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sabato 21 marzo 2020
Mario Del Pero: Coronavirus e disordine globale
Coronavirus e (dis)ordine globale
Mario Del Pero 21 Marzo 2020 0 Generale
In tempi di crisi dell’ordine internazionale e delle forme – parziali e spesso assai obsolete – della sua governance, studiosi e commentatori si sbizzarriscono in analisi e previsioni radicali, provocatorie e non di rado apocalittiche. È esercizio che faccio sempre con i miei studenti, quello di andare a vedere i dibattiti intellettuali che accompagnarono i grandi tornanti della storia internazionale recente. Alla fine della guerra fredda, ad esempio, quando diffusa e popolare era l’idea che il vero vincitore, e futura potenza egemone, fosse il Giappone e si preconizzavano scontri di civiltà, declini americani e nuove guerre intra-europee. Il momento attuale costituisce, a tutti gli effetti, un tornante dal quale gli equilibri globali di potenza e la struttura dell’ordine mondiale usciranno profondamente alterati. Ed ecco quindi scatenarsi i commenti e, appunto, le previsioni: sulla futura egemonia cinese; sulla fine dell’Europa; sulla crisi degli Usa. Commenti e previsioni che lasciano il tempo che trovano, ovvio. Proprio il dramma del coronavirus ci mostra infatti quanto imprevedibili siano le dinamiche storiche; quanto fragili possano risultare impalcature sistemiche all’apparenza solide e inscaflibili. E allora, più che avventurarsi in previsioni impossibili e pericolose, è utile provare a fare alcune riflessioni su cosa questa crisi riveli del contesto internazionale, della sua fragilità e delle sue intrinseche contraddizioni. Tre aspetti meritano di essere sottolineati.
Il primo è l’evidente scarto tra la profondità dell’integrazione globale degli ultimi decenni e la parzialità dei meccanismi attivati per gestirla. Viviamo in un sistema fattosi vieppiù interdipendente, che lega soggetti lontani e vicini in un reticolo di vincoli cui nessuno si può sottrarre; dove un virus sorto in un mercato di animali di una città cinese può provocare effetti devastanti su scala planetaria. Il volto oscuro e pericoloso dell’interdipendenza è noto e studiato da tempo. Nel rimarcarlo, questa crisi è rivelatrice non dell’eccesso di globalizzazione, ma del deficit di globalità: dello scarto tra integrazione e collaborazione globale, profondità dell’interdipendenza e parzialità della sua regolamentazione.
E però, secondo aspetto, tutto ciò convive con la persistente illusione della ritirata nazionale; con il potere immaginifico di frontiere che poco o nulla possono fare oggi, a maggiore ragione contro un virus, ma dietro le quali pensiamo ancora di poterci barricare. Chi, come il sottoscritto, vive in un paese europeo altro dall’Italia, ha osservato con sgomento, rabbia e incredulità la totale passività del governo francese di fronte al propagarsi del contagio: il suo sprecare dolosamente le due settimane di vantaggio che la storia gli aveva regalato rispetto all’Italia. Una passività assecondata dall’opinione pubblica, sedata dal convincimento che il virus potesse essere circoscritto all’Italia: fermato da frontiere Maginot, ormai superflue e inefficaci, ma ancora onnipotenti nell’immaginario nazionale.
Terzo e ultimo: da questa crisi si esce collettivamente o non se ne esce. Si chiudono frontiere; si congela la mobilità; si dà sfogo a tutto un campionario di grossolani stereotipi nazionali e nazionalisti. In assenza di azione collettiva, non vi saranno però vincitori e vinti, ma solo sconfitti. Sconfitta sarà la Cina, il cui autoritarismo potrà anche affascinare, ma che è il paese che per primo non ha saputo gestire e contenere l’emergenza, rivelando ancora una volta le falle e l’inefficienza del suo modello. Sconfitti saranno gli Usa, trovatisi a dover gestire la crisi con una leadership a dir poco inadeguata e un sistema sanitario indegno della prima potenza mondiale. E sconfitti saranno infine l’Europa e il progetto europeo, travolti dall’incapacità di seguire una linea comune, di capire in tempo che non di sola Italia si trattava e di agire collettivamente di fronte a una delle sfide più grandi e drammatiche che la storia li aveva posto.
Il Giornale di Brescia, 21.3.2020
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