Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
domenica 30 dicembre 2012
sabato 29 dicembre 2012
venerdì 28 dicembre 2012
Peppe Giudice: La vera destra è Monti
Giuseppe Giudice
La vera destra è Monti, ma l'elettorato ha difficoltà a riconoscerlo
Ora che è entrata in campo la destra vera, liberale, tecnocratica non quella populista e demagogica, l'elettorato della sinistra secondorepubblichina fa fatica a riconoscerla. Stando ad alcuni sondaggi una parte consistente dell'elettorato di csx simpatizza per Monti. Che significa? Che poi l'elettorato di csx non è poi tanto tale o che ha preso un grosso abbaglio? Probabilmente l'una e l'altra cosa. Il paradigma della II Repubblica si è fondato sulla coppia berlusconismo-antiberlusconismo. A sua volta questo è non solo il risultato della discesa in campo del Bunga-Bunga Man, ma della mutazione genetica degli eredi del PCI. Claudio Signorile, in un dibattito promosso dalla Fondazione Socialismo, disse che nel 92 nel PDS prevalse non una opzione socialdemocratica, ma una operazione egemonica di tipo gramsciano (di un gramscismo distinto da un progetto socialista beninteso) che aveva il suo punto focale nella "questione morale". Insomma bisognava "rifare l'Italia" (quante volte il Cardinale Reichlin ci ha ammorbato in proposito) ostaggio della mafia, della P2, del debito pubblico "prodotto esclusivo del malefico Pentapartito", di una impresa pubblica ostaggio della partitocrazia, e dare spazio alla gente "onesta" e per bene (una distinzione che metteva in sordina la dialettica sinistra-destra). Insomma la nuova sinistra nuovista doveva creare una egemonia politico-culturale intorno al lavoro che facevano i magistrati di Milano e Palermo, per ricostruire il paese. Tale operazione egemonica - che tale non fu perchè i postcomunisti furono egemonizzati dal capitalismo finanziario globalizzato e dal clericalismo - era di fatto convergente con gli interessi del capitalismo anglosassone transnazionale. Perchè? Perchè la demonizzazione della impresa pubblica era funzionale al disegno del suo smantellamento che coerentemente fu perseguita da "Goldman Sachs" Prodi e da Baffino (uomo di Draghi o viceversa) in funzione non di un disegno industriale ma della ristruttirazione degli equilibri finanziari. Il risultato di tutto ciò fu il declino della industria nazionale, come ha ben descritto Gallino. In secondo luogo una quota consistente di elettorato popolare che nella I Repubblica votava Psi e Pci ha votato per la destra populista (o è andato verso l'astensione). Ecco la difficoltà per l'elettore di csx di oggi nel riconoscere la destra vera. E che spiega le difficoltà oggettive che ha Bersani nel caratterizzare in senso socialdemocratico il PD. E che spiega perchè anche la cosiddetta "sinistra radicale" affida le sue sorti ad un magistrato e non ad un sindacalista. Insomma è una sinistra da rifare in Italia (è la sinistra da rifare prima della nazione). Passare dal paradigma tardo-berlingueriano (da cui dobbiamo liberarci) a quello di una socialdemocrazia forte non è semplice e non è facile. Perchè significa non solo scomporre e ricomporre soggetti poltici ma anche blocchi elettorali.
giovedì 27 dicembre 2012
Vittorio Melandri: Monti, salgo in politica per rinnovare
MONTI: “SALGO IN POLITICA PER RINNOVARE”
Il genere con cui un qualsiasi ‘verbo’ può presentarsi nel processo verbale, ovvero quel processo che “sviluppandosi nel tempo o che è nel tempo, esprime l’azione fatta o subita, lo stato, la condizione del soggetto a cui il ‘verbo’ viene riferito”, può cambiare radicalmente. Se si legge ad esempio questa frase: “rinnovo il guardaroba” …. il verbo ‘rinnovare’ si presenta come transitivo, perchè l’azione passa appunto dal soggetto che la esprime, al “guardaroba” che è di tutta evidenza cosa diversa dal soggetto stesso. Se invece si legge: “mi rinnovo”, lo stesso verbo ‘rinnovare’ si presenta come intransitivo, dato che l’azione rimane circoscritta al soggetto che l’ha espressa. Questo esempio conferma quanto è possibile leggere su una qualsiasi grammatica italiana, ovvero che… “il genere di un verbo è riconoscibile pienamente solo nel contesto del discorso che lo ospita”. Ma lo stesso verbo, e rimango al caso di “rinnovare” può radicalmente cambiare anche di significato, per cui il suo uso può palesare che l’azione espressa comporta un “modificare, rimettere a nuovo, ristrutturare” la cosa esistente cui il soggetto si riferisce, ma può anche significare che l’azione espressa porta a “fare o dire di nuovo; ripetere” concetti o cose di già esistenti.
Credo sia perlomeno legittimo, e proprio alla luce dei fatti che così ‘onorevolmente’ per il Prof. Monti caratterizzano la sua esperienza di vita, interpretare il significato dell’uso che lui fa del verbo “rinnovare”, sia nel senso qui sopra richiamato per primo, come i suoi alfieri addetti alla raccolta del consenso elettorale ci vogliono far credere, ma anche.. ..nel senso qui richiamato per secondo, come personalmente sono propenso a credere, per cui quello che Monti intende “rinnovare” nella politica italiana è la “presa” che da sempre il “potere” più conformista, più clericale, più legato alle fonti ‘prime’ del potere stesso, esercita sulle “Istituzioni” che di volta in volta lo Stato in Italia si è dato. Che l’“establishment” abbia ieri scommesso sul Cavaliere erede del CAF, incurante della “puzza dei soldi” che “il dottore” emanava da sempre, ed oggi intenda scommettere sull’algido Professore Senatore a vita “nominato” dal Presidente Giorgio Napolitano, in qualche modo testimonia di un cambiamento di stile, ma non testimonia certamente della volontà di un rinnovamento/cambiamento nell’esercizio del potere, a cui senza soluzione di continuità, si applica da secoli in Italia un “establishment” che non ha mai abdicato al suo ruolo. Sempre indifferente alla condizione in cui l’Italia si è di volta in volta trovata; una espressione geografica, uno Stato monarchico, uno Stato a dittatura fascista e razzista, o uno Stato Repubblicano.
Vittorio Melandri
mercoledì 26 dicembre 2012
martedì 25 dicembre 2012
Franco Astengo: L'agenda Monti
AGENDA MONTI, CONTRADDIZIONE PRINCIPALE, QUESTIONE DEMOCRATICA
La pubblicazione della cosiddetta “Agenda Monti” e la relativa proposta di applicazione concreta utilizzando una certa metodologia di acquisizione del ruolo di governo attraverso la proposizione di un meccanismo di tipo oligarchico, collocato – ormai – del tutto al di fuori da quanto indicato al proposito dalla Costituzione Repubblicana, sta sicuramente rappresentando un momento di formidabile impatto sull’intero sistema politico italiano, ancora impastoiato (è bene ricordarlo) in quella lunghissima fase di transizione, avviatasi nel 1992.
Una fase di transizione non ancora conclusa nonostante il tentativo di assunzione di un modello bipolare fondato su di una forte personalizzazione della politica: modello che, adesso, appare davvero naufragato e superato da un’ipotesi ancor più pericolosa quale quella oligarchica, cui ho appena accenato.
Diventa interessante, al proposito, seguire la vicenda del “giallo” circa l’origine di una parte del testo in questione: proveniente direttamente, a quanto pare, dall’interno dello stesso Partito Democratico, il cui esponente chiamato in causa al proposito ha già avviato, però, le procedure per una scissione, per adesso di modeste dimensioni ma che i fautori dell’agenda in questione ritengono possa trasformarsi in un vero e proprio “effetto valanga”.
Questo fatto è accaduto, tra l’altro, mentre il PD è impegnato in un’operazione di definitivo superamento di una forma – partito basata sull’idea di un confronto interno e una relativa assunzione di responsabilità collettiva da esercitarsi in tutte le sedi fuori e dentro le istituzioni.
Il PD sta trasformandosi, invece, in un partito di “individui” in competizione perenne fra di loro, in diverse forme e a seconda dell’occasione, stimolati a stare insieme principalmente dall’interesse personale o della particolarità di un gruppo, come bene descrive Hirschman.
Torniamo, comunque, all’essenziale (com’è stato richiamato, in questi giorni, da un segretario di Partito) per individuare su quali contraddizioni si appoggia questa cosiddetta “agenda Monti” e i riflessi immediati che, da questa analisi, ne sortiscono per la presenza di una sinistra d’alternativa nel nostro Paese.
Sinistra d’alternativa impegnata, in questo momento, in una faticosissima iniziativa al riguardo della presentazione elettorale di un “cartello” che comprende anche, in posizione prevalente se non egemonica (considerata la realtà delle regole del gioco) una parte della magistratura legata a un’idea molto forte di conflitto con le istituzioni dominanti, attorno al tema del ripristino della legalità violata nell’esercizio soprattutto del potere politico e del collegamento tra questo e parti rilevanti della criminalità organizzata di stampo mafioso, ormai operante non solo nel Sud ma in tutta l’Italia.
Assunto questo tema, del resto fondamentale, è necessario che la sinistra d’alternativa, nel definire questa sua possibile presenza e soprattutto nel delineare una propria autonoma possibilità di presenza politica nel futuro attraverso una forma organizzata, che dovrebbe assumere – a mio parere – la dimensione di un partito politico, sviluppi un’iniziativa adeguata proprio sul terreno che questa cosiddetta “Agenda Monti” indica con estrema chiarezza.
Un terreno che identifico senza alcun dubbio in quello della “contraddizione di classe”.
Tralascio il riferimento all’ampio dibattito che, su questo punto, si è sviluppato nel corso degli anni, tendendo a negare, a nascondere, a ricondurre ad altre vie, l’elemento di quella che è stata definita “contraddizione principale”, ma di questo si tratta, proprio in questo preciso momento storico, pur nell’evidente complessificazione sociale e nell’emergere, di conseguenza, di una pluralità di fratture sociali che abbiamo definito “post-materialiste” ( che nel dibattito in corso appaiono aver assunto una valenza prioritaria).
Riprendo allora la definizione classica, di derivazione marxiana, del concetto di classe “ raggruppamento umano omogeneo dal punto di vista sociale e degli interessi, la cui differenziazione non è dovuta a fattori naturali, ma a elementi sociali. La classe è definita dalla divisione del lavoro e dalla proprietà dei mezzi di produzione”.
Su queste basi si sono realizzati i rapporti di forza fondati sulla dimensione delle organizzazioni politiche che, adesso, quale esito della crisi s’intende ristabilire compiutamente a favore di ci rappresenta la proprietà dei mezzi di produzione: avevamo giudicato “antica” questo tipo di definizione e invece proprio gli sviluppi economici, politici, sociali di questi ultimi anni, a livello internazionale e interno ce ne hanno ricordato brutalmente l’assoluta modernità.
La cosiddetta “Agenda Monti ripropone per intero questo tema come quello dominante per il prossimo futuro e lo collega a un’altra grande questione: quella democratica.
Si propone, nella metodologia che è stata messa in atto sul piano più propriamente politico, l’espressione di un elitismo molto pericoloso, perché insinuato nelle pieghe di esercizio ,nel corso del suo sviluppo, di un’apparente forma democratica, favorita dalla legge elettorale vigente nella forma dell’indicazione del cosiddetto “capo della coalizione”. Uno stratagemma usato a suo tempo per nascondere una qualche forma di elezione diretta e adesso trasformato nel grimaldello per far passare l’idea –appunto – dell’oligarca che assume il potere in una forma comunque indipendente dall’esito delle elezioni.
Una doppia combinazione questa, indicata proprio dalla cosiddetta “Agenda Monti” tra questione di classe e questione democratica che dovrebbe far riflettere al meglio i dirigenti della possibile e/o presunta sinistra d’alternativa: si possono fare cartelli e alleanze per contingenti ragioni tattiche (lo spauracchio della soglia di sbarramento) ma mai come in questo momento è necessario che un partito si fondi con precisione sull’identità della contraddizione sociale, seguendo ancora lo schema fondamentale elaborato da Stein Rokkan (Cittadini, elezioni, partiti. Prima edizione 1970).
All’interno della possibile presenza nella competizione elettorale ma, soprattutto, nella prospettiva politica di medio periodo l’esigenza di un soggetto politico chiaramente definito attorno ai due temi che ho cercato di affrontare in quest’occasione: contraddizione di classe e questione democratica, dovrà risultare un fondamentale punto di riferimento, sia sul piano teorico sia su quello dell’iniziativa concreta.
Savona, li 25 dicembre 2012 Franco Astengo
lunedì 24 dicembre 2012
Felice Besostri: Monti sopra le parti
Monti ovvero il successo di chi spariglia, rifiutandosi di praticare la
tattica tipica dei partiti, che non hanno capito, che senza una profonda
autoriforma, sono destinati a ruoli secondari. Dopo il capostipite Grillo,
sono
arrivati gli arancioni e ora Monti.
Un errore aver pensato che offrirgli il Quirinale fosse sufficiente o la
leadership di un centrismo con perimetro disegnato da altri o dei moderati
su
investitura di Berlusconi. Intanto sarà LUI IL PRIMO MINISTRO PER TUTTA LA
CAMPAGNA ELETTORALE, GRAZIE AGLI ERRORI TATTICI DI PdL e PD. Attenzione la
forza di Monti non si misurerà completamente il giorno delle elezioni, ma
dopo,
grazie ai montiani imboscati nelle liste del centro-sinistro specialmente
nel
PD, che resta la miglior macchina elettorale del Paese ed anche, non
paradossalmente, il principale destinatario del suo discorso: vuol scegliere
addirittura con chi il PD deve allearsi e chi debba essere il responsabile
dell'economia. L'antiberlusconismo basta ed avanza per tenere insieme le
truppe
montiane, che avranno nuovo impulso a manifestarsi da una congiuntura
economica
negativa, giudicata soltanto sui parametri finanziari: decrescita,
chiamiamola
recessione, e disoccupazione non sono il dato più importante, neppure per
orientare il voto dei singoli elettori. Monti ha un progetto europeo, la
sinistra no, però è europeista, quindi gioca senza un suo progetto nello
stesso
campo. A questo punto tratteniamo il fiato fino all'ultimo giorno per la
presentazione delle liste.
Gim Cassano: Monti, l'Italia, l'Europa
Monti, l’Italia e l’Europa.
Come funghi dopo la pioggia, un rapido spuntare di nuove formazioni politiche ha accompagnato la fine di una legislatura nel corso della quale, dopo la riorganizzazione di una parte della sinistra operata da SEL, erano poi apparsi API ed i futuristi di Fini come tentativi di conversione al centro di fette dei due schieramenti. Gli ultimi mesi di sopravvivenza forzata del governo Berlusconi ci hanno poi regalato una pletora di movimentini a carattere individuale, quasi monopersonali, prevalentemente concentrati nel Mezzogiorno, inventati dai diversi Scilipoti allo scopo di coprire con “nuovi percorsi politici” (tale è la dizione in politichese corrente) quelle che gli italiani normali chiamano compravendite.
Molti e simili nei nomi, tanto da render loro impossibile l’elencazione e la memoria: e dei quali non resterà alcuna traccia.
Ma, nel corso dell’ultimo anno, si è verificata un’ improvvisa accelerazione: nell’orbita centrista, sono arrivati coloro che intendono fermare il declino grazie agli insegnamenti dell’Istituto Bruno Leoni e di alcuni docenti d’oltre Atlantico; a questi, senza che si riesca bene a capire la differenza tra gli uni e gli altri, si sono aggiunti i seguaci di Montezemolo; nei paraggi del PD, si sono affacciati Donadi e Tabacci; a sinistra, sono apparsi gli arancioni di Ingroia e De Magistris; persino il neo-eletto Presidente della Regione Sicilia, avendo già avviato a soluzione tutti i problemi di quella Regione, pensa a crearsi il proprio movimento.
Infine, ultimo della serie, sventolando labari e gagliardetti, appare l’ineffabile La Russa a costituire una succursale del PdL dall’ispirazione nostalgico-affaristica che, nel giro di tre giorni, è riuscita a propinarci il tentativo di scippo delle norme regolanti la raccolta delle firme, l’affossamento del decreto sulle pene alternative, e l’irresponsabile proposta di far eleggere nelle proprie liste i due fucilieri di marina, in modo da evitar loro il processo in India. Non c’è male, per un partito che ancora non c’è.
E di sicuro, avendo omesso di citarne i moti convettivi, si è fatto torto a qualche altra molecola.
Nella massima parte di queste convulsioni, è difficile scorgere qualcosa di più che il manifestarsi di interessi di clan, quando non dichiaratamente personali. In un sistema politico che si va articolando per coalizioni, è evidente che, con questa legge elettorale, il risultato in termini prosecuzione della vita parlamentare per chi non sia parte degli apparati di partito consolidati dipende dalla capacità o meno di presentare liste proprie all’interno delle coalizioni o, in subordine, allo scopo di ottenere ospitalità nelle liste di un eventuale partito-ospite, da quella di potersi accreditare come il leader di un qualsivoglia gruppo.
Ciò spiega come l’area di centro sia frastagliata: vi si affollano, oltre all’UdC, API o pezzi della stessa, i seguaci di Fini, quelli di Montezemolo, quelli di Giannino, oltre agli esangui e sclerotizzati epigoni di partiti storici come il PLI ed il PRI; cioè, in buona parte, transfughi di più o meno antica data della vecchia maggioranza berlusconiana, ai quali potrebbe aggiungersene ancora qualche altro pezzo.
E’ difficile vedere in tutto ciò un filo comune che non sia l’utilitarismo di un generico interesse ad aggregarsi, o le connotazioni del tutto tradizionali di un moderatismo all’italiana nel quale si mescolano le aspirazioni a veder ridimensionato il ruolo dello Stato con quelle a continuare ad attingere alle sue mammelle, il liberismo radicale al protezionismo ed alla tutela di caste e corporazioni, le concezioni tecnocratiche a quelle organicistiche. Ed al quale è estraneo il concetto di laicità come metodo.
L’eterogeneità delle forze centriste, incapaci di darsi un’unica ispirazione, in quanto raccolte attorno a clans vecchi e nuovi, e più interessate a formare una coalizione nella quale il peso di ciascuno sia accuratamente dosato, che non a costruire una prospettiva esente dai limiti di cui si è detto sopra, spiega la rinunzia di Monti ad aggiungere un ulteriore pezzo ad una costruzione già abbastanza composita e complicata
Infatti, dopo aver sbattuto con grande energia la porta in faccia alla corte dei miracoli berlusconiana che, dopo averlo svillaneggiato, lo aveva invitato a prender la guida dei “moderati”, Monti ha deluso quanti, al centro, auspicavano il suo diretto schierarsi con loro. Ma, se la cosiddetta “Agenda Monti” è distante anni-luce dai contenuti, dagli obbiettivi, dalle proposte, dai metodi della destra berlusconiana, e non solo sull’economia, a ben vedere, essa rappresenta una sintesi alla quale i cosiddetti centristi, interessati prima di tutto ad altro, non sono ancora pervenuti.
E Monti non è persona che possa immaginare il proprio ruolo come quello di uno dei micro-leader dell’affollata area di centro. Nella quale, con italico pressapochismo, tutti si affretteranno a farne propria a parole la cosiddetta Agenda (salvo poi dimenticarsene), sperando di poter così più legittimamente spendere il nome del Professore.
Purtuttavia, quest’area è accomunata da convincimenti europeisti, quanto meno dichiarati: cosa che, nelle contingenze attuali, diventa questione pregiudiziale e dirimente sul piano delle scelte e delle prospettive politiche.
Dopo anni caratterizzati dal discredito e dalla sguaiataggine di personaggi come Berlusconi, La Russa, Bossi, che ci hanno portati ad una sostanziale emarginazione cui il delirio di primazìa del premier ed i “me ne frego” di non pochi dei suoi ministri non ponevano certo rimedio, il recupero di credibilità, e la consapevolezza di far parte di un’entità sovrannazionale, con le relative prospettive, ma anche con i relativi obblighi, sono divenuti una questione di primaria importanza ed attualità politica.
Cosa, questa, ancor più importante in un Paese in cui ad avversare l’Europa ed i suoi obblighi si trova un ibrido ed ampio fronte che vede insieme, e con ragionamenti simili, la destra populista, postfascista, localista, il massimalismo di sinistra, l’IdV e gli arancioni, i seguaci di Grillo.
La consapevolezza di quanto sia limitato il fronte di coloro che siano convintamente europeisti e di quanto sia d’altra parte necessaria all’Italia la convergenza di politiche nazionali e di politiche europee, spiega il nocciolo delle dichiarazioni del Professore: cioè la sua disponibilità a servire il Paese, attraverso passaggi postelettorali e parlamentari, come d’altronde, e per fortuna, nonostante gli stravolgimenti operati in questi ultimi dieci anni, recita ancor oggi la Costituzione.
In altre parole: il Professor Monti è disponibile, ove richiesto, unicamente a prestarsi a ricoprire ruoli istituzionali o politici, solo ove ciò fosse ritenuto necessario da un fronte saldamente europeista, che necessariamente comprende tanto le forze di centro, quanto quelle di sinistra democratica e riformista.
In queste argomentazioni sono implicite tre considerazioni:
• Una destra che pensi di far leva sulla demagogia antifiscale e sul revanchismo antieuropeo è bugiarda e dannosamente inutile al Paese: da essa non può attendersi altro che la prosecuzione di quel populismo delle illusioni che ci ha fatto perdere un ventennio, che ha sprofondato il Paese in una crisi ben più grave di quella che ha colpito le altre economie, e che ci ha allontanati dall’Europa, non solo sul piano economico.
• E’ nell’interesse del Paese che le riforme necessarie al suo sviluppo si attuino per via del dibattito politico, anche tra posizioni diverse, ma all’interno di un quadro condiviso e caratterizzato da saldi riferimenti europei, tra una sinistra democratica e riformista ed uno schieramento moderato.
• Le possibilità di risollevare il Paese, e di spazzar via le macerie lasciate dal berlusconismo stanno nel fatto che in queste due aree si sviluppi tale consapevolezza.
Abbiamo così, per una volta, ascoltato un ragionamento di tono diverso, più da statista, che da politico.
Pur non condividendo o condividendo poco alcuni degli indirizzi messi in atto dal governo Monti, e pur ritenendo necessaria più di una correzione di rotta, ritengo che sia nell’interesse del Paese che, anche a sinistra, si condividano queste tre considerazioni.
La possibilità che l’Italia si trasformi si lega anche al fatto che in Europa possano realizzarsi politiche più incisive e coordinate per lo sviluppo, la collaborazione finanziaria, la solidarietà tra i suoi membri. Perché queste possano attuarsi, occorre anche l’apporto dell’Italia, che può e deve dare un contributo in questa direzione; ma ciò richiede che venga recuperata, e stabilmente mantenuta, quella credibilità che avevamo perduto, e che fonda il suo presupposto nella statura politica e morale dei nostri governanti, nella serietà e linearità dei nostri comportamenti, nella tenuta dei nostri conti.
Gim Cassano, 23-12-2012 (gim.cassano@tiscali.it,
Stefano De Bartolo: La discesa in campo di Monti
Cari compagni, vi invio questa mia riflessione sulla discesa in campo di Monti
e vi auguro buon Natale
Discesa in campo di Monti e chiarificazione del quadro politico italiano
La partecipazione di Mario Monti al vertice del PPE è stata giudicata
positivamente dai tanti compagni che vedono, nella sua discesa in campo al
fianco delle forze centriste, un elemento di chiarificazione del quadro
politico: da un lato una destra rispettosa del galateo istituzionale e
liberista che propone l’austerità e la svalutazione interna per recuperare la
competitività; dall’altra una forza di sinistra che si avvicina ulteriormente
al PSE, abbandonando definitivamente le ambiguità veltroniane.
Si tratta di un quadro che è ulteriormente confermato dalla partecipazione di
Monti alla presentazione del nuovo piano di sviluppo dello stabilimento Fiat di
Melfi. Al fianco dell’amministratore delegato Marchionne, il premier ha
attaccato la CGIL e le sue battaglie a difesa di tutele che appartengono ad un
“passato che non tornerà”.
Non possiamo che essere contenti della riemersione della dialettica capitale-
lavoro. A lungo marginalizzata nella (presunta) era della conoscenza e dell’
opportunità, la questione del lavoro (e dei lavoratori) torna al centro della
scena politica, dopo essere riapparsa anche in quella teorica (Stiglitz e
Fitoussi, per citare solo quelli meno estremisti, ma anche istituzioni
tradizionalmente ortodosse come il fondo monetario internazionale e l’
organizzazione internazionale del lavoro si interrogano da tempo sul peso che
le crescenti disuguaglianze hanno avuto nello sviluppo dell’attuale crisi
economica).
Non tutti sono felici di questa chiarificazione del quadro politico che
porterebbe davvero l’Italia nell’Europa. Anziché affrontare le spinose
questioni del presente, molti impostano i propri discorsi intorno al binomio
responsabilità-irresponsabilità. Uomini responsabili: Mario Monti e Giorgio
Napolitano che hanno impedito che l’Italia cadesse nel baratro. Irresponsabile:
Silvio Berlusconi che ha portato l’Italia ad un passo dalla bancarotta e che
oggi ripropone promesse pericolose e irrealizzabili.
Innanzitutto c’è in questa interpretazione una chiara impostazione ideologica
(nel senso deteriore del termine), perché non è affatto vero che fossimo sull’
orlo del baratro, così come non è vero che lo spread dipenda più dalla
credibilità istituzionale di Monti che non dai dati strutturali e dall’
intervento monetario (soprattutto indiretto) realizzato dalla BCE. Quel che è
peggio è che questa interpretazione ideologica preclude una critica da sinistra
alle politiche montiane. Attaccare Berlusconi quando cita Krugman e le
sofferenze che derivano dall’austerità vuol dire colpire quelle prospettive di
cambiamento che i socialisti seppure con fatica e tentennamenti stanno
costruendo in Europa.
Dire che Berlusconi non è credibile, è cosa ben diversa dal dire che i suoi
ragionamenti siano da irresponsabile.
La rievocazione della dicotomia berlusconismo-antiberlusconismo (sotto la
forma del contrasto tra responsabilità-irresponsabilità) comporta la
riproposizione di uno scontro dai connotati moralistici, che rimane ben al di
sotto delle vere contraddizioni che caratterizzano la nostra società.
Noi socialisti dobbiamo fare di tutto affinché le contraddizioni sociali ed
economiche non vengano mascherate e/o giustificate da approcci moralistici. Per
farlo è necessario, prima di tutto, rinfocolare la fiducia di quei compagni che
di fronte alla crisi delle ideologie (questa volta nel significato migliore del
termine) e dei partiti di sinistra (tutti, non solo quelli comunisti colpiti
dalla caduta del muro) hanno ripiegato su battaglie volontaristiche e disperse.
Dal commercio equo e solidale a Legambiante, da Libera a Slow Food, tante sono
state le esperienze che, dal basso, hanno espresso in modo scoordinato un’
opposizione alle pratiche neoliberali.
Caratterizzate da una scarsa fiducia nelle istituzioni e nelle organizzazioni
partitiche e sindacali, queste associazioni hanno intessuto, di volta in volta,
rapporto con politici onesti e sensibili, mantenendo comunque un atteggiamento
di sostanziale sfiducia nei confronti dei corpi sociali intermedi, considerati
elementi strutturalmente opachi e scarsamente democratici.
Dal punto di vista teorico, queste nuove forme di associazionismo hanno
enfatizzato il presunto passaggio, nell’ambito dell’amministrazione pubblica,
dalle logiche di government a quelle di governance. Con il concetto di
governance si intende l’esercizio di poteri formali e informali finalizzato
alla creazione del consenso attorno alle scelte pubbliche, e caratterizzato
dalla centralità delle interazioni con gli attori presenti ai vari livelli del
contesto socio-politico. Rhodes definisce governance una forma non gerarchica
di potere in cui aziende e istituzioni private non statali partecipano alla
definizione e realizzazione di politiche pubbliche.
Che le reti non gerarchizzate non fossero in grado di impedire il ritorno dell’
esclusione sociale e favorire lo sviluppo sostenibile era visibile già da anni.
D’altra parte, come per tante altre cose, è solo con lo sviluppo della crisi
economica che il contrasto diventa stridente. Il processo di ricentralizzazione
delle risorse e del potere, il carattere classista delle politiche di austerità
e persino il pesante condizionamento di Stati esteri ha palesato la rilevanza,
nell’ambito della riproduzione capitalistica, delle pratiche verticistiche,
molto distanti dalle velleità democratiche e post-democratiche dei tanti
sostenitori della governance.
Di fronte alla pesantezza della controffensiva neoliberista la sinistra deve
essere in grado di reagire, non solo riconoscendo l’importanza della dialettica
capitale-lavoro (come già detto), ma anche recuperando la fiducia nell’
intervento statale e innestando le nuove tematiche (in primo luogo quell’
ambientale) all’interno delle proprie analisi sul modo di produzione
capitalistico.
La sinistra deve, altresì, riacquistare fiducia nelle proprie organizzazioni e
nelle istituzioni democratiche. Occorre riaffermare l’importanza della
formazione di una classe dirigente adeguata, capace di sostenere un processo di
crescita e di partecipazione collettiva.
Per superare la rassegnazione e la sfiducia attuale occorre riaggregarsi
intorno alle principali contraddizioni sociali ed ambientali, come è successo
nel secolo scorso con le lotte bracciantili nel Meridione.
Solo ripartendo dalle contraddizioni sociali ed ambientali è possibile
superare quel circolo vizioso che paralizza soprattutto le regioni meridionali.
La cattiva gestione delle istituzioni democratiche e delle organizzazioni
partitiche e sindacali crea un clima di sfiducia che impedisce la costruzione
di un’alternativa autentica. Le battaglie per il rinnovamento vengono
combattute mettendo da parte le visioni generali e concentrandosi
esclusivamente su moralità e spirito di servizio. Il più delle volte si finisce
per raggiungere solo porzioni esigue di popolazione e non si coinvolge quella
che dovrebbe essere la propria base sociale di riferimento.
Stefano De Bartolo
Franco Astengo: Sinistra d'alternativa
SINISTRA D’ALTERNATIVA : REPUBBLICA PARLAMENTARE, LEGGE ELETTORALE, CULTURA POLITICA
La legislatura appena terminata è stata contraddistinta, oltre che da tanti altri fatti ed episodi che davvero sarebbe troppo lungo riassumere, da due elementi di grandissima importanza sul terreno dell’insieme delle relazioni istituzionali.
La prima riguarda la fortissima torsione in senso presidenzialista e decisionista che il nostro sistema ha subito, soprattutto ad opera del Presidente della Repubblica che, agendo ovviamente su un sedime accumulato nel tempo, ha operato una svolta molto decisa in questa direzione: svolta che ha raggiunto il suo apice, non tanto nell’ultima fase con le continue esternazioni del Capo dello Stato sui temi politici immediati, quanto per le modalità di conferimento di incarico al Capo del governo dei “tecnici” (con tanto di nomina a senatore a vita, quarantott’ore prima del conferimento dell’incarico stessa).
Una sinistra d’alternativa capace di presentare alle elezioni superando essa stessa il vincolo del personalismo che pure ha contagiato tante altre formazioni dovrebbe mettere al primo posto del proprio programma il ritorno alla pienezza di funzionamento della Repubblica Parlamentare, partendo dal ruolo di Camera e Senato, affrontando il nodo dell’eccesso di decreti leggi ma estendendo anche questa iniziativa agli Enti Locali e al ruolo dei loro consessi elettivi, ormai ridotto a marginalità dall’eccesso di potere in mano ai Sindaci eletti direttamente, che dispongono anche del potere di nomina degli assessori (potere di nomina che dovrebbe tornare ai Consigli stessi, eliminando anche la figura del cosiddetto “assessore esterno”).
Insomma, il punto su cui discutere ed impegnarsi è rappresentato dal rapporto tra governabilità e rappresentanza politica, ormai troppo squilibrato a vantaggio del primo elemento citato, quella della governabilità della quale si è fatto un vero e proprio feticcio.
Il secondo elemento è quello relativo alla mancata modifica della legge elettorale, per cui si andrà a votare il 24 Febbraio con la legge elettorale varata nel 2005, che presenta almeno quattro macroscopiche questioni che ne inficiano totalmente la dimensione democratica: a) le liste bloccate; b) il premio di maggioranza; c) le soglie di sbarramento; d) la regionalizzazione nell’assegnazione dei seggi al Senato.
Il tema di una nuova legge elettore si pone così al centro di una fase politica che con un eufemismo potrebbe essere definita come di grande delicatezza, sia per la situazione economica sia per quella politica, sia sul piano internazionale, sia sul piano interno laddove appare possibile addirittura un passaggio di complessivo riallineamento del sistema.
La realtà della profonda crisi economica e sociale richiederebbe, prima di tutto, un salto di qualità sul piano culturale, attraverso l’avvio di un serio tentativo di ricostruzione di una sintesi progettuale.
Una sintesi da realizzarsi riuscendo a oltrepassare le espressioni correnti dell’individualismo dominante (frutto dell’approccio neo-liberista ormai introiettato, fin dai primi anni’90, anche dalla sinistra italiana di tradizione socialista e comunista: salvo alcune eccezioni rimaste minoritarie).
E’ stato attraverso le espressioni dell’individualismo che si sono affrontate, almeno fin qui, le cosiddette contraddizioni “post-materialiste”.
Quelle contraddizioni “post-materialiste” che Inglehart, fin dal 1997, ha definito come “le scelte sullo stile di vita che caratterizzano le economie post-industriali”.
Oggi, proprio la realtà della crisi globale (delle quale, almeno in questa sede, non enucleiamo le caratteristiche specifiche per evidenti ragioni di economia del discorso) reclama il ritorno all’espressione di valori orientati, invece: “ alla disciplina e all’autolimitazione, che erano stati tipici delle società industriali”.
Appaiono evidenti le esigenze che sorgono nel merito della programmazione, dell’intervento pubblico in economia, della redistribuzione del reddito, dell’eguaglianza attraverso l’espressione universalistica del welfare, del ritorno a una “dimensione geografica” (quest’ultimo punto, per quel che ci riguarda, dovrebbe chiamarsi “Europa politica” da ricostruire oltrepassando l’Europa delle monete).
Dal mio punto di vista il tema della legge elettorale risulta, così, strettamente collegato a quello della presenza politico-istituzionale di una sinistra capace di elaborare un “progetto di sintesi” (lo abbiamo già definito, in altra occasione “programma comune”, ponendoci nella dimensione di un aggiornamento storico delle nostre coordinate di fondo, oltrepassando così quegli elementi di distintività identitari causa delle divisioni del passato).
Perché questo stretto legame?
Ripercorriamo velocemente le caratteristiche dei due principali sistemi elettorali: il maggioritario (nella cui direzione ci si è rivolti, in Italia, al fine di costruire un artificioso bipolarismo).
L’idea del maggioritario è stata frutto, al momento dell’implosione del sistema politico nei primi anni’90, di una vera e propria “ubriacatura ideologica”, strettamente connessa all’ondata liberista: non si sono avuti risultati sul terreno della frammentazione partitica e su quello della stabilità di governo (sono, forse, diminuite le crisi formali ma di molto accresciute, se guardiamo anche alla stessa fase più recente fibrillazioni che hanno causato fasi di vera e propria ingovernabilità).
Ritorno su temi già abbozzati in principio di questo intervento: il maggioritario ha aperto la strada allo svilimento nel ruolo delle istituzioni, alla crescita abnorme della personalizzazione (fenomeno che ha colpito duramente a sinistra, al punto da renderla in alcune sue espressioni di soggettività del tutto irriconoscibile), alla costruzione di quella pericolosissima impalcatura definita “Costituzione materiale” attraverso l’esercizio della quale si tende verso una sorta di presidenzialismo surrettizio, all’allargamento del distacco tra istituzioni e cittadini.
Il sistema proporzionale (quello “vero”, non certo quello del sistema elettorale vigente, sul quale- ripetiamo - non spendiamo parole ma un velo pietoso) è stato accusato di rappresentare, nel passato recente della storia d’Italia, il veicolo di quel consociativismo considerato l’origine di tutti i mali del sistema politico, inefficienza e corruzione “in primis”.
Preso atto di tutto ciò cogliamo l’occasione per esprimere una valutazione di fondo favorevole al sistema proporzionale: il proporzionale, infatti, rappresenta un sistema fondato necessariamente sul ruolo dei partiti, quali componenti fondamentali di una democrazia stabile, inoltre lo scrutinio di liste esige, necessariamente, un diverso equilibrio tra le candidature, affrontando così il tema del decadimento complessivo della classe politica.
Interessa, però, soprattutto il legame tra sistema elettorale e struttura dei partiti.
E’ questo il punto fondamentale del discorso che intendiamo sostenere in questa sede: la sinistra ha bisogno di un’adeguata soggettività politica che, proprio alla presenza di un’articolazione così evidente nelle richieste della società , produca reti fiduciarie più ampie e meno segmentate, più aperte verso le istituzioni, in grado di essere considerata produttrice e riproduttrice di capitale sociale, di allentare la morsa del particolarismo dilatando anche le maglie delle appartenenze locali e rilanciando il “consolidamento democratic
Un tema che dovrà, comunque, essere affrontato nel breve periodo anche da un sinistra che intenda, al di là della scadenza elettorale che pure dovrà essere rispettata, esprimersi sul terreno di una proposta di vera alternativa a questo sistema politico avviato ormai verso la crisi più profonda.
Savona, li 23 Dicembre 2012 Franco Astengo
domenica 23 dicembre 2012
Vittorio Melandri: Laici auguri ai miei pari
LAICI AUGURI AI MIEI ‘PARI’, NELL’ITALIA DOVE LE CLASSI SOCIALI ESISTONO…. OHHH…. SE ESISTONO…..
OVVERO STORIE DI CINGHIALOTTI, CINGHIALINI E BAMBINI
Un dopo Pasqua di una quindicina di anni fa, dovendo tornare a casa da Ottone insieme a mio padre (mia madre era scomparsa da pochi mesi), decisi di fare un giro lungo per rallegrargli il ritorno; l’obiettivo era quello di scavalcare due crinali e portarsi dalla Val Trebbia alla Val Nure intersecando la Val D’Aveto, per arrivare poi a Piacenza passando da Bettola, dove mio padre mi portava in vacanza all’inizio degli anni sessanta, e dove lui non si recava da molti anni.
Il caso volle che arrivati poco dopo il bivio per Cerignale, quando ormai avevamo la Val D’Aveto nel mirino, scorsi un fagottino che ingombrava la carreggiata e vedendolo anche muoversi feci appena in tempo ad arrestare l’automobile.
Sceso dal posto di guida, mi trovai ai piedi un “cinghialino” appena nato, aveva ancora un pezzo di cordone ombelicale attaccato, in tutta evidenza era stato partorito nel bosco che si ergeva alla nostra destra e da lì era rotolato sin sulla strada.
Lo raccolsi e lo deposi in un cespuglio accanto al ciglio della provinciale, affidandolo così alla sorte, non saprò mai quanto benigna o meno.
Tutto questo mi era tornato alla mente quando lessi che Eugenio Scalfari andando a trovare il Sig. Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ebbe a scorgere un “cinghialotto scomparire nel folto del bosco”.
Intendiamoci, nel mio girovagare 'forastico' (parola memorizzata rileggendo La Storia) per i boschi della Val Trebbia, di cinghiali ne avevo scorti molti altri, ma mai, come all’Eugenio d'Italia, mi era capitato un incontro sulla via, intanto che mi recavo ad una destinazione altrettanto importante quanto la sua, nel suo caso la residenza Presidenziale a Castelporziano, nel mio, quella paterna in via Taverna a Piacenza.
Oggi leggendo che Scalfari, frequentando da amico la residenza di Monti senior, ha conosciuto Mario (non ancora ‘Super’) quando aveva dieci anni, invano ho cercato nella memoria il ricordo dell’incontro con un bambino decenne figlio di un amico nel 1975, quando a mia volta avevo 27 anni, e che almeno potenzialmente potrebbe fare il Senatore a vita e il Presidente del Consiglio, niente da fare, non riesco manco a ricordare se mai mi è capitato di incontrare in quell’anno, dei bimbi decenni, forse manco li guardavo, tutto preso com’ero dalla vittoria delle sinistre, PSI e PCI insieme, alle amministrative di quell’anno.
Le classi sociali date per morte, in Italia sono più vive che mai, ed un “cinghialotto e un bambino” ne sono la misura.
Ne ricavo consapevolezza che posso dunque rivolgere i….
…..MIEI PIÙ SENTITI AUGURI…
….per altro giocoforza depurati da ogni riferimento religioso, solo ai miei pari, quelli che al massimo possono aver incontrato un “cinghialino” e già sarebbero in difficoltà dinnanzi ad un “cinghialotto”, ma che sicuramente mai e poi, possono sperare di incontrare o di aver incontrato, un bambino destinato a diventare Primo Ministro.
vittorio.. (melandri)
P.S.
Chi ricevendo questa mia non si sentisse ‘mio pari’, abbia la generosità natalizia di scusarmi per l’errore, mi capita spesso di sbagliarmi.
sabato 22 dicembre 2012
Claudio Bellavita: Ringraziamo Pisapia e Doria
A festeggiare la candidatura del pm Ingroia di ritorno da un breve soggiorno in Guatemala c'erano, oltre ai festosissimi guatemaltechi che stan dipingendo ex voto alla loro Madonna nazionale, il fior fiore del populismo giustizialista italiano, che ha come icone i pubblici ministeri le cui inchieste non hanno avuto successo presso gli organi superiori di giurisdizione, ma solo presso la stampa scandalistica. Presenziava anche Orlando, che come amministratore non è mai stato granchè, ma come sfilatore professionista in cortei antimafia preferibilmente all'estero non ha eguali. La platea plaudente era assicurata dall'ultrasinistra spersa, divisa e confusa, che pensa di farsi rappresentare dai magistrati, che come noto non hanno colore, usano il nero: ma cosa non si fa pur di arrivare vicini allo sbarramento, sia pure con posizioni di terza fila. Penso che sarà la loro fine, con il discredito degli attuali , molteplici e verbosi leaderini che proclamano in modo asfissiante il loro essere così di sinistra che di più non si può, ma per governare non sono capaci, servono i magistrati, che anche loro non son tanto capaci, neanche di fare davvero i magistrati, ma sono popolari, e praticano la confusione nell'equilibrio dei poteri.
Apprezzo molto la prudente saggezza della FIOM, che per quanto invocata, non si è fatta coinvolgere in questa lugubre carnevalata. Auspico che vengano introdotte norme che impediscano ai magistrati di farsi pubblicità politica a spese dei loro accusati. Facevano carriera così anche gli inquisitori dei regimi assoluti, inventandosi congiure contro il monarca...
venerdì 21 dicembre 2012
giovedì 20 dicembre 2012
mercoledì 19 dicembre 2012
Luciano Belli Paci: Appello per Pubblico
Cari compagni, scusate se vi disturbo con un appello sotto le feste
natalizie, ma penso che ne valga la pena.
Da alcuni mesi leggo Pubblico, il giornale diretto da Luca Telese.
Ho cominciato a comprarlo ogni tanto per curiosità, perché mi interessano i
prodotti di nicchia (come era Il Riformista) e perché l'uscita di Telese dal
Fatto mi faceva sperare che la linea del nuovo quotidiano avrebbe liberato
l'intransigenza dalla cappa del giustizialismo e del qualunquismo di
sinistra (presunto di sinistra).
"Pubblico Giornale" non ha deluso quella speranza. Ma c'è di più. Pubblico
è molto più moderno, completo e leggibile del vecchio Riformista e dice ogni
giorno con nettezza le stesse cose che andiamo dicendo da anni nel piccolo
ma vivace forum del Circolo Rosselli, tanto che ogni volta che lo leggo ho
la tentazione di postare qualche articolo. E' su una linea schiettamente
socialdemocratica ed è coerentemente laico. Incalza e critica con
intelligenza il centro-sinistra ed in particolare il Pd, senza scadere in
atteggiamenti snobistici o distruttivi. Fa giornalismo di inchiesta sui
temi sociali veri spesso ignorati dalla grande stampa, non sul gossip. Non
fa sconti al governo sedicente tecnico ed ai poteri forti, opponendosi senza
complessi al luogocomunismo che dolcemente ci opprime da anni. Aggiungo che
il supplemento culturale del Sabato è intitolato non casualmente Orwell.
Che volete di piú ?
Purtroppo, passati solo pochi mesi dall'uscita nelle edicole, il giornale é
già in crisi e rischia di chiudere.
Eppure basterebbero alcune centinaia di lettori stabili in più per
scongiurare la prematura fine di Pubblico.
Noi iscritti a questa mailing list siamo ormai alcune centinaia ...
Se non ci andiamo noi in edicola a comprarlo, per evitare che una voce così
si spenga, chi ci dovrebbe andare ?
E allora facciamolo questo regalo a noi stessi. Anche in pochi, a volte, si
possono fare miracoli ...
Auguri a tutti.
Luciano Belli Paci
martedì 18 dicembre 2012
Francesco Somaini: Sulla situazione politica
Le primarie del Centro-Sinistra hanno segnato la fine del vecchio
disegno di Vendola (e di SEL) di scompaginare il PD e di avviare un
processo di scomposizione e ricomposizione della Sinistra.
La vittoria di Bersani ha infatti spazzato via quell'ipotesi, che
ancora un paio d'anni fa poteva sembrare non priva di qualche
fondamento.
Ora dunque l'egemonia del PD sul Centro-Sinistra è più salda, e la
legge elettorale, rispetto alla quale il PD non ha fatto nulla per
farla saltare - vi ricordate di come fu mandato in vacca il referendum
Passigli, che avrebbe demolito il Porcellum, facendo invece raccogliere
le firme su un altro referendum che era destinato in partenza ad essere
giudicato inammissibile? - consegna a quel partito una posizione di
oggettivo predominio nell'ambito della coalizione.
A questo punto, fermo restando che nessuno dovrebbe pensare di
riportare nel Centro-Sinistra livelli di conflittualità interna
paragonibili a quelli che fecero cadere per due volte Prodi, ci si deve
dunque domandare che cosa debbano fare tutte quelle forze e quei
soggetti che nel progetto del PD non hanno mai creduto e che continuano
a non credervi (considerando il PD un partito dall'identità troppo
ibrida), e che vorrebbero però pensare ad una seria Sinistra di governo
(e non ad una Sinistra massimilista, inconcludente, parolaia ed
estremista).
Ora le alternative che si pongono a quest'area sono, a me pare,
essenzialmente due: la prima (se proprio non si vuole arrivare al gesto
estremo della confluenza pura e semplice nel PD) è quella di prendere
atto della situazione ed adagiarsi all'ombra del PD stesso, diventando
dei piccoli vassalli del dominus bersaniano (una volta si sarebbe detto
"cespugli"), che cerchino magari di condizionarlo un poco da
Sinistra.
L'altra - un po' più ambiziosa - è invece quella di ripensare in modo
più drastico il proprio ruolo e cercare di mettere in campo un'opzione
politica che - pur nell'ambito di una coalizione che si spera possa
vincere le elezioni e prendere il governo del Paese senza rompersi dopo
pochi mesi - sia comunque in grado di proporre soluzioni politiche più
avanzate di quelle che il PD stesso potrà sostenere.
Si tratta, in altre parole, di costruire alla Sinistra del PD un
soggetto politico di Sinistra di governo (che a me piacerebbe
immaginare con un connotato socialista piuttosto esplicito, soprattutto
per quanto concerne le scelte internazionali e la collocazione nel
PSE).
In rapporto a questa seconda opzione, a me pare che la strada per
darle corpo potrebbe essere quella di recuperare, rilanciare e
riprendere quello che nel 2009 fu il disegno di Sinistra e Libertà
prima maniera. Oggi, il recupero di quel disegno dovrebbe essere
immaginato come l'ipotesi di una convergenza non effimera tra
socialisti, SEL, ambientalisti, "civici" e libertari (possibilmente con
un dialogo stretto e costruttivo con la CGIL).
Le premesse di un'operazione politica di questo tipo dovrebbero
essere quelle di una svolta a Sinistra del PSI, di un'accelerazione di
SEL verso il PSE, di un'attenzione al mondo verde e radicale, e di
un'apertura sostanziale di quest'area verso le realtà meno strutturate
(di ispirazione socialista, ambientalista, o di Sinistra laica e
liberale).
Si tratta di prefigurare un'opera di tessitura politica non certo
facile, ma dopo la scadenza delle prossime elezioni politiche (prima
non mi pare che esistano i tempi tecnici per immaginare soluzioni
troppo diverse dall'esistente) questo potrebbe diventare un ordito su
cui lavorare.
Certo, il fatto che Bersani abbia sconfitto Renzi proponendosi come
portatore di una visione più "socialdemocratica" del PD stesso
sembrerebbe in teoria togliere spazio a questa prospettiva. Si potrebbe
infatti argomentare che ora la posizione "socialdemocratica" è espressa
per l'appunto da Bersani e dai suoi (i "Giovani Turchi" di Fassina e
Orfini, o magari il Laboratorio per il Socialismo Europeo di Ghezzi e
Epifani, o anche altri...), per cui non ci sarebbe lo spazio perchè
altri si propongano di interpretare quel tipo di opzione. Per certi
versi questo è un dato reale, e in ogni caso non c'è dubbio che nel PD
oggi esistano componenti "socialdemocratiche" più rilevanti di quanto
non fosse stato negli anni passati (e con tali componenti sarà comunque
bene tenere aperto un rapporto di stretta collaborazione e di confronto
continuo).
Bisogna però anche considerare che adesso Bersani, per tenere unito
il PD, dovrà necessariamente dialogare con le sue componenti moderate,
per cui la coloritura socialdemocratica con cui pure ha vinto le
primarie dovrà essere presumibilmente edulcorata non poco. E quando per
governare (nella auspicabile ipotesi di vittoria alle elezioni di
febbraio) il PD dovrà cercare interlocuzioni anche con i vari Monti,
Casini e Montezemolo, il tasso di socialismo (e di laicità) della sua
politica sarà ancora più contenuto.
Ciò apre quindi la possibilità perchè coloro che nel PD non sono, e
che viceversa potrebbero aspirare alla costruzione di un soggetto
politico italiano socialista e laicista (parola quest'ultima che non mi
pone francamente alcun problema e che non avrei difficoltà a fare mia),
possano avere dei margini non proprio angusti di iniziativa politica.
Penso anzi che ad un progetto del genere anche quella piccola
galassia di circoli ed associazioni della Sinistra socialista che si è
venuta faticosamente formando nel corso degli ultimi anni potrebbe dare
un contributo tutt'altro che banale. E il nostro circolo potrebbe
essere della partita.
Un saluto,
Francesco Somaini
lunedì 17 dicembre 2012
sabato 15 dicembre 2012
venerdì 14 dicembre 2012
Franco Astengo: le primarie del PD per i candidati
LE PRIMARIE DEL PD PER I CANDIDATI: UNA NUOVA FORMA DI AZIENDALISMO POLITICO?
Il PD ha deciso di organizzare le “primarie” anche per la scelta delle candidature al Parlamento: non si conoscono ancora i termini regolamentari e, di conseguenza, non è possibile formulare giudizi di merito sulla fattispecie, ma alcune osservazioni di carattere “sistemico” al riguardo della natura del partito che verrà fuori da questo tipo di metodologia, già seguita per la scelta del candidato a “capo della coalizione” (come recita la legge elettorale) è già possibile svolgerle.
Partendo da un dato: è evidente che il vero e proprio obbrobrio, che si perpetuerà anche in quest’occasione (e sarà per la terza volta) delle liste bloccate ha sicuramente rappresentato uno stimolo decisiva nella ricerca di una qualche soluzione preventiva che arginasse l’evidente disaffezione delle elettrici e degli elettori, e di questo va preso atto.
Il metodo scelto, invece, dal PD (e anche da SeL) assume, però un significato più ampio e, in quel senso, deve essere valutato.
Il mio ragionamento potrebbe partire da un interrogativo: da “partito di notabili” a partito “dell’eterno candidato?”.
Il PD si sposta, infatti, dal punto di vista della sua natura di partito verso il concetto dell’individualismo competitivo, privo di solidarietà di gruppo e di senso di appartenenza.
Le istituzioni (soprattutto la candidatura alle istituzioni) appaiono essere l’unico sbocco dell’impegno e dell’attività politica, professionalizzandola ulteriormente al di là dell’usata retorica riguardante la “società civile”e la costruzione delle candidature costituirà il solo, vero, impegno politico nell’intervallo tra un’elezione e l’altra.
L’effetto immediato sarà quello di una selezione dei quadri di tipo aziendalistico, con la produttività misurata attorno alla “quantità” di voti, sul modello della prima “discesa in campo” di Berlusconi nel ’94.
Naturalmente il contesto più immediato all’interno del quale si svolgeranno questi duelli sarà quello dei mezzi di comunicazione di massa, compreso il web, con effetti che è facile intuire circa il rapporto tra “essere” e “apparire”.
Da rilevare, ancora, una palese contraddizione: mentre sul piano del sistema elettorale il PD invoca i collegi uninominali (chiaro segnale di collocazione nell’ambito del “partito dei notabili”. Il collegio uninominale richiama questo concetto in ogni caso, anche all’interno del Labour Party britannico) per le primarie riguardanti i candidati si procede attraverso l’espressione del voto di preferenza, indicato come sentina di tutti i mali derivanti dal “voto di scambio”.
Esiste un’idea di cosa accadrà in periferia rispetto a questo tipo di scelta: si formeranno o non si formeranno “cordate” accompagnate inevitabilmente dalla logica dello “scambio”? Le prime avvisaglie dicono che sicuramente fenomeni di questo genere saranno presenti.
Senza contare un altro dato di grande importanza: l’assenza di intermediazione tra la proposta di candidatura e l’eventuale assunzione di ruolo istituzionale, nella logica propria dell’aziendalismo politico e dell’individualismo competitivo porterà a un’assunzione di ruolo, nelle istituzioni, conseguente a questo tipo di impostazione e, quindi, di esercizio del potere in una logica che definirei di “darwinismo sociale”.
Nell’idea di ricostruzione di una soggettività politica di sinistra, cui dedicarci immediatamente dopo la celebrazione delle elezioni politiche indipendentemente dal loro esito e dall’avvenuta o meno presentazione di una lista di sinistra d’alternativa, la discussione sulla “forma-partito” dovrà essere ripresa e approfondita.
E’ evidente che sarà necessario muoversi nella direzione esattamente contraria rispetto al modello aziendalistico.
Resto convinto che il modello da seguire sia ancora quello del “partito a integrazione di massa”, partendo dal concetto di “frattura” sulla quale basare il riferimento sociale centrale per fare in modo che, come ha scritto Stefano Bartolini: “le risorse di potere delle classi basse, e dei salariati in particolare, dipendono in primo luogo dalla loro volontà e capacità d’azione collettiva nel mercato e nella politica, cioè di creare e sostenere organizzazioni di interesse e politiche per l’azione collettiva”.
L’azione politica collettiva deve essere destinata alle tre parti della cittadinanza, individuate a suo tempo con T.H. Marshall: “ l’elemento civile si compone dei diritti necessari per la libertà individuale: libertà nella persona, libertà d parola pensiero e fede. Le istituzioni più direttamente associate ai diritti civili sono le corti di giustizia. Per elemento politico intendo il diritto a partecipare all’esercizio del diritto politico come membro investito di autorità politica o come elettore dei membri di tale corpo. Le istituzioni corrispondenti sono i parlamenti e i consigli dei governi locali. Per elemento sociale, intendo la vasta gamma del diritto a un modicum di benessere economico e sicurezza al diritto a partecipare in pieno all’eredità sociale e a vivere la vita di un essere civilizzato secondo gli standard prevalenti nella società”
Obiettivi: rappresentatività politica e integrazione sociale.
Fondamentali da cui ripartire, dopo lo smarrimento di questi anni difficili.
Savona, li 13 dicembre 2012 Franco Astengo
giovedì 13 dicembre 2012
mercoledì 12 dicembre 2012
Franco Astengo: E’ GIA’ SVANITO “L’EFFETTO PRIMARIE DEL PD”: LA PARTITA POLITICA ITALIANA SI GIOCA SU DI UN’ALTRA SCACCHIERA
E’ GIA’ SVANITO “L’EFFETTO PRIMARIE DEL PD”: LA PARTITA POLITICA ITALIANA SI GIOCA SU DI UN’ALTRA SCACCHIERA
La potenza degli eventi puramente mediatici, nella società moderna, è enorme e dirompente: ma gli effetti concreti sono molto difficili da rendere stabili e strutturali, in particolare in politica, allorquando nell’evocare determinati eventi legati essenzialmente all’immagine, non si possiedono gli strumenti adatti, oppure non si sono analizzate sufficientemente le possibilità a disposizione di attori importanti che non partecipano, almeno immediatamente, al gioco.
Sta capitando al PD che, una settimana fa, aveva concluso trionfalmente due mesi di assoluto dominio mediatico, giornali e televisioni, attorno alla campagna elettorale e allo svolgimento delle “primarie”, valutate da tutti come un momento di effettiva partecipazione democratica e di ritorno verso una nuova credibilità del sistema dei partiti: tanto è vero che qualcuno aveva già subito il fascino del processo d’imitazione.
Tre milioni di elettori (una cifra nettamente in calo, rispetto ad analoghe occasioni del recente passato ma questo elemento è stato fatto notare da pochi); un risultato finale molto rassicurante per il segretario del partito; sondaggi che lo lanciavano già verso Palazzo Chigi, con tanto di anticipazioni sulla futura squadra di governo (uno squadrone: non si era capito però se il riferimento era al settimo cavalleggeri del colonnello Custer oppure al Real Madrid anni’60. Due soggetti ben differenti anche nell’esito delle loro imprese).
A una settimana di distanza il quadro appare già radicalmente mutato e quell’esito apparentemente trionfale messo da parte: certo i sondaggi continuano ad assegnare al PD una larga maggioranza relativa, ma la prospettiva del quadro politica appare già tutt’altra.
Di scena, infatti, due nuovi fenomeni mediatici: il cosiddetto “ritorno in campo” per la sesta volta del cav. Berlusconi e le dimissioni, annunciate e non ancora formalizzate a questo punto, del governo dei “tecnici”.
Se nel primo caso, quello dell’eventuale ritorno al ’94 addirittura nel ricomparire della sigla di Forza Italia, le preoccupazioni potrebbero essere anche non eccessive, almeno sotto l’aspetto di un’imprevedibile rimonta stile 2006 perché sono troppi gli elementi ostativi, primo tra i quali un evidente logoramento d’immagine della leadership, nel secondo caso – quello della prospettiva che potrebbe aprirsi nel caso di effettive dimissioni del governo – si nasconde la vera insidia, almeno per il PD.
E’ stato proprio questo, del ruolo dell’attuale Presidente del Consiglio nel momento in cui avesse dovuto abbandonare (temporaneamente?) l’incarico il vero punto di sottovalutazione rispetto alla costruzione dell’impalcatura mediatica delle “primarie”.
La mossa, combinata e congiunta (non concordata, almeno credo e non esiste nessuna prova in questo senso) della ricandidatura di Berlusconi e delle dimissioni di Monti hanno, infatti, spostato l’asse politico in una direzione ben precisa: come si potrà realizzare una continuità, reclamata da più parti compresi i fantomatici “mercati”, con la politica (antipopolare e ferocemente classista, aggiungo io) portata avanti dal governo dei cosiddetti “tecnici”?
Un solo punto di riflessione: perché a questo doppio annuncio, nel lunedì successivo, è caduta la borsa di Milano ed è salito il “fantomatico” spread? Perché l’esito delle primarie del PD, con la prospettiva salda di una nuova dimensione di governo a breve, non è stata accolta al livello della speculazione finanziaria e pare necessario ergere, a questo riguardo un nuovo scudo, almeno sul piano politico, attraverso un’espressione di governo diversa da quella immaginata dal centrosinistra?
Ha un bello strillare Bersani: “siamo quelli di Prodi, Amato (sic!), Visco, Padoa Schioppa, Ciampi, ci conoscono bene”. Nessuno pare proprio riconoscerli (e ,dal mio punto di vista opposto a quello dei finanzieri e dei banchieri, meno male).
Insomma: la mancata considerazione, nel mettere assieme la vicenda delle “primarie”, di quello che era ormai l’attore principale (pensando magari di rabbonirlo con la Presidenza della Repubblica) appare essere stata fatale a tutto l’impianto mediatico messo su, con grande fatica e credo grande dispendio di danaro, tra Settembre e Novembre 2012.
Infatti, considerato che si torna a votare con il sistema del 2005 (quando l’elettorato se ne accorgerà appieno e valuterà che siamo sempre fermi alle liste bloccate credo che, Grillo o non Grillo, la partecipazione alle urne si abbasserà pericolosamente attorno al 60-55%) i sondaggisti, i più autorevoli, ed anche i politologi come il prof. D’Alimonte hanno cominciato improvvisamente a fare i conti con il “pareggio” al Senato e l’eventuale necessità, in Parlamento, di trovare convergenze collocate ben oltre il mero risultato numerico uscito dalle urne.
Certo, molto dipenderà dalla decisione soggettiva che assumerà il prof. Monti ma, in questo momento, il borsino pare proprio propendere verso un suo impegno diretto, nelle condizioni che lo “status” di senatore a vita gli consentirà (perfetto il ruolo di “capo della coalizione” senza candidarsi nelle liste, e quindi diventare poi “capo di una coalizione più grande, con l’opposizione formate dai due duplici estremismi di Foza Italia e del Movimento 5 Stelle).
Con ogni probabilità sarà assente da questo scenario una coerente forza di sinistra d’alternativa : Sel, a parte qualche sommovimento interno, pare proprio aver scelto definitivamente un ruolo ancillare, e per il resto, dove pure si segnalano tentativi generosi, i tempi appaiono troppo stretti e si può già rimpiangere il tempo perduto nel corso di questi anni.
Sull’ultimo capoverso spero di essere smentito, sul resto mi pare proprio, allo stato degli atti, uno scenario plausibile: banchieri, padroni, establishment europeo hanno una fame di potere che, per quel che riguarda il “caso italiano” non potrà che essere soddisfatta se non attraverso una continuità di quella che ho definito una politica antipopolare e ferocemente ideologica sul piano di classe, con il PD a servizio per un senso di “responsabilità” che, a questo punto, non si capisce proprio verso chi sia rivolto.
Savona, li 12 dicembre 2012 Franco Astengo
Associazione Labour Fausto Vigevani
Si è costituita nei giorni scorsi l’Associazione Labour Fausto Vigevani di
Parma, una articolazione territoriale dell’Associazione Nazionale Labour
Riccardo Lombardi fondata a Roma nel 1994 dallo stesso Vigevani, all’epoca
della sua elezione nel collegio senatoriale Fidenza – Salsomaggiore Terme
nelle liste dei Progressisti. Soci fondatori sono Roberto Antognarelli,
Angelo Conforti, Luca Conti, Mauro Conti, Claudio Del Monte, Fabrizio
Leccabue, Giovanni Mari, Franco Marusi, Arnaldo Merosini, Giorgio
Micheloni, Massimo Restano, Lorenza Riccò, Davide Vanicelli, Leonarda
Vanicelli, Valentina Vigevani.
Davide Vanicelli, eletto all’unanimità presidente nel corso dell’assemblea
costitutiva, ha sottolineato come l’associazione sia aperta a tutti coloro
che, seppure provenienti da diverse identità politiche e sociali, intendono
impegnarsi per costituire una nuova rappresentanza della sinistra
democratica e riformista nel nostro Paese, traendo ispirazione dai valori e
dagli ideali del socialismo italiano ed europeo.
“*In particolare intendiamo porre in primo piano i temi del lavoro e
dell’economia, traendo ispirazione, mi preme rimarcarlo, dal pensiero e
dall’azione politica e sindacale di Fausto Vigevani, ancora estremamente
attuali nell’odierno contesto sociale. Un esempio per tutti: la ricerca di
un nuovo ruolo del movimento sindacale in rapporto all’evoluzione del
sistema industriale, un problema sottolineato in tutta la sua gravità dalle
vicende Ilva, Alcoa, Fiat. Vigevani, di cui a marzo 2013 ricorrerà il
decennale della scomparsa, prima come segretario nazionale Fiom poi in
qualità di sottosegretario alle Finanze del Governo Prodi, cercò sempre di
coniugare i diritti e la tutela dei lavoratori con le esigenze di sviluppo
del mondo economico industriale, favorendo una mediazione rispettosa e
corretta dei bisogni di ciascuna delle parti. “*
All’incontro tenutosi nella sede di Collecchio, via Spezia 75/c, erano
presenti Valentina Vigevani, figlia del parlamentare scomparso, l’on. Rocco
Caccavari e l’on. Renzo Penna, segretario nazionale dell’Associazione
Labour Riccardo Lombardi.
Chi volesse aderire o ricevere maggiori informazioni può contattare il
numero 329 1721344 o scrivere all’indirizzo mail LabourVigevani@gmail.com.
Vittorio Melandri: Torna "l'alieno" e se vince la colpa sarà dei "terrestri"
Torna “l’alieno” e se vince la colpa sarà dei “terrestri”
Il poeta Giorgio Caproni, in una puntata della trasmissione che la RAI dedicò ai “Poeti d’oggi”, curata da Franco Simongini e andata in onda il 20 luglio1984, sosteneva fra l’altro di non essere un pessimista, perché, diceva, il “….pessimismo è una parola equivoca …” e per quanto riguardava la sua poetica Caproni affermava che si potesse parlare di una “…..poesia senza illusioni, una poesia ad occhi aperti”, dove “l’uomo senza speranza è l’uomo più libero della terra”. E poi aggiungeva….. “Il pessimismo sai quando mi viene …ma nero? Quando alla televisione vedo le facce dei nostri politici …. Allora io mi domando…. Ma cosa c’è dietro quelle maschere? …. Non ci sarà forse il male che loro dicono di combattere?” È passato molto più di un quarto di secolo da quando Caproni si esprimeva così, si era in un altro mondo, internet era solo un’idea e così la telefonia mobile come le conosciamo oggi, eppure quanto vale ancora quella terribile domanda: ma cosa c’è dietro quelle maschere? Nel paese abitato da “gente senza case”, e devastato dalla speculazione che ha edificato “case senza gente”, per dirla con un efficace titolo di giornale, è la riapparizione della “maschera di gesso” di Berlusconi, sempre più compassionevole nella sua fissità dovuta a lifting invero impietosi, a far gridare alla irresponsabile sorpresa. Il vero scandalo però, erompe dalle “maschere” dei cortigiani che plaudono incondizionatamente alla sua ridiscesa in campo, e dalle “maschere” dei sedicenti oppositori, e non solo quelli dell’ultima ora, che manifestano appunto una qual sorpresa per l’avvenimento, come se i vent’anni trascorsi, non avessero insegnato nulla della vera natura del personaggio, già prescritto nel 1990 dalla Corte d’Appello di Venezia (causa intervenuta amnistia del 1989) dal reato di spergiuro, cioè riconosciuto colpevole dello stesso, e relativo alla da lui negata iscrizione alla Loggia Massonica P2, dinnanzi al Tribunale di Verona. Che milioni di italiani abbiano creduto alla “rivoluzione liberale” promessa dall’“alieno”, resta un fenomeno da indagare da parte di sociologi e storici attrezzati, ma che si legga qua e là della “rivoluzione liberale” promessa, citata come se fosse mai davvero esistita anche solo nelle intenzioni, è una vergogna che nemmeno la domanda posta a suo tempo da Caproni, riesce a nascondere. E se come si legge oggi, anche “Maroni dice no a Berlusconi: se corre il Cavaliere nessuna alleanza con il Pdl”, ovvero se anche il suo ex Ministro dell’Interno segretario di quella Lega capace di dare a suo tempo a Berlusconi del “mafioso” e poi di diventarne l’alleato assoluto, lo scarica senza se e senza ma, riesce davvero impresa ardua capire come i sedicenti “liberali” del Corriere della Sera si arrampichino ancora sugli specchi per dire che se Berlusconi rivincerà sarà colpa del centro che non “spara” sulla sinistra, e della sinistra che non prega il resto del mondo civile, “Financial Time, l’Economist, le Monde, il Presidente Shultz”, di parlare di Berlusconi come fosse anche lui …. “civile”, e non “l’alieno” criticato persino dalla Chiesa Cattolica Romana e sbeffeggiato da Crozza.
Vittorio Melandri
Franco Astengo: Pareggio di bilancio
NELLA CONFUSIONE DELLA CRISI IN ATTO SI E' REALIZZATO, DAL NOSTRO PUNTO D VISTA, UN OTTIMO RISULTATO. I CAPIGRUPPO DEL SENATO HANNO DECISO CHE NON SARA' ESAMINATA LA LEGGE COSTITUZIONALE, GIACENTE ALLA CAMERA, DI MODIFICA DELL'ARTICOLO 81 DELLA COSTITUZIONE CHE PREVEDEVA L'INSERIMENTO NELLA NOSTRA CARTA FONDAMENTALE DELL'OBBLIGO DEL PAREGGIO DI BILANCIO. E' PROPRIO IL CASO DI RALLEGRARCI DI QUESTO ESITO, CHE SPEZZA L'IPOTESI DI UN OBBLIGO VINCOLANTE DAVVERO DIFFICILMENTE SOPPORTABILE. L'AUSPICIO E' CHE, SE NELLA PROSSIMA LEGISLATURA A QUALCUNO VENISSE IN MENTE DI RIPROPORLO COME DEL RESTO AVVERRA', SIA PRESENTE UN GRUPPO DI PARLAMENTARI DELLA SINISTRA D'ALTERNATIVA CHE RIESCANO, SU QUESTO COME SU ALTRI TEMI ANALOGHI, A SPEZZARE L'UNANIMISMO E A CONDURRE, NELLA SEDE ISTITUZIONALE PIù IMPORTANTE, UNA EFFICACE BATTAGLIA POLITICA. L'ASSENZA DI UNA SINISTRA D'ALTERNATIVA PROVVISTA DI UNA PROPRIA IDENTITA' E DI UNA PROPRIA AUTONOMIA SI E' SENTITA IN MANIERA ESIZIALE NEL CORSO DI QUESTI CINQUE ANNI. SARA' BENE CHE QUANTI SI APPRESTANO A TENTARE DI INTERVENIRE IN QUESTO SENSO IN VISTA DELLE ELEZIONI ABBIANO PRESENTE QUESTO TIPO DI INDICAZIONI E SI MUOVANO SUL TERRENO DELL'UNITA', DELL'OPPOSIZIONE, DELLA VERA ALTERNATIVA.
Franco Astengo
martedì 11 dicembre 2012
Comunicato stampa circoli di GL
GIUSTIZIA e LIBERTA’
Federazione nazionale dei circoli G.L.
Via Andrea Doria, 79
00192 ROMA
sede di Torino (10100) Largo IV Marzo 5
tel/fax: 011/ 50.30.86 – email giustiziaeliberta@tiscali.it
Sito: www.federgielle.org
Comunicato stampa
L’Assemblea dei Circoli G.L. –Giustizia e Liberta’ - federati, riunitasi a Roma il 24 novembre 2012, ha eletto all’unanimita’ quale Coordinatore Antonio Caputo, Presidente del Movimento d’Azione Giustizia e Liberta’ di Torino, non senza tributare riconoscenza e massimo apprezzamento al lavoro svolto da anni da Vittorio Cimiotta, precedente Coordinatore..
L’Assemblea, rappresentativa di 12 Circoli presenti e attivi in Italia, dal Piemonte al Lazio, , alla Campania , all’Emilia, alla Romagna, al Veneto, alla Toscana, alla Sardegna, alla Sicilia, ha manifestato l’intenzione di intensificare l’iniziativa politico-civile ed etica , nella memoria viva e attuale dei nostri Maggiori , da Carlo Rosselli, a Salvemini, Riccardo Lombardi, Ugo La Malfa, Alessandro Galante Garrone, Aldo Visalberghi, Guido Calogero, Aldo Capitini, Giorgio Bocca.
Facendo ancora una volta proprio il salveminiano “non mollare”, in una fase storico politica, caratterizzata dalla grave crisi economica in atto, irta di pericoli per la democrazia e la stessa coesione sociale , l’Assemblea ha rinnovato l’impegno antifascista, repubblicano e democratico di Giustizia e Liberta’, contro ogni revisionismo e per una rinnovata e vitale, ininterrotta democrazia..’
Le prossime elezioni, tra risorgenti populismi e derive demagogiche antieuropee, tenutosi conto degli effetti devastanti della crisi economica sulla vita delle persone e in specie delle fasce di popolazione piu’ debole e indifesa, giovani privi di occupazione, poveri, malati non autosufficienti, disabili, , sono un appuntamento fondamentale per le sorti del Paese e della sua presenza in Europa e della tenuta di un sistema di welfare capace di difendere, proteggere e attuare i diritti fondamentali delle persone, salvaguardandone le liberta’ civili, in primis la laicita’ delle Istituzioni quale premessa di un civile confronto..
L’acronimo GL sta ad indicare d’altronde l’imperativo categorico di coniugare Giustizia con Liberta’, la liberta’ eguale del Socialismo Liberale di Carlo Rosselli..
I circoli di Giustizia e Liberta’ federati non intendono rinunciare a quell’orizzonte, che sta nei principi come il diritto al lavoro, alla salute , all’istruzione e nei valori della nostra, cara, Carta Costituzionale: traduzione in lettere dello spirito della Resistenza, nostro secondo Risorgimento, che impone il dovere di farne un programma di azione per la sua piena e concreta attuazione.
Rafforzare l’impegno di GL nella vita culturale, sociale e politica del Paese, significa dare concretezza a quell’orizzonte, nel solco europeistico degli Stati Uniti d’Europa indicato e tracciato con inchiostro indelebile da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, nostri “Maggiori”, nel confino di Ventotene in anni bui, anticipando l’insurrezione che porto’ l’Italia a risorgere nella primavera del 1945. Roma, 10 dicembre 2012
Il Coordinatore della Federazione nazionale dei Circoli GL Antonio Caputo
lunedì 10 dicembre 2012
Annamaria Pagano: Ma un "raccordo" servirà
Ma un "raccordo" servirà...
scritto da Anna Maria Pagano
venerdì 07 dicembre 2012
Il PD rivendica con orgoglio di sostenere Monti... Il dilemma delle "alleanze" possiamo sintetizzarlo così: essere determinanti, seppur minimamente... o non esserlo affatto? Dobbiamo essere pragmatici, ingoiare qualche bel rospo e tentare la carta di andare in Parlamento, o rinunciarvi in partenza? Se facessimo veramente il classico passo indietro per fare un bel balzo? Ve lo dice chi ha ideali altissimi e son 20 anni che non è rappresentata in Parlamento! Credo che potremmo cercare tutti insieme di costruire l'Italia e non lasciare il PD da solo al governo, a qualsiasi costo... cerchiamo di avere i nostri ideali ben saldi e presenti, ma non acchiappare le nuvole... gli ideali sono bellissimi, ma se ci impediscono di concretizzare il "bene comune" come la mettiamo? C’è ancora l’incognita della legge elettorale, anche se tutto ciò è ancora più surreale: come dice Mario Segni la legge “porcata” è fortemente voluta e difesa dagli stessi partiti, anche se il porcellum è incostituzionale. Non si capisce perché in tutti questi anni nessuno abbia messo mano alla riforma elettorale (oddio, lo sappiamo benissimo perché...). Non è possibile immaginare che a tre mesi dalle elezioni si cambi la legge, non ci sono i tempi... maledetti loro. Abbiamo una classe politica malata, marcia, che non attua le riforme, che si adopera unicamente per mantenere i propri privilegi. Vediamo scandali senza precedenti, voti comprati impunemente... La nostra democrazia è in serio pericolo.
La legge elettorale non “premia” il migliore, ma il meno peggio tra i peggiori. “La Storia ci passerà sopra come uno schiacciasassi – ha scritto un compagno – Adesso bisogna essere Spartani non Ateniesi! Sono capaci tutti di combattere quando si sa di vincere. Bisogna saper combattere anche quando si sa di perdere!” "PER SPARTA". Ora dobbiamo salire sulle barricate e scavalcarle! Non lasciamo che la "sconfitta" della sinistra sia trasformata in una "non vittoria" alla Bersani: non ce lo possiamo permettere.
Sul 4° polo: sarebbe auspicabile anche una visione alternativa “all’andar soli” e contrapposti… ossia una trasversalità a sinistra che permetta anche una doppia appartenenza: iscrizione ad un partito non ostativa all’appoggio alla nuova alleanza a sinistra e obbligatoria sul centrosinistra, ma sarebbe plausibile intendere un'intesa coi partiti del centrosinistra, per apportare contenuti ai programmi e non essere solo movimento “antagonista”. Diciamo allora che questa doppia appartenenza (“cambiare si può” e un qualsiasi partito del centrosinistra) per quanto attualmente contraddittoria, potrebbe rappresentare una speranza che ancora ci resta per cambiare il passo del futuro governo.
Pertanto non escluderei a priori un “raccordo“ tra il "quarto polo" e il centrosinistra: penso possa rappresentare un'opportunità e non un ostacolo, anzi auspico che il 4° polo non si ponga in contrapposizione al centrosinistra, ma sia assolutamente determinante soprattutto su base programmatica... Solo cosi possiamo avere la coscienza a posto; viceversa il rimorso per aver peccato d'orgoglio brucerà molti cuori...
Penso fermamente che ora si debba tutti lavorare per il bene dell'Italia e mettere da parte gli egoismi personali e soprattutto i personalismi tanto cari sia a destra che a sinistra passando dal centro! Ora dobbiamo pensare a chi perde il lavoro, la salute, la casa... non a chi ha più o meno orgoglio da mostrare. Spesso è più facile far bella mostra di sé e "mugugnare" che impegnarsi attivamente per costruire, o nel caso, governare. Richiamare tutti ad un maggior senso civico e di responsabilità individuale è assolutamente prioritario.
Quindi pensiamo piuttosto ad un possibile "RACCORDO" alternativo al "solito accordo" del centrosinistra, senza per questo dover sospettare il solito "inciucio"...odioso termine di berlusconiana memoria. L'orgoglio deve motivarci a dar battaglia dall'interno di una formazione di governo e che possibilmente non sia un'altra vittoria di Pirro, giusto per restare in tema ellenistico. "CAMBIARE SI PUO’", anzi si deve, ma in un'Italia unita e con la barra a sinistra per non dover incappare in un distruttivo Monti-bis.
Fraterni saluti socialisti.
Anna Maria Pagano
tratto dal sito :
http://www.radicalsocialismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1468&Itemid=1
domenica 9 dicembre 2012
venerdì 7 dicembre 2012
giovedì 6 dicembre 2012
Lanfranco Turci: L'autonomia politica del PD ha bisogno del "socialismo"
Da l’Unità 6 dicembre 2012
L’AUTONOMIA POLITICA DEL PD HA BISOGNO DEL”SOCIALISMO”
LANFRANCO TURCI
L’esito delle primarie è destinato a riaprire una discussione
aggiornata sulle prospettive della sinistra,non solo per la
preparazione di un programma all’altezza della crisi e capace di far
vincere la coalizione, ma anche circa la futura configurazione della
sinistra stessa. Sono portavoce di una associazione- Network per il
socialismo europeo- i cui militanti hanno votato Vendola al primo
turno e Bersani al secondo o direttamente Bersani in entrambi i
turni. Dunque ci ritroviamo nella diffusa soddisfazione per il
risultato raggiunto dalla candidatura di Bersani. Ma come è noto
questi non sono tempi per sonni tranquilli o per dormire sugli allori.
Il voto di Renzi segnala in positivo una voglia di rinnovamento e una
critica all’autoreferenzialità della politica che va colta,
soprattutto dove ha soffiato più forte come nelle regioni “rosse”. E
tuttavia non si deve sottovalutare in quel voto anche il segno della
persistente influenza del pensiero liberista, che orienta in una
direzione moderata, ex democristiana e “montiana” una parte dello
stesso elettorato del PD. Il primo problema di Bersani e della
coalizione è dunque quello di far capire come la radicalità del
programma che si dovrebbe presentare per far fronte alla crisi non può
essere condizionato da sudditanza verso le idee tuttora dominanti
nelle classi dirigenti europee. A chi continua a pontificare sulla
discontinuità con il ‘900, occorre ricordare che siamo di fronte a una
crisi che propone scenari drammatici già vissuti in altre crisi
epocali come quella degli anni trenta del secolo scorso. Crisi che è
figlia, in termini aggiornati, delle stesse politiche e delle stesse
culture che ci hanno portato al disastro in quegli anni, con il loro
seguito di miseria, disoccupazione, crescita della ingiustizia sociale
e conflitti. L’accusa mossa a Bersani di guardare alla
socialdemocrazia andrebbe rovesciata nella rivendicazione che è
proprio alla combinazione del socialismo con il keynesismo che si
devono i risultati storici del dopoguerra , la civiltà del lavoro e
del welfare costruita in quel contesto. Risultati che la “moderna”
offensiva liberista ha contrastato negli ultimi trent’anni fino a
portarci all’esplosione della crisi attuale. Si tratta dunque di
chiarire la portata delle alternative che la crisi ripropone e che
oggi più di ieri si giocano sullo scacchiere europeo. Si deve spiegare
a chi esalta i meriti della “modernità” contro il presunto passatismo
che si oppone all’austerità e al neoiliberismo, che per quella
strada l’Europa e l’Italia possono solo andare al disastro. I
ghirigori su Monti non cambiano di un’acca questo quadro e non servono
a parlare in profondità al paese. Questa non è una strada settaria o
massimalista, ma l’unica che può unire oltre il tradizionale mondo
del lavoro, ceti sociali molto vasti soffocati oggi da una austerità
senza sbocco. Questo dato reale può anche aprire la via ad alleanze
post elettorali più larghe, senza la necessità di offrire la palma del
salvatore o del legittimatore di turno a Monti o ad altri esponenti di
una borghesia elitista, che ha, questa sì!, un sapore antico di
ottimati. Torno così al tema da cui ho preso le mosse. Il Network per
il socialismo europeo, come dice il suo stesso nome, è nato per cecare
di contribuire a una riorganizzazione unitaria della sinistra italiana
sotto il segno della lotta al neoliberismo e della convergenza nel
socialismo europeo, consapevole della revisione in atto nelle stesse
fila dei partiti socialisti dopo gli anni delle terze vie. Pensiamo
che la coalizione costituitasi per le prossime elezioni politiche e il
risultato delle primarie incoraggino questo percorso cui accennava
recentemente anche un editoriale del direttore Claudio Sardo. In
questa nuova fase la sinistra deve riscoprire il valore della politica
democratica tramite partiti rinnovati e partecipati, ma deve
riscoprire anche il valore della propria autonomia culturale . Solo
una parola antica come socialismo, la cui memoria è densa di lotte
sociali, di critica e di aspirazioni ad una diversa società, può
alimentare una autonomia che abbia l’ambizione di diventare anche
egemonia. Se si vuole non solo vincere le elezioni, ma anche cambiare
l’Italia. Per discutere di tutto questo la nostra associazione terrà
il 15 e 16 dicembre la sua assemblea nazionale a Passignano con la
partecipazione di esponenti del PD, di Sel e del PSI. Partiti dei cui
destini ci sentiamo compartecipi.
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