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domenica 2 dicembre 2012
Renzo Penna: I cambiamenti climatici e i tempi della politica
I CAMBIAMENTI CLIMATICI E I TEMPI DELLA POLITICA
di Renzo Penna
Solo negli ultimi giorni la devastante tromba d’aria - un vero “tornado” che si è abbattuto su Taranto e lo stabilimento dell’Ilva - e la intensa precipitazione, una “bomba d’acqua” secondo gli esperti, che ha investito Firenze e causato allagamenti costringendo il sindaco ad interrompere la sua corsa alle “primarie” del centro sinistra, ci dicono con cruda evidenza che le conseguenze dei cambiamenti climatici in atto interessano l’intera area del mediterraneo e coinvolgono, in particolare, anche il nostro Paese.
Quello che sorprende, di fronte al ripetersi e all’intensificarsi di questi fenomeni è, in generale, il ritardo della politica e, soprattutto, l’assordante silenzio dei governi, ad iniziare dal nostro. Quasi che sia ancora possibile considerare il tema come “marginale”, in ossequio ad un pensiero economicista e scientista chiaramente condizionato dagli interessi e dalle lobby collegate allo sfruttamento e all’impiego dei combustibili fossili.
Interessi ancora molto forti ed influenti se Barack Obama ha dovuto attendere di essere rieletto presidente perché a Washington si tornasse a discutere sui rischi e gli effetti dell’innalzamento delle temperature e sull’urgenza di promuovere un cambiamento in campo energetico, per contenere l’effetto serra e ridurre le emissioni di CO2 che alterano il clima.
Ma se i governi e i vertici dell’Onu non sono riusciti sin qui a decidere interventi efficaci una nuova sensibilità sembra farsi strada dal basso fra i cittadini. Negli Stati Uniti, ad esempio, 4 dei 5 candidati repubblicani che avevano fatto campagna elettorale negando l’esistenza del cambiamento climatico non sono stati eletti e nel mondo numerose sono le città che stanno adottando misure e definendo obiettivi più severi per la riduzione delle emissioni inquinanti. Chicago ha in corso un progetto per eliminare l’asfalto da un quarto delle sue strade, trasformandole in viali alberati con una pavimentazione permeabile all’acqua; Stuttgard ha modellato la sua pianificazione urbana per mitigare l’isola di calore che si forma sulla città; Seul ha smantellato l’autostrada che ricopriva e imprigionava il fiume Cheonggy riportando le sue acque alla luce del sole; Yonkers ha fatto lo stesso con il fiume Sawmill; New York sta ripristinando le vaste aree umide lungo le 500 miglia delle sue coste e ha vietato la ricostruzione di centinaia di case spazzate via dall’uragano.
I cambiamenti climatici non determinano però conseguenze solo ambientali, ma finiscono per pesare anche sotto il profilo economico. E’ quanto sostiene lo scrittore Lester Russell Brown con l’intento di far ragionare i governi e i politici che, diversamente, non comprenderebbero la gravità della situazione. A tal proposito evidenzia l’andamento crescente dei prezzi della produzione agricola - il cui indice a livello mondiale è raddoppiato nel 2012 rispetto al periodo 2002-2004 - e, come conseguenza, oggi il cibo sia venduto a costi non più sostenibili per molti paesi.
I rappresentanti dei 190 Paesi da lunedì riuniti a Doha, in Qatar, per la conferenza sul clima hanno il compito di impedire che, con la scadenza fissata a fine anno del trattato di Kyoto, si interrompa anche l’impegno, stabilito 15 anni fa dai paesi più industrializzati, di operare per fermare la crescita dei gas serra che minacciano la stabilità del clima.
Quello che, in allora, sembrava un atto lungimirante per tutelare le future generazioni, oggi, di fronte alla rapidità dei cambiamenti climatici, rappresenta una impellente necessità per gli attuali abitanti del pianeta. E, anche se, per ipotesi, si riuscisse ad interrompere da subito le emissioni serra, l’anidride carbonica già emessa provocherebbe, comunque, un aumento medio delle temperature di almeno 1 o 2 gradi. Pur in presenza della crisi economica il livello di anidride carbonica presente in atmosfera ha, infatti, raggiunto nell’ottobre di quest’anno le 391 parti per milione di volume: era di 316 nel 1959, mentre la soglia di sicurezza è situata a 350.
Sempre se si vuol cercare di contenere la febbre del pianeta entro i due gradi, soglia oltre la quale le conseguenze possono diventare drammatiche. I fenomeni climatici nuovi e violenti che si susseguono impongono l’urgenza di una riconversione del sistema produttivo, il passaggio a un’economia basata sull’efficienza, sull’innovazione, sul risparmio energetico, sulle fonti rinnovabili e il recupero dei materiali.
In ogni caso occorre un segnale forte che non può che arrivare da un settore determinante per il cambiamento del clima: quello energetico, dove le emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili sono aumentate del 49 per cento tra il 1990 e il 2010. Ma un cambiamento radicale in campo energetico, finora sostenuto solo dall’Unione europea e da pochi altri paesi, deve coinvolgere le grandi nazioni in forte sviluppo, ad iniziare dalla Cina. Qui i segnali sembrano incoraggianti: nei prossimi cinque anni Pechino è previsto produca una quantità di energia da fonti rinnovabili pari al doppio del consumo energetico annuale dell’Italia. Secondo il professor Jeremy Rifkin l’interesse del Politburo cinese per una terza rivoluzione industriale basata su fonti rinnovabili, idrogeno, smart grid e mobilità sostenibile è molto forte. La Cina, insomma, si starebbe rendendo conto che il prezzo del cambiamento climatico legato all’aumento delle temperature con la fusione del ghiacciaio dell’Himalaya e l’inaridimento delle aree interne sarebbe per lei altissimo, mentre già oggi per l’intera area asiatica l’inquinamento rappresenta uno dei fattori più critici e di contenimento della stessa crescita. Più in generale si prevede, poi, che le fonti rinnovabili nei prossimi tre anni daranno un contributo globale superiore a quello del gas.
In carenza delle decisioni dei vertici internazionali è quindi auspicabile si rafforzi, insieme ad una maggiore consapevolezza delle devastanti conseguenze connesse ad un aumento incontrollato delle temperature, una concreta voglia di agire dal basso capace di coinvolgere nell’impegno e nell’azione le principali nazioni. D’altronde, non avendo a disposizione un secondo pianeta, non esiste neppure un’altra praticabile alternativa.
Alessandria, 30 novembre 2012
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