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mercoledì 1 maggio 2013
Paolo Bagnoli: La qualità della crisi
Dall'Avvenire dei lavoratori
La qualità
della crisi
Siamo giunti all’antivigilia della Questione democratica? La sinistra deve riorganizzarsi su basi più solide e in tempi ragionevoli. La rinascita è legata a quella di un socialismo autonomo e di sinistra, antagonista alla barbarie del capitalismo finanziario e capace di essere un movimento che governa lo Stato e le masse popolari, ma dall’interno della cultura politica occidentale.
di Paolo Bagnoli
Confessiamo che tra le tante analisi lette sulla vicenda politica italiana dalle elezioni in poi non abbiamo trovato nessun commento nel quale, al di là della disamina delle condizioni di questo o quel partito, non si sia posto attenzione alla qualità della crisi italiana, ovvero alla sua drammaticità. Il nostro sistema democratico è al limite del crollo e di ciò lo sciagurato governo Monti altro non è stato che un segnale premonitore. Le elezioni hanno prodotto tre minoranze tra cui un assai consistente partito antisistema “a prescindere”, per usare un’espressione cara a Totò.
Delle tre minoranze, il Pd ha tragicamente dimostrato sul campo quanto da tempo veniamo sostenendo, ossia l’incapacità di essere un partito. Di ciò hanno fatto le spese per primo Bersani, assurdamente incistatosi in un tentativo senza bussola reale e, poi, Marini e Prodi tanto da aver perso, a sinistra, l’unico alleato che aveva – Sel di Vendola – e aver riposto al centro della scena Berlusconi, facendone di fatto l’arbitro determinante per ogni passaggio politico. Il Pd ha finito per accettare la proposta, da questi avanzata, di un governo di grandi intese; una scelta ingoiata a forza e che sarà motivo di ulteriori sorde ulcerazioni difficilmente guaribili da chiunque succederà a Bersani: non si tratta di uomini, ma di linee politiche che, appunto, non si vedono.
Le grandi intese si sono avverate nel Governo Letta; una compagine dal profilo grigio ed equivoco e, più che dell’emergenza, essa sembra, al di là delle persone che la compongono, alcune delle quali di sicuro valore, il gabinetto della resistenza del Sistema alla non-politica, la malattia da cui è investita la democrazia italiana.
Il nuovo parlamento, dopo una lunga vacanza di decantazione per vedere se poteva stare in piedi o aspettare che un nuovo capo dello Stato lo sciogliesse appena insediatosi, durante l’elezione del presidente ha dimostrato la propria impotenza rappresentando, per molti aspetti ingiustamente, un paniere castale asserragliato nell’incapacità di produrre scelte e, per di più, assediato da una piazza che Grillo ha invocato a ritrovarsi; fascista forse no – anche se le dichiarazioni sul 25 aprile ricordano molto Storace – ma sfascista certamente sì.
I parlamentari che senza colpa alcuna, se non quella di essere tali, preferiscono uscire dalle porte secondarie segnano già un’abdicazione alla loro funzione e a come si interpretano. Se poi si aggiunge che a qualcuno, come è toccato al neoministro Franceschini, ma non solo a lui, di essere oggetto di squadrismo verbale, la preoccupazione non può che salire per il clima di intolleranza antidemocratica che si sta creando e non tutto può essere ridotto ai grillini. Occorre non dare troppa importanza a certe chiassate.
In un quadro generale caratterizzato dallo smarrimento della ragione politica; con un parlamento depositario dell’impotenza delle forze politiche maggiori, si è chiesto a Napolitano, lo si è supplicato, di rimanere per evitare avventurose incognite e dare respiro, almeno un po’, al sistema accettando la proposta di Berlusconi per un governo di grandi intese. Questo, nei fatti, permetterà il decorso della crisi democratica e la riorganizzazione della destra. Cioè la sua prossima vittoria, visto che Letta più di tanto non potrà durare. Forse non c’era altra scelta ed è fuori discussione la figura di Napolitano il quale ha dettato le sue condizioni e non poteva fare diversamente.
Il problema è un altro e non è stato rilevato da commentatore alcuno. Quando una democrazia constata che vi è solo una scelta possibile per non tracollare (vedi supplica a Napolitano) essa è già in parte già tracollata. Una delle caratteristiche del sistema democratico, infatti, è quella di poter annoverare più di una scelta possibile; quando questa si riduce a una allora il problema è serio, molto serio. Tale serietà vive oggi di tre partiti che, in effetti, partiti non sono: del Pd abbiamo detto, quello di Grillo si commenta da solo e per di più sostiene una “democrazia senza partiti” mentre il Pdl, che è una proprietà privata di Berlusconi, rappresenta una delle cause dell’aggravarsi della crisi italiana. A contorno una sinistra che non c’è – e non perché Vendola non sia di sinistra, ma in quanto non è che si può far conto sulla esclusività di Sel per dare il senso storico di cosa vuol dire “sinistra”.
La rinascita è legata a quella di un socialismo autonomo e di sinistra, antagonista alla barbarie del capitalismo finanziario, concepito dentro la cultura politica occidentale e capace di essere un movimento che governa lo Stato e le masse popolari.
Ma in Italia un po’ tutto è anomalo, anche la Grosse Koalition lo è pur nell’interpretazione che ne ha dato Napolitano. Le grandi intese non sono scandalose in sé; in momenti particolari sono state fatte in molti altri Paesi democratici; la differenza è che in quei Paesi il motivo identitario democratico era saldo e proprio questo permetteva la transitoria anomalia considerandola un passaggio dentro la normalità. Così non è per l’Italia dal momento che il vuoto partitico – quello su cui, in linea generale, si è soffermato a lungo di recente Fabrizio Barca nel suo paper – ha portato con sé il vuoto identitario della democrazia repubblicana, oggi riempito esclusivamente da Giorgio Napolitano.
Non sappiamo cosa potranno produrre le grandi intese; auguriamoci una legge elettorale decente e costituzionale; sicuramente, finito il suo tempo che non sarà brevissimo, ma nemmeno molto lungo, si tornerà alle urne. E allora la questione della riforma costituzionale diventerà praticamente ineludibile e con l’aria di destra che tira, peraltro annunciata dal governo Monti, e a quanto ne è seguito, la Questione democratica diventerà prioritaria e richiederà grande, ma grande attenzione considerata la fragilità che oramai registra il tanto sbandierato “patriottismo costituzionale”.
Il “patriottismo costituzionale” è un qualcosa di più complesso che non la semplice aderenza allo spirito e alla lettera della Costituzione. Il rischio è che si arrivi a un cambio del profilo costituzionale senza partiti, ossia senza i soggetti che sono titolari del “mandato politico” e, quindi, trasformando la democrazia repubblicana in qualcosa di altro; in uno Stato regolato da meno diritti e forme democratiche.
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