lunedì 24 dicembre 2012

Gim Cassano: Monti, l'Italia, l'Europa

Monti, l’Italia e l’Europa. Come funghi dopo la pioggia, un rapido spuntare di nuove formazioni politiche ha accompagnato la fine di una legislatura nel corso della quale, dopo la riorganizzazione di una parte della sinistra operata da SEL, erano poi apparsi API ed i futuristi di Fini come tentativi di conversione al centro di fette dei due schieramenti. Gli ultimi mesi di sopravvivenza forzata del governo Berlusconi ci hanno poi regalato una pletora di movimentini a carattere individuale, quasi monopersonali, prevalentemente concentrati nel Mezzogiorno, inventati dai diversi Scilipoti allo scopo di coprire con “nuovi percorsi politici” (tale è la dizione in politichese corrente) quelle che gli italiani normali chiamano compravendite. Molti e simili nei nomi, tanto da render loro impossibile l’elencazione e la memoria: e dei quali non resterà alcuna traccia. Ma, nel corso dell’ultimo anno, si è verificata un’ improvvisa accelerazione: nell’orbita centrista, sono arrivati coloro che intendono fermare il declino grazie agli insegnamenti dell’Istituto Bruno Leoni e di alcuni docenti d’oltre Atlantico; a questi, senza che si riesca bene a capire la differenza tra gli uni e gli altri, si sono aggiunti i seguaci di Montezemolo; nei paraggi del PD, si sono affacciati Donadi e Tabacci; a sinistra, sono apparsi gli arancioni di Ingroia e De Magistris; persino il neo-eletto Presidente della Regione Sicilia, avendo già avviato a soluzione tutti i problemi di quella Regione, pensa a crearsi il proprio movimento. Infine, ultimo della serie, sventolando labari e gagliardetti, appare l’ineffabile La Russa a costituire una succursale del PdL dall’ispirazione nostalgico-affaristica che, nel giro di tre giorni, è riuscita a propinarci il tentativo di scippo delle norme regolanti la raccolta delle firme, l’affossamento del decreto sulle pene alternative, e l’irresponsabile proposta di far eleggere nelle proprie liste i due fucilieri di marina, in modo da evitar loro il processo in India. Non c’è male, per un partito che ancora non c’è. E di sicuro, avendo omesso di citarne i moti convettivi, si è fatto torto a qualche altra molecola. Nella massima parte di queste convulsioni, è difficile scorgere qualcosa di più che il manifestarsi di interessi di clan, quando non dichiaratamente personali. In un sistema politico che si va articolando per coalizioni, è evidente che, con questa legge elettorale, il risultato in termini prosecuzione della vita parlamentare per chi non sia parte degli apparati di partito consolidati dipende dalla capacità o meno di presentare liste proprie all’interno delle coalizioni o, in subordine, allo scopo di ottenere ospitalità nelle liste di un eventuale partito-ospite, da quella di potersi accreditare come il leader di un qualsivoglia gruppo. Ciò spiega come l’area di centro sia frastagliata: vi si affollano, oltre all’UdC, API o pezzi della stessa, i seguaci di Fini, quelli di Montezemolo, quelli di Giannino, oltre agli esangui e sclerotizzati epigoni di partiti storici come il PLI ed il PRI; cioè, in buona parte, transfughi di più o meno antica data della vecchia maggioranza berlusconiana, ai quali potrebbe aggiungersene ancora qualche altro pezzo. E’ difficile vedere in tutto ciò un filo comune che non sia l’utilitarismo di un generico interesse ad aggregarsi, o le connotazioni del tutto tradizionali di un moderatismo all’italiana nel quale si mescolano le aspirazioni a veder ridimensionato il ruolo dello Stato con quelle a continuare ad attingere alle sue mammelle, il liberismo radicale al protezionismo ed alla tutela di caste e corporazioni, le concezioni tecnocratiche a quelle organicistiche. Ed al quale è estraneo il concetto di laicità come metodo. L’eterogeneità delle forze centriste, incapaci di darsi un’unica ispirazione, in quanto raccolte attorno a clans vecchi e nuovi, e più interessate a formare una coalizione nella quale il peso di ciascuno sia accuratamente dosato, che non a costruire una prospettiva esente dai limiti di cui si è detto sopra, spiega la rinunzia di Monti ad aggiungere un ulteriore pezzo ad una costruzione già abbastanza composita e complicata Infatti, dopo aver sbattuto con grande energia la porta in faccia alla corte dei miracoli berlusconiana che, dopo averlo svillaneggiato, lo aveva invitato a prender la guida dei “moderati”, Monti ha deluso quanti, al centro, auspicavano il suo diretto schierarsi con loro. Ma, se la cosiddetta “Agenda Monti” è distante anni-luce dai contenuti, dagli obbiettivi, dalle proposte, dai metodi della destra berlusconiana, e non solo sull’economia, a ben vedere, essa rappresenta una sintesi alla quale i cosiddetti centristi, interessati prima di tutto ad altro, non sono ancora pervenuti. E Monti non è persona che possa immaginare il proprio ruolo come quello di uno dei micro-leader dell’affollata area di centro. Nella quale, con italico pressapochismo, tutti si affretteranno a farne propria a parole la cosiddetta Agenda (salvo poi dimenticarsene), sperando di poter così più legittimamente spendere il nome del Professore. Purtuttavia, quest’area è accomunata da convincimenti europeisti, quanto meno dichiarati: cosa che, nelle contingenze attuali, diventa questione pregiudiziale e dirimente sul piano delle scelte e delle prospettive politiche. Dopo anni caratterizzati dal discredito e dalla sguaiataggine di personaggi come Berlusconi, La Russa, Bossi, che ci hanno portati ad una sostanziale emarginazione cui il delirio di primazìa del premier ed i “me ne frego” di non pochi dei suoi ministri non ponevano certo rimedio, il recupero di credibilità, e la consapevolezza di far parte di un’entità sovrannazionale, con le relative prospettive, ma anche con i relativi obblighi, sono divenuti una questione di primaria importanza ed attualità politica. Cosa, questa, ancor più importante in un Paese in cui ad avversare l’Europa ed i suoi obblighi si trova un ibrido ed ampio fronte che vede insieme, e con ragionamenti simili, la destra populista, postfascista, localista, il massimalismo di sinistra, l’IdV e gli arancioni, i seguaci di Grillo. La consapevolezza di quanto sia limitato il fronte di coloro che siano convintamente europeisti e di quanto sia d’altra parte necessaria all’Italia la convergenza di politiche nazionali e di politiche europee, spiega il nocciolo delle dichiarazioni del Professore: cioè la sua disponibilità a servire il Paese, attraverso passaggi postelettorali e parlamentari, come d’altronde, e per fortuna, nonostante gli stravolgimenti operati in questi ultimi dieci anni, recita ancor oggi la Costituzione. In altre parole: il Professor Monti è disponibile, ove richiesto, unicamente a prestarsi a ricoprire ruoli istituzionali o politici, solo ove ciò fosse ritenuto necessario da un fronte saldamente europeista, che necessariamente comprende tanto le forze di centro, quanto quelle di sinistra democratica e riformista. In queste argomentazioni sono implicite tre considerazioni: • Una destra che pensi di far leva sulla demagogia antifiscale e sul revanchismo antieuropeo è bugiarda e dannosamente inutile al Paese: da essa non può attendersi altro che la prosecuzione di quel populismo delle illusioni che ci ha fatto perdere un ventennio, che ha sprofondato il Paese in una crisi ben più grave di quella che ha colpito le altre economie, e che ci ha allontanati dall’Europa, non solo sul piano economico. • E’ nell’interesse del Paese che le riforme necessarie al suo sviluppo si attuino per via del dibattito politico, anche tra posizioni diverse, ma all’interno di un quadro condiviso e caratterizzato da saldi riferimenti europei, tra una sinistra democratica e riformista ed uno schieramento moderato. • Le possibilità di risollevare il Paese, e di spazzar via le macerie lasciate dal berlusconismo stanno nel fatto che in queste due aree si sviluppi tale consapevolezza. Abbiamo così, per una volta, ascoltato un ragionamento di tono diverso, più da statista, che da politico. Pur non condividendo o condividendo poco alcuni degli indirizzi messi in atto dal governo Monti, e pur ritenendo necessaria più di una correzione di rotta, ritengo che sia nell’interesse del Paese che, anche a sinistra, si condividano queste tre considerazioni. La possibilità che l’Italia si trasformi si lega anche al fatto che in Europa possano realizzarsi politiche più incisive e coordinate per lo sviluppo, la collaborazione finanziaria, la solidarietà tra i suoi membri. Perché queste possano attuarsi, occorre anche l’apporto dell’Italia, che può e deve dare un contributo in questa direzione; ma ciò richiede che venga recuperata, e stabilmente mantenuta, quella credibilità che avevamo perduto, e che fonda il suo presupposto nella statura politica e morale dei nostri governanti, nella serietà e linearità dei nostri comportamenti, nella tenuta dei nostri conti. Gim Cassano, 23-12-2012 (gim.cassano@tiscali.it,

Nessun commento: