martedì 28 gennaio 2014

Stefano Rodotà: I paletti della Costituzione

I paletti della Costituzione Il testo della nuova legge elettorale non rispetta la più importante delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale, quella riguardante le forzature maggioritarie che svuotano di significato la rappresentanza Lo leggo dopo _____ di STEFANO RODOTA' Poiché si è voluto definirla una “svolta storica”, la vicenda della nuova legge elettorale e di alcune riforme costituzionali non dovrebbe essere soggetta a diktat, chiusa nel campo ristretto di una politica che non sembra disponibile a misurarsi con tutte le implicazioni di scelte particolarmente impegnative. Si corrono così tutti i rischi legati all’inadeguatezza di testi frettolosamente confezionati e ancor più frettolosamente adottati. Ma vi è pure una sorta di ironia delle cose politico-istituzionali, che ha trasformato un aggressivo “rottamatore” in un prudente “restauratore” di uno degli assi portanti di un sistema di cui pure aveva denunciato tutti i limiti. Questo è un risultato politico ormai acquisito, e che non può essere sottovalutato, quale che sia l’esito finale del processo di riforma. Dalle parti più diverse, e con argomenti che non possono essere ignorati, si è soprattutto messo in evidenza come il testo della nuova legge elettorale, già all’esame della Camera dei deputati, non rispetti la più importante delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale — quella riguardante le forzature maggioritarie che svuotano di significato la rappresentanza, dunque la stessa democrazia parlamentare. È preoccupante, allora, che non venga affrontata con la dovuta serietà e consapevolezza una questione che è della massima rilevanza politica. Sembra quasi che, spinti dal bisogno di ottenere comunque un risultato in tempi brevi, si sia deciso di correre un pericolosissimo azzardo costituzionale. Che cosa accadrebbe, infatti, se una legge elettorale freschissima di approvazione dovesse, come la precedente, essere portata davanti alla Corte costituzionale per un suo contrasto proprio con quanto i giudici della Consulta hanno appena stabilito? Non sfugge a nessuno la gravità della situazione che si determinerebbe, con effetto immediato di delegittimazione del nuovo sistema elettorale, mentre proprio l’accento mille volte posto sulla “stabilità” ha qui una più profonda ragion d’essere. Abbiamo bisogno di una legge elettorale davvero “blindata” di fronte ai rischi della incostituzionalità, come passaggio indispensabile per la stabilità complessiva del sistema e per il recupero della fiducia dei cittadini. Ben consapevoli di questo rischio, di cui tutti dovrebbero seriamente preoccuparsi, un gruppo di giuristi ha prospettato l’eventualità di un intervento del Presidente della Repubblica, non nella forma di una indiretta “moral suasion”, ma attraverso un rinvio alle Camere di una legge fortemente sospetta di incostituzionalità. Siamo ormai giunti ad un punto di fragilità del sistema nel suo insieme per cui ogni uso congiunturale delle istituzioni, ogni loro manipolazione con l’ottica del brevissimo periodo, può avviare una spirale distruttiva. Al di là dei conflitti intorno a singole questioni, e delle ricorrenti strumentalizzazioni, vi è dunque un nodo politico che deve essere sciolto. Non riprodurrò qui tutti gli specifici argomenti che danno solido fondamento alla critica del testo sanzionato dall’accordo tra Berlusconi e Renzi, alcuni dei quali hanno una così forte evidenza da far sospettare che, scrivendo quel testo, si sia voluto tenere sullo sfondo la sentenza della Corte costituzionale, per inadeguatezza di lettura o per deliberata intenzione di non attribuire a questa decisione tutto il peso che le spetta nella definizione della politica costituzionale. Si manifesta così una inquietante idea di “autonomia del politico”, di una discrezionalità legislativa sciolta da ogni vincolo, che contrasta in radice con il punto fondamentale della decisione della Corte dove si stabilisce che nel nostro sistema non vi sono zone franche, sottratte al controllo di costituzionalità. Questa forma di controllo è inseparabile dal costituzionalismo democratico e, invece di stimolare spiriti di rivincita o occasioni di conflitto, dovrebbe indurre a quella “leale collaborazione” tra le istituzioni mancata in questi anni e che rappresenta una delle cause della crisi che stiamo vivendo. Ma, proprio nel momento in cui la politica sembra voler sprigionare la sua forza residua, manifesta una volta di più le sue debolezze. Non si può certo negare che l’inadeguatezza degli strumenti istituzionali abbia contribuito ad impoverire la politica o a distorcerla deliberatamente. L’esempio più clamoroso è sicuramente la legge elettorale appena dichiarata incostituzionale, approvata con l’esplicito obiettivo di azzoppare la coalizione guidata da Romano Prodi (e che l’opposizione, colpevolmente, non contrastò in maniera adeguata). Ma oggi si racconta una storia che non ha alcun riscontro nei fatti, enfatizzando la necessità di far sì che, come accadrebbe negli altri paesi, la sera stessa delle elezioni si conoscerebbe il nome di un vincitore, libero da ogni ipotesi di larghe intese e destinato poi a governare senza inciampi nei cinque anni successivi. Favole istituzionali, come dimostrano l’esempio tedesco, con le sue larghissime intese e i due mesi di negoziato sul comune programma di governo; l’esempio inglese, che proprio in occasione delle ultime elezioni vedeva possibile una coalizione diversa da quella che ha dato vita all’attuale governo; quello francese, con la possibile coabitazione tra maggioranze diverse, una che investe il Presidente della Repubblica e un’altra che compone l’Assemblea nazionale; lo stesso caso degli Stati Uniti, dove il potere presidenziale non si traduce nella possibilità di andare avanti senza problemi nel corso del suo mandato, come dimostra il conflitto duro con il Congresso che ha radicalmente ostacolato significative iniziative di Obama e ha condizionato pesantemente l’approvazione del bilancio. In quei paesi non ci si rifugia dietro presunte inadeguatezze delle istituzioni, perché si è ben consapevoli che vi sono questioni che possono e debbono essere risolte con la forza e la responsabilità della politica. Se non si torna alla consapevolezza dei doveri della politica, anche alcune necessarie riforme costituzionali finiranno nel nostro paese con l’essere inefficaci. O seconderanno derive pericolose, come quelle legate alla convinzione che solo la concentrazione del potere può farci uscire dalle difficoltà presenti. Vi sono segni premonitori che non possono essere trascurati. Il passaggio ad una democrazia d’investitura, quella appunto riassunta nello slogan “la sera delle elezioni conosceremo nome del Presidente del consiglio e composizione della maggioranza”, incide sulla posizione del Presidente della Repubblica e getta un’ombra sul ruolo del Parlamento, depurato dal bicameralismo perfetto in forme di cui ancora non conosciamo i dettagli, ma pure funzionalizzato in maniera prevalente alla attuazione del programma ministeriale. Dopo aver dovuto riconoscere che una serie di pretese di revisione costituzionale erano divenute improponibili, alla fine di questo nuovo iter riformatore scopriremo che il cammino è stato ripreso proprio in questa direzione, con una sostanziale modifica della stessa forma di governo?

1 commento:

Felice ha detto...

Apprezzo la conversione di Rodotà sull'importanza di un'azione giudiziaria,
della quale bo era pienamente convinto. La sentenza sella Corte Costituzionale
va letta con attenzione. La Consulta ha fatto un'importante distinzione tra
rappresentanza e governabilità. La prima è un bene costituzionalmente protetto,
mentre la seconda è un obiettivo costituzionalmente legittimo, quindi non si
deve mai parlare di una ponderazione o bilanciamento tra due beni
costituzionali allo steso livello, come la libertà di movimento e la salute
quando limito la prima per evitare epidemie. La rappresentanza può essere
limitata a lo stretto necessario ed indispensabile. La Corte non ha
costituzionalizzato un sistema elettorale proporzionale, cui va la mia
preferenza, ma ha detto che se scegli un modello proporzionale, anche parziale,
devi essere coerente: cioè l'uguaglianza di voto va verificata anche in uscita.
Se non ti va adotta un sistema maggioritario. Collegi uninominali con o senza
ballottaggio sono conformi a Costituzione ho sostenuto in Corte Costituzionale.
Il punto è che i nostri capi o padroni di partito non vogliono un sistema
maggioritario perché in quei sistemi chi conquista la maggioranza ce l'ha o
quasi( Gran Bretagna). In un sistema maggioritario se sbagli candidato puoi
pagarla cara non c'è premio di maggioranza o liste bloccare o soglie di
accesso. Il risultato è una libera competizione: al più si chiede un deposito
da incamerare per quelle candidature che si rivelino pretestuose o emulative.
Vince chi ha più seggi, sempre che siano la maggioranza dei seggi parlamentari.
Questo non è tollerabile dai nostri capataz: devi saperlo alla sera delle
elezioni chi vincerà. C'è un solo modo per saperlo: truccare le elezioni
affinché vinca uno dei due, che si son messi d'accordo. Che gente strana, non
possono governare insieme, ma insieme decidere di cambiare la Costituzione e di
decidere a tavolino chi ha diritto di entrare nel Parlamento: un campionato di
calcio con 2 sole squadre Una terza squadra può partecipare, ma quando gioca
deve affrontare contemporaneamente le due squadre capolista e segnare più reti
alle due complessivamente superiori a quelle che subisce: anche col pareggio è
fuori.


Felice C. Besostri