propulsiva lungo i tornanti di una turbolenza globale che, questa sì, non guarda in faccia a nessuno.
EDITORIALE
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E dopo?
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di Andrea Ermano
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Laddove il vascello nazionale andasse a frantumarsi tra i marosi della mondializzazione, i poteri forti perderebbero una bella cuccagna di privilegi, e giustamente si preoccupano, cercando una via d’uscita. Evitare il naufragio dell’Italia risponde d’altronde anche agli interessi prevalenti del popolo lavoratore e della comunità internazionale. Di conseguenza, è ancora dato sperare che il nostro paese riesca, con un qualche misterioso guizzo di genio, a scansare lo schianto.
“Il governo mangerà il panettone, ma non la colomba”, prevede il leghista Calderoli. “Lui” invece assicura di poter arrivare a fine legislatura. “Lui” è Silvio Berlusconi che, a margine del Consiglio europeo di Bruxelles, si è definito “l’unico boss virile”, come suona l’anagramma del suo nome. Tra Bossi e il “boss virile” si preannuncia, così, un conflitto d’interessi che prima o poi potrebbe determinare il crac dell’attuale maggioranza.
Fin dai tempi antichi si sa che ogni determinazione pone fine a qualcosa, ma dà inizio a qualcosa d’altro. E, dunque, in questi istanti finali, in questo sbrindellato minutaggio di recupero nel secondo e ultimo tempo supplementare del berlusconismo, che cosa, di grazia, sta cominciando?
Può darsi che, per conservare l’unità nel centocinquantesimo dalla nascita dello stato italiano, il nostro establishment punti allo smontaggio della Lega, sempre più simile del resto a un reperto bellico inesploso. Nel Carroccio oscuramente lo intuiscono. Infatti, non chiedono altri ministeri (come pur potrebbero), ma elezioni anticipate, onde mettere in sicurezza il capitale di consensi prima della tempesta.
Se il cedimento strutturale del governo avvenisse non subito, ma tra un paio di mesi, potrebbero mancare i margini per elezioni anticipate prima dell’autunno prossimo. Una continuazione della legislatura con altro premier favorirebbe a quel punto il parto di un governo di “responsabilità nazionale”. Parto lieto ad alcuni, ma doloroso ad altri, perché ogni nuova maggioranza – inevitabilmente imperniata sui terzopolisti di Fini, Casini e Rutelli – innescherebbe una serie di spaccature sia nel campo del PDL, sia in quello del PD, incluse le file padane e dipietriste: i moderati di ogni schieramento convergerebbero verso il centro.
Ci stiamo avvicinando al bivio. Il tentativo gattopardesco di scaricare l’intera crisi di sistema sulla politica, affinché l’assetto di potere rimanesse immutato, dovrà lasciare il posto a riforme vere. E qui sorgono le preoccupazioni più serie, perché riforme vere presupporrebbero, diciamo così, una “decrescita” dei poteri forti, una loro capacità di autoriforma, per la quale non si ravvisano moltissimi precedenti storici.
Le gerarchie vaticane preferirebbero tirare a campare, almeno per un po’, senz'ancora uscire dal berlusconismo. E dopo?
Che le necessarie riforme possano realizzarsi grazie a una nuova maggioranza di responsabilità nazionale imperniata sul neo-centrismo è ipotesi tutta da verificare. L’abitudine storica delle corporazioni di delegare ad altri ogni sforzo e rinuncia lascia temere l’insorgere di gravi tensioni sociali. Forse è proprio questo ciò che si attende da parte di lor signori per scatenare poi la reazione d’ordine. Non sarebbe la prima volta.
E a sinistra? Che si fa? Quando gli ultimi neo-centristi avranno abbandonato la sinistra al suo destino per non morire socialisti, resterebbe una possibilità: iniziare ora, adesso, subito, a lavorare per una solida alternativa politica. Occorre un'alleanza neo-frontista, sul genere di quella stipulata tra Pietro Nenni e Palmiro Togliatti. Si dirà che fu l’Errore degli Errori perché, all'inizio della guerra fredda, consegnò il popolo di sinistra a un lungo destino di opposizione. Vero, ma la guerra fredda non c’è più.
Una sinistra capace di candidarsi domani al governo del Paese, anche se ciò oggi non si annuncia come un obiettivo immediato, andrebbe a costituire una preziosissima riserva di democrazia, soprattutto quando il disegno neo-centrista, emergente dietro la fine dell’era berlusconiana, esaurisse (prevedibilmente) la propria spinta propulsiva lungo i tornanti di una turbolenza globale che, questa sì, non guarda in faccia a nessuno.
Gruppo di Volpedo: Lettera aperta sulla questione fiat
Noi socialisti, laici e libertari riuniti presso la Sala dell'Antico Macello di Po a Torino il giorno 16
dicembre 2010, con questa nostra lettera aperta rileviamo
· La grave crisi sociale determinata da una recessione di cui non si vede il termine, e che pone
sulle spalle dei cittadini l'onere del rientro dalle scellerate politiche economiche ancora basate su
una ideologia iperliberista;
· il profondo discredito in cui sta sprofondando la politica italiana, ormai sempre più volta ad una
azione di delegittimazione degli avversari politici, ma incapace di affrontare con provvedimenti
adeguati la crisi;
· la difficoltà dei partiti e dei sindacati di tutta Europa nel comprendere che problemi che hanno
dimensioni globali debbono avere risposte se non internazionali almeno a livello europeo;
· la frattura nell'Unità Sindacale ormai molto profonda, ma che deve essere ricomposta , per noi
socialisti, l'UNITÀ è un obiettivo da perseguire nell'interesse dei lavoratori,
· la sostanziale scomparsa dalle istituzioni rappresentative di consiglieri autenticamente socialisti
nelle Regioni dell'Italia settentrionale,
Il risultato di questo progressivo scadimento della politica e della società italiana si riverbera nei
territori ed in particolare sul territorio torinese.
A Torino stiamo assistendo con sgomento alla discussione in atto tra FIAT e Sindacati sul futuro
di Mirafiori, con la minaccia da parte dell'Amministratore Delegato di FIAT di non procedere
all'investimento promesso nei mesi passati, condizionandola all'accettazione, senza contrattazione,
le proposte di organizzazione della produzione avanzate dalla FIAT stessa.
É un modo singolare di procedere da parte di una Azienda a cui la Comunità torinese ha
concesso negli anni molte opportunità e molti vantaggi, ne prendiamo atto, e prendiamo atto che
ormai FIAT è una azienda globale di cui Torino è solo più una delle tante province.
Riconosciamo il buon diritto di FIAT a chiedere certezze e sicurezze nell'applicazione degli
accordi, ma nel contempo chiediamo a FIAT un maggiore rispetto per chi nel 2004, momento di
massima difficoltà dell'Azienda, non si sottrasse dall'onere di sostenerla, acquistando parti di
Mirafiori con un esborso di 70 milioni di Euro, sacrificio non indifferente per le casse comunali.
Il momento è grave ma non possiamo semplicemente limitarci alle rampogne per quanto fatto in
favore della FIAT, compito di un Movimento politico è quello di proporre alternative utili per il futuro
della città in cui viviamo.
Partito Socialista Italiano Gruppo di Volpedo
Federazione provinciale di Torino Lega dei circoli torinesi
www.psipiemonte.it www.gruppodivolpedo.it
info@gruppodivolpedo.it
Per questi motivi riteniamo sia giunto il tempo che le Istituzioni locali (Regione, Provincia e
Comuni), i partiti, i sindacati e le organizzazioni imprenditoriali assumano la consapevolezza che
quello di Mirafiori non è un problema puramente “sindacale” che, come molti dicono, deve essere
risolto da una trattativa tra sindacati e management FIAT,
la questione è POLITICA e con una priorità massima.
É una questione che nasce dalla mancanza di un qualsiasi Progetto di Politica Industriale nel
torinese, e che richiede non solo l'intervento delle Istituzioni locali bensì del Governo, ed in
particolare del Ministero per le Attività Produttive, che non può limitarsi al ruolo di Osservatore
Neutrale.
Noi socialisti laici e libertari di Torino chiediamo pertanto, a chi è investito delle responsabilità
istituzionali, politiche, sindacali ed aziendali, di avviare la costruzione di un
PROGETTO DI POLITICA INDUSTRIALE volto a TRASFORMARE Torino
da CITTÀ DELLA FIAT
a CITTÀ DELL'AUTO
ricercando tutte le risorse necessarie per
1. sostenere e sviluppare le ricerche sui nuovi motori (ibridi, elettrici ecc), a partire da
quanto già fatto dal Politecnico di Torino;
2. salvaguardare e sostenere know how, esperienze, tecnologie e professionalità connesse
con l'auto e di cui il territorio torinese è in possesso;
3. favorire l'installazione di eventuali nuovi produttori di auto interessati a localizzare
attività produttive a Torino;
4. attivare, nella fase di transizione verso la nuova città dell'auto, degli ammortizzatori
sociali non lasciati alla casualità (es. casse integrazioni in deroga), bensì funzionali alla
formazione, al sostegno del reddito ed alla eventuale mobilità dei lavoratori.
Partito Socialista Italiano Gruppo di Volpedo
Federazione provinciale di Torino Lega dei circoli torinesi
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dicembre 2010, con questa nostra lettera aperta rileviamo
· La grave crisi sociale determinata da una recessione di cui non si vede il termine, e che pone
sulle spalle dei cittadini l'onere del rientro dalle scellerate politiche economiche ancora basate su
una ideologia iperliberista;
· il profondo discredito in cui sta sprofondando la politica italiana, ormai sempre più volta ad una
azione di delegittimazione degli avversari politici, ma incapace di affrontare con provvedimenti
adeguati la crisi;
· la difficoltà dei partiti e dei sindacati di tutta Europa nel comprendere che problemi che hanno
dimensioni globali debbono avere risposte se non internazionali almeno a livello europeo;
· la frattura nell'Unità Sindacale ormai molto profonda, ma che deve essere ricomposta , per noi
socialisti, l'UNITÀ è un obiettivo da perseguire nell'interesse dei lavoratori,
· la sostanziale scomparsa dalle istituzioni rappresentative di consiglieri autenticamente socialisti
nelle Regioni dell'Italia settentrionale,
Il risultato di questo progressivo scadimento della politica e della società italiana si riverbera nei
territori ed in particolare sul territorio torinese.
A Torino stiamo assistendo con sgomento alla discussione in atto tra FIAT e Sindacati sul futuro
di Mirafiori, con la minaccia da parte dell'Amministratore Delegato di FIAT di non procedere
all'investimento promesso nei mesi passati, condizionandola all'accettazione, senza contrattazione,
le proposte di organizzazione della produzione avanzate dalla FIAT stessa.
É un modo singolare di procedere da parte di una Azienda a cui la Comunità torinese ha
concesso negli anni molte opportunità e molti vantaggi, ne prendiamo atto, e prendiamo atto che
ormai FIAT è una azienda globale di cui Torino è solo più una delle tante province.
Riconosciamo il buon diritto di FIAT a chiedere certezze e sicurezze nell'applicazione degli
accordi, ma nel contempo chiediamo a FIAT un maggiore rispetto per chi nel 2004, momento di
massima difficoltà dell'Azienda, non si sottrasse dall'onere di sostenerla, acquistando parti di
Mirafiori con un esborso di 70 milioni di Euro, sacrificio non indifferente per le casse comunali.
Il momento è grave ma non possiamo semplicemente limitarci alle rampogne per quanto fatto in
favore della FIAT, compito di un Movimento politico è quello di proporre alternative utili per il futuro
della città in cui viviamo.
Partito Socialista Italiano Gruppo di Volpedo
Federazione provinciale di Torino Lega dei circoli torinesi
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info@gruppodivolpedo.it
Per questi motivi riteniamo sia giunto il tempo che le Istituzioni locali (Regione, Provincia e
Comuni), i partiti, i sindacati e le organizzazioni imprenditoriali assumano la consapevolezza che
quello di Mirafiori non è un problema puramente “sindacale” che, come molti dicono, deve essere
risolto da una trattativa tra sindacati e management FIAT,
la questione è POLITICA e con una priorità massima.
É una questione che nasce dalla mancanza di un qualsiasi Progetto di Politica Industriale nel
torinese, e che richiede non solo l'intervento delle Istituzioni locali bensì del Governo, ed in
particolare del Ministero per le Attività Produttive, che non può limitarsi al ruolo di Osservatore
Neutrale.
Noi socialisti laici e libertari di Torino chiediamo pertanto, a chi è investito delle responsabilità
istituzionali, politiche, sindacali ed aziendali, di avviare la costruzione di un
PROGETTO DI POLITICA INDUSTRIALE volto a TRASFORMARE Torino
da CITTÀ DELLA FIAT
a CITTÀ DELL'AUTO
ricercando tutte le risorse necessarie per
1. sostenere e sviluppare le ricerche sui nuovi motori (ibridi, elettrici ecc), a partire da
quanto già fatto dal Politecnico di Torino;
2. salvaguardare e sostenere know how, esperienze, tecnologie e professionalità connesse
con l'auto e di cui il territorio torinese è in possesso;
3. favorire l'installazione di eventuali nuovi produttori di auto interessati a localizzare
attività produttive a Torino;
4. attivare, nella fase di transizione verso la nuova città dell'auto, degli ammortizzatori
sociali non lasciati alla casualità (es. casse integrazioni in deroga), bensì funzionali alla
formazione, al sostegno del reddito ed alla eventuale mobilità dei lavoratori.
Partito Socialista Italiano Gruppo di Volpedo
Federazione provinciale di Torino Lega dei circoli torinesi
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Luca Cefisi: PSE, autocritica da Varsavia
N.44 del 19 dicembre 2010
Il futuro del Psi nel centrosinistra per ricostruire un’opposizione di governo, in Italia come in Europa
Luca Cefisi - PSE, autocritica da Varsavia Mercato sì, ma regoliamolo
mercoledì 15 dicembre 2010
Luca Cefisi
Il Consiglio Generale del Partito del Socialismo Europeo, a Varsavia il 2 e 3 dicembre scorsi, ha visto una discussione, come si suol dire, “franca e aperta”. Cioè non ha nascosto i problemi, anzi il problema: la difficile fase elettorale attraversata dai socialisti, che non vincono le elezioni nelle maggiori nazioni europee.
Si è cercato di lanciare, da Varsavia, un messaggio forte e coraggioso: la necessità che il socialismo europeo si attrezzi con programmi più convincenti, e forme organizzative più efficaci. Questa è del resto la risposta perfettamente ovvia per una forza politica che riconosca i limiti della sua azione, ma che non per questo nutra dubbi su sè stessa, sui suoi valori e princìpi. Anzi, nella risoluzione generale adottata dal Consiglio, si sottolinea che alcune proposte assai importanti promosse dai socialisti europei sono oggi al centro del dibattito, per esempio la FTT, la tassa sulle transazioni finanziarie: ma proprio quando diventano temi discussi da tutti, almeno a livello di comunicazione la matrice socialista tende ad essere dimenticata, e magari i quotidiani fanno il titolo su Sarkozy che sposa la FTT, attribuendogliene il merito! Anche alcuni temi della modernizzazione riformista, l’equità, le pari opportunità, l’efficienza e la flessibilità del lavoro in una società in continua mutazione, sono stati assunti nella retorica dei governi di centrodestra, che li interpreta però a modo suo, e la flessibilità, per esempio, diventa precarietà, e la centralità dell’individuo diventa retorica dell’egoismo. Del resto, occorre ammettere che nella lunga glaciazione degli anni 90, anche le forze socialdemocratiche hanno subìto l’egemonìa della retorica neoliberale: l’onda lunga della caduta del Muro di Berlino, che come oggi sappiamo non ha affatto significato la vittoria della socialdemocrazia sul comunismo, ma l’affermazione dell’idea che il mondo capitalista è il “migliore dei mondi possibili”, e quindi la ridicolizzazione di ogni tentativo di pensare un mondo diverso e migliore. Anche noi, quindi, abbiamo governato convinti che le famose “compabitilità imposte dal mercato” fossero limitazioni ferree, e che il riformismo non potesse uscire dai binari imposti dall’economia. Oggi vediamo che è piuttosto l’economia, senza la politica a governarla, a deragliare, e a far deragliare le vite di milioni di persone. Quindi, la sensazione comune tra i socialisti europei è che i nostri princìpi non solo siano tuttora validi, ma che sia stata una disdetta non averli perseguiti con maggiore convinzione, accettando una tale annacquamento delle politiche socialdemocratiche che è stato il primo motivo della disaffezione degli elettori, che non hanno più visto una valida differenza qualitativa tra socialisti e conservatori. Da qui, l’astensionismo elettorale massiccia, ed anche il richiamo dell’estremismo di destra, che oggi raccoglie scontenti e delusi proprio dalle fasce popolari e persino operaie.
In tutto questo, dispiace che l’autorevole Massimo D’Alema, per motivi del tutto casalinghi, cioè per tranquillizzare l’ala ideologicamente anti-socialista del PD, insista (su Europa del 4 dicembre 2010) con la vecchia solfa della “crisi del socialismo”, per andare “oltre”, e definire nuove identità e shieramenti mondiali, di cui i democratici italiani sarebbero un fulcro (ma accidenti, siamo un piccolo paese nella globalizzazione, un po’ di modestia!). Si deve dire, una volta per tutte, che questo schema di lettura della politica mondiale sempre partendo dall’ombelico dell’unicità italiana, tutto teso ad indicare un orizzonte sempre “altro”, suggestivo ma confuso nelle nebbie del futuro, è lo schema ideologico che ha reso la sinistra italiana provinciale, depressa e perdente, rifugiandosi magari nella satira perchè non sapeva più affermare con convinzione le proprie convinzioni, e che vive declamando alla Montale “quel che non siamo, quel che non vogliamo”. I socialisti europei non sono in crisi elettorale per crisi di valori, lo ripetiamo, ma per aver sbiadito e confuso il loro messaggio: non è il socialismo ad essere in crisi, ma i socialisti a non essere stati all’altezza (e massimamente in Italia…) Di questo si è discusso a Varsavia, di come tornare all’altezza dei nostri alti ed esigenti ideali, di come vincere e convincere, e non di alchimie ideologiche tra partito del Congresso indiano, Barack Obama e la sottocorrente degli ex aderenti alla Margherita della sezione del PD di Rocca Cannuccia. Queste sono fumisterie, tatticismi per tenere insieme le nevrosi di ex democristiani, neo-liberali e insomma tutta la babele volenterosa ma incasinata del PD.
Tatticismi che però non ci faranno vincere, perchè gli elettori chiedono altro: chiarezza, princìpi, ideali, proposte davvero alternative, Quelle che in tutto il mondo si chiama socialismo. Con suo stesso stupore, anche Obama ha finito per sentirsi dare del “socialista!”, e questo qualcosa vorrà pur dire.
Il futuro del Psi nel centrosinistra per ricostruire un’opposizione di governo, in Italia come in Europa
Luca Cefisi - PSE, autocritica da Varsavia Mercato sì, ma regoliamolo
mercoledì 15 dicembre 2010
Luca Cefisi
Il Consiglio Generale del Partito del Socialismo Europeo, a Varsavia il 2 e 3 dicembre scorsi, ha visto una discussione, come si suol dire, “franca e aperta”. Cioè non ha nascosto i problemi, anzi il problema: la difficile fase elettorale attraversata dai socialisti, che non vincono le elezioni nelle maggiori nazioni europee.
Si è cercato di lanciare, da Varsavia, un messaggio forte e coraggioso: la necessità che il socialismo europeo si attrezzi con programmi più convincenti, e forme organizzative più efficaci. Questa è del resto la risposta perfettamente ovvia per una forza politica che riconosca i limiti della sua azione, ma che non per questo nutra dubbi su sè stessa, sui suoi valori e princìpi. Anzi, nella risoluzione generale adottata dal Consiglio, si sottolinea che alcune proposte assai importanti promosse dai socialisti europei sono oggi al centro del dibattito, per esempio la FTT, la tassa sulle transazioni finanziarie: ma proprio quando diventano temi discussi da tutti, almeno a livello di comunicazione la matrice socialista tende ad essere dimenticata, e magari i quotidiani fanno il titolo su Sarkozy che sposa la FTT, attribuendogliene il merito! Anche alcuni temi della modernizzazione riformista, l’equità, le pari opportunità, l’efficienza e la flessibilità del lavoro in una società in continua mutazione, sono stati assunti nella retorica dei governi di centrodestra, che li interpreta però a modo suo, e la flessibilità, per esempio, diventa precarietà, e la centralità dell’individuo diventa retorica dell’egoismo. Del resto, occorre ammettere che nella lunga glaciazione degli anni 90, anche le forze socialdemocratiche hanno subìto l’egemonìa della retorica neoliberale: l’onda lunga della caduta del Muro di Berlino, che come oggi sappiamo non ha affatto significato la vittoria della socialdemocrazia sul comunismo, ma l’affermazione dell’idea che il mondo capitalista è il “migliore dei mondi possibili”, e quindi la ridicolizzazione di ogni tentativo di pensare un mondo diverso e migliore. Anche noi, quindi, abbiamo governato convinti che le famose “compabitilità imposte dal mercato” fossero limitazioni ferree, e che il riformismo non potesse uscire dai binari imposti dall’economia. Oggi vediamo che è piuttosto l’economia, senza la politica a governarla, a deragliare, e a far deragliare le vite di milioni di persone. Quindi, la sensazione comune tra i socialisti europei è che i nostri princìpi non solo siano tuttora validi, ma che sia stata una disdetta non averli perseguiti con maggiore convinzione, accettando una tale annacquamento delle politiche socialdemocratiche che è stato il primo motivo della disaffezione degli elettori, che non hanno più visto una valida differenza qualitativa tra socialisti e conservatori. Da qui, l’astensionismo elettorale massiccia, ed anche il richiamo dell’estremismo di destra, che oggi raccoglie scontenti e delusi proprio dalle fasce popolari e persino operaie.
In tutto questo, dispiace che l’autorevole Massimo D’Alema, per motivi del tutto casalinghi, cioè per tranquillizzare l’ala ideologicamente anti-socialista del PD, insista (su Europa del 4 dicembre 2010) con la vecchia solfa della “crisi del socialismo”, per andare “oltre”, e definire nuove identità e shieramenti mondiali, di cui i democratici italiani sarebbero un fulcro (ma accidenti, siamo un piccolo paese nella globalizzazione, un po’ di modestia!). Si deve dire, una volta per tutte, che questo schema di lettura della politica mondiale sempre partendo dall’ombelico dell’unicità italiana, tutto teso ad indicare un orizzonte sempre “altro”, suggestivo ma confuso nelle nebbie del futuro, è lo schema ideologico che ha reso la sinistra italiana provinciale, depressa e perdente, rifugiandosi magari nella satira perchè non sapeva più affermare con convinzione le proprie convinzioni, e che vive declamando alla Montale “quel che non siamo, quel che non vogliamo”. I socialisti europei non sono in crisi elettorale per crisi di valori, lo ripetiamo, ma per aver sbiadito e confuso il loro messaggio: non è il socialismo ad essere in crisi, ma i socialisti a non essere stati all’altezza (e massimamente in Italia…) Di questo si è discusso a Varsavia, di come tornare all’altezza dei nostri alti ed esigenti ideali, di come vincere e convincere, e non di alchimie ideologiche tra partito del Congresso indiano, Barack Obama e la sottocorrente degli ex aderenti alla Margherita della sezione del PD di Rocca Cannuccia. Queste sono fumisterie, tatticismi per tenere insieme le nevrosi di ex democristiani, neo-liberali e insomma tutta la babele volenterosa ma incasinata del PD.
Tatticismi che però non ci faranno vincere, perchè gli elettori chiedono altro: chiarezza, princìpi, ideali, proposte davvero alternative, Quelle che in tutto il mondo si chiama socialismo. Con suo stesso stupore, anche Obama ha finito per sentirsi dare del “socialista!”, e questo qualcosa vorrà pur dire.
Giuseppe Tamburrano: Il futuro del PSI
Il futuro del Psi nel centrosinistra per ricostruire un’opposizione di governo, in Italia come in Europa
Giuseppe Tamburrano - A lavoro, il socialismo è in crisi, non è morto!
mercoledì 15 dicembre 2010
Scrivere di politica (politica? Si fa per dire) in questi giorni è un gioco – avvilente – a indovinare.
Parliamo invece del PSI che è “fuori gioco”. Vi ricordate, compagni, quando alle elezioni prendevamo il 2 per cento? Bei tempi! Alleandoci con questo e con quello si riusciva anche ad avere dei parlamentari (i soliti). Ora siamo – secondo i sondaggi – allo 0,8 per cento. A far che? Ad ottenere qualche consigliere o assessore qua e là.
Eppure io – dall’esterno – sento una specie di ottimismo, tipo: i compagni ci sono ma restano a casa o si “collocano” altrove, pronti a rientrare “se”…
Penso anche io che vi sono potenzialità diffuse, che il socialismo non è morto. Ma chi e come “scopre le tombe”?
Provo a mettere su un’ipotesi. Facciamo un censimento delle realtà associative diffuse sul territorio che si ispirano ai valori del socialismo, abbiano o non l’affiliazione al PSI.
Qualcuno – ad esempio, le fondazioni di ispirazione socialista – allacci rapporti di collaborazione con queste istituzioni fino ad un convegno nazionale. Mettiamo su un forum che affronti non il gossip, che infuria oggi sui siti, ma temi culturali impegnativi: ad esempio le tesi di Stiglitz o di Beck. Organizziamo seminari sul tema: la crisi del capitalismo riaccredita il socialismo? E così via. Insomma se c’è un terreno vanghiamolo, seminiamolo e lavoriamolo: se son rose o garofani fioriranno.
E’ probabile che il PD si scinda e la componente cattolica veleggi verso il Terzo Polo in compagnia di qualche autorevole ex PCI.
Questo evento riaprirebbe il cantiere dell’unità della sinistra democratica. D’Alema qualche giorno addietro ha detto: abbiamo sbagliato a seguire la Terza via rinunciando ai nostri valori.
Ormai è finita: compagno D’Alema – ti posso dare del “compagno”? - ricordati di Nenni che si sbagliò a seguire la via frontista rinunciando ai valori del socialismo. Quando capì di aver sbagliato ritornò sui suoi passi rilanciando i valori socialisti. Perchè non fai come Nenni? Sono anni che aspettiamo da te non la Cosa 1 o 2 o 3, ma la cosa giusta.
Giuseppe Tamburrano - A lavoro, il socialismo è in crisi, non è morto!
mercoledì 15 dicembre 2010
Scrivere di politica (politica? Si fa per dire) in questi giorni è un gioco – avvilente – a indovinare.
Parliamo invece del PSI che è “fuori gioco”. Vi ricordate, compagni, quando alle elezioni prendevamo il 2 per cento? Bei tempi! Alleandoci con questo e con quello si riusciva anche ad avere dei parlamentari (i soliti). Ora siamo – secondo i sondaggi – allo 0,8 per cento. A far che? Ad ottenere qualche consigliere o assessore qua e là.
Eppure io – dall’esterno – sento una specie di ottimismo, tipo: i compagni ci sono ma restano a casa o si “collocano” altrove, pronti a rientrare “se”…
Penso anche io che vi sono potenzialità diffuse, che il socialismo non è morto. Ma chi e come “scopre le tombe”?
Provo a mettere su un’ipotesi. Facciamo un censimento delle realtà associative diffuse sul territorio che si ispirano ai valori del socialismo, abbiano o non l’affiliazione al PSI.
Qualcuno – ad esempio, le fondazioni di ispirazione socialista – allacci rapporti di collaborazione con queste istituzioni fino ad un convegno nazionale. Mettiamo su un forum che affronti non il gossip, che infuria oggi sui siti, ma temi culturali impegnativi: ad esempio le tesi di Stiglitz o di Beck. Organizziamo seminari sul tema: la crisi del capitalismo riaccredita il socialismo? E così via. Insomma se c’è un terreno vanghiamolo, seminiamolo e lavoriamolo: se son rose o garofani fioriranno.
E’ probabile che il PD si scinda e la componente cattolica veleggi verso il Terzo Polo in compagnia di qualche autorevole ex PCI.
Questo evento riaprirebbe il cantiere dell’unità della sinistra democratica. D’Alema qualche giorno addietro ha detto: abbiamo sbagliato a seguire la Terza via rinunciando ai nostri valori.
Ormai è finita: compagno D’Alema – ti posso dare del “compagno”? - ricordati di Nenni che si sbagliò a seguire la via frontista rinunciando ai valori del socialismo. Quando capì di aver sbagliato ritornò sui suoi passi rilanciando i valori socialisti. Perchè non fai come Nenni? Sono anni che aspettiamo da te non la Cosa 1 o 2 o 3, ma la cosa giusta.
venerdì 17 dicembre 2010
Bersani: Ora alleanza per il terzo polo
la Repubblica, 17 dicembre 2010
Bersani: "Ora alleanza col terzo polo"
Il Pd pensa a sacrificare le primarie
Il leader democratico invoca un nuovo patto per superare Berlusconi. "Ora si rimette tutto in discussione"
di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Un patto per la riforma della Repubblica. Un'alleanza per lavoro e crescita. Pier Luigi Bersani prepara una "piattaforma democratica". E la offre a tutte le forze di opposizione, Terzo polo in testa, per andare "non contro Berlusconi ma oltre Berlusconi, oltre il populismo. Non penso a un Cln anti-Cavaliere. Il Pd vuole aprire una fase fondativa".
Segretario, dopo la vittoria numerica ma non politica di Berlusconi alla Camera, perché non chiedete le elezioni anticipate?
"Se ci saranno le elezioni in primavera non avremo paura di affrontarle e vincerle. Ma non toglieremo le castagne dal fuoco a Berlusconi. Lui ha detto al Parlamento "voglio tre voti in più per la stabilità". Adesso vediamo quale stabilità e quale governo è capace di garantire. Se alla fine si andrà al voto dovrà pagare il prezzo: del suo fallimento e dell'ennesima promessa non mantenuta".
Intanto è fallita la vostra spallata al premier ed è tramontato il governo di responsabilità. Il Pd non deve cambiare linea?
"Di quale fallimento stiamo parlando? Avevano 70 voti in più, ora ne hanno 3. Certo, nella nuova fase l'esecutivo di transizione sembra meno praticabile. Ma la sostanza politica c'è ancora. E il Pd, entro gennaio, vuole presentare una proposta a tutte le forze di opposizione di centro e di centrosinistra che può avere anche un profilo elettorale".
Qual
è il senso di questa proposta?
"Partiamo dalla situazione che abbiamo davanti. Il governo Berlusconi punta solo a una sopravvivenza spregiudicata. Cercherà di galleggiare rapinando qualche voto, spargendo veleni come la voce di dirigenti del Pd pronti a passare con lui, mostrando quindi il volto peggiore della politica. Tutti quelli che non vogliono cedere a questa deriva devono prendersi la responsabilità di essere non solo contro Berlusconi ma di andare oltre".
Come?
"Guardando in faccia quello che ci consegna il tramonto del berlusconismo, la crisi di sistema in cui ci ha precipitato. Costruendo da subito una risposta positiva. Per mettere in sicurezza la democrazia e dare una speranza di futuro ai giovani. Noi ci candidiamo a presentare una piattaforma per la riforma della Repubblica, per la crescita e il lavoro".
Nel dettaglio cosa significa?
"Posso dare dei titoli. Riforme istituzionali. Riforma elettorale. Misure per la legalità e sui costi della politica. L'informazione. La riforma della giustizia per i cittadini".
E sul fronte sociale?
"Una riforma fiscale che carichi sull'evasione e le rendite alleggerendo lavoro, impresa e famiglie. Una nuova legislazione sul lavoro che affronti il dramma del precariato. Qualcosa l'abbiamo già detta: abbassare il costo del lavoro stabile, alzare quello del lavoro precario. Un pacchetto di liberalizzazioni".
Questa piattaforma con chi la discuterete?
"Con tutte le forze di opposizione, con le forze sociali. E con il Paese. A gennaio comincerò un tour delle regioni per parlare dei problemi reali. C'è un Italia che vuole cambiare".
Il Terzo polo una risposta ve l'ha già data. In caso di elezioni andranno da soli. Né Pd né Pdl. Perché volete sbattere di nuovo il grugno?
"Vedo che il terzo polo è stato battezzato con una certa urgenza per respingere le sirene berlusconiane. Li capisco, il timore è fondato. Ma se puntano a un ruolo di condizionamento del centrodestra presto dovranno convincersi che è un'illusione. Berlusconi non tratta, compra. L'idea stessa di un Berlusconi condizionato è un ossimoro. Perciò facciamo maturare nel Terzo polo una riflessione. Sapendo che l'idea e il confronto che proponiamo vivrebbero in ogni caso".
Nelle sue parole è scomparsa la formula Nuovo Ulivo. Di Pietro invece vi chiede un immediato matrimonio a tre. Volete abbandonare l'ex pm e Vendola?
"No. Nessun abbandono di nessun genere. Ma chi vuol discutere con noi deve accettare di confrontarsi seriamente con l'esigenza che poniamo. Quella di una riforma democratica e di una riscossa italiana che richiedono da parte di tutti una straordinaria apertura politica".
Siete consapevoli che per allearvi con il terzo polo dovrete rinunciare alle primarie?
"In nome di una strategia che chiede a ogni forza politica di non peccare di egoismo e di dare qualcosa, siamo pronti a mettere in discussione anche i nostri strumenti. Ci interessa l'obiettivo. Poi c'è un problema che riguarda soprattutto noi: le primarie per le amministrative. Possono inibire rapporti più aperti e più larghi non solo con i partiti ma con la società civile. E possono portare elementi di dissociazione dentro il Pd che non fanno bene a nessuno. Bisogna dunque riformarle".
È vero che la scorciatoia per stringere un patto con il Centro passa per l'offerta a Casini della candidatura a Palazzo Chigi?
"Queste sono fantasie. Non banalizziamo il tema parlando di organigrammi".
Ma lei sarebbe disponibile a un passo indietro nella corsa alla premiership?
"Non ho fatto passi avanti e non faccio passi indietro. Metto davanti a tutto il progetto".
Il Pd è impermeabile a nuove fughe e scissioni?
"Sì. Lo ha dimostrato la manifestazione di Piazza San Giovanni, piena di giovani e famiglie, lo dimostrano le battaglie parlamentari di queste settimane. Siamo un partito elastico ma proprio per questo non ci spezziamo".
Non rischiate di appannarvi e svenarvi nella ricerca di alleanze difficili?
"È il contrario. Come si è capito metto il profilo del Pd prima di discussioni astratte sugli alleati. Del resto questa responsabilità ci compete. Perché senza il nostro progetto non è possibile immaginare alleanze vincenti che superino il berlusconismo".
I giovani hanno manifestato martedì scatenando la loro violenza. Come si può fermare in tempo questo fenomeno?
"Tocca alla politica dare una risposta non ambigua di condanna rispetto alla violenza e noi lo facciamo, tocca alle forze dell'ordine fermare i violenti e pur nelle difficoltà l'impegno c'è stato. Bisogna però lavorare di più per prevenire infiltrazioni organizzate. Tocca agli studenti avere estrema attenzione nelle forme organizzative delle loro proteste, di rimarcare la distanza da ogni strumentalizzazione che può vanificare la loro voce, il loro comprensibile disagio".
Bersani: "Ora alleanza col terzo polo"
Il Pd pensa a sacrificare le primarie
Il leader democratico invoca un nuovo patto per superare Berlusconi. "Ora si rimette tutto in discussione"
di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Un patto per la riforma della Repubblica. Un'alleanza per lavoro e crescita. Pier Luigi Bersani prepara una "piattaforma democratica". E la offre a tutte le forze di opposizione, Terzo polo in testa, per andare "non contro Berlusconi ma oltre Berlusconi, oltre il populismo. Non penso a un Cln anti-Cavaliere. Il Pd vuole aprire una fase fondativa".
Segretario, dopo la vittoria numerica ma non politica di Berlusconi alla Camera, perché non chiedete le elezioni anticipate?
"Se ci saranno le elezioni in primavera non avremo paura di affrontarle e vincerle. Ma non toglieremo le castagne dal fuoco a Berlusconi. Lui ha detto al Parlamento "voglio tre voti in più per la stabilità". Adesso vediamo quale stabilità e quale governo è capace di garantire. Se alla fine si andrà al voto dovrà pagare il prezzo: del suo fallimento e dell'ennesima promessa non mantenuta".
Intanto è fallita la vostra spallata al premier ed è tramontato il governo di responsabilità. Il Pd non deve cambiare linea?
"Di quale fallimento stiamo parlando? Avevano 70 voti in più, ora ne hanno 3. Certo, nella nuova fase l'esecutivo di transizione sembra meno praticabile. Ma la sostanza politica c'è ancora. E il Pd, entro gennaio, vuole presentare una proposta a tutte le forze di opposizione di centro e di centrosinistra che può avere anche un profilo elettorale".
Qual
è il senso di questa proposta?
"Partiamo dalla situazione che abbiamo davanti. Il governo Berlusconi punta solo a una sopravvivenza spregiudicata. Cercherà di galleggiare rapinando qualche voto, spargendo veleni come la voce di dirigenti del Pd pronti a passare con lui, mostrando quindi il volto peggiore della politica. Tutti quelli che non vogliono cedere a questa deriva devono prendersi la responsabilità di essere non solo contro Berlusconi ma di andare oltre".
Come?
"Guardando in faccia quello che ci consegna il tramonto del berlusconismo, la crisi di sistema in cui ci ha precipitato. Costruendo da subito una risposta positiva. Per mettere in sicurezza la democrazia e dare una speranza di futuro ai giovani. Noi ci candidiamo a presentare una piattaforma per la riforma della Repubblica, per la crescita e il lavoro".
Nel dettaglio cosa significa?
"Posso dare dei titoli. Riforme istituzionali. Riforma elettorale. Misure per la legalità e sui costi della politica. L'informazione. La riforma della giustizia per i cittadini".
E sul fronte sociale?
"Una riforma fiscale che carichi sull'evasione e le rendite alleggerendo lavoro, impresa e famiglie. Una nuova legislazione sul lavoro che affronti il dramma del precariato. Qualcosa l'abbiamo già detta: abbassare il costo del lavoro stabile, alzare quello del lavoro precario. Un pacchetto di liberalizzazioni".
Questa piattaforma con chi la discuterete?
"Con tutte le forze di opposizione, con le forze sociali. E con il Paese. A gennaio comincerò un tour delle regioni per parlare dei problemi reali. C'è un Italia che vuole cambiare".
Il Terzo polo una risposta ve l'ha già data. In caso di elezioni andranno da soli. Né Pd né Pdl. Perché volete sbattere di nuovo il grugno?
"Vedo che il terzo polo è stato battezzato con una certa urgenza per respingere le sirene berlusconiane. Li capisco, il timore è fondato. Ma se puntano a un ruolo di condizionamento del centrodestra presto dovranno convincersi che è un'illusione. Berlusconi non tratta, compra. L'idea stessa di un Berlusconi condizionato è un ossimoro. Perciò facciamo maturare nel Terzo polo una riflessione. Sapendo che l'idea e il confronto che proponiamo vivrebbero in ogni caso".
Nelle sue parole è scomparsa la formula Nuovo Ulivo. Di Pietro invece vi chiede un immediato matrimonio a tre. Volete abbandonare l'ex pm e Vendola?
"No. Nessun abbandono di nessun genere. Ma chi vuol discutere con noi deve accettare di confrontarsi seriamente con l'esigenza che poniamo. Quella di una riforma democratica e di una riscossa italiana che richiedono da parte di tutti una straordinaria apertura politica".
Siete consapevoli che per allearvi con il terzo polo dovrete rinunciare alle primarie?
"In nome di una strategia che chiede a ogni forza politica di non peccare di egoismo e di dare qualcosa, siamo pronti a mettere in discussione anche i nostri strumenti. Ci interessa l'obiettivo. Poi c'è un problema che riguarda soprattutto noi: le primarie per le amministrative. Possono inibire rapporti più aperti e più larghi non solo con i partiti ma con la società civile. E possono portare elementi di dissociazione dentro il Pd che non fanno bene a nessuno. Bisogna dunque riformarle".
È vero che la scorciatoia per stringere un patto con il Centro passa per l'offerta a Casini della candidatura a Palazzo Chigi?
"Queste sono fantasie. Non banalizziamo il tema parlando di organigrammi".
Ma lei sarebbe disponibile a un passo indietro nella corsa alla premiership?
"Non ho fatto passi avanti e non faccio passi indietro. Metto davanti a tutto il progetto".
Il Pd è impermeabile a nuove fughe e scissioni?
"Sì. Lo ha dimostrato la manifestazione di Piazza San Giovanni, piena di giovani e famiglie, lo dimostrano le battaglie parlamentari di queste settimane. Siamo un partito elastico ma proprio per questo non ci spezziamo".
Non rischiate di appannarvi e svenarvi nella ricerca di alleanze difficili?
"È il contrario. Come si è capito metto il profilo del Pd prima di discussioni astratte sugli alleati. Del resto questa responsabilità ci compete. Perché senza il nostro progetto non è possibile immaginare alleanze vincenti che superino il berlusconismo".
I giovani hanno manifestato martedì scatenando la loro violenza. Come si può fermare in tempo questo fenomeno?
"Tocca alla politica dare una risposta non ambigua di condanna rispetto alla violenza e noi lo facciamo, tocca alle forze dell'ordine fermare i violenti e pur nelle difficoltà l'impegno c'è stato. Bisogna però lavorare di più per prevenire infiltrazioni organizzate. Tocca agli studenti avere estrema attenzione nelle forme organizzative delle loro proteste, di rimarcare la distanza da ogni strumentalizzazione che può vanificare la loro voce, il loro comprensibile disagio".
giovedì 16 dicembre 2010
Luca Cefisi: Oltre il socialismo? Un dibattito datato e stucchevole
Oltre il socialismo ? Un dibattito datato e stucchevole
Il Consiglio Generale del Partito del Socialismo Europeo, a Varsavia il 2 e 3 dicembre scorsi, ha visto una discussione, come si suol dire, “franca e aperta”. Cioè non ha nascosto i problemi, anzi il problema: la difficile fase elettorale attraversata dai socialisti, che non vincono le elezioni nelle maggiori nazioni europee.
Si è cercato di lanciare, da Varsavia, un messaggio forte e coraggioso: la necessità che il socialismo europeo si attrezzi con programmi più convincenti, e forme organizzative più efficaci. Questa è del resto la risposta perfettamente ovvia per una forza politica che riconosca i limiti della sua azione, ma che non per questo nutra dubbi su sè stessa, sui suoi valori e princìpi. Anzi, nella risoluzione generale adottata dal Consiglio, si sottolinea che alcune proposte assai importanti promosse dai socialisti europei sono oggi al centro del dibattito, per esempio la FTT, la tassa sule transazioni finanziarie: ma proprio quando diventano temi discussi da tutti, almeno a livello di comunicazione la matrice socialista tende ad essere dimenticata, e magari i quotidiani fanno il titolo su Sarkozy che sposa la FTT, attribuendogliene il merito! Anche alcuni temi della modernizzazione riformista, l’equità, le pari opportunità, l’efficienza e la flessibilità del lavoro in una società in continua mutazione, sono stati assunti nella retorica dei governi di centrodestra, che li interpreta però a modo suo, e la flessibilità, per esempio, diventa precarietà, e la centralità dell’individuo diventa retorica dell’egoismo. Del resto, occorre ammettere che nella lunga glaciazione degli anni 90, anche le forze socialdemocratiche hanno subìto l’egemonìa della retorica neoliberale: l’onda lunga della caduta del Muro di Berlino, che come oggi sappiamo non ha affatto significato la vittoria della socialdemocrazia sul comunismo, ma l’affermazione dell’idea che il mondo capitalista è il “migliore dei mondi possibile”, e quindi la ridicolizzazione di ogni tentativo di pensare un mondo diverso e migliore. Anche noi, quindi, abbiamo governato convinti che le famose “compabitilità imposte dal mercato” fossero limitazioni ferree, e che il riformismo non potesse uscire dai binari imposti dall’economia. Oggi vediamo che è piuttosto l’economia, senza la politica a governarla, a deragliare, e a far deragliare le vite di milioni di persone. Quindi, la sensazione comune tra i socialisti europei è che i nostri princìpi non solo siano tuttora validi, ma che sia stata una disdetta non averli perseguiti con maggiore convinzione, accettando una tale annacquamento delle politiche socialdemocratiche che è stato il primo motivo della disaffezione degli elettori, che non hanno più visto una valida differenza qualitativa tra socialisti e conservatori. Da qui, l’astensionismo elettorale massiccio, ed anche il richiamo dell’estremismo di destra, che oggi raccoglie scontenti e delusi proprio dalle fasce popolari e persino operaie.
In tutto questo, dispiace che l’autorevole Massimo D’Alema, per motivi del tutto casalinghi, cioè per tranquillizzare l’ala ideologicamente anti-socialista del PD, insista (su Europa del 4 dicembre 2010) con la vecchia solfa della “crisi del socialismo”, per andare “oltre”, e definire nuove identità e shieramenti mondiali, di cui i democratici italiani sarebbero un fulcro (ma accidenti, siamo un piccolo paese nella globalizzazione, un po’ di modestia!). Si deve dire, una volta per tutte, che questo schema di lettura della politica mondiale sempre partendo dall’ombelico dell’unicità italiana, tutto teso ad indicare un orizzonte sempre “altro”, suggestivo ma confuso nelle nebbie del futuro, è lo schema ideologico che ha reso la sinistra italiana provinciale, depressa e perdente, rifugiandosi magari nella satira perchè non sapeva più affermare con convinzione le proprie convinzioni, e che vive declamando alla Montale “quel che non siamo, quel che non vogliamo”. I socialisti europei non sono in crisi elettorale per crisi di valori, lo ripetiamo, ma per aver sbiadito e confuso il loro messaggio: non è il socialismo ad essere in crisi, ma i socialisti a non essere stati all’altezza (e massimamente in Italia…) Di questo si è discusso a Varsavia, di come tornare all’altezza dei nostri alti ed esigenti di ideali, di come vincere e convincere, e non di alchimie ideologiche tra partito del Congresso indiano, Barack Obama e la sottocorrente degli ex aderenti alla Margherita della sezione del PD di Rocca Cannuccia. Queste sono fumisterie, tatticismi per tenere insieme le nevrosi di ex democristiani, neo-liberali e insomma tutta la babele volenterosa ma incasinata del PD. Tatticismi che però non ci faranno vincere, perchè gli elettori chiedono altro: chiarezza, princìpi, ideali, proposte davvero alternative, Quelle che in tutto il mondo si chiama socialismo. Con suo stesso stupore, anche Obama è finito per sentirsi dare di “socialista!”, e questo qualcosa vorrà pur dire.
Il Consiglio Generale del Partito del Socialismo Europeo, a Varsavia il 2 e 3 dicembre scorsi, ha visto una discussione, come si suol dire, “franca e aperta”. Cioè non ha nascosto i problemi, anzi il problema: la difficile fase elettorale attraversata dai socialisti, che non vincono le elezioni nelle maggiori nazioni europee.
Si è cercato di lanciare, da Varsavia, un messaggio forte e coraggioso: la necessità che il socialismo europeo si attrezzi con programmi più convincenti, e forme organizzative più efficaci. Questa è del resto la risposta perfettamente ovvia per una forza politica che riconosca i limiti della sua azione, ma che non per questo nutra dubbi su sè stessa, sui suoi valori e princìpi. Anzi, nella risoluzione generale adottata dal Consiglio, si sottolinea che alcune proposte assai importanti promosse dai socialisti europei sono oggi al centro del dibattito, per esempio la FTT, la tassa sule transazioni finanziarie: ma proprio quando diventano temi discussi da tutti, almeno a livello di comunicazione la matrice socialista tende ad essere dimenticata, e magari i quotidiani fanno il titolo su Sarkozy che sposa la FTT, attribuendogliene il merito! Anche alcuni temi della modernizzazione riformista, l’equità, le pari opportunità, l’efficienza e la flessibilità del lavoro in una società in continua mutazione, sono stati assunti nella retorica dei governi di centrodestra, che li interpreta però a modo suo, e la flessibilità, per esempio, diventa precarietà, e la centralità dell’individuo diventa retorica dell’egoismo. Del resto, occorre ammettere che nella lunga glaciazione degli anni 90, anche le forze socialdemocratiche hanno subìto l’egemonìa della retorica neoliberale: l’onda lunga della caduta del Muro di Berlino, che come oggi sappiamo non ha affatto significato la vittoria della socialdemocrazia sul comunismo, ma l’affermazione dell’idea che il mondo capitalista è il “migliore dei mondi possibile”, e quindi la ridicolizzazione di ogni tentativo di pensare un mondo diverso e migliore. Anche noi, quindi, abbiamo governato convinti che le famose “compabitilità imposte dal mercato” fossero limitazioni ferree, e che il riformismo non potesse uscire dai binari imposti dall’economia. Oggi vediamo che è piuttosto l’economia, senza la politica a governarla, a deragliare, e a far deragliare le vite di milioni di persone. Quindi, la sensazione comune tra i socialisti europei è che i nostri princìpi non solo siano tuttora validi, ma che sia stata una disdetta non averli perseguiti con maggiore convinzione, accettando una tale annacquamento delle politiche socialdemocratiche che è stato il primo motivo della disaffezione degli elettori, che non hanno più visto una valida differenza qualitativa tra socialisti e conservatori. Da qui, l’astensionismo elettorale massiccio, ed anche il richiamo dell’estremismo di destra, che oggi raccoglie scontenti e delusi proprio dalle fasce popolari e persino operaie.
In tutto questo, dispiace che l’autorevole Massimo D’Alema, per motivi del tutto casalinghi, cioè per tranquillizzare l’ala ideologicamente anti-socialista del PD, insista (su Europa del 4 dicembre 2010) con la vecchia solfa della “crisi del socialismo”, per andare “oltre”, e definire nuove identità e shieramenti mondiali, di cui i democratici italiani sarebbero un fulcro (ma accidenti, siamo un piccolo paese nella globalizzazione, un po’ di modestia!). Si deve dire, una volta per tutte, che questo schema di lettura della politica mondiale sempre partendo dall’ombelico dell’unicità italiana, tutto teso ad indicare un orizzonte sempre “altro”, suggestivo ma confuso nelle nebbie del futuro, è lo schema ideologico che ha reso la sinistra italiana provinciale, depressa e perdente, rifugiandosi magari nella satira perchè non sapeva più affermare con convinzione le proprie convinzioni, e che vive declamando alla Montale “quel che non siamo, quel che non vogliamo”. I socialisti europei non sono in crisi elettorale per crisi di valori, lo ripetiamo, ma per aver sbiadito e confuso il loro messaggio: non è il socialismo ad essere in crisi, ma i socialisti a non essere stati all’altezza (e massimamente in Italia…) Di questo si è discusso a Varsavia, di come tornare all’altezza dei nostri alti ed esigenti di ideali, di come vincere e convincere, e non di alchimie ideologiche tra partito del Congresso indiano, Barack Obama e la sottocorrente degli ex aderenti alla Margherita della sezione del PD di Rocca Cannuccia. Queste sono fumisterie, tatticismi per tenere insieme le nevrosi di ex democristiani, neo-liberali e insomma tutta la babele volenterosa ma incasinata del PD. Tatticismi che però non ci faranno vincere, perchè gli elettori chiedono altro: chiarezza, princìpi, ideali, proposte davvero alternative, Quelle che in tutto il mondo si chiama socialismo. Con suo stesso stupore, anche Obama è finito per sentirsi dare di “socialista!”, e questo qualcosa vorrà pur dire.
Franco Astengo: La difficile valutazione della fase politica
LA DIFFICILE VALUTAZIONE DELLA FASE POLITICA
Appaiono obiettive le difficoltà nel valutare, a qualche giorno di distanza dal voto di fiducia, la fase politica: difficoltà che nascono dalla necessità di essere impietosi, al limite dell' "eccesso di critica".
Eppure ci pare il caso di tentare il rischio.
La "pseudo-crisi" di governo, dopo mesi di chiacchiere, non c'è stata: questo è il dato di fondo da registrare, assolutamente incontrovertibile nella crudezza dei numeri.
Ha vinto la capacità di "convinzione" verso qualche deputato, mettendo così a nudo, interamente, i limiti profondi di "deficit democratico" che il nostro sistema politico, oscurato da una forma abnorme di personalizzazione della politica a tutti i livelli (centrali e periferici), presenta.
Senza una modificazione profonda nella realtà dell'agire politico sarà difficile muoversi, almeno nei prossimi mesi, verso una prospettiva diversa da quella della palude nella quale siamo venuti a trovarci (ormai da tempo, beninteso e a scanso equivoci).
Il grande sconfitto di questa tornata è il centrosinistra: il grande sconfitto perchè non sa saputo dimostrare, in tutti questi mesi di irritante trascinamento verso questo esito così squassante, una qual sorta di autonomia nell'iniziativa politica (dopo il barlume della proposta di "CLN a due cerchi" è seguito il nulla, o ancor peggio, la messa al traino della linea dei nuovi "salvatori della patria").
L'applicazione, grottesca in questo caso, da parte dei compagni dell'ex-PCI oggi dirigenti del PD della linea del V congresso dell'Internazionale Comunista (quello della relazione Dimitrov-Togliatti sui "fronti popolari") esercitata verso chi stava giocando in proprio una personale lotta di potere su tutt'altro versante si è rivelata assolutamente foriera d'insuccesso.
Le condizioni di scontro, per il centrosinistra ed il PD in particolare, erano del tutto fasulle e c'è chi ha saputo usare il centrosinistra quale semplice "donatore di sangue" per trascinarlo dentro alla propria battuta d'arresto.
Si è visto con chiarezza, inoltre, quanto ha pesato l'assenza della sinistra in Parlamento: ed anche questo elemento, sulla base dell'analisi del meccanismo di costruzione delle alleanze e della presentazione elettorale del 2008, dovrebbe essere valutato.
Sul piano dell'analisi riferita strettamente all'ambito politologico si possono, a questo punto, svolgere due brevi considerazioni: la prima, se si valuta ormai come indispensabile la creazione del "terzo polo" appare evidente come la presunta strategia bipolare costruita nel corso degli ultimi 16 anni abbracciando il binomio maggioritario - presidenzialismo (esasperato fino a far parlare di nuova "costituzione materiale" e mi riferisco alla concessione del dover scrivere il nome del "leader della coalizione” sulla scheda elettorale) è fallita; se ne prenderà atto? Qualche apprendista stregone rientrerà nelle quinte? Tutti i dubbi sono leciti.
La seconda osservazione: il "terzo polo" nasce centrista e la dinamica "normale" dei sistemi politici indica come sia il "centro" a cooptare in alleanza la "sinistra" (esempio la DC negli anni'60 verso il PSI) e non viceversa. Anche questo elemento deve essere fatto oggetto di attenta valutazione, prima di prendere, magari, l'ennesima cantonata.
Questa recente vicenda politica di cui ci stiamo occupando ha avuto, sul piano istituzionale, due passaggi all'interno dei quali si poteva ben affermare un ruolo "centrale" del centrosinistra: quello relativo alla fissazione della data del dibattito in aula, posposta di un mese per ragioni (l'approvazione della legge di stabilità) che potevano benissimo essere risolte in altro modo e la chiusura, l'antidemocratica chiusura, della Camera dei Deputati nei 15 giorni precedenti il voto di fiducia.
Attorno a questi due passaggi sarebbe stato necessario portare lo scontro nel Parlamento e nel Paese ai limiti della crisi istituzionale, realizzando una forte mobilitazione dal basso ed una altrettanto forte pressione parlamentare (se la valutazione complessiva è quella di un pericolo scivolamento verso un regime di destra populista questi due passaggi appena citati, a nostro giudizio, potevano essere paragonati a Luglio'60: e l'esempio è bello fatto).
Si è preferito invece non rompere le uova nel paniere ai già citati "dilettanti allo sbaraglio" e i risultati si sono, purtroppo, visti.
Inoltre, ed ancor più, sono risultati assenti sulla scena politica i drammatici problemi sociali ed economici che, nella crisi internazionale, attanagliano i ceti popolari e quelli intermedi, all'interno di una società sfrangiata, segmentata, ridotta a massa informe, in una Paese dove non funziona nulla e la pressione fiscale si colloca al 43,5%, con migliaia di miliardi di evasione.
La capacità di comunicazione del centrosinistra, sotto questo aspetto, è apparsa molto ridotta: manca soprattutto, e si è visto bene con la manifestazione dell'11 Dicembre, la visibilità di una proposta alternativa di governo, tale da prefigurare un diverso ordine sociale.
Verifichiamo, insomma, una assenza di autonomia nell'elaborazione di un pensiero politico e, di conseguenza, emerge una difficoltà nel definire strategia e tattica: manca un soggetto politico adeguato, strutturato, organizzato, in grado di aggregare ed incidere socialmente e politicamente.
Sostituire questo soggetto, come pensa qualcuno, con l' "uomo solo al comando", omologo del "caudillo" del centrodestra, proprio mentre va in crisi il bipolarismo sarebbe davvero esiziale.
Quanti credono ancora in una possibile presenza della sinistra, della sinistra che ha avuto origine dalle tradizioni ideologiche del '900 e che oggi (nella crisi del neoglobalismo) appaiono ancora ricche di elementi fondamentali per lo sviluppo di un adeguato pensiero politico e di una conseguente iniziativa politica, sono chiamati a riflettere con grande attenzione.
La prospettiva, adesso , è quella elettorale ( non abbiamo affrontato il tema della legge elettorale, per ragioni di economia di spazio, ma sarà necessario farlo al più presto): una prospettiva che sarà gestita, politicamente e mediaticamente, dal vincitore.
Analizzare questa prospettiva confermando l'esigenza di un mutamento di rotta è il tema all'ordine del giorno per la ricostruzione di una presenza di sinistra in Italia.
Savona, li 16 Dicembre 2010 Franco Astengo
Appaiono obiettive le difficoltà nel valutare, a qualche giorno di distanza dal voto di fiducia, la fase politica: difficoltà che nascono dalla necessità di essere impietosi, al limite dell' "eccesso di critica".
Eppure ci pare il caso di tentare il rischio.
La "pseudo-crisi" di governo, dopo mesi di chiacchiere, non c'è stata: questo è il dato di fondo da registrare, assolutamente incontrovertibile nella crudezza dei numeri.
Ha vinto la capacità di "convinzione" verso qualche deputato, mettendo così a nudo, interamente, i limiti profondi di "deficit democratico" che il nostro sistema politico, oscurato da una forma abnorme di personalizzazione della politica a tutti i livelli (centrali e periferici), presenta.
Senza una modificazione profonda nella realtà dell'agire politico sarà difficile muoversi, almeno nei prossimi mesi, verso una prospettiva diversa da quella della palude nella quale siamo venuti a trovarci (ormai da tempo, beninteso e a scanso equivoci).
Il grande sconfitto di questa tornata è il centrosinistra: il grande sconfitto perchè non sa saputo dimostrare, in tutti questi mesi di irritante trascinamento verso questo esito così squassante, una qual sorta di autonomia nell'iniziativa politica (dopo il barlume della proposta di "CLN a due cerchi" è seguito il nulla, o ancor peggio, la messa al traino della linea dei nuovi "salvatori della patria").
L'applicazione, grottesca in questo caso, da parte dei compagni dell'ex-PCI oggi dirigenti del PD della linea del V congresso dell'Internazionale Comunista (quello della relazione Dimitrov-Togliatti sui "fronti popolari") esercitata verso chi stava giocando in proprio una personale lotta di potere su tutt'altro versante si è rivelata assolutamente foriera d'insuccesso.
Le condizioni di scontro, per il centrosinistra ed il PD in particolare, erano del tutto fasulle e c'è chi ha saputo usare il centrosinistra quale semplice "donatore di sangue" per trascinarlo dentro alla propria battuta d'arresto.
Si è visto con chiarezza, inoltre, quanto ha pesato l'assenza della sinistra in Parlamento: ed anche questo elemento, sulla base dell'analisi del meccanismo di costruzione delle alleanze e della presentazione elettorale del 2008, dovrebbe essere valutato.
Sul piano dell'analisi riferita strettamente all'ambito politologico si possono, a questo punto, svolgere due brevi considerazioni: la prima, se si valuta ormai come indispensabile la creazione del "terzo polo" appare evidente come la presunta strategia bipolare costruita nel corso degli ultimi 16 anni abbracciando il binomio maggioritario - presidenzialismo (esasperato fino a far parlare di nuova "costituzione materiale" e mi riferisco alla concessione del dover scrivere il nome del "leader della coalizione” sulla scheda elettorale) è fallita; se ne prenderà atto? Qualche apprendista stregone rientrerà nelle quinte? Tutti i dubbi sono leciti.
La seconda osservazione: il "terzo polo" nasce centrista e la dinamica "normale" dei sistemi politici indica come sia il "centro" a cooptare in alleanza la "sinistra" (esempio la DC negli anni'60 verso il PSI) e non viceversa. Anche questo elemento deve essere fatto oggetto di attenta valutazione, prima di prendere, magari, l'ennesima cantonata.
Questa recente vicenda politica di cui ci stiamo occupando ha avuto, sul piano istituzionale, due passaggi all'interno dei quali si poteva ben affermare un ruolo "centrale" del centrosinistra: quello relativo alla fissazione della data del dibattito in aula, posposta di un mese per ragioni (l'approvazione della legge di stabilità) che potevano benissimo essere risolte in altro modo e la chiusura, l'antidemocratica chiusura, della Camera dei Deputati nei 15 giorni precedenti il voto di fiducia.
Attorno a questi due passaggi sarebbe stato necessario portare lo scontro nel Parlamento e nel Paese ai limiti della crisi istituzionale, realizzando una forte mobilitazione dal basso ed una altrettanto forte pressione parlamentare (se la valutazione complessiva è quella di un pericolo scivolamento verso un regime di destra populista questi due passaggi appena citati, a nostro giudizio, potevano essere paragonati a Luglio'60: e l'esempio è bello fatto).
Si è preferito invece non rompere le uova nel paniere ai già citati "dilettanti allo sbaraglio" e i risultati si sono, purtroppo, visti.
Inoltre, ed ancor più, sono risultati assenti sulla scena politica i drammatici problemi sociali ed economici che, nella crisi internazionale, attanagliano i ceti popolari e quelli intermedi, all'interno di una società sfrangiata, segmentata, ridotta a massa informe, in una Paese dove non funziona nulla e la pressione fiscale si colloca al 43,5%, con migliaia di miliardi di evasione.
La capacità di comunicazione del centrosinistra, sotto questo aspetto, è apparsa molto ridotta: manca soprattutto, e si è visto bene con la manifestazione dell'11 Dicembre, la visibilità di una proposta alternativa di governo, tale da prefigurare un diverso ordine sociale.
Verifichiamo, insomma, una assenza di autonomia nell'elaborazione di un pensiero politico e, di conseguenza, emerge una difficoltà nel definire strategia e tattica: manca un soggetto politico adeguato, strutturato, organizzato, in grado di aggregare ed incidere socialmente e politicamente.
Sostituire questo soggetto, come pensa qualcuno, con l' "uomo solo al comando", omologo del "caudillo" del centrodestra, proprio mentre va in crisi il bipolarismo sarebbe davvero esiziale.
Quanti credono ancora in una possibile presenza della sinistra, della sinistra che ha avuto origine dalle tradizioni ideologiche del '900 e che oggi (nella crisi del neoglobalismo) appaiono ancora ricche di elementi fondamentali per lo sviluppo di un adeguato pensiero politico e di una conseguente iniziativa politica, sono chiamati a riflettere con grande attenzione.
La prospettiva, adesso , è quella elettorale ( non abbiamo affrontato il tema della legge elettorale, per ragioni di economia di spazio, ma sarà necessario farlo al più presto): una prospettiva che sarà gestita, politicamente e mediaticamente, dal vincitore.
Analizzare questa prospettiva confermando l'esigenza di un mutamento di rotta è il tema all'ordine del giorno per la ricostruzione di una presenza di sinistra in Italia.
Savona, li 16 Dicembre 2010 Franco Astengo
Felice Besostri: Auguri, Italia
AUGURI ITALIA
di Felice Besostri, della Direzione Nazionale PSI
Il governo Berlusconi-Bossi-Razzi ha la fiducia del Parlamento, con 314 voti su 630: non è la maggioranza assoluta, ma poco ci manca. Il barometro della maggioranza volge al bello, perché ben tre deputate senza fiducia nel Governo più prima che poi dovranno partorire portando gli oppositori a 308 e alcuni astenuti come Moffa sono in pole position per rientrare nei ranghi, per non parlare delle 12 posizioni tra ministri, vice-ministri e sottosegretari a disposizione e dei posti di sottogoverno, non ancora tutti censiti. I posti di Governo sono un'arma a doppio taglio, però, perché se i nominati saranno scelti tra i deputati, questi non potranno partecipare assiduamente alle votazioni. Tuttavia, parliamoci chiaro!, i deputati oppositori, alla loro età non potranno essere mobilitati permanentemente per più di una giornata, parafrasando la Bretecher. Inoltre il Governo ha già avuto preventive assicurazioni da Fli, che voterà la contro-riforma Gelmini: uno dei tanti segni di distonia tra le stanze della istituzioni, opposizione compresa, e l'opinione pubblica. Un altro zuccherino il commento positivo d'oltre Tevere, che ha apprezzato la procedura democratica: la gerarchia cattolica non si fa condizionare da giudizi morali sulla sospetta compravendita di parlamentari. Finché saranno conservati privilegi fiscali sulle attività economiche sotto paravento religioso, si daranno finanziamenti non previsti dalla Costituzione alle scuole private cattoliche e si assicura fermezza su fecondazione assistita e sacralità del matrimonio tra uomo e donna, i problemi morali e di coscienza possono passare in secondo piano. Le future mosse dell'opposizione non sono ancora chiare, perché nasce un terzo Polo, ma su posizioni politicamente differenziate dal PD e quest'ultimo non ha definito prima a se stesso, che ai suoi elettori potenziali, quali siano la sua mission e la sua leadership effettiva (inglishe pliis). Di segnali positivi abbiamo bisogno, perché i regali, falcidiati dalla crisi, di Babbo Natale non ci potranno consolare dalle preoccupazioni delle notizie OCSE. L' organizzazione economica internazionale, che raggruppa i paesi più industrializzati ci ha comunicato che siamo il terzo paese europeo per pressione fiscale dopo Danimarca e Svezia (che dio stramaledica gli scandinavi!) ed il penultimo per occupazione giovanile appena prima dell'Ungheria. In Danimarca e Svezia si pagano più tasse che da noi, ma almeno i giovani senza lavoro hanno un minimo vitale, gli studenti borse di studio decenti ed un futuro previdenziale ed in generale tutti servizi pubblici di ottimo livello, mentre i nostri sono progressivamente ridotti grazie ai tagli indiscriminati del Governo.
Se si vota, si voterà con la legge elettorale in vigore, malgrado i sospetti di costituzionalità del premio di maggioranza senza un quorum minimo di voti o seggi avanzati dalla Corte costituzionale dall'inizio del 2008, senza che si trovasse un giudice (dove sono le toghe rosse? Al massimo ci sono giudici con calzini rossi in scarpe nere) che le rimettesse la questione. La legge elettorale è uno dei punti dolenti e deludenti dell'attuale opposizione: in tutti questi mesi non è riuscita ad elaborare un progetto di riforma condiviso. Ha notificato all'opinione pubblica la sua incapacità progettuale minando dalle fondamenta il progetto di un governo di transizione, che doveva gestire una sfiducia data per certa. Nei talk show dopo la vittoria di Berlusconi (Pirro non era in gioco) abbiamo assistito a balbettii o isterie dell'opposizione, ma non risposte chiare e convincenti su chi sarebbe stato il primo ministro in caso di vittoria e con quale programma minimo. Stupefacente sentire un Bocchino dire che era in dissenso dal Governo perché non coerentemente liberista e di destra, Bondi rivendicare la linea laburista della politica governativa e la Bindi prendersela con Craxi e i socialisti, come i responsabili morali e politici della situazione attuale. Non consola l'esistenza di un movimento ampio di opposizione sociale, perché in assenza di uno sbocco politico può, come è successo il 14/12 a Roma, degenerare in una violenta jaquerie urbana, terreno di cultura di gruppi violenti e di reazioni securitarie dell'opinione pubblica moderata, spingendola a destra, quando l'impoverimento e la mancanza di sicurezza economica dei ceti medi avrebbe dovuto portarli verso sinistra, se ci fosse una forza politica in grado di rappresentarli. I sondaggi di opinione danno il PdL in ripresa, sia pure erodendo la base di consenso della Lega e della Destra storaciana e l'opposizione stazionaria (PD) o in calo (IdV). La sinistra fuori dal Parlamento non sta meglio il PSI non è nemmeno rilevato, la Federazione della Sinistra è sotto il 2% e SEL è sopra la soglia di accesso del 4%, ma l'effetto di trascinamento è tutto sulle spalle di Vendola, che dovrà pure governare la Puglia e dirigere il partito per poter essere sempre presente negli studi e salotti televisivi.
In questa situazione le elezioni anticipate, a meno che il popolo non voti guardando al peggioramento delle proprie condizioni e al degrado delle istituzioni, saranno una nuova vittoria di Berlusconi, perché meno colpito dalle crescenti astensioni o dal voto di sterile protesta di grillini e compagnia cantando. Una rondine non fa primavera e perciò non basta la vittoria di Pisapia alle primarie milanesi, ma non ancora alle amministrative, ma per guardare l'unica rondine almeno si devono alzare gli occhi verso il cielo e gettare lo sguardo oltre l'orizzonte.
di Felice Besostri, della Direzione Nazionale PSI
Il governo Berlusconi-Bossi-Razzi ha la fiducia del Parlamento, con 314 voti su 630: non è la maggioranza assoluta, ma poco ci manca. Il barometro della maggioranza volge al bello, perché ben tre deputate senza fiducia nel Governo più prima che poi dovranno partorire portando gli oppositori a 308 e alcuni astenuti come Moffa sono in pole position per rientrare nei ranghi, per non parlare delle 12 posizioni tra ministri, vice-ministri e sottosegretari a disposizione e dei posti di sottogoverno, non ancora tutti censiti. I posti di Governo sono un'arma a doppio taglio, però, perché se i nominati saranno scelti tra i deputati, questi non potranno partecipare assiduamente alle votazioni. Tuttavia, parliamoci chiaro!, i deputati oppositori, alla loro età non potranno essere mobilitati permanentemente per più di una giornata, parafrasando la Bretecher. Inoltre il Governo ha già avuto preventive assicurazioni da Fli, che voterà la contro-riforma Gelmini: uno dei tanti segni di distonia tra le stanze della istituzioni, opposizione compresa, e l'opinione pubblica. Un altro zuccherino il commento positivo d'oltre Tevere, che ha apprezzato la procedura democratica: la gerarchia cattolica non si fa condizionare da giudizi morali sulla sospetta compravendita di parlamentari. Finché saranno conservati privilegi fiscali sulle attività economiche sotto paravento religioso, si daranno finanziamenti non previsti dalla Costituzione alle scuole private cattoliche e si assicura fermezza su fecondazione assistita e sacralità del matrimonio tra uomo e donna, i problemi morali e di coscienza possono passare in secondo piano. Le future mosse dell'opposizione non sono ancora chiare, perché nasce un terzo Polo, ma su posizioni politicamente differenziate dal PD e quest'ultimo non ha definito prima a se stesso, che ai suoi elettori potenziali, quali siano la sua mission e la sua leadership effettiva (inglishe pliis). Di segnali positivi abbiamo bisogno, perché i regali, falcidiati dalla crisi, di Babbo Natale non ci potranno consolare dalle preoccupazioni delle notizie OCSE. L' organizzazione economica internazionale, che raggruppa i paesi più industrializzati ci ha comunicato che siamo il terzo paese europeo per pressione fiscale dopo Danimarca e Svezia (che dio stramaledica gli scandinavi!) ed il penultimo per occupazione giovanile appena prima dell'Ungheria. In Danimarca e Svezia si pagano più tasse che da noi, ma almeno i giovani senza lavoro hanno un minimo vitale, gli studenti borse di studio decenti ed un futuro previdenziale ed in generale tutti servizi pubblici di ottimo livello, mentre i nostri sono progressivamente ridotti grazie ai tagli indiscriminati del Governo.
Se si vota, si voterà con la legge elettorale in vigore, malgrado i sospetti di costituzionalità del premio di maggioranza senza un quorum minimo di voti o seggi avanzati dalla Corte costituzionale dall'inizio del 2008, senza che si trovasse un giudice (dove sono le toghe rosse? Al massimo ci sono giudici con calzini rossi in scarpe nere) che le rimettesse la questione. La legge elettorale è uno dei punti dolenti e deludenti dell'attuale opposizione: in tutti questi mesi non è riuscita ad elaborare un progetto di riforma condiviso. Ha notificato all'opinione pubblica la sua incapacità progettuale minando dalle fondamenta il progetto di un governo di transizione, che doveva gestire una sfiducia data per certa. Nei talk show dopo la vittoria di Berlusconi (Pirro non era in gioco) abbiamo assistito a balbettii o isterie dell'opposizione, ma non risposte chiare e convincenti su chi sarebbe stato il primo ministro in caso di vittoria e con quale programma minimo. Stupefacente sentire un Bocchino dire che era in dissenso dal Governo perché non coerentemente liberista e di destra, Bondi rivendicare la linea laburista della politica governativa e la Bindi prendersela con Craxi e i socialisti, come i responsabili morali e politici della situazione attuale. Non consola l'esistenza di un movimento ampio di opposizione sociale, perché in assenza di uno sbocco politico può, come è successo il 14/12 a Roma, degenerare in una violenta jaquerie urbana, terreno di cultura di gruppi violenti e di reazioni securitarie dell'opinione pubblica moderata, spingendola a destra, quando l'impoverimento e la mancanza di sicurezza economica dei ceti medi avrebbe dovuto portarli verso sinistra, se ci fosse una forza politica in grado di rappresentarli. I sondaggi di opinione danno il PdL in ripresa, sia pure erodendo la base di consenso della Lega e della Destra storaciana e l'opposizione stazionaria (PD) o in calo (IdV). La sinistra fuori dal Parlamento non sta meglio il PSI non è nemmeno rilevato, la Federazione della Sinistra è sotto il 2% e SEL è sopra la soglia di accesso del 4%, ma l'effetto di trascinamento è tutto sulle spalle di Vendola, che dovrà pure governare la Puglia e dirigere il partito per poter essere sempre presente negli studi e salotti televisivi.
In questa situazione le elezioni anticipate, a meno che il popolo non voti guardando al peggioramento delle proprie condizioni e al degrado delle istituzioni, saranno una nuova vittoria di Berlusconi, perché meno colpito dalle crescenti astensioni o dal voto di sterile protesta di grillini e compagnia cantando. Una rondine non fa primavera e perciò non basta la vittoria di Pisapia alle primarie milanesi, ma non ancora alle amministrative, ma per guardare l'unica rondine almeno si devono alzare gli occhi verso il cielo e gettare lo sguardo oltre l'orizzonte.
Franco D'Alfonso: La fine del compagno Fini
Dopo qualche minuto speso a capire per quale motivo il compagno Fini avesse inutilmente forzato la mano per giungere ad una "conta" stile Turigliatto senza pensare che sarebbe comparso Scilipoti, mi sono ricordato che in realtà, tanto per cambiare, la grande idea di giocare con i numeri non è una sua esclusiva, ma è la specialità di D'Alema, il più grande stratega etcetera che azzecca sempre tutte le mosse tranne l'ultima, quella decisiva.. Ad essere onesti, però, la giornata del 15 dicembre è ancora una riuscita coproduzione di cinepanettone della ditta Di Pietro - Veltroni : il buon Tonino, che non sarebbe in Parlamento se il vocato maggioritario cineasta non gli avesse dedicato l'eccezione alla regola del "Sinn Fein" de noartri che era il Pd in quel minuto, ha presentato la mozione di sfiducia per "stanare" Fini e Casini per poi riuscire - ed è già la terza volta - a far saltare la manovra con gli Scilipoti di turno ; il cineasta ci ha aggiunto di suo personale Calearo ( scommettiamo che il prossimo è Colaninno ? ), dando ragione al mitico Crozza ( " Le cazzate di Veltroni sono come le scorie nucleari, ci vogliono migliaia di anni perchè esauriscano l'effetto radioattivo" ) .
Il 15 dicembre è stata l'ennesima, temo peraltro non l'ultima, dimostrazione che le operazioni di "palazzo" condotte senza politica per di più utilizzando parlamentari che sono stati nominati o indicati da padroni e baroni di partito e non hanno nemmeno un voto/ elettore popolare cui rendere conto, portano sempre allo stesso risultato, quello che il banco vince e avanti il prossimo.
Essendo un inguaribile ottimista, spero che la nascita del Terzo Polo parlamentare seppure come sindacato dei piccoli azionisti normalmente fregati, riportando nominalmente alla presenza di una destra, un centro ed una sinistra convinca i simili a rimettersi con i simili e quindi, per quanto ci riguarda, al fatto che Rutelli e la Binetti indichino la via a quelli del deposito scorie veltroniane. Soprattutto, contando sull'eterogenesi dei Fini, che ciascuno torni alla politica prima di tutto a casa propria e che, nella "nostra" , si capisca dopo un quindicennio buono che per tornare a "parlare alla gente" ed a "vincere" occorre una buona proposta politica propria e condurre delle battaglie politiche prima all'interno e poi all'esterno : solo se emerge una posizione politica chiara ed un gruppo dirigente che è impegnato ad essa e non pretenda di restare tale a prescindere , è possibile proporsi per chiedere consenso per guidare il Paese e , se necessario, sottoscrivere i necessari compromessi politici per riuscirvi.
Non è così impossibile, è già successo
Il 15 dicembre è stata l'ennesima, temo peraltro non l'ultima, dimostrazione che le operazioni di "palazzo" condotte senza politica per di più utilizzando parlamentari che sono stati nominati o indicati da padroni e baroni di partito e non hanno nemmeno un voto/ elettore popolare cui rendere conto, portano sempre allo stesso risultato, quello che il banco vince e avanti il prossimo.
Essendo un inguaribile ottimista, spero che la nascita del Terzo Polo parlamentare seppure come sindacato dei piccoli azionisti normalmente fregati, riportando nominalmente alla presenza di una destra, un centro ed una sinistra convinca i simili a rimettersi con i simili e quindi, per quanto ci riguarda, al fatto che Rutelli e la Binetti indichino la via a quelli del deposito scorie veltroniane. Soprattutto, contando sull'eterogenesi dei Fini, che ciascuno torni alla politica prima di tutto a casa propria e che, nella "nostra" , si capisca dopo un quindicennio buono che per tornare a "parlare alla gente" ed a "vincere" occorre una buona proposta politica propria e condurre delle battaglie politiche prima all'interno e poi all'esterno : solo se emerge una posizione politica chiara ed un gruppo dirigente che è impegnato ad essa e non pretenda di restare tale a prescindere , è possibile proporsi per chiedere consenso per guidare il Paese e , se necessario, sottoscrivere i necessari compromessi politici per riuscirvi.
Non è così impossibile, è già successo
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