martedì 5 luglio 2016

Franco Astengo: Fattori

UNA SINTESI DEI FATTORI DI CRISI DEL SISTEMA POLITICO ITALIANO di Franco Astengo Il sistema politico italiano sta attraversando una fase di crisi nel senso etimologico del termine: dal verbo greco krino = separare, cernere, in senso più lato cambiare. Quindi una fase di disvelamento che prepara un cambio. L’analogia più recente che si potrebbe sviluppare è quella con il periodo 1992 – 1994, quella nella quale diversi fattori concorsero a favorire un vero e proprio processo di decostruzione. Uno degli elementi più importanti che hanno contribuito a formare questo stato di cose riguarda il completamento nella trasformazione “di natura” del partito che assunto un ruolo “pivotale” del sistema: il PD, che ha assunto una funzione di tipo neo – trasformistica, funzionando da semplice “semaforo” per i percorsi personali di carriera. Un partito “stretto” al centro, di tipo escludente verso il quale è apparsa fin qui possibile soltanto un’espressione di protesta non alternativa, condotta su sponde diverse da M5S e Lega Nord. Emerge, a questo punto, un primo dato di fondo: la questione dei partiti, ossia della rappresentanza politica apertasi proprio con la fase di crisi verificatasi oltre cent’anni fa e già richiamata non è stata comunque risolta. Quest’assenza di rappresentatività che si è cercato di occultare attraverso meccanismi elettorali orientati a soddisfare una cosiddetta “vocazione maggioritaria” e un’alternanza del tutto fittizia limitata al quadro istituzionale ha rappresentato, paradossalmente, il punto di forza sulla base del quale si è realizzato un vero e proprio processo di trasformazione della democrazia italiana: l’Italia (si veda alla voce: nuovo sistema elettorale “Italikum” e deformazioni costituzionali) sta adottando una forma di democrazia autoritaria, ben oltre quella definizione di “democrazia d’investitura rafforzata” della quale si discute in Europa come una delle forme possibili del rapporto istituzioni/società nel nuovo quadro offerto dalle possibilità di utilizzo delle nuove tecnologie nel campo della partecipazione politica e delle espressioni di consenso e/o dissenso. Gli elementi sui quali si basa la realtà della nuova condizione di democrazia autoritaria sono essenzialmente quattro: 1) Una concezione del potere economico che interviene sul mondo del lavoro senza in alcun modo disturbare il capitale e la finanza attuando processi regolatori; 2) L’assunzione totalizzante del potere cognitivo: si veda la riforma della governance della RAI e la legge di riforma della scuola (quest’ultima basata sull’introduzione di una sorta di funzionario prefettizio d’antico stampo all’interno di ogni istituto scolastico); 3) La politicizzazione della Costituzione che cessa di essere il riferimento per il confronto istituzionale, sulla base dell’originario antifascismo e di un’idea di fondo di un “sistema di progresso”, nel quale le forze politiche si affrontano alla pari. L’intenzione è invece quella di consegnarla al vincitore delle elezioni politiche, trasformandole nell’assegnazione di un comando politico indisturbato; 4) L’importazione in Italia dell’ideologia dei trattati UE che comportano, in pratica, l’esclusione del conflitto sociale, la costituzionalizzazione dell’equilibrio di bilancio, i parametri di Maastricht, l’orientamento all’esportazione, i bassi salari. L’obiettivo è quello dell’imposizione del pensiero unico , quello di “un’economia di mercato altamente competitiva”. Così competitiva da distruggere i soggetti riducendoli a mera merce di scambio non solo sul piano economico ma nell’insieme della propria identità sociale, culturale, di genere. Uno spossessamento complessivo sul quale si esercita soltanto ed esclusivamente una funzione di dominio. All’interno di questo quadro, a rafforzare la definizione di democrazia autoritaria e di regime, l’attacco diretto rivolto ai corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni di categoria, enti locali). Ci collochiamo, in questo modo, ben oltre a quanto già avvenuto nel corso del ventennio della “transizione infinita” e dell’alternanza Polo /Ulivo nel corso del quale si svilupparono sicuramente accenti di tipo populistico in un quadro di modello di leadership all’interno della quale si cercò di far risiedere tutti i perni della stabilità sistemica. Oggi appare evidente l’operazione di scavalcamento di ogni mediazione (mediazione ormai individuata come “la casta”), l’abbattimento delle strutture e delle mentalità “socialdemocratiche” o vetero – costituzionali. Un modello di comando impostato sull’attivismo e l’occasionalismo (si potrebbero fare esempi non peregrini attingendo alla storia d’Italia: Crispi e Mussolini, tanto per far nomi). La causa fondamentale della trasformazione sistemica in atto è stata però dovuta al processo di omologazione avvenuto nel corso degli anni da parte di tutte le forze politiche al sistema di governo del ciclo capitalista definito come “neoliberista”. Tutto questo avviene in un quadro generale che vede un Paese percorso da una questione morale profonda, composta da un insieme di complessi fattori sui quali ci si rifiuta, proprio nella logica del comando imposto dall’alto, di sviluppare seriamente un lavoro d’analisi e di relativo contrasto. Si è così prodotto un grave logoramento del sistema sociale, ingenerando un vero e proprio “strappo” posto sul piano dell’introduzione di meccanismi generatori di forme drammatiche di povertà che hanno colpito interi settori sociali e generazioni tanto gravi da annullare l’auto – identificazione democratica collettiva. Il rischio è quello che questo processo di auto – identificazione (un tempo realizzato attorno all’ideologia dei grandi partiti di massa) si possa realizzare attorno alla paura dei conflitti e del terrorismo, in un riflesso irrazionale che non tiene conto dei terribili squilibri geo – politici che hanno generato questi fenomeni. Il contesto complessivo è quindi quello rappresentato dall’impoverimento e dalla paura come fenomeni generalizzati ai quali viene fornita una risposta securitaria dall’alto, sotto forma di un rinnovato dominio oligarchico, incarnato da una nuova pretesa di “Uomo della Provvidenza”. L’Italia, cioè, più ancora che altri paesi europei alcuni dei quali pur in preda a fortissime convulsioni, appare già essere un piede dentro a una forma di fascismo il cui imprimatur deriva dalla capacità di aver imposto la coppia vecchio/nuovo in luogo di quella destra/sinistra. Come accadde del resto quasi un secolo fa con l’imposizione del nuovismo arditista e futurista quale visione totalitaria della prospettiva politica nel tempo dell’esasperazione del nazionalismo. In questo le responsabilità di coloro che, a suo tempo, hanno concorso a demolire il sistema dei partiti anche attraverso l’adozione di nuovi meccanismi elettorali e sollecitando l’immaginario collettivo attraverso presidenzialismi “ di fatto “risaltano come enormi. La ricostruzione del legame sociale e della tenuta democratica del Paese appare, in questo momento, il punto di partenza obbligato. E’ stata individuata la necessità di quello che è stato definito come “experimentum crucis”: ovverosia dell’individuazione di un livello di scontro nel corso del quale risalti la consapevolezza dello stato di cose in atto, ponendo in chiaro le responsabilità del governo. Una sinistra che intenda davvero ricostruirsi non può che individuare, in questo senso, il passaggio del referendum confermativo sulle deformazioni costituzionali facendo compiere al proprio “NO” (sicuramente diverso da altri NO che saranno in campo) una funzione di aggregatore programmatico attorno al nodo indicato poc’anzi: quello di far ritornare la Costituzione il punto di riferimento obbligato del sistema.

3 commenti:

luigi ha detto...

Caro compagno Astengo,
sempre istruttive le tue ampie analisi, ci cui l'ultima a cui mi
riferisco estrapolo, per un proficuo dialogo, quello che per me è
l'essenziale, evidenziando altresì alcume parole chiave:

Con qualche precisazione anche in riferimento alla tua precedente,
per maggior chiarezza possibile al fine di orientarci nella giusta
direzione.

di quale "solidità del sistema" - sento ora e me ne compiaccio, che
si tratta di quello della Costituzione italiana, la via italiana al
socialismo secondo il "Migliore" ...
Ma a proposito di cen trismo, centro-sinistra e pentapartito, stiamo
parlando dei governi del periodo della prima repubblica ... dunque
tutti dico tutti si muovevano all'interno del modello economico
prescritto nella prima parte titolo terzo - rapporti economici.
Tanto i governi
centristi, (prima del 62)
piano casa Fanfani, grandi imprese IRI, Banche di diritto pubblico
(il 73%), Banca d'talia sotto il Tesoro, ecc. ecc.)
badando posssibilmente che chi entrava nelle imprese IRI avessero la
lettera di presentazione del parroci di riferimento.
Ma certo è che i governi centristi non erano neoliberisti.
poi governi di centro-sinistra
sulla stessa scia di politiche industriali a prevalenza pubbliche.
poi centro-sinistra, e infine pentapartito, tutti dico tutti sempre
si muovevano all'interno del modello economico prescritto nella prima
parte titolo terzo - rapporti economici.
Imprese pubbliche e private con finalità sociali, prevalenza delle
politiche economiche, con vere e proprie le riforme di struttura
primo centro-sinistra (pubblicizzazione l'ENEL)
riforma scuola età dell'obbligo
poi centro-sinistra e pentapartito, leggi laiche, di libertà
individuale (divorzio, aborto)
Statuto dei lavoratori, ecc., Riforma sanitaria.
Il trend secondo quanto previsto dalla Costituzione si è bruscamente
interrotto e dopo il 1989 ha invertito la sua marcia e da modello
economico misto, con finalità sociali, coordinato dal potere
pubblico, banca d'Italia e banche pubbliche si è trasformato
(privatizzazione di tutto e di più)mediante leggi ordinarie in
modello economico neoliberista consenzienti il PSE e in Italia i
socialisti post Craxiani e gli ex PCI-DC (Dini-Amato-Prodi-D'Alema,
ecc.) .
Ordunque bisogna riprenderci il centro del sistema previsto dalla
Costituzione di cui alla prima repubblica ... lotta di vero
riformismo socialista.
Ovviamente ci si para d'innazi la selva oscura neoliberista della Ue
e ... non sarà una passeggiata passare per l'inferno della
plutocrazia mondializzata.
Un dialogante saluto.

mimmo ha detto...

Futuro o passato, Nuovo o vecchio, ovviamente scompaginano la declinazione di destra o sinistra, soprattutto se ancorata ad archetipi antropologici.
Quando si parla di destra o sinistra si fa riferimenti ad interessi ben precisi, sottolineo interessi, in quanto la differenza tra gli interessi tra i due secoli è quella della consapevolezza e del vissuto.
E’ del tutto evidente, lo dimostra il caso Brexit, così come lo confermano le elezioni italiane, ma ormai non solo quelle, chi si occupa di passato va a votare, chi guarda al futuro non va a votare.
Per questi ultimi il futuro è l’invecchiamento, ed il welfare connesso, per i giovani il futuro è come arrivare ad una vecchiaia da parte di generazioni che si avviano a vivere peggio dei loro genitori e dei paradigmi con i quali sono cresciuti.
Il futuro per loro, sarà una crisi demografica che accoppiata ad un insufficiente contribuzione renderà per loro impossibile usufruire delle risorse per la loro serenità.

mimmo ha detto...

Questo è solo un esempio, possiamo estenderlo anche al mondo della occupazione, nella assoluta diversità che esiste tra l’industria fornaia, e quella della conoscenza la cui volatilità logistica è legata a fattori cognitivi piuttosto che a formule contrattuali.
Se mettiamo sul tavolo tutti i mosaici del puzzle, tutte le certezze della memoria, vengono quotidianamente messe in discussione dalla complessa dinamica della realtà.
Oggi chi ha certezze è un conservatore, chi dice che la democrazia è solo quella dei partiti, lo vada a raccontare a quel 50% di cittadini che non va a votare perché non crede più a istituzioni che sono sempre più lontane e sempre più indifferenti al fattore critico: tempo.
Ed è lapalissiano che a parità di qualità, un processo decisionale rapido produce effetti migliori sul PIL , di un processo decisionale iper ponderato e lento.
Capisco che la cultura e la professione giuridica italiana ha un’avversione nei confronti del tempo, così come più corporativamente privilegia l’iper produzione normativa (da decenni anche qualitativamente scarsa) che rende il Paese bloccato,come si fa ritenere normale un Paese che in 16 anni ha generato 13 governi, come si fa a ritenere democratico un Paese, nel quale la Costituzione è costretta ad intervenire solo quando il danno è supposto creato e non prima, quando il danno si può creare.
La Costituzione è diventata un alibi, una sorta di coperta di Linus, per tutti coloro che da un sistema indefinito e farraginoso traggono vantaggi, personali, sociali e politici.
Il sistema elettorale più volte ridisegnato in questi anni ha il difetto che finisce per rappresentare una minoranza della popolazione, sia che ci sia il premio di maggioranza e sia che ci sia il proporzionale, non vi è un quorum minimo, non è che forse il popolo vorrebbe sapere chi lo governerà prima, e come governerà poi.
Il popolo fa paura, il ricorso alla Brexit, potrebbe essere facile, ma a nessuno viene il dubbio che in fondo nelle città il modello regge, e l’unica obiezione lecita è come delegittimare la cultura del far perdere, dell’impedire, (vedi le coalizioni dei voti contro o l’allucinante “contro chi fare opposizione me lo scelgo io) che confinano la sinistra nella inutilità. ) I voti si dovrebbero richiedere per governare, meglio ed in modo diverso, il che non è la stessa cosa del voler sconfiggere solo uno degli avversari.
Le regole del gioco devono essere attualizzate e per farlo non dovrebbe essere quello di delegittimare quelle degli altri, bensì di far approvare le proprie.
Il Referendum dovrebbe pretendere di offrire i criteri di valutazione più corretti a chi si deve esprimere, non serve quella impostazione da ultima spiaggia, sia quella data dal governo e sia quella data da chi vi si oppone, con il ricorso al leninismo della delegittimazione degli altri, e della risibile preoccupazione di minacce alla democrazia, provate andarlo a raccontare a quel 50% che non va a votare, o a quella grande quantità di immigrati cui i diritti sono sempre un po’ meno, anche dopo aver pagato le tasse.
Che il pacchetto non sia il massimo, siamo in molti ad essere d’accordo, che il modello elettorale francese sia il migliore la pensano in molti, come pure quello istituzionale tedesco pure, che il senato della Repubblica, modello italia, sia stato una boiata pazzesca, è un dato di fatto, che abolirlo sarebbe meglio.