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venerdì 27 marzo 2020
Franco Astengo: Economia di guerra
ECONOMIA DI GUERRA di Franco Astengo
In un suo articolo, pubblicato dal “Manifesto” il 27 marzo,sotto il titolo “Rathenau e Keynes, due grandi voci sull’economia di guerra” ,Tonino Perna invita a distinguere proprio tra l’economia di guerra e la situazione che stiamo vivendo sotto l’aspetto dell’emergenza sanitaria nei risvolti economici e sociali.
Sotto questo aspetto è bene precisare alcuni punti: non ci troveremo di fronte alla ricostruzione materiale di città colpite dalle distruzioni belliche (bombardamenti e altro) , non ci sarà da riempire un vuoto anche dal punto di vista “fisico” della presenza di milioni di persone scomparse e la riconversione industriale dovrà seguire linee diverse in base a scelte politiche riguardanti l’adozione di un diverso modello di sviluppo, a partire dal discorso della conversione ecologica, pure opportunamente ricordata nell’articolo citato.
Sono due i punti riassuntivi che si rilevano nell’operato dei due grandi economisti.
Perna, al riguardo di Rathenau riassume: “ l’opportunità di costruire una “Economia nuova” fondata su un allargamento del mercato locale, una minore dipendenza dall’export, e un ruolo di pianificazione e di regista da parte dello Stato”. Concludendo che “la guerra ha fatto maturare in pochi anni ciò che avrebbe dovuto maturare in qualche secolo”.
Di Keynes, invece, si cita un saggio che si trova nella parte finale della “Teoria Generale”, laddove il grande economista del new deal e del welfare si interroga sotto il titolo di un saggio: “Si può far pagare la guerra ai ricchi? Affermando che riusciremo così a cogliere l’occasione della guerra per realizzare un progresso sociale positivo”. Come in effetti avvenne non solo in Gran Bretagna con l’avvio tra il 1945 e il 1980 (più o meno i “trenta gloriosi”) , nel mondo rigidamente diviso in blocchi a modelli sociali contrapposti e l’avvio di fondamentali processi di cambiamento sul piano complessivo delle relazioni internazionali.
Nell’articolo si cerca così di raccogliere questo messaggio che oggi è ripreso da più parti invocando una redistribuzione del reddito e la giustizia sociale per cogliere proprio l’occasione di quella conversione ecologica dell’economia già citata poco sopra.
Lo scontro, conclude l’articolo, è in già in atto contro gli speculatori di borsa, i rentier, i privilegiati dal mantenimento dell’attuale distorcente modo di produzione.
E’ la lotta da condurre contro la centralizzazione del capitale finanziario (già in atto da tempo) che rievoca anche le analisi di Hilferding.
In sostanza l’articolo di Perna contiene un richiamo ad un riformismo radicale che avrebbe bisogno di un’adeguata soggettività politica.
Soggettività politica che manca perché dal dibattito sono fin qui risultati assenti due punti fondamentali:
1) quello della indispensabile dimensione sovranazionale della capacità di programmazione dell’economia. Lo scontro in atto in queste ore a livello europeo ne è testimonianza diretta;
2) La conseguenza di questo scontro sarà quella di un ritorno all’indietro sul piano della cessione di sovranità dello “Stato – Nazione”? Cessione di sovranità fin qui utilizzata, nella dimensione dell’Unione Europea, per imporre l’austerità che ha caratterizzato la fase della lunga crisi aperta nel 2007 negli USA? Austerità oggi smentita e riconvertita nella causa del “deficit spending” da alimentare con gli “eurobond” e osteggiato dalla Germania, in un quadro tale da far presagire la rottura totale di un giocattolo costruito a suo tempo con la fretta di un ottimismo derivante dall’idea della “fine della storia” e della sconfitta finale del “grande nemico”.
Il tema di oggi è quello dell’internazionalizzazione della crisi e di una necessità di risposta posta a quel livello, tanto più che una dimensione diversa nel caso probabile del “raccorciamento della filiera” potrebbe provocare, almeno a giudizio di molti esperti, il rischio di una esplosione dell’inflazione con conseguenze sociali devastanti in una condizione nella quale il post – epidemia verificherà una crescita esponenziale della disoccupazione, con interi settori produttivi in assoluta difficoltà.
Esistono questioni gigantesche da affrontare ad esempio i trasferimenti di tecnologia e quelli energetici.
Trasferimenti che hanno segnato la fase culminante di quella che abbiamo definito “globalizzazione”.
Se vogliamo continuare a pensare a una soggettività politica riformista così radicale da essere capace di fronteggiare concretamente ciò che si sarà venuto a creare nel post – emergenza sarà necessario riflettere su quattro punti ( definito però preventivamente il campo della dimensione sovranazionale):
1) Il mutato rapporto tra autonomia della scienza e della tecnica e i diversi livelli di decisionalità politica. Il contenimento dell’egemonia della scienza e della tecnica appare fattore determinante nel definire gli equilibri a livello geopolitico (in questo echeggiano richiami che tornano d’assoluta attualità come quello riguardante come possa essere possibile intrecciare l’autonomia della scienza, la finalità del produrre e la decisionalità politica);
2) L’intreccio tra politica e vita biologica, come stiamo osservando nell’attualità, favorisce il provocare uno spostamento delle procedure democratiche ordinarie verso disposizioni di carattere emergenziale. Ciò avviene in una fase di forte crisi della democrazia liberale tra l’altro dovuta al già ricordato processo di cessione di sovranità da parte dello “Stato – Nazione”;
3) Appare determinante affrontare il tema tra consumo in termini complessivi di suolo e risorse naturali e la stessa prospettiva di vivibilità del genere umano (ritorna anche qui un antico interrogativo sul produrre, come produrre, con quali finalità ,tra valore d’uso e valore di scambio);
4) Emerge il tema della capacità cognitiva in termini globali di formazione, informazione, capacità di trasmissione di notizie e cultura e quindi di educazione globale.
Questi 4 punti richiamano all’esigenza di definire quella che, nei termini dell’oggi e non come richiamo a linee passate e fallite come quella del blairismo, può essere definita “terza via”: una via posta al centro della prospettiva di una società alternativa a quella fondata su di una “economia dell’arricchimento progressivo”
Non possiamo stare fermi a contemplare ciò che accade senza disporre di idee e di organizzazione per poter attaccare, come sarebbe necessario, il muro della separatezza tra i popoli e tra i ceti sociali.
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