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martedì 7 maggio 2013
Franco D'Alfonso: L'idea farsesca dei due partiti
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MILANOITALIA
L'idea farsesca dei due partiti
Giovedì, 2 maggio 2013 - 10:59:00
Di Franco D'Alfonso, assessore del Comune di Milano
Questa idea dei "due partiti" del centrosinistra è la versione farsesca delle divisioni "tragiche" tra socialisti e comunisti del xx secolo, non ha alcuna giustificazione che non sia l'istinto di sopravvivenza personale dei gruppi dirigenti di partiti e gruppi spesso esistenti solo sulla carta e va contrastata con ogni mezzo. Resto convinto di quanto detto più volte: il "partito" del centrosinistra esiste, ha un sistema di valori centrato sul bene comune nel quale si riconosce, è per questo diverso da quello di centrodestra che è basato sull'individualismo ideologico; questo "partito" ha una sua base militante, un'area di simpatizzanti ed una di elettori potenziali che si manifesta ogni volta che viene evocata correttamente, attraverso primarie che vedono un confronto politico e di idee attraverso le persone e non tra gruppi e persone senza molte idee ; è un partito che riesce ad essere vincente quando riesce a presentarsi in positivo , suscitando speranze ed evocando scenari futuri , non mettendosi in scia alle paure che i demagoghi ed i populisti alla Grillo o alla Berlusconi sono strutturalmente meglio attrezzati a suscitare e sfruttare. Mi pare ormai evidente che questo "partito" non sia in grado di darsi un suo gruppo dirigente efficace soprattutto per la pretesa di una parte di esso, quello del Pd, di "controllare" persino le novità nate al proprio interno, come nel caso di Renzi.
Mi considero personalmente responsabile, in misura da stabilire, di questa incapacità perché l'ipotesi "arancione" di trasferire a livello di gruppo dirigente l'esperienza della campagna elettorale di Milano del 2011 è sostanzialmente fallito. Anche la pur positiva esperienza delle liste civiche ha raggiunto il suo limite oggettivo e non è stata in grado di rappresentare una alternativa completa ai partiti, pur riuscendo ad essere - ed è a mio avviso già moltissimo - il catalizzatore delle energie nuove che vogliono impegnarsi in politica e che trovano da molti, troppi anni ostruiti i canali di accesso che una volta erano garantiti dai partiti della sinistra. In sostanza non siamo riusciti ad uscire, nemmeno nel nostro campo, dalla crisi del modello che ha dato vita alla nostra Repubblica. La condivisione storica, politica e culturale che diede vita alla nostra Costituzione stava nei partiti e le istituzioni repubblicane nacquero per loro impulso : l'innovazione e la partecipazione, fonte della buona politica, veniva dai partiti e passava nelle istituzioni, dove trovava le maggiori resistenze. Oggi la situazione è rovesciata : è dalle istituzioni ad elezione diretta, dove i cittadini scelgono rappresentanti e politiche alternative, che viene la spinta al cambiamento , mentre i partiti sono almeno tre passi indietro . La via per giungere al "partito della sinistra europea", che esprima una sua visione progettuale su un modello istituzionale europeo e nazionale , che esprima una linea di politica economica precisa e documentata e non si balocchi con specificità italiane inesistenti, che sia in grado di evocare una speranza condivisa da tutti i popoli europei e non solo da alcuni , passa per una operazione di legittimazione di leadership dal basso, attraverso confronti e consultazioni che non siano orientate da gruppi dirigenti o presunti tali.
I leader che hanno una legittimazione popolare reale, come i sindaci eletti che hanno dimostrato anche di saper governare, hanno un ruolo fondamentale di stimolo e testimonianza in tal senso . Pisapia , Doria , Zedda come Fassino e Merola e gli altri primi cittadini che sono stati capaci di riunire e rilanciare la sinistra di governo nelle proprie comunità locali devono essere i primi a mettere in secondo piano le proprie appartenenze partitiche e rendersi garanti di un processo che in realtà si è già avviato anche se non è riconosciuto come tale. Matteo Renzi ha lanciato la sfida per la leadership della sinistra e , se non cadrà nell'errore di riportare i suoi passi all'interno dell'antico convento , ha un oggettivo vantaggio su chiunque altro si farà avanti . Chi come chi scrive non è convinto fino in fondo del progetto cercherà di contribuire alla nascita di una piattaforma alternativa, più vicina ai valori della sinistra europea di quanto non creda sia attualmente quella del sindaco di Firenze, ma non potrà eludere il problema evocando collegialità o sedi competenti di discussione. Franco D'Alfonso assessore Comune di Milano
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2 commenti:
L' intervento di D'Alfonso mi pare parta per un verso da un suo equivoco di fondo e per un altro dalla "cattiva" interpretazione della ormai ventennale condizione di difficoltà, se non di vera e propria “crisi", della politica della sinistra e, in qualche modo, dell'intero sistema dei partiti. Conseguentemente D'Alfonso propone una sua idea di partito, una idea che qui definiremmo – e non solo per gioco di parole – di "partito farsa", dal momento che finisce col prospettare come nuova una "cosa" che già c'è e che come tale, appunto, si comporta: il PD. O meglio: i tanti sconnessi e contraddittori PD. Ora, credo che nessuno, ma proprio nessuno, voglia cercare di costruire un altro partito di «centrosinistra», oltre a quello che già c'è, per di più moscissimo in quanto «sinistra» e molto democristianizzato/americanizzato nella sua restante parte.
Ciò che invece si dovrebbe fare per rispondere presto ad una sempre più manifesta crisi di rappresentanza del popolo della sinistra – popolo che è nelle "cose", in atto e in potenza, nei rapporti di produzione sociale e dentro una crisi epocale, se non lo è più o ancora nelle coscienze – è un vero, serio, organizzato, democratico, partito «di sinistra», cioè – evidentemente occorre ripeterlo – un partito del «socialismo europeo» che voglia superare le gravi ambiguità costitutive, morfogenetiche, e le conseguenti debolezze proprie del PD, anzi: dei due o ventidue PD. Perché è evidente a quasi tutti che scrivere come fa D'alfonso: «Resto convinto di quanto detto più volte: il "partito" del centrosinistra esiste, ha un sistema di valori centrato sul bene comune nel quale si riconosce» conferma, per l'assoluta genericità dei «valori centrati sul bene comune» l'estrema inconsistenza di una qualsiasi identità di partito e tanto meno di un partito, propriamente, della sinistra europea.
Ma veniamo rapidamente al cuore dell'argomentazione analitica – relativamente al presente errata ed errante, perché sostanzialmente neo-liberale e americaneggiante – di D'Alfonso che, appunto, afferma: «La condivisione storica, politica e culturale che diede vita alla nostra Costituzione stava nei partiti e le istituzioni repubblicane nacquero per loro impulso: l'innovazione e la partecipazione, fonte della buona politica, veniva dai partiti e passava nelle istituzioni, dove trovava le maggiori resistenze. Oggi la situazione è rovesciata : è dalle istituzioni ad elezione diretta, dove i cittadini scelgono rappresentanti e politiche alternative, che viene la spinta al cambiamento , mentre i partiti sono almeno tre passi indietro . La via per giungere al "partito della sinistra europea", che esprima una sua visione progettuale su un modello istituzionale europeo e nazionale , che esprima una linea di politica economica precisa e documentata e non si balocchi con specificità italiane inesistenti, che sia in grado di evocare una speranza condivisa da tutti i popoli europei e non solo da alcuni , passa per una operazione di legittimazione di leadership dal basso». Ora: è proprio l'attuale specificità del sistema politico italiano che costituisce un gravissimo problema, tanto nella sua componente «di destra» (il berlusconismo innanzitutto, insieme a un neo-ottocentesco "razzismo nordista", nonché a un mai definitivamente compiuto post-fascismo), quanto in quella «di sinistra»: per l'inesistenza, da vent'anni, di una grande forza di lotta e di governo variamente socialdemocratica e dunque variamente critica del capitalismo ora globale, che saldi popolo e istituzioni, che produca riforme dall'alto grazie ad una consapevole partecipazione di massa ed a un controllo dal basso. Insomma che non si contenti di votare leader ed élites politico-amministrative (se non addirittura lo stesso presidente della repubblica). La varia distruzione dei partiti di massa in Italia alla fine del Novecento si è realizzata definitivamente, appunto, grazie all'introduzione del sistema maggioritario uninominale, cioè ad un sistema propriamente proto-liberale che, appunto, non vuole, non può e non deve garantire la rappresentanza proporzionale dell'elettorato e dei suoi diversi orientamenti ideali e soprattutto impedisce una democrazia di massa partecipata (come invece previsto dalla stessa Costituzione).
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