domenica 5 giugno 2016

Franco Astengo: Futuro

UN’AGENDA PER LA RIFLESSIONE CON TENTATIVO DI RISPOSTA PER CLAUDIO BELLAVITA di Franco Astengo Premesso che la categoria deIla politica non può essere affrontata con la logica dei visionari futurologi, da Orwell ad Asimov a Roberto Vacca, il compagno socialista di Torino Claudio Bellavita s’interroga da tempo sulla crisi verticale della capacità dei sistemi politici di rispondere alle nuove esigenze poste dai fattori fondamentali che hanno mutato, prima di tutto, le condizioni e le prospettive stesse di vita a livello globale e di conseguenza dell’agire politico. In particolare, nel testo qui riportato, l’argomentazione riguarda l’incremento demografico e l’utilizzo delle risorse: siamo dunque al “cuore” delle questioni. Senza alcuna pretesa di fornire risposte compiute, anzi senza fornire risposta, provo – in calce alle argomentazioni avanzate dallo stesso compagno Bellavita e a sviluppare sinteticamente i possibili punti di riflessione per un’agenda della sinistra sulla quale le parti più avanzate e consapevoli di questo schieramento potrebbe avviare una discussione approfondita attorno a quei temi che dovrebbero risultare decisivi per l’agenda politica. Nel rapporto tra risorse/produzione/distribuzione della ricchezza non basta più evidentemente richiamare l’applicazione di una sorta di “marxismo piatto” ma si tratta di provvedere ad una rielaborazione complessiva posta sul piano teorico, e di conseguenza, delle relative proiezioni sui diversi livelli del terreno politico. Queste, di seguito, le osservazioni del compagno Bellavita: “...che per millenni è stata contenuta da guerre, carestie, malattie, pestilenze, mancanza di igiene e in cento anni è passata da 2 a 7 miliardi, con un aumento di oltre il 20% della vita media. Forse, il più grosso problema ambientale siamo noi umani... Pensavo a questo all’ottimo festival cinemambiente, mentre guardavo il film sul land grabbing: in Europa ci sono 170 milioni di ettari coltivati, dal 2000 a oggi multinazionali occidentali e società cinesi ne hanno acquistati 200 milioni in Africa, riorganizzandoli da agricoltura di sussistenza a agricoltura intensiva. La produzione è enormemente aumentata, ma non c’è lavoro per tutti quelli che prima ci campavano miseramente sopra. Non ho soluzioni in tasca, ma sono certo che di quella produzione aggiuntiva i 5 miliardi in più ne hanno un gran bisogno.... E comunque direi che sarebbe ora di cominciare a ragionare su cosa far fare a questa enorme popolazione , che oggi si può sfamare, vestire, far abitare e circolare con sempre meno utilizzo di manodopera. E non credo che la soluzione sia di tornare a fare i chiodi a mano, uno per uno... anche se, certo, sarebbero ottimi chiodi ambientalisti” Questi i punti dell’agenda di riflessione che mi permetto di suggerire scusandomi se rispondo con la “politica” o meglio con quelli che ritengo essere i “presupposti della politica”. 1) Il primo punto di discussione riguarda la cosiddetta “fine delle ideologie” imposta da un’ideologia mistificante basata sull’idea della “fine della storia” e del trionfo di un capitalismo senza regole e senza confini (Hayek), solo “gendarme del mondo”. Gendarme del mondo, nella visione di Huntington e Fukuyama, il cui compito residuo sarebbe stato quello di esportare il proprio modello, anche con la forza. E’ naturale che, in questo senso, il passaggio decisivo sia avvenuto in coincidenza con la caduta della logica dei blocchi, allorquando una delle parti è apparsa sicuramente vincente, e nella propaganda comune, vincente per sempre. In quest’affermazione della “fine della storia” risiedeva l’ideologismo più forte, rivelatosi però alla fine fallace quanto gli ideologismi precedenti. 2) In realtà si è proceduto senza analizzare il concreto mutarsi e modificarsi, nella società complessa, delle “fratture sociali” sulle quali si erano basate le grandi spinte ideali, sociali e politiche del ‘900. Sarebbe urgente, ma non è ancora stata tentata, una vera e propria riclassificazione sul piano teorico della teoria “delle fratture” a suo tempo elaborata da Stein Rokkan. E’ evidente che ci troviamo in una fase d’intreccio diverso tra ciò che era stato definito come “struttura” e quanto era stato valutato come “sovrastruttura”. E’ altrettanto evidente però che il “nocciolo duro”, l’essenza delle contraddizioni è rimasto pienamente in campo e deve essere affrontato con un’idea di progetto complessivo a livello sistemico che preveda come la storia proceda in avanti. Sotto quest’aspetto il cammino da compiere è lunghissimo, ma non si può rispondere a un “credo” ideologico dismettendo completamente la tavola dei valori che tradizionalmente ci è appartenuta. Anche perché quella tavola dei valori è ancora completamente valida anche nel XXI secolo e lo è ancor di più rispetto ai tre grandi temi che, intrecciati a quello della mercificazione e dello sfruttamento del lavoro umano, debbono essere affrontati: la guerra come fattore permanente di una crudele instabilità dalla quale derivano i drammi del terrorismo, delle migrazioni, del conflitto endemico tra centro e periferie; l’ambiente . Il tema dell’ambiente deve essere valutato sia sotto l’aspetto del clima, dell’utilizzo indiscriminato delle risorse, di una riproposizione del tema città –campagna a dimensione globale. Tema che ormai sostituisce quello Nord – Sud, in una fase dove assistiamo ad un arretramento del tipo di processo di globalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni e a una crisi – l’ennesima – dei modelli statuali sui quali pareva essersi fondata la risposta possibile. E ancora : la differenza di genere ne suo comportare livelli specifici di sopraffazione all’interno di un quadro generale di esercizio del dominio; 3) L’individualizzazione proprietaria che ha caratterizzato gli ultimi decenni nell’usufruire di un consumismo privo di regole( con l’assunzione di un dato di vera e propria egemonia del valore di scambio rispetto a quello d’uso) collegata con la totale mercificazione dell’apparato tecnologico usato in materia di comunicazione hanno portato a una forte spinta personalistica nell’insieme della proposta politica. Si è così radicalmente modificato il presentarsi, nello sviluppo della vita delle persone, delle occasioni d’impegno politico. Hanno preso campo elementi pressoché sconosciuti alla sinistra oppure storicamente estranei anche sul piano culturale: dall’utilizzo del corpo (biopolitica) alla personalizzazione dei messaggi; al restringimento al campo dell’utilità immediata della capacità d’impegno dei singoli che, soltanto sulla base di quel tipo di utilità, trovano ragione per mettere in discussione sé stessi nell’arena politica. Le stesse lotte sociali, anche molto dure come quelle che si stanno verificando in Francia, non offrono più il terreno di coltura per l’elaborazione di sbocchi politici. Anche questo è un punto di arretramento storico tutto da valutare: quello del tramonto del un collegamento diretto tra lotte di massa e soggettività politica e il ritorno a una logica da “jacquerie”. 4) In sostanza la sinistra, oltre a ripensare a sé stessa deve anche riflettere sui margini concreti di agibilità della democrazia. Sarà soltanto attraverso un recupero pieno dell’idea del “processo politico” che si potranno affrontare di nuovo i temi di fondo della futuro riprendendo per intero i temi dell’equilibrio nell’utilizzo e nella distribuzione delle risorse, della fine dello sfruttamento indiscriminato, della lotta alle disuguaglianze in una logica contraria allo sviluppismo indiscriminato e a una pseudo – crescita senza regole. 5) Sovrasta l’insieme di questi possibili ragionamento l’interrogativo riguardante la democrazia, almeno nella sua forma liberale assunta via via a partire dal costituzionalismo monarchico poi repubblicano, nelle sue diverse versioni. L’Europa ha già vissuto la fase drammatica dei totalitarismi e, adesso, pare mutata anche la stessa prospettiva dei termini classici di assunzione del potere in termini personalistici. Crisi dello stato- nazionale, sovranazionalità e trans nazionalità, queste le frontiere ancora inesplorate del prossimo possibile assetto delle forme di convivenza civile. Nel frattempo appare sempre più evidente la disaffezione di grandi masse alle forme codificate della partecipazione politica, in particolare di quelle elettorali. Disaffezione non colmabile attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione e che rappresenta (nonostante circoli molta sottovalutazione) un possibile fattore di crisi sistemica che qualcuno potrebbe cercare di colmare attraverso forme inedite di potere identificabile come di tipo dittatoriale e comunque esercitato da oligarchie tecnocratiche.

Nessun commento: