sabato 23 luglio 2016

Franco Astengo: Democrazie

RAZZISMO, SOPRAFFAZIONE, DOMINIO: CRISI DELLE DEMOCRAZIE E DELLE ELITE GOVERNANTI di Franco Astengo Siamo di fronte ad una crisi verticale delle èlite a livello globale e, contemporaneamente,emergono di scontro civile, politico, sociale che stanno conducendo a momenti di conflitto molto aspro come ci dimostra la cronaca di tutti i giorni. La stessa vicenda della crisi turca è parte integrante di questo processo che sta assumendo dimensioni difficilmente razionalizzabili all’interno di un disegno politico. La ragione del presentarsi di questa “logica del disordine” risiede proprio in quella crisi verticale delle élite governanti sulla quale andrebbe prestato il massimo possibile dell’attenzione. Se vogliamo cercare una delle ragioni, forse la più importante, di questo drammatico stato di cose dobbiamo, prima di tutto, analizzare il degrado culturale che investe l’insieme di quelle che furono considerati i settori più avanzati della politica. Non regge più quella che abbiamo definito “democrazia borghese” le cui forme vigenti appaiono ridotte allo scheletro nudo di una governabilità che garantisce soltanto l’ingiustizia perenne insita nel predominio della tecnica finanziaria sulla politica. “Democrazie” escludenti perché prive al loro interno di vere soggettività politiche e che, nella necessità dell’incontro sovranazionale (non globale, beninteso) producono mostri di inanità politica come nel caso dell’ONU o soggetti dimostranti nel concreto dell’egemonia della tecnica finanziaria fine a se stessa (obiettivo: ingrassare i già ricchi) come nel caso dell’UE. Ci si nasconde dietro l’ottimismo di maniera del presidente degli USA che non guarda alla drammaticità dei contenuti sui quali si aprirà il confronto elettorale per la sua successione e addirittura parla di “paese non diviso” rispetto alla profondità concreta della frattura razziale. Obama fa finta di ignorare – come invece ha fatto rilevare lo stesso reverendo Jackson – che la “faglia” che attraversa la società USA è ancora quella, intrisa di violenza, che separò schiavismo e antischiavismo. Una divisione mai assorbita nel suo esplicitarsi nella continuità del dominio e che segna gran parte della stessa divisione che, proprio sotto l’aspetto della ferocia razziale, contraddistingue questa fase storica con gli USA da svolgere il ruolo di negativo esempio globale. Addirittura c’è ancora chi si è fermato a descrivere un illusorio confronto tra “libertà”e dittatura, ponendo dalla parte della “libertà” le asfittiche democrazie occidentali: proprio quelle i cui sistemi hanno garantito nel corso degli ultimi 25 anni la crescita di enormi privilegi per pochi, sono risultate l’incubatrice della crescita di enormi disuguaglianze, hanno offerto il modello della sopraffazione. Per ovviare a questa vera e propria, profonda, crisi del pensiero si sente nell’aria persino il rilancio del vecchio slogan sullo “scontro di civiltà”. Si cerca di fare in modo che sia ignorato nodo vero rappresentato dal dominio. Un nodo da sempre ignorato dagli eterni corifei di una comunicazione di massa gestita esclusivamente dal ceto dei dominatori. Classi politiche ed economiche ripiegate su loro stesse quelle delle cosiddette “democrazie occidentali”, feroci propugnatrici di vere e proprie macchine da guerra neo – coloniali, capaci soltanto di schiacciare i più deboli e di costruire, al loro interno, falsi antagonismi. Sono così cresciute indefinite istanze ribellistiche, magari capaci di mascherarsi dietro antichissimi stilemi come quello religioso, in un crescendo drammatico di guerre, attentati terroristici, esercizio della violenza. Istanze che abili manipolatori delle nuove tecniche di comunicazione riescono ad includere all’interno di progetti di eversione virtualmente promotori delle azioni distruttive che riempono le cronache di questi giorni. Non c’è nessuno scontro tra “libertà” e dittatura: anzi la dittatura dell’inganno appare essere ormai estesa alla globalità delle istanze sociali e politiche. Così come non c’è nessuno scontro tra centro e periferie, nelle metropoli e nei punti più marginali del Pianeta. Lo scontro, invece, riguarda la condizione materiale, la stessa prospettiva sociale e politica. Lo scontro ancora una volta è tra diversità insopprimibili che hanno necessità di essere rappresentate a pieno titolo, e non serve il pietismo di fittizie unità per uscire da quello che sembra proprio il vicolo cieco della disperazione umana. L’unità che viene richiesta (anche dai pulpiti delle Chiese e dall’insieme dei ceti dominanti) è sempre quella da realizzarsi attorno ai privilegiati. Un’unità da stringere attorno a chi detiene denaro e potere, a chi per interesse affama, inquina il mondo, tiene la donna nell’atavica soggezione, sopraffà per indiscriminato diritto di razza. Se non si comprende appieno come ci si trovi dentro questa gigantesca trasversalità delle contraddizioni, non si rintracciano neppure i luoghi della costruzione di questo enorme divario sociale. Se non si comprende tutto ciò allora non resterà altro che rifugiarsi nell’illusione del sempre uguale, del vantaggio per chi già domina gli altri e creare illusioni per conservare il proprio odioso potere. Prima di tutto è venuta a mancare completamente la funzione dello Stato. Questo punto non è stato compreso nel momento in cui è stato accettato un globalismo senza limiti che sarebbe dovuto essere affrontato attraverso un indistinto “movimento dei movimenti” organizzato attraverso il fluttuarsi delle moltitudini. A quindici anni da “Genova 2001” questa lezione deve essere assunta da chi intende ancora muoversi sul terreno dell’idea della trasformazione sociale perseguendo obiettivi radicalmente avanzati sul piano dell’uguaglianza. Lo Stato rinchiuso nella costrizione della governabilità fine e a se stessa non svolge più alcuna funzione sociale e pressato dalle esigenze di cessione di sovranità derivanti dalle nuove condizioni imposte dal ciclo capitalistico finisce con l’abdicare il proprio compito storico. Le classi dirigenti, nella loro incapacità di produrre davvero un’impronta sovranazionale alle loro azioni hanno ceduto all’egemonia tecnocratica prodotta dalla velocità oggettivamente insita nei processi di finanziarizzazione dell’economia. Pseudo classi dirigenti che si limitano ormai alle dichiarazioni senza seguito. Il personale che si muove in questo scenario svolge, in sostanza, la funzione degli antichi imbonitori da fiera degli ingannatori delle masse. Paradossalmente, ma non troppo, il rinchiudere la politica nel recinto della governabilità fine a se stessa e l’abbandono di un’idea dell’agire politico come fattore di inclusione , porta, come ben dimostra anche lo stesso “caso italiano”, a una sostanziale assenza di decisionalità e all’affastellarsi di scelte incongrue rispetto a un quadro coerente di trasformazione sociale e politica. Non si può colmare la divisione prodotta dalle grandi contraddizioni sociali con l’autoritarismo della paura. Si tratta di scelte incoerenti proprio con la realtà perché dettate semplicemente dall’affannosa ricerca di un consenso del tutto virtuale. Le agende di élite ormai superate nel tempo appare ormai dettata semplicemente dallo scandirsi delle percentuali (inventate) dei sondaggi alla ricerca proprio attraverso questi strumenti di pure illusioni da smerciare al facile mercato di un potere apparentemente dominante ma inesistente nella sua incapacità di disegnare uno scenario per il futuro. Lo scontro non è tra presunte democrazie della disuguaglianza e altrettanto presunte dittature della sopraffazione. Il conflitto da individuare, ricercare, aprire risiede in ben altri luoghi da quelli delle classiche “arene politiche”. I luoghi del conflitto sono quelli della sofferenza imposta dalla ferocia dei pochi che pretendono di gestire il destino di grandi maggioranze. Le moltitudini composte di emarginati ed esclusi, migranti e abitatori delle periferie prive di organizzazione si abbandonano alla rivolta, al gesto eclatante, al colpire insensatamente nel mucchio, nella follia di incontrollati processi imitatori della dannazione dell’ “altro”. Intanto qualcuno discute di cicli della storia e di ritorni all’indietro. Non bastano però gli slogan del 99% versus l’1%. La realtà del conflitto è molto più complessa e articolata nella determinazione del confronto sociale. Dovrebbe stare al centro delle nostre riflessioni un’idea di recupero della “politica”: non si intravedono, però, sotto questo aspetto segnali appena sufficienti per poter immaginare un diverso futuro.

12 commenti:

roel ha detto...

A proposito di "razzismo,sopraffazione, dominio e crisi delle democrazie",
l'analisi di Astengo potrebbe essere considerata appropriata, ma non basta una conclusione pessimistica della "impossibilità di un recupero" quando invece c'è la necessità della proposta.
Dopo un tale excursus analitico, diventa doveroso esplicitare il "che fare? "
Un saluto, Roel.

luigi ha detto...

Che fare ?
scaletta:
bocciare referendum schiforma
bocciare legge elettorale truffa italikum
programma elettorale per elezioni politiche 2018
con manifesto la Costituzione da attuare e
programma elezioni Europee nel 2019 per rigettare la costituzione Ue
dei trattati neoliberisti.
Ora però bisogna trovare,come dice Besostri, di riunire la massa
critica necessaria all'uopo.
Un dialogante saluto.
Luigi Fasce - www.circolocalogerocapitini.it

felice ha detto...

La crisi richiederebbe per essere risolta più democrazia e non meno. Più democrazia in base al principio rivoluzionariouna testa/un voto non una "pancia" un voto. Ma una testa significa una persona informata e partecipe. La partecipazione è ppartenenza ad una comunità, che non si costruisce senza un'associazione, che la nostra Costituzione individua nei partiti politici, come disegnati dall'art.49: strumento dei cittadini liberi ed eguali e non luoghi di loro strumentalizzazione a favore delle oligarchie, nel migliore dei casi, dominanti. Il fallimento della raccolta firme ne è stata la prova: l'assenza dei sindacati a parte la Cisl per il SI'e persino dei partiti della sinistra a causa delle elezioni specialmente nelle grandi città. Non hanno firmato tutti gli associati di chi ha formalmente aderito. Il sistema di dominio spietato delle multinazionali e della finanza globale non è percepito come tale perchè funziona come meccanismo di dominio impersonale e con la complicità della politica al suo servizio ma formalmente scelti da noi su base nazionale: il prossimo presidente USA prenderà decisioni che ci riguarderanno direttamente, ma alla sua scelta resteremo estranei. Non basta più Stato, se questo Stato non risponde ai cittadini Una presenza pubblica nell'economia è necessaria per investimenti, che non hanno ritorni immediati, ma se questo.significa la creazione di boiardi di Stato no grazie. Non è un caso che alla edificazione del post-comunismo abbiano avuto un ruolo preponderante chi in quel sistema faceva parte dei privilegiati della nomenklatura e che la privatizzazione non abbia dato luogo a cooperative di lavoratori ma ad una nuova classe propritaria in buona parte composta da chi dirigeva le imprese statali. Certamente le ingiustizie del mondo provocano rivolte, ma per creare coscienza collettiva non è la stessa cosa che gli sfruttati si organizzino sindacalmente e non come fanatici terroristi, che suscitano giustamente orrore e ripulsione anche perché diventano persone con nomi e cognomi e volti e che si immortalano in video autoprodotti, mentre ignoriamo persino i nomi di chi quotidianamente prende decisioni, che materialmente sono eseguite da altri. Chi ricorda Masih Iqbal? Mentre l'attentatore di Nizza sarà evocato come esempio positivo o negativo secondo gli interessi.Chi è consapevole che la trasformazione in America Latina è cominciata veramente con sindacalisti, organizzatori sociali e leader contadini, autoorganizzazione comunitaria e nobn con fuochi di guerriglia? Dove stanno da noi gli organizzatori del futuro?


Felice C. Besostri

lorenzo ha detto...

Chiedo scusa per l'invasione di campo. A me sembra che la proposta implicita in tutti gli interventi di Franco Astengo sia chiara. In assenza del sogno svanito della "rivoluzione", si può almeno sognare un ritorno all'Italia degli anni '60. Sistema elettorale proporzionale, un forte partito della Sinistra - formalmente all'oppozione - una massiccia presenza dello Stato nell'economia, la capacità dello Stato di intervenire a risolvere i problemi economici e specialmente quelli di occupazione tramite la spesa pubblica, soprattutto un indice Gini compatibile con una ragionevole distribuzione della ricchezza. Essendo questa prospettiva abbastanza irrealistica, non resta che una critica furiosa, apriori e a posteriori, in generale e in particolare, dello stato di cose presenti. Attenzione però: il governo Renzi (lo stato di cose presenti) si lega ancora in buona misura alla vecchia politica (per esempio il manuale Cencelli applicato al ministro degli esteri). Ma
è evidente l'ondata montante di populismo rappresentata dai 5stelle. Cosa succede se i 5stelle vanno al governo? Forse (non mi lascio sfuggire l'occasione per la suprema banalità) vale la pena di rifletterci. Cordialmente. Lorenzo Borla

maurizio ha detto...

Da convinto riformista non ho mai nutrito sogni rivoluzionari, ma mi porto dietro una forte nostalgia degli anni '60. Questa forse è dovuta al fatto che quelli furono gli anni della mia bella e spensierata adolescenza, ma se ci rifletto scorgo qualcosa di più e soprattutto di meno personale e più generale. Indietro non si torna - è vero e aggiungo in taluni casi purtroppo - ma nessuno mi convincerà mai che il maggioritario sia meglio del proporzionale e che lo Stato debba essere spettatore passivo dei fenomeni economici. Poi ci sono i corsi e i ricorsi storici e di conseguenza forse la partita non è del tutto chiusa.
Fraterni saluti
Maurizio Giancola

salvatore ha detto...

Chiedo anche io scusa per l'invasione di campo. E' vero, ha ragione Lorenzo Borla: gli interventi di Franco Astengo parlano di redistribuzione, di intervento dello stato sull'economia, di giustizia sociale e di tutte le altre cose che si dicevano. Parlano di socialismo.

E' anche vero che gli interventi di Franco appaiono nostalgici di un bel tempo che fu.....

Quindi possiamo concludere che gli interventi di Franco sono gli interventi di un compagno che indica una rotta da seguire come linee politica per la sinistra e, in aggiunta, fa presente come ci sia stato un momento in cui tali politiche venivano anche perseguite e alcuni risultati si ottenevano.


E' sbagliato pensarla come Franco? Personalmente la scorsa notte ho ascoltato con interesse gli interventi di Bernie Sanders e di Elisabeth Warren alla convention democratica: a parte il sostegno, scontato, alla Clinton, i loro interventi erano intrisi di una critica alla politica sociale e al capitalismo americano che sembravano, né più né meno, le parole di Franco. Se non ci credete, andate ad ascoltarli, in rete si dovrebbero trovare.


Quali conclusioni si possono trarre da tutto ciò? Semplice: tralasciando gli estremisti e i velleitari, tra le persone che fanno politica nella sfera socialista ci sono due categorie di compagni:


1) quelli che gli ideali di giustizia, libertà, solidarietà li hanno ben presenti come punti di riferimento per un agire politico, anche se le condizioni storiche a volta ti sembrano impossibili (ma, come giustamente dice Maurizio Giancola, la storia a volta ha strani ricorsi), e pertanto non rinunciano a denunciare e proporre soluzioni che cambino l'attuale rotta. Per costoro il ricorso al realismo e al pragmatismo si ferma ad appoggiare una Clinton, ponendo però condizioni ben precise al suo programma di governo.


2) quelli che gli ideali suddetti se li sono persi per strada, hanno accettato lo stato di cose come ineluttabile e storicamente immodificabile e, partendo dalla presunzione che comunque essi detengono il primato della moralità come classe politica (un interpretazione invero assai bizzarra della famosa intervista di Berlinguer a Scalfari), arrivano a concludere che qualsiasi nefandezza, se fatta da loro, è sempre il meno peggio dei mali........ salvo, ovviamente, non azzardarsi assolutamente a intervenire con la politica sull'economia, ma limitandosi a parlare di (pur importanti) temi come le unioni civili o la liberalizzazione della cannabis.


Ultima considerazione, a margine, e chiedo scusa per la banalità...... dopo aver percorso insieme ai 5 stelle quasi tre mesi di raccolta firme per il NO, tutte le domeniche ai banchetti dell'ANPI a Broni e Stradella, ed averli conosciuti, non sono più tanto sicuro che una classe dirigente che esprime Orfini, Boschi, Guerini e Serracchiani come propri gioielli sia veramente più onesta e competente di questi "ragazzi" arrabbiati e un tantino confusi, ai quali però riconosco la pulizia d'animo e il giusto anelito per una società più equa e pulita.


Cordialità

felice ha detto...

Aver abbandonato la ricerca per quanto convulsa e contraddittoria di costruire una società più libera, giusta, solidale e eguale ha migliorato le nostre prospettive di vita, i rapporti tra gli Stati, la soluzione di un accesso universale ai beni primari(acqua potabile, istruzione di base e cura delle malattie più diffuse) donvunque si viva). La pace nel mondo è più vicina o più lontana quando l'1% dei più ricchi si arricchisce di più anche in tempi di crisi?. Le domande son semplici, le risposte no, ma le soluzioni non si trovano se neppure si cercano ed è più facile che nascano da una partecipazione più numerosa ed informata dei cittadini, piuttosto che dalla concentrazione del potere in esecutivi sempre più ristretti fino all'uiomo solo al comando.


Felice C. Besostri

alberto ha detto...

Intervengo nel dibattito riportando, paro paro, quanto scriveva Saviano due giorni fa intervenendo nel dibattito sulla legalizzazione della cannabis: “” Se il mondo che viviamo non ci piace, abbiamo davanti a noi due possibilità. La prima è pensare al mondo ideale che vorremmo e quindi percepire come compromissorie tutte le misure intermedie, quelle che intervengono riformando gradualmente, e che siccome non riescono a risolvere il problema immediatamente e nella sua totalità vengono avvertite come inutili. L’identità sarà salva: ma la realtà va in rovina sempre più, allontanandosi dunque irrimediabilmente da quel mondo tanto ideale quanto irraggiungibile. La seconda possibilità che abbiamo è quella di provare a “riformare” la realtà che viviamo: procedendo per tentativi, ragionando, misurandosi con la complessità dei problemi reali.””
Credo che questi siano le due corna del dilemma che travaglia da oltre un ventennio la sinistra di cultura socialista e che la sta rendendo sempre più politicamente irrilevante. Trovare una linea politica di sintesi tra “una purezza ideale” che ci condanna alla irrilevanza e una politica riformatrice senza bussola politica, ridotta al fare per il fare, è ciò che dovremmo provare a mettere in campo.
Un fraterno saluto

roel ha detto...

Con riferimento all'intervento del comp. Salzano mi sia consentita qualche breve riflessione:
- I socialisti in due categorie? E migliaia di compagni che dopo tangentopoli hanno scelto l'astensionismo, cioè "i senza partito" come lo fu Salvemini, comunque fermi nella convinzione del Socialismo libertario e riformista, si danno come inesistenti?
- Il M5S è animato da intenti di cambiamento, è portatore di istanze in gran parte condivisibili ( mi viene in mente il precedente di Bossi contro la "Roma ladrona"), ma molti dei consensi che il Movimento riceve sono "di protesta". Quanto ai suoi componenti, c'è da dire che molti di loro non hanno alle spalle esperienza di militanza politica all'nterno di partiti organizzati che, pur con tutti i difetti e i limiti, nel corso degli anni risultavano formativi in termini di consapevolezza politica .
Es.: Di Maio è incorso in una cantonata nell'assimilare i malati di cancro alle lobby dei potentati politico-economici, e, invece di fare ammenda, magari dicendo che è incorso nella gaffe perchè preso dalla foga del discorso,, offende chi glielo rinfaccia..
Ma a parte ciò,è certo che l'ipotesi del Parlamento e del governo in mano al M5S , pone degli interrogativi e suscita perplessità.
Un saluto, Roel

Maurizio ha detto...

A dire il vero Alberto Ferrari si riferiva alla "sinistra di cultura socialista", non ai 5Stelle che con la prima non mi sembra abbiano nulla a che fare. Parliamo dunque di sinistra socialista o, meglio ancora, di Socialismo e solo di questo. Al riguardo direi che il Socialismo riformista o riformatore - ciascuno scelga l'aggettivo che preferisce - ha nella sua lunga storia riferimenti teorici e politici di ben altro spessore rispetto a Roberto Saviano, che scopre oggi un dilemma che risale alla II Internazionale e che nel 1917 produsse la divisione che tutti ricordiamo o dovremmo ricordare.
Poi è vero che il Socialismo italiano riuscì addirittura nell'impresa di dividersi in tre tronconi, visto che i comunisti di lì venivano, ma questa ormai è memoria storica.
Oggi la situazione è invece radicalmente diversa perché in realtà non solo non si pone più il dilemma, ma non esistono nemmeno più i due corni dello stesso. Crollato il comunismo l'idea stessa di un socialismo rivoluzionario è divenuta improponibile e infatti coloro che insistono nel definirsi comunisti non si capisce bene a che cosa si riferiscano.
Ma la tragedia vera è quella avvenuta nel campo del Socialismo europeo, che dopo le vicende nel 1989 avrebbe potuto e dovuto proporsi come ormai unica alternativa, per quanto graduale e pertanto inevitabilmente di lungo periodo, al capitalismo, di cui Giorgio Ruffolo ha detto che "ha i secoli contati". E' accaduto invece il contrario e l'accettazione acritica e del tutto subalterna del pensiero unico neo-liberista (sia pure con qualche cerotto e taccone) sta conducendo i partiti aderenti al PSE ad un declino mediocre e malinconico. A meno che non si ritengano esponenti del riformismo socialista i componenti del Trio Lescano costituito da Valls, Sanchez e Renzi, che rispetto agli altri due non viene neppure da una storia socialista né si definisce tale. Questa confusione è artatamente alimentata da un sistema mediatico che esalta i tre boys come campioni del progressismo, insieme ad Hillary Clinton, mentre il socialista democratico Sanders ed il laburista non blairiano Corbyn vengono dipinti come populisti, irresponsabili e chi più ne ha più ne metta.
Poi, siccome la politica non tollera i vuoti, nascono Podemos e i 5Stelle (Syriza, comunque la si pensi, è diversa), ma come ho già detto il Socialismo è altra cosa.
Forse i cantori di un riformismo imbelle farebbero bene a leggere o rileggere Carlo Rosselli e si renderebbero conto che il suo Socialismo era sì liberale, ma per nulla moderato.
Fraterni saluti
Maurizio Giancola

salvatore ha detto...

Caro Claudio,
quanto dice Ferrari va chiarito bene, altrimenti rischia di apparire come una di quelle generiche affermazioni su cui si deve essere d'accordo per forza.
Nel mio intervento ho espresso, credevo in modo inequivocabile, un concetto semplice. È stato frainteso, come mi pare di capire dalla risposta di Ferrari.
Allora adesso provo a banalizzare in modo estremo, così da farmi capire anche dai profughi appena sbarcati.
1) esiste ancora una differenza fra destra e sinistra
2) gli ideali socialisti sono all'interno della sinistra e si caratterizzano per alcuni obiettivi che toccano anche la sfera economica
3) i socialisti lottano per i loro obiettivi
4) a volte le forze in campo sono tali che bisogna accontentarsi dei risultati che si ottengono
5) con piccole forze a volte si può fare tanto, altre volte a malapena si riesce a difendere quanto ottenuto in stagioni precedenti. Altre volte si perde.

Pragmatismo vuole che si faccia quel che si può, senza però mai perdere la stella polare: gli ideali socialisti sono sempre il metro di misura per valutare ogni azione, ogni proposta, sia che provenga da noi che da altre forze.
La Costituzione, come ricorda giustamente Luigi Fasce, è anch'essa un ottimo metro di misura per qui principi di cui sopra.

Questo discorso mi vede pienamente d'accordo.

Se invece una forza politica comincia a fare politiche di destra, pur definendosi "di sinistra" , allora i risultati che otterrà saranno inevitabilmente risultati di destra, ed è semplicemente ridicolo rivendicare come dei meriti, come delle conquiste importanti, certe schifezze come la legge sulla buona scuola o il job act, o l'introduzione del pareggio di bilancio in costituzione, o, adesso, la riforma costituzionale.
Quello che contesto al PD è di perseguire politiche di destra, che non toccano minimamente la distribuzione del reddito, al limite fanno qualche proposta radical-chic, come quella sulla cannabis, ma non hanno nulla, proprio nulla, definibile come lontanamente socialista. Quindi gli appelli al buon senso li restituisco al mittente.

Credo che la Storia di questi venti anni parli molto chiaramente, e dice proprio quello che ha, giustamente, detto Felice Besostri: a cosa ha portato abbandonare gli ideali? Alla vittoria della destra liberista e alla nascita dei populismi.

Circa i 5stelle, li dentro c' è di tutto, concordo con te, però adesso stanno difendendo la Costituzione, sulla base di parole d'ordine condivisibili. E questo, per me che mi accontento anche di piccole cose, fa la differenza....

Un caro saluto!

alberto ha detto...

Cari Maurizio e Salvatore, la mia era una risposta”volutamente dubbiosa” e fraterna a quanto scritto da Astengo e ripreso da Salvatore. Ho usato quanto scritto da Saviano perchè mi sembrava una riflessione di carattere generale e chiara tra spirito massimalista e spirito riformatore nel farsi quotidiano della politica. Dilemma, irrisolto che a sinistra, come ricorda Maurizio, risale quantomeno alla II Internazionale ((Kautsky versus Lenin). Per il resto io concludevo che più che rincorrere vecchi o nuovi protagonisti, come i 5 Stelle, forse sarebbe più utile, data la nostra non irrilevante storia di valori e cultura politica (sfido qualsiasi altro pensiero politico ad avere la nostra storia e i nostri valori), forse sarebbe più utile costruire insieme una narrazione, un modo di proporci, che non ci obblighi ancora a continuamente ad oscillare e dividerci tra “ la purezza cristallina” .. e cristallizzata dei valori e una politica chiamata “riformista” quando altro non parrebbe che “il fare per il fare. Come ci richiama correttamente Salvatore i valori ideali sono la misura del nostro agire. A condizione che essi siano utilizzati per valutare non ogni singolo passo ( perchè, per la paura, saremmo, come siamo, alla paralisi) ma la direzione del nostro cammino. I valori sono come il portolano per il navigante a vela. Ma il portolano non può restare sempre chiuso in un cassetto e la barca in porto. Perchè in fine bisogna pure navigare e affrontare il mare aperto con il nostro bagaglio, senza sperare troppo nelle sirene.

Un fraterno saluto