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giovedì 9 giugno 2016
Paolo Bagnoli: Il declino del socialismo europeo
Da Critica liberale
il declino del socialismo europeo
paolo bagnoli
Se ci sei batti un colpo, si usa dire. Il socialismo europeo sembra essersene
ricordato; ma non sembra il colpo di un soggetto che c’è e, soprattutto, ci sembra che se
lo stia dando addosso.
Nei giorni scorsi, infatti, abbiamo appreso dalla stampa che sarebbe nato un fronte
socialista su crescita e lavoro in Europa imperniato sul binomio Renzi-Hollande grazie a
un vertice romano che, in quanto tale, si presume sia stato promosso dal capo del governo
italiano.
La notizia, al di là dei risultati che il vertice abbia dato di cui, peraltro, non
conosciamo l’esito, è di quelle che si prestano a qualche considerazione nonché a destare
non pochi stupori. Infatti, al di là delle apparenze, esso non segna alcuna tappa
significativa in una possibile ripresa del socialismo europeo se si considera che l’incontro è
stato promosso da uno che socialista non è anche se il Pd fa parte del Pse che, a dire il
vero, non si sa bene cosa sia, se mai lo si sia saputo nel passato. Una volta serviva a dare
ragione del gruppo parlamentare al Parlamento europeo. Ora non serve più nemmeno a ciò
perché il gruppo è dei democratici – gli italiani, cioè – e dei socialisti eletti nei rispettivi
partiti socialisti dei Paesi aderenti alla Comunità europea. La questione non è solo
nominale perché, se i democratici italiani, si considerassero almeno formalmente parte
della traballante famiglia del socialismo europeo, essi non avrebbero avuto bisogno di
formalizzare una così significa distinzione. Il tutto è sintomo di una crisi profonda e, al
momento, senza spiragli credibili di ripresa, del socialismo continentale, sempre più
marginalizzato e sempre meno interpretante il ruolo che gli dovrebbe spettare; quello
proprio del socialismo da quando è nato: rappresentare un’alternativa al capitalismo, tanto
più a questo tipo di capitalismo esclusivamente basato sulla rendita finanziaria. Il
socialismo, infatti, si va via via marginalizzando come dimostrano anche le recenti
elezioni austriache. Il problema non risiede nel fatto che, al momento, sulla scena politica
mancano dei grandi leader socialisti capaci di rappresentare momenti di aggregazione e di
indirizzo; di essere, cioè, dei punti di riferimento cui guardare con senso di identità quali
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sono stati, per esempio, Willy Brandt e Francois Mitterrand. Lo stesso non si può dire per
Tony Blair il quale, benché abbia dominato la scena inglese dal 1997 al 2007 più che unire
principi liberali e socialisti ha, praticamente, camminato lungo la strada tracciata dalla
lady di ferro. Il suo non è stato certo un “socialismo liberale”, ma solo una blanda
socializzazione delle politiche dei governi conservatori. Un ibrido che non aveva niente a
che fare con la rappresentanza, e relative istanze, del laburismo storico il quale, infatti, ha
reagito portando Jeremy Corbin alla leadership del partito. Su Corbin vengono dette tante
cose negative, ma la sua elezione ha il senso chiaro di una forza che ha voluto
riappropriarsi della propria storia e uscire dall’incantesimo di quello che potremmo
definire il “socialismo di centro” o, con definizione a noi usuale, di “centro-sinistra” come
ha teorizzato, ma anche poi rimangiato un po’ a fronte dei risultati conseguiti, lord
Anthony Giddens. In compenso a Roma c’era il primo ministro greco Alexis Tsipras che, in
termini se pur diversi da Renzi, non può dirsi socialista. La sua presenza è facilmente
giustificabile: per non criticare la cancelliera Merkel, si espone colui che al meglio ne
esprime l’antitesi. Proprio un bell’esempio di coraggio politico nonché di serietà morale.
Si è trattato di una riunione del socialismo dell’Europa meridionale secondo un
modello inventato dal presidente Hollande che volle il primo di questi vertici a Parigi il 12
marzo scorso. Al di là delle incongruenze intime, come si accennava prima, tali occasioni
servono soprattutto per fare delle photos opportunity che non per costruire politica. Le
parole sono sempre le stesse: crescita e guerra alla disoccupazione. Vanno benissimo, ma
chi, anche se non si dice socialista, può essere contrario? E tutto il resto? Cosa propone il
“socialismo europeo” sulla questione dei migranti nei cui confronti, per esempio, francesi e
austriaci sono ben divisi da italiani e greci? Il tema, in effetti, è stato cancellato; non
proprio il massimo della serietà.
Sembra che Hollande e Renzi,dopo il referendum inglese, vogliano lanciare un
manifesto dallo spessore concreto che ponga questioni precise alle istituzioni europee.
Ecco perché al summit non mancavano Martin Schulz, Federica Mogherini e Pierre
Moscovici. Non vorremmo apparire come i signori “pel nell’uovo”, ma di questo modo – si
far per dire – di fare politica non se ne capisce il senso. Ammettiamo che il Pse voglia
battere sui temi della crescita e della lotta alla disoccupazione come è possibile che essi
abbiano valenza concreta fuori da un contesto complessivo nel quale risultino declinati
dalle intenzioni identitarie e di ruolo politico del socialismo? E come si fa a ritenere che
quello europeo possa prescindere dal laburismo? Tutto ci sembra immeschinito in un
tatticismo preoccupato, soprattutto, di avere un paracadute da parte dei francesi e dei
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tedeschi in vista del 2017 che, probabilmente, passerà alla storia come l’anno di storiche
sconfitte.
Aggiungiamo che, al di là delle apparenze e dei nominalismi, tali iniziative
accelerano la cancellazione delle ragioni del socialismo inventando una specie di blayrismo
di ritorno giustificato da un generico progressismo dopo il fallimento delle politiche di
austerità. Paradossalmente, quindi, non una svolta di attacco, bensì una stabilizzazione
moderata che lascia in soffitta il socialismo e i suoi motivi.
Spiegare le ragioni di tale accelerato declino e trasfigurazione culturale, sarebbe
lungo; resta da osservare che dopo l’oscuramento del liberalismo – ma il discorso si pone
in termini del tutto diversi poiché il liberalismo, al di là dei partiti che vi si ispirano nel
nome, investe un campo di ordine più generale - siamo di fronte a un ulteriore
impoverimento della nostra democrazia che, senza liberalismo perde i principi; senza
socialismo perde il soggetto promotore della giustizia sociale.
Il socialismo europeo dopo Francois Mitterrand, Willy Brandt, Olof Palme, Felipe
Gonzales, Mario Soares, Bruno Kreisky, Andreas Papandreu, e pure Tony Blair, archivia se
stesso e nell’uadi che lascia troviamo Matteo Renzi, Francois Hollande e Alexis Tsipras a
dare l’appoggio esterno.
Non crediamo che il socialismo morirà definitivamente; la sua idea vivrà e un
giorno ritornerà a essere protagonista; oggi vive, tristemente, una fase di tramonto che
tutto lascia intravedere essere molto lungo.
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