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giovedì 19 marzo 2020
Gim Cassano: Alcune riflessioni sul coronavirus
ALCUNE RIFLESSIONI
Quanto sta avvenendo dovrebbe indurre ogni persona in buona fede, ed almeno da un punto di vista empirico, a qualche ragionamento riguardante i criteri che da cinquanta anni a questa parte hanno improntato lo sviluppo delle democrazie industriali. Il dilagare dell’epidemia ha indotto molti a sottolineare la fragilità della società tecnologica: basti constatare come, di fronte ad un’epidemia la cui rapidità di diffusione è direttamente proporzionale alla facilità e rapidità di spostamento di merci e persone del mondo moderno, l’unica misura oggi possibile stia nel ricorso alle quarantene ed a pratiche di isolamento già messe in campo nel corso delle epidemie di secoli addietro.
Ma si tratta di una constatazione solo parziale, che si limita ad esaminare gli effetti, senza cercar di capire quali siano le cause, e che rischia di degenerare in una acritica ripulsa del mondo moderno. Le fragilità della società tecnologica, di fronte ad un virus, come di fronte al degrado ambientale e climatico, non sono un dato di fatto strutturale ed ineludibile, connaturato allo sviluppo tecnologico ed economico. Sono invece il risultato di scelte politiche che, superato il ciclo di evoluzione economica e sociale seguito alla IIa guerra mondiale, hanno caratterizzato le dinamiche ed i caratteri delle società industriali, subordinando il sapere, la scienza, la tecnologia, lo sviluppo economico, alla logica dell’interesse dei pochi e dei più forti (a prescindere dal fatto che si trattasse di individui, aziende, aree geografiche, stati), espressa attraverso l’ideologia di un mercato senza regole né controlli, per i quali peraltro mancavano –e mancano- strumenti ed istituzioni.
Lo si è visto, in tutto il mondo occidentale, nel degrado della democrazia, nel venir meno di ogni criterio di equità sociale, nello svilirsi del lavoro, nell’incapacità di adottare politiche ambientali e climatiche condivise, nel disinteresse nei confronti degli innumerevoli confitti regionali, a meno che questi vengano a toccare rilevanti interessi economici o militari, in pratiche di delocalizzazione e globalizzazione condotte al ribasso.
Lo vediamo oggi nell’esplodere di un’epidemia, di fronte alla quale le società industriali si trovano impreparate ed a dover competere tra loro per l’accesso a presidi sanitari la cui produzione, in nome della globalizzazione e della produzione al minor costo possibile, è stata delocalizzata. Lo vediamo nell’affidare la cura dei malati a medici ed infermieri che operano in condizioni di assoluta precarietà, dopo che intere Regioni hanno visto nel recente passato contrarsi le strutture e gli operatori sanitari, che si è ridotto il peso della sanità pubblica in favore di quella privata, che la mancanza di mezzi delle Amministrazioni Locali ha contratto l’assistenza ai più deboli, solo in parte compensata dal pur più che meritorio volontariato.
Bisognerà pure che, cessata l’emergenza sanitaria, si rifletta seriamente su come affrontare quella economico-sociale che già si sta manifestando, e che sarà molto più duratura. E bisognerà riflettere seriamente sui criteri che dovranno presiedere alla necessaria riorganizzazione del mondo moderno. Non si tratterà di immaginare un mondo che respinga scienza, tecnologia, evoluzione economica, ma di stabilire i criteri ai quali queste dovranno essere finalizzate, e di stabilire come andranno ripartiti i necessari sacrifici ed i futuri benefici. Se si vorranno salvare le conquiste che, dall’Illuminismo in avanti hanno caratterizzato, in nome delle libertà, della democrazia, del socialismo, l’evoluzione delle nostre società, occorrerà introdurre solidi meccanismi redistributivi e di tutela sociale, e che a pagare per tutti non siano i soliti. Andranno rivalutate parole cadute nel dimenticatoio, come eguaglianza non solo giuridica, internazionalismo, programmazione e controllo, priorità dell’interesse sociale rispetto a quello individuale. Non sono novità, queste; ad esempio, sono scritte nella nostra Costituzione: occorrerà che trovino una coscienza collettiva ed una classe dirigente in grado di tradurle in prassi politica.
GIM CASSANO, 19-03-2010
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1 commento:
L'analisi di Gim Cassano è più che giusta e credo che tutti noi la si possa condividere in pieno. Il nostro mondo industriale o addirittura post-industriale e ipertecnologico, così avanzato e sofisticato sotto molti aspetti, già all'inizio della cosiddetta rivoluzione 4.0, si è trovato investito da una catastrofe improvvisa che nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Un profeta dell'Antico Testamento avrebbe detto che la collera divina ha voluto punire la superbia degli uomini e il loro delirio di onnipotenza. In realtà superbia, deliri vari e soprattutto avidità e brama di denaro e potere non possono essere imputati a tutti, ma ai pochi e più forti che, come ha correttamente ricordato Gim, hanno gestito lo sviluppo esclusivamente in funzione dei propri interessi e privilegi. Se però lo hanno potuto fare è perché, a partire dalla fine degli anni'70 e via via sempre di più, sono riusciti ad imporre la loro narrazione (uso anch'io un termine che non mi piace) e a convincere anche coloro che avrebbero dovuto dissentire e indicare altri percorsi. Ma quella che veniva esaltata (mi verrebbe da dire venduta) era da considerarsi la modernità, bella, buona e soprattutto oggettiva ed inevitabile, mentre eventuali dubbi e resistenze erano liquidati con fastidio e disprezzo come vecchiume. Il Covid-19 ci impone di cambiare. Anch'io non penso di buttare il progresso alle ortiche e di regredire a chissà che cosa, ma una profonda riflessione dovrà essere fatta. Non so come e quando finirà questa tragedia (in realtà nessuno lo sa), ma è doveroso cominciare a parlarne.
Maurizio Giancola
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