lunedì 27 agosto 2012

Peppe Giudice: I limiti di PD e Sel

I limiti del PD e di SEL

Come ho già detto, credo che solo su un asse PD-SEL oggi si possa ricostruire in Italia un centrosinistra in grado di dare un minimo di risposte alla gravissima crisi che attraversa il nostro paese e che rappresenta la sintesi e l’intreccio della crisi politica determinata dalla putrefazione della II Repubblica con la crisi internazionale del capitalismo che attraversa tutti.
Ho anche detto che se, realisticamente, un patto PD-SEL è la migliore soluzione possibile nelle condizioni date, sono consapevole dei limiti e delle contraddizioni non risolti che attraversano entrambi i soggetti (ovviamente più il PD che SEL).
Pertanto, se da un lato dobbiamo operare perché questo asse non venga meno, al tempo stesso dobbiamo rimarcare quei limiti che sono ancora forti e presenti verso una evoluzione della sinistra di governo verso il socialismo democratico. Questa almeno è la mia posizione personale. Io sono stato un intransigente e radicale critico sia della III via di Blair che della “Neue Mitte” di Schroeder. Lo sanno tutti. E quindi non mi dilungo. Però ho l’impressione che spesso Blair e Schroeder, in una fase in cui sono entrambi fuori gioco e il socialismo europeo in larga parte ha preso da tempo le distanze da quelle posizioni, vengano usati strumentalmente contro il PSE in genere. Sulla presa di distanza dal blairismo basta leggere il Manifesto per una Europa Sociale del 2007 (5 anni fa) scritto da Delors ed approvato dal PSE. Oggi anche la parte moderata della SPD (che certo non convince su alcune cose) punta sulla patrimoniale, tassazione delle rendite finanziarie, separazione tra banche di deposito e banche d’affari: tutte cose che con Blair e Schroeder c’entrano molto poco. Poi naturalmente ci sono le posizioni della Kraft che sono molto più radicali. Quindi, in questa continua giaculatoria sul blairismo io sospetto la suddetta strumentalità. Per non affrontare di petto i nodi irrisolti della sinistra italiana. Uno dei quali è certamente l’assenza di una chiara scelta di quadro in cui operare e senza la quale non esiste un elemento normativo che orienti le scelte politiche. Fuor di metafora: sono giuste le critiche al socialismo europeo quando opera delle derive che lo allontanano dai suoi principi, ma tale critica ha valore se avviene all’interno di quella precisa scelta di quadro di cui ho detto. Altrimenti temo serva per altri scopi: credo soprattutto per screditare la socialdemocrazia in quanto tale (quante volte in questi anni è stata chiamata in causa la povera Rosa Luxembourg che Stalin definì come la sifilide del marxismo). Del resto se la critica alla socialdemocrazia (utilizzando il fantasma ideologico del blairismo) deve giustificare una posizione di euroscetticismo radicale come quella dell’economista postsessantottino Cesaratto (a mio avviso esponente di un marxismo strutturalista e determinista che poco c’entra con il socialismo democratico) , beh non ci siamo proprio. Non perché mi piaccia l’europeismo ipocrita e di maniera (speculare nel suo fondamentalismo all’euroscetticismo) ma perché sono convinto che solo in una dimensione sovranazionale si possa impostare un progetto di socialismo democratico nel XXI Secolo. Con tutte le difficoltà oggettive, Ma preferisco mille volte Hollande a Chavez.
Per quanto riguarda gli economisti, ricordo sempre che l’economista Giorgio Ruffolo, ricordava spesso che Keynes diceva di non prendere gli economisti troppo sul serio. Del resto proprio Keynes e Sraffa , secondo pareri autorevoli, sono quelli che hanno dimostrato la limitatezza stessa della scienza economica, che ha bisogno di essere integrata da altre discipline come l’antropologia economica di Polanyi e la psicanalisi della società di Fromm. Insomma gli economisti possono fornire un quadro descrittivo delle dinamiche in corso e dei rapporti di forza, ma non possono delineare un progetto che solo la politica può offrire ( a meno di un cadere in un cupo fatalismo economico).
Ma torniamo ai limiti del PD, su cui spesso mi sono dilungato. Quindi sintetizzerò. Il PD nasce su un esplicito rifiuto del socialismo, sulla pretesa provinciale (Massimo Salvadori lo mise in luce impietosamente) di unificare indeterminati riformismi e soprattutto nel voler unificare gli eredi del bipartitismo imperfetto che ha impedito la democrazia dell’alternativa in Italia. Se andiamo a scavare in profondità vedremo che quel bipartitismo imperfetto è la radice della crisi della I Repubblica (che comunque ha costruito la democrazia). Quindi il PD è il luogo di incontro di post-dc e post-pci con poche idee. Paolo Borioni dice che nel PD si deve più spazio alla cultura socialista. Concordo ovviamente. Ma temo che per fare questo bisognerà mettere in discussione le basi fondative stesse del PD. La esclusione della cultura socialista non è ovviamente frutto della distrazione e non avviene per caso. E’ che essa è elemento di conflitto con l’idea di compromesso storico postmoderno su cui si è fondato il PD. E sulla pretesa della separatezza dell’Italia rispetto alla politica europea. Del resto i più provinciali sono stai proprio Berlinguer e De Mita (i quali entrambi svalutavano il ruolo dei socialisti in Italia). Molti avranno notato, come in questo ultimo anno io abbia accentuato la mia posizione critica verso il comunismo italiano. Non è un problema di pregiudizio anticomunista (i miei nonni sono stati nel fronte Popolare) ma di un serio interrogarsi sul fatto di come i post-PCI abbiano sempre rifiutato un approccio serio alla socialdemocrazia. Parliamoci chiaro: l’89 ha dimostrato il pieno fallimento del comunismo. Ovviamente anche i partiti comunisti revisionisti come il PCI hanno dovuto prendere atto che venendo a mancare l’Unione Sovietica saltava la ragione fondativa del PCi stesso. E di conseguenza non c’era altra via che fare un nuovo partito. Diciamo pure che il crollo dell’URSS e dei suoi satelliti in quel modo rapido ha colto di sorpresa un po’ tutti a destra e sinistra. Si sapeva che quei regimi erano in profonda ed irreversibile crisi da tempo ma immaginare un crollo simultaneo come castelli di sabbia nessuno lo avrebbe previsto. Ma il nuovo partito non approdava al socialismo democratico. Ci si arrampicò sugli specchi per dimostrare che il 900 era finito ed insieme al comunismo crollava anche la socialdemocrazia (questa tesi, guarda caso, fu ripresa da Giddens il teorico di Blair). Si cercò nel nuovismo americanizzante, nel giustizialismo, nel togliattismo senza comunismo di D’Alema le ragioni d’essere del nuovo partito. Ma mai nel socialismo europeo (a cui si diede una adesione burocratica). In realtà il PCI è sempre stato molto lontano dal socialismo democratico. Non confondiamo i paradigmi organizzativi con la cultura politica. Non condivido l’eccesso di critica ai miglioristi (negli anni 80 cercarono di non far rompere i fili unitari a sinistra) ma non c’è dubbio che dietro la loro vicinanza alla socialdemocrazia c’era piuttosto l’ammirazione per una versione debole e governista della socialdemocrazia intrecciata con un certo liberalismo einaudiano (il presidente Napolitano ne è testimone vivente) ed addirittura (in Amendola) con il filo-sovietismo! Berlinguer rifiutava esplicitamente la socialdemocrazia e la democrazia dell’alternativa. Non riuscì ad uscire fuori della democrazia organicista di Togliatti che per me è la variante italica della “democrazia popolare” della Polonia. Del resto anche in Polonia c’era un pluralismo formale (partito agrario , ecc) ma era un fatto larvale e guidato dall’alto. Se si nega l’aspetto conflittuale della democrazia e quindi la possibilità delle alternative si ha solo una democrazia addomesticata e totalizzante. Senza contraddittorio, senza autonomia dei gruppi sociali dal partito , non c’è democrazia vera. Alla fine l’unica vera anima socialista che stava nel PCI era quella sindacale di Di Vittorio, Lama e Trentin, ma questa ha sempre contato poco nel partito e nella gestione della linea politica. Con questo ragionamento non voglio certo dire che i socialisti italiani hanno avuto sempre ragione. Anzi hanno fatto errori gravi (come quello del Fronte Popolare che causò la scissione del 1947 e poi il Pentapartito). Però è il PSI degli anni 60, l’unico a sviluppare una cultura ed un progetto di socialismo democratico forte con Lombardi, Giolitti, Santi, Brodolini. Questa cultura tramite l’incontro con la sinistra DC (prima Fanfani, poi Sullo e Donat Cattin) che determinò il più forte processo riformatore mai avuto nell’Italia repubblicana. Un processo parziale per effetto del narcotizzante moroteo, ma comunque il più importante.
Non si comprendono i limiti del PD senza questa lunga premessa. Naturalmente Bersani qualche novità positiva l’ha immessa rispetto a Veltroni. Ma è lunga la strada, perché tra i postcomunisti non si sono mai affrontati sul serio i nodi irrisolti. Sulla questione socialista, la difficoltà ad assumerla come parte integrante di se stesso, come ho già detto, dipende dal fatto che la cultura socialista è confliggente con le ragioni su cui è nato il PD, perché è configgente sia con il nuovismo sia con il compromesso storico che diventa partito. Nel momento in cui la si assumerà il PD va in pezzi. Di questo credo dobbiamo essere consapevoli. Per quanto riguarda SEL il suo limite è il residuo di postessantottismo che si porta appresso. Ma al tempo stesso c’è una maggiore apertura alla cultura socialista. Più da Vendola, che dal berlingueriano-veltroniano di sinistra Mussi.
Io credo che la rivalorizzazione della cultura socialista, non è semplicisticamente un risarcimento dovuto ad una ingiusta demonizzazione. Io sono personalmente convinto che essa serva a ricostruire la sinistra. Soprattutto se essa assume il socialismo europeo come scelta di quadro. Non basta un generico progressismo.

Peppe

3 commenti:

vittorio ha detto...

Mi capita spesso di essere in piena sintonia con il pensiero di Peppe Giudice, anche se credo che lui non possa esibire il fatto come una medaglia, vista la modestia della fonte, ma comunque ancora una volta mi succede, leggendo la sua affermazione….



.. “solo Bruno Trentin è stato intellettualmente in sintonia con un progetto forte di socialismo democratico”.



vittorio ha detto...

Non sono in sintonia con Giudice, quando usa il termine “giustizialismo”, e quando reitera il concetto di “socialismo democratico”.



Il “giustizialismo” a mio parere esiste solo come clava da brandire contro coloro che pensano che la giurisdizione si possa davvero applicare a tutti i cittadini, politici compresi, secondo il “banale” criterio che vuole che la “legge sia uguale per tutti”. E quando questi sbagliano, e la cosa è ovviamente possibile, anziché affrontare nel merito l’errore si fa comodamente di tutta un’erba un “fascio” scadendo davvero, (se mi è consentito il calembour) in forme di “neo fascismo” a tutto fascio.



vittorio ha detto...

Di Pietro e Travaglio sono uomini di destra con cui si possono condividere scelte specifiche e dissentire su molte altre; Grillo lo dice lui di non essere né di destra né di sinistra, toccherà ai posteri stabilire cosa sia stato, oltre che un bravo teatrante; Padellaro e Furio Colombo, Zagrebelsky e Cordero, non mi pare proprio possano essere bollati con categorie riduttive del loro pensiero, che anche quando si possa non condividere, restano personalità dalla dignità politica trasparente e quanto mai significativa.



Ma sono solo alcuni esempi, fatti per tentare di rendere più comprensibile il mio modesto pensiero.



Il “socialismo” da decenni non ha più bisogno di aggettivi che lo qualifichino, ed è democratico, o non è.



Il PD che elegge a padri nobili Togliatti e De Gasperi, e mette nel pantheon Craxi, è la negazione di quanto sopra.



Che risucchi il Vendola devoto di San Pio, e sodale di Don Verzé, nella sua orbita, dove vorrebbe attirare anche il Casini che ha dedicato alla Madonna di S. Luca la sua Presidenza della Camera conquistata con i voti del “mafioso” Cuffaro, è cosa triste a dir poco, e se questo è il realistico disegno politico del mio concittadino Bersani, credo si possa dire che sia anche un disegno, ma che sia doveroso dissentire almeno sul suo essere un “nuovo disegno”.



Sono un cittadino, cerco di essere un cittadino libero e pensante, e non un “suddito” né un “adepto”.

Sono consapevole dei miei limiti, che sono rilevanti, soprattutto se misurati alla luce dell’ambizione sopra richiamata.



A differenza di Adriano Sofri, intellettuale di chiara fama (detto senza alcuna ironia e precisato scanso equivoci), considero che il termine “sinistra” inteso in senso politico, non sia affatto una “superficiale etichetta”, come vale d’altronde per il termine opposto, “destra”.



Da quando Norberto Bobbio ha scritto il saggio “Destra e Sinistra”, e sono ormai passati quasi vent’anni, trovo in quelle pagine quanto mi occorre per convincermi anche sul piano “teorico”, oltre che su quello istintivo, empirico e financo emozionale, che la “sinistra” è la parte politica in cui identifico le mie idee sul piano generale.



Da quando il PSI è morto, imploso causa la mutazione genetica cui è stato progressivamente soggetto a partire dal 1976, sono senza partito, ad eccezione del tempo in cui, fra il 1998 e il 1999, ho coltivato l’illusione che a Firenze si fosse aperto un cantiere per costruire un “partito nuovo” della sinistra, laico, libertario, socialista; capace di ospitare al proprio interno tutte le frazioni del socialismo che in un secolo e mezzo di storia, hanno via via assunto un ruolo ed una dignità politica, fatta di meriti ed errori, ovviamente, “frazione comunista” compresa.



Le delusioni, e cito una data come riferimento, da quando Riccardo Lombardi ci ha lasciato, sono andate rincorrendosi senza soluzione di continuità, ed oggi, per me, lettore da sempre de “la Repubblica”, de “Il Fatto Quotidiano”, de l’Unità (in particolare quella di Colombo e Padellaro e poi De Gregorio), azionista senza dividendo de “il manifesto”, si aggiunge l’ennesima, forse la più cocente di tutte, quella di assistere, sul terreno tragico e minato della lotta alle mafie, lotta propedeutica a qualsiasi crescita civile del nostro Paese, ad una ulteriore divisione, e quanto mai acrimoniosa, delle personalità riconoscibili per la loro disponibilità a sostenere la vasta area politica che si chiama “sinistra”.



Ne ricavo l’amara conferma che aveva visto giusto Paolo Sylos Labini, a scrivere di un paese a civiltà limitata.



Vittorio Melandri