lunedì 6 gennaio 2014

Franco Astengo: OBIEZIONI ALLA FACILE STRATEGIA IN MATERIA ELETTORALE DI MATTEO RENZI

OBIEZIONI ALLA FACILE STRATEGIA IN MATERIA ELETTORALE DI MATTEO RENZI, CONSIDERATA UN CLASSICO ESEMPIO DI “INCULTURA POLITICA” dal blog: http://sinitrainparlamento.blogspot.it Il neo-segretario del PD e Sindaco di Firenze va proclamando in giro la possibilità di elaborare una nuova legge elettorale che sostituisca nel giro di una settimana quella famigerata del 2005 , le cui parti più importanti sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale. Una trovata propagandistica che non dovrebbe sortire effetto alcuna ma che denota, prima di tutto, il persistere di un dato di assoluta incultura politica che, del resto, ha contrassegnato anche gli elaboratori della legge vigente già citata. Appare assente, infatti, in una circostanza così delicata, stilando i termini concreti di una legge dalla quale dipende una parte fondamentale della qualità di vita della democrazia, una visione sistematica, di lungo periodo, come fu nella scelta compiuta in sede di Assemblea Costituente in favore del sistema proporzionale che resse il sistema politico italiano dal 1948 al 1992. Ci si continua a muovere sul contingente, ponendo obiettivi di corto respiro, di vantaggio per le forze politiche esistenti nella logica del “partito di cartello”, senza nemmeno verificare, come si vedrà meglio in seguito, la realtà concreta del quadro politico di fase. Inoltre, come hanno già fatto notare autorevoli politologi e costituzionalisti, le tre proposte di marca renziana (non si può dire che appartengano al PD, in quanto questo partito aveva già avanzato una propria proposta ufficiale relativa al doppio turno di collegio) sono state tirate fuori come conigli dal cappello del prestigiatore in anticipo all’uscita delle motivazioni con le quali, nello scorso Dicembre, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime parti fondamentali della legge elettorale vigente, in particolare rispetto alle questioni del premio di maggioranza e delle liste bloccate. Comunque sia, ecco di seguito un sunto del tutto schematico delle tre proposte in questione:-. MODELLO SPAGNOLO: La prima proposta di Matteo Renzi, ricalca la norma in vigore nel paese iberico. Stando a questa proposta l'Italia sarebbe divisa in 118 circoscrizioni che ciascuna eleggerebbero 4 o 5 deputati. A questo poi si aggiungerebbe un premio di maggioranza del 15%, cioè di poco meno di 100 seggi per la lista che ottiene la maggioranza relativa. Presente una soglia di sbarramento fissata al 5%. - MATTARELLUM "corretto" Si ritornerebbe, in base a questa seconda proposta, ai collegi uninominali, 475 in tutto il paese. I posti restanti, pari al 25% del totale, verrebbero suddivisi come premio di maggioranza (per chi vince) e cosiddetto "diritto di tribuna" (per gli altri partiti). Ai vincitori andrebbe il 15% dei seggi, agli altri il 10%. - MODELLO dei SINDACI Si tratta della legge tuttora in vigore che prevede il doppio turno di coalizione. Alla lista vincente spetta il 60% dei seggi mentre il 40% restante viene diviso con il proporzionale tra le altre liste. La soglia di sbarramento è fissata al 5%. Le obiezioni immediate a queste tre proposte riguardano, prima di tutto, per quel che concerne il modello spagnolo e quello misto proporzionale/maggioritario definito “mattarellum” sia l’assenza di una soglia minima da raggiungere per ottenere il premio di maggioranza, sia le liste bloccate: insomma non si assolverebbero le indicazioni della Consulta, quelle che hanno portato alla bocciatura della legge vigente. Rispetto al modello cosiddetto “dei Sindaci” esso necessita, per essere adottato, di una modifica costituzionale (altro che una settimana!) ed anche rispetto alla questione del premio di maggioranza rimane tutto da vedere, in quanto per l’accesso al ballottaggio non è prevista alcuna soglia da raggiungere e rimane concreto il rischio di vedere soggetti che, al primo turno, raggiungono il 20% acquisire poi il 60% dei seggi alla Camera (il Senato anche qui non è più contemplato perché dovrebbe essere composto esclusivamente da Consiglieri regionali e amministratori locali su designazione dei rispettivi Enti), Fin qui le obiezioni più semplici sul piano più strettamente, per così dire, “tecnico”. L’obiezione più consistente riguarda, però, il piano politico. La filosofia che accompagna queste proposte è esclusivamente rivolta all’idea della “governabilità” e della “riduzione del rapporto tra società e politica” in un quadro – davvero – di pressapochistica semplificazione. All’insegna della boutade “alla sera delle elezioni si deve sapere subito chi ha vinto” (una stupidaggine che ha accompagnato anche la logica fin qui perseguita dal PD in materia elettorale) si fa finta di dimenticare completamente il tema della “rappresentatività politica”. Un tema fondamentale per il funzionamento della democrazia, un tema considerato ineludibile se si legge attentamente la Costituzione Repubblicana che definisce nella sostanza dell’accezione togliattiana ben condivisa in sede di Assemblea Costituente da Basso e Dossetti il Parlamento quale “specchio del Paese”. Attraverso queste proposte la strategia renziana mira a esaltare quella che è stata nel corso di questi anni la strategia della “Costituzione materiale” fondata sul personalismo e la realizzazione dell’antico “decisionismo” di marca craxiana, poi portato avanti da Berlusconi e perfezionato nel corso dell’esercizio del mandato di Presidente della Repubblica da Giorgio Napolitano. Inoltre, e questo elemento risalta particoalrmente nelle dichiarazioni rilasciate da componenti dello “staff” del Sindaco di Firenze e segretario del PD, si intende preservare il “bipolarismo”: anche questa è una clamorosa presa in giro, in quanto non c’è proprio da preservare niente: i il bipolarismo, infatti, è stato completamente superato dall’esito elettorale del 24 Febbraio 2013. Come pensano questi fautori della conservazione dell’inesistente bipolarismo di coartare e rendere inefficace sul piano della distribuzione dei seggi il voto al Movimento 5 Stelle? Quale marchingegno potrà essere inventato per ridurre ancora di più il nostro tasso di democrazia elettorale? In una fase come questa, sospesa tra la costituzione di nuove forze politiche e l’eterna “transizione italiana” avviata dagli anni’90 del XX secolo e non ancora conclusa è evidente come il sistema elettorale proporzionale, mutuato sul modello che resse il sistema politico dalla Costituente a Tangentopoli, apparirebbe come la soluzione più saggia sul piano proprio della visione sistemica. Si svilupperà in altra sede la storia di quella fase in relazione al sistema elettorale: un recupero di memoria che potrà essere utile al fine di smentire tanti luoghi comuni che sono venuti avanti nel corso degli anni, al fine di favorire soprattutto lo svuotamento di contenuti nelle forze politiche per produrre fenomeni negativi primo fra tutti la personalizzazione della politica: oggi riscoperta, fuori tempo e in una dimensione del tutto esasperata proprio dal PD. Un’annotazione conclusiva sul bicameralismo e la riduzione del numero dei Parlamentari: al riguardo del bicameralismo (il cui superamento è questione in ballo da molto tempo, se pensiamo ad analisi ed elaborazioni sviluppate dal Centro di Riforma dello Stato diretto da Pietro Ingrao fin dagli anni’70) non è possibile porvi mano se non precedendo qualsiasi proposta da un’analisi dei compiti e delle funzioni. Ridurre in precedenza di una proposta di merito sui contenuti la seconda camera come elettiva di secondo grado rischierebbe di creare un pericoloso vuoto istituzionale. In ogni caso rimane necessaria una modifica costituzionale: come interpretare diversamente, infatti, il passaggio “Il Senato è eletto su base regionale”. Eletto significa abbisognevole di un meccanismo di elezione e non può certamente essere considerato costituzionale, ad esempio, una sorta di “nomina” che comprenda d’ufficio i Presidenti di Regione. Per quel che concerne il numero dei parlamentari, si tenga ben conto che il problema dei cosiddetti “costi della politica” è ben altro :si pensi al tema della Regioni, vero “buco nero” sotto tutti gli aspetti al riguardo di questa tematica, in particolare da quando si è passati all’elezione diretta dei Presidenti e sull’inconsulta spinta leghista alla regionalizzazione di sanità e trasporti: il vero disastro questo della recente storia italiana. Il numero dei parlamentari deve essere adeguato alle esigenze di rappresentatività politica e di rappresentatività territoriale: proclamazioni propagandistiche, in questo senso, sono inaccettabili senza conoscere la divisione territoriale dell’assegnazione dei seggi (il disegno delle circoscrizioni e dei collegi costituisce il punto politicamente più delicato nella stesura di ogni legge elettorale) e la “formula” elettorale vera e propria. Insomma: una strategia quella renziana figlia dei tempi della propaganda facile, che cerca di accarezzare il vento dell’antipolitica ma che può ben essere giudicata, prima di tutto, frutto dell’incultura politica che appare come fattore dominante della vita pubblica italiana di questi anni. A meno che l’obiettivo vero sia quello di superare la Repubblica e tornare alla Monarchia, facendo incoronare il nuovo Re da una ristretta cerchia di “grandi elettori” scelti con un sistema comunque escludente il dibattito politico, le minoranze e al quale sarebbero ammessi soltanto i contraenti delle “larghe intese”. Una legge elettorale come una sorta di colpo di stato, insomma. Franco Astengo

9 commenti:

Felice ha detto...

incoltura o mancanza di collegamento?

Se si aboliscono le province in primo luogo quelle picole il sistema spagnolo non è applicabile. La solita incoerenza come per l'accopamento di Comuni: si vuole che si accorpino e poi si riduce il numro dei consiglieri e si adotta un sistema maggoritario. Piccoli comuni che si aggreghino con uno superiore ai 5.000 abitanti non eleggerebbero pi nessuno: un bel disencentivo. Senza l'attuazione dell'art. 49 Cost non c'è legge elettorale che funzioni. Le candidature in Italia a differenza della Francia e della Germania sono decise da un pugno di persone pochi giorni prima della chiusura del termine per il deposito delle liste. Nessun controllo specialmente per le candidature di coalizioni elettorali. Come ha detto il più grande politologo di tutti i tempi M. de la Palisse: "Se uno non è candidato non può essere eletto, quale che sia il sistema elettorale". Le rabbiose reazioni alla decisione della Consulta non sono per il premio di maggioranza ma per il no alle liste bloccate: il potere vero dei leader di partito




Felice C. Besostri

Pierpaolo ha detto...

Riflessioni di mezzanotte, scritte di getto dopo aver letto la mail di Felice.

La cosa che trovo sconcertante è che le preferenze sarebbero ancora il sistema migliore per individuare candidati che possano rappresentare istanze, interessi e visioni di parti ben precise di una società che abbiamo imparato a riconoscere come liquida e totalmente disarticolata.
Viceversa il collegio territoriale uninominale (e poco importa che sia un uninominale secco, o un sistema come quello delle Provinciali o del Senato nella Prima Repubblica) assegna ad una sola persona il mandato di rappresentare unitariamente una realtà sociale ed economica eterogenea e frammentata. Un parlamentare eletto dovrebbe essere al tempo stesso il rappresentante dei precari e degli imprenditori, dei ricercatori e degli startuppari come dei commercianti o dei pensionati.
Anche considerando che una forza politica, comunque, rappresenta solo una parte della società (ma se si va verso un sistema cartellizzato, bi o tripolare che sia, questo non sarà più vero) si tratterebbe di un compito immane. Soprattutto per personaggi cooptati in nome della rottamazione, o del rinnovamento generazionale e di genere.

Comunque hai ragione, quello che le segreterie dei partiti odiano mortalmente sono le preferenze...

Pierpaolo Pecchiari

Felice ha detto...

In assenza di una legge sui partiti pilitici la preferenza resta pur con i suoi limiti l'unico sistema di scelta. Nel collegio uninominale cosa cambia rispetto alle liste bloccate? Vi ricordate Di Pietro e il Mugello? O il mio caso di essere eletto nel 1996 perché il mio collegio non lo voleva nessuno perché "perdente": qualche imprevisto succede ogni tanto. Come insegnava M. de la Palisse, il più ogrande politologo di tutti i tempi: " Chi non è candidato non può essere eletto, con qualsiasi sistema elettorale" : continuo a fare questa "fake quotation" finchè non entra nel cranio di tutti. Chi discute di sistema maggioritario uninominale a un turno secco o con ballottaggio o di soglie di accesso sensa chiedere una previa attuazione dell'art.49 Cost. è un incompetente o in malafede. Ovvero vuol lasciare 50/100 persone a scegliere 945 parlamentari: li vogliono ridurre per fare meno fatica ovvero per poterli meglio controllare. Le primarie fai da te senza platea congressuale predeterminata e senza controllo delle spese sono peggio delle preferenze: non credo alle spese dichiarate dalle ultime primarie per la segreteria. Poi quando il linguaggio è sbagliato ne discendono errori: non sono primarie le elezioni a una carica di partito! Si chiamano primarie per far credere che il popolo scelga i propri dirigenti. !






Felice C. Besostri

maurizio ha detto...

Felice ha perfettamente ragione. Che senso ha, infatti, disquisire di questo o di quell'altro sistema elettorale finché i nostri partiti restano delle oligarchie in cui gli iscritti nulla contano, salvo rimbecillirli, là dove non c'è il leader padrone, con la retorica bolsa e fasulla delle primarie? Diamo attuazione all'art. 49 Costituzione e poi parliamo di tutto il resto, magari guardando ai diversi sistemi elettorali vigenti in Europa con ottica meno superficiale. Però prima bisogna liberarsi del mantra idiota e trasversale secondo cui la sera delle elezioni bisogna sapere chi governerà. Era così sempre in Inghilterra (uninominale maggioritario a un turno) e quasi sempre in Germania (proporzionale corretto), ora non più ma per ragioni esclusivamente politiche, non di altra natura. In Spagna funziona ancora, finché dura, ma solo perché ci sono due giganti politici circondati da nani e nanerottoli. Questa è la verità e chi non vuole vederla o lo è o lo fa. Altrimenti si abbia il coraggio di dire che il modello di riferimento sono gli USA dove però, come in Francia, è possibile avere un Presidente di un orientamento e le assemblee rappresentative dell'orientamento contrario.

lorenzo ha detto...

Ma allora sono imbecilli o in malafede qualche centinaio di milioni di elettori in giro per il mondo che votano con il sistema uninominale; e quelli che hanno un minor numero di parlamentari in rapporto alla popolazione (in Usa cento senatori per 320 milioni di abitanti: per controllarli meglio?). Certo che la scelta dei candidati per i collegi uninominali dipende dai vertici dei partiti! Ma anche le liste dei candidati fra i quali scegliere con preferenza, e dove vengono presentati. Siamo alle solite: se privilegiare la rappresentatività o la governabilità. In termini di governabilità finora è andata maluccio.

Cordialmente.

Lorenzo Borla

Franco ha detto...

Decisamente per la rappresentatività che non esclude la governabilità. Nei cinquant'anni di proporzionale abbiamo avuto sostanzialemente tre formule di governo (altre due "di passaggio"): centrismo, centrosinistra, pentapartito ed è questo il dato che conta al di là delle composizioni ministeriali. La vera questione è stato il blocco del sistema politico per via della "coinventio ad excludendum". E non c'era nemmeno un numero cosè travolgente di partiti, almeno fino all'87 (quando l'esplosione del localismo e delle contraddizioni post-materialiste portarono ad una frantumazione del sistema che era già in atto in precedenza a Maastricht, la caduta del muro e Tangentopoli). Vogliamo ricordarli? Un partito alla sinistra del PCI dal '68 in avanti (PSIUP,PdUP,DP), PCI, PSI, PSDI, PRI, DC, PLI,MSI (monarchici fino al'72) e le rappresentanze localistiche di SVP, Val d'Aosta. Dal '76 i radicali, Adesso quanti sono? IL tema prioritario è quello della qualità del sistema politico. Del resto l'uninominale bipartitico è andato in crisi in Gran Bretagna e la formula dominante in Europa (oggi c'è una interessante cartina esplicativa pubblicata dal Corriere della Sera) è quella delle "larghe intese", non del bipolarismo e dell'alternanza. Franco Astengo

Pierpaolo ha detto...

Nei paesi civili tra quelli in cui il sistema prevede un uninominale secco su collegi, normalmente si hanno sistemi bipartitici (cosa di difficile realizzazione in Italia, negli ultimi vent'anni ci si è provato con forzature ignobili proprio sulla legge elettorale, ma con scarsissimo successo), ma soprattutto ci sono primarie di collegio VERE. Che sono cosa ben diversa dal mercato di tappeti che è stata la spartizione, con bilancino del farmacista, dei collegi vincenti, "ballerini" e perdenti tra le forze della medesima coalizione, con trattative estenuanti a livello locale e - visto che noi Italiani, quando le cose vanno male, risolviamo chiamando "lo straniero" - con interventi pesantissimi da parte delle segreterie nazionali.

Morale della favola: se si vuole l'uninominale all'inglese o all'americana si importi quel sistema in blocco, non prendendo solo la parte che fa comodo a quanti mirano ad avere in Parlamento dei peones, equivalenti dei carriarmatini del Risiko.

Si dia corso al dettato costituzionale, trasformando i partiti in qualcosa di diverso da quella specie di sfuggente fantasma giuridico che sono oggi. Senza questo, qualunque discussione è superflua.

PpP

Lorenzo ha detto...

- E’ vero, non ha senso disquisire di questo o quel sistema elettorale, nella misura in cui la nostra discussione nel mondo reale conta zero. Qui facciamo solo dell’accademia (o come minimo “discussioni informate”). Tutti i partiti in tutto il mondo sono oligarchie. Diceva Norberto Bobbio: . Quanto al guardarci intorno in Europa mi pare non si stia facendo altro da anni. Io sono per il sistema a doppio turno di collegio della Francia. Questa opinione ovviamente non conta nulla, ma vale per la giustificazione: preferisco cedere un poco di rappresentatività che si avrebbe con le preferenze (sui nomi decisi dalle oligarchie) per poter scegliere fra due contendenti finali, e avere una maggiore governabilità.

- Ho posto il problema del neoliberismo in Italia (non in possibili termini utilitari che non ci sono, ma sempre accademici) perché mi sembra che il termine venga usato troppo spesso come (visto che ci siamo) un mantra sbrigativo e superficiale. Quando invece diversi interventi, da Besostri in poi, ne indicano la complessità, fino a quella che mi pare una buona sintesi: . Ovvero, abbiamo sposato un neoliberismo corporativo e dunque anche statalista.

- Quanto al numero degli impiegati pubblici teniamo presente che della spesa pubblica annua di 800 milioni, tolti gli interessi, almeno l’80% serve a pagare prestazioni alle persone (acquisti di materiali da fornitori, e soprattutto investimenti, sono la parte assai minore). Certo, lo si è sempre fatto. . La novità è che oggi i soldi non bastano più.

Cordialmente. Lorenzo Borla

Felice ha detto...

La rappresentatività l'abbiamo ridotta e la governabilità non è migliorata. Perché non ci si interroga su questo? Oltre che i sistemi elettorali bisogna importare anche gli elettori o meglio detto il loro modo di pensare: è impossibile!






Felice C. Besostri