martedì 27 settembre 2016

Luciano Belli Paci: Craxi non ha colpe per la riforma Boschi

La grande riforma di Craxi non c’entra nulla con la deforma Boschi Il dibattito sul referendum costituzionale del prossimo autunno è accompagnato dalla pubblicazione di numerosi saggi nei quali si ricostruisce la storia dei ripetuti tentativi di riformare la nostra Costituzione che, nel corso dei decenni e con alterne fortune, hanno visto impegnati esponenti politici, commissioni bicamerali e governi. Tra i più recenti è il caso di menzionare il libro di Nadia Urbinati e David Ragazzoni “La vera Seconda Repubblica - l’ideologia e la macchina” e quello di Antonio Ingroia "Dalla parte della Costituzione - da Gelli a Renzi: quarant'anni di attacco alla Costituzione". Ho l’impressione che nessuno di questi autori si sottragga al vizio di inserire Craxi e la sua idea di Grande Riforma dello Stato in un indistinto calderone con tutti gli altri che nei decenni hanno mirato a stravolgere la nostra Carta fondamentale e questo mi induce, da socialista impegnato per il No alla deforma Renzi-Boschi, a proporre qualche considerazione critica. Se si vuole evitare di fare di tutte le erbe un fascio, di appiattire disegni molto diversi tra loro in un coacervo senza tempo, nella classica notte in cui tutte le vacche sono nere, occorre tracciare alcune nette linee di demarcazione. La prima è di carattere storico, giacché il diverso contesto politico nel quale le proposte di riforma si sono via via inserite è di decisiva importanza. Fino alla caduta del muro di Berlino la nostra democrazia ha vissuto in una condizione patologica. Eravamo una democrazia bloccata perché, essendo l'opposizione di sinistra egemonizzata dal più grande partito comunista dell'occidente, non è mai stata possibile quella fisiologica alternanza tra diverse coalizioni di governo che invece altrove era la regola. Questo ha fatto sì che durante tutto il corso della cosiddetta Prima Repubblica vi fosse un gruppo di partiti permanentemente al potere, la Dc ed i suoi alleati, e che di conseguenza si creasse quella commistione insana tra partiti ed amministrazione pubblica che è stata chiamata partitocrazia. Anche la cronica instabilità dei governi di quell'epoca deriva principalmente dalla stessa patologia, visto che le normali fibrillazioni prodotte dalla dialettica politica, non potendo mai trovare sfogo in una vera alternanza, si traducevano in crisi governative foriere ogni volta di balletti di poltrone e limitati aggiustamenti programmatici, ma nell'ambito di una stabilità sostanziale tale da rasentare il rigor mortis. L'idea di Craxi, peraltro rimasta a livello di ipotesi politica e mai trasfusa in definite proposte di revisione costituzionale, era quella che per forzare questa situazione di paralisi di cui all'epoca – si parla del 1979 ! – nessuno vedeva la fine potesse servire una riforma del sistema politico tale da imporre una competizione tra proposte di governo (e non solo tra singoli partiti come accadeva allora) e così stimolare una vera alternanza, una democrazia compiuta. Il sistema semipresidenziale francese, che proprio in quegli anni vedeva l'impetuosa crescita del partito socialista e del suo leader Mitterrand (che nel 1981 sarebbe stato eletto per la prima volta presidente), pareva il modello più adatto allo scopo. È innegabile che dentro questa riflessione vi fosse anche un calcolo di parte perché solo un netto cambiamento dei rapporti di forza tra comunisti e socialisti avrebbe potuto consentire, proprio come stava accadendo in Francia, di rendere rassicurante e dunque competitiva una coalizione di sinistra; però la diagnosi del male italiano e la strategia per curarlo erano corrette. Di tutt'altro segno sono i progetti di "Grande Riforma" che hanno accompagnato la nascita e poi il corso della cosiddetta Seconda Repubblica. Essi non hanno avuto più lo scopo di creare le condizioni dell'alternanza, che dopo la fine della guerra fredda e la trasformazione del Pci erano ormai acquisite, bensì quello di produrre un prosciugamento della democrazia, attraverso la trasformazione dei partiti in ectoplasmi, la personalizzazione forsennata della politica, lo svuotamento del parlamento e delle assemblee politiche locali, la concentrazione illimitata del potere negli esecutivi, la sterilizzazione della sovranità popolare attraverso leggi elettorali incostituzionali che stravolgono il principio di rappresentanza. La seconda linea di demarcazione riguarda il merito dei disegni riformatori. Altro è delineare a viso aperto una riforma in senso presidenziale, riprendendo proposte che furono avanzate all'assemblea costituente da personaggi del calibro di Piero Calamandrei e Leo Valiani e che comprenderebbero sia nel modello statunitense sia in quello semipresidenziale francese tutti i pesi e contrappesi del caso, e altro è tentare di introdurre surrettiziamente adulterazioni del nostro modello costituzionale attraverso forme di premierato assoluto instaurate de facto da inediti e selvaggi meccanismi ultramaggioritari. Quest'ultima tendenza, che è davvero eversiva sia nei metodi sia negli obiettivi, raggiunge l'apoteosi nella Grande Riforma prodotta dal governo Renzi e sulla quale saremo chiamati, prima o poi, ad esprimerci nel referendum. In essa, alcune mirate manomissioni della funzione legislativa, presentate come innocenti razionalizzazioni a fini di efficienza e risparmio, sono funzionali al solo scopo reale di portare a compimento lo stravolgimento della democrazia parlamentare innescato dall'Italicum, senza ahinoi portarci al vero presidenzialismo con la sua accurata separazione dei poteri. No, obiettivamente Craxi non merita di essere annoverato tra i progenitori di questo scempio. Luciano Belli Paci Milano, 23 settembre 2016

3 commenti:

mimmo ha detto...

Non intendo diffondere il tuo messaggio, perché purtroppo una corretta analisi, per non annoverare Craxi tra gli avventurieri della trasformazione della carta costituzionale pro domo propria, ovvero la congiuntura personale di governo, scade nel finale a propaganda.
Ma occorre una puntualizzazione , Craxi che aveva giustamente in mente l'alternativa socialista, fu impedito dal netto diniego di Berlinguer, che uso il paravento della questione morale declinato nella salsa impazzita della maionese dell'Eurocomunismo aveva ben compreso che solo una Grande riforma avrebbe impedito il compromesso parlamentare tra DC e PCI che consumava nella concorrenza all'assalto della diligenza nelle finanziarie.
Ma Craxi pose il problema della grande riforma, alla fine dell'esperienza di governo rendendosi conto che il nostro sistema fondato sul sistema interdittivo e sulla duplicazione di ruoli e funzioni sarebbe diventato nel tempo una minaccia per la democrazia ed infatti lo è diventato nei fatti.
Craxi era per un sistema alla francese con la doppia opzione, o l'elezione del presidente o l'elezione del primo ministro, ogni discussione fu respinta al mittente da DC e PCI a cui il sistema interdittivo faceva gioco.
Infine una preghiera, il sistema elettorale non stava in Costituzione e no sta nella riforma, e' una legge ordinaria, che proprio la riforma pone sotto il controllo di costituzionalità preventiva, e questo principio è un principio di civiltà democratica che non piace agli azzeccagarbugli perché sottrae loro opportunità di lavoro.
Un simpatico saluto.

luciano ha detto...



Caro Mimmo,

il mio appello era rivolto ai socialisti per il NO (Giovanni l’ha mandato in m.l. di sua iniziativa).

Concordo sul giudizio su Berlinguer: la sua famosa intervista del 1981, tanto lodata, è invece penosa perché occulta le cause della situazione di degrado che descrive, che erano politiche come ho tentato di spiegare, e sceglie il diversivo della superiorità morale.

Certo, non poteva immaginare che pochi anni dopo, con il crollo del comunismo, sarebbe rimasta solo la pretesa diversità morale a fornire un collante identitario ad un corpo ormai disponibile ad una galoppante alienazione ideologica.

Craxi pose il problema della grande riforma nel 1979, ben prima della sua esperienza di governo che iniziò nel 1983.

Proprio la storia dei governi Craxi è lì a dimostrare che, se ci sono volontà e capacità politica, le cose si fanno benissimo anche con la Costituzione del 1948.

Il sistema elettorale non sta nella riforma, ma la regge: è l’Italicum che traccia il solco, ed è la riforma Boschi che lo difende. Ormai l’hanno capito anche i sassi, potreste finirla di giocare ad Alice nel paese delle meraviglie …

Il delitto perfetto non esiste, o se esiste non è alla portata del vanaglorioso megalomane e della sua corte. Che al confronto i nostri nani e le nostre ballerine erano premi nobel.

Fraterni saluti.

Luciano

dario ha detto...

Il coraggio se uno non l'ha non può darselo. Tutta la pseudo riforma di Renzi è funzionale a due obiettivi 1- r - centralizzare il comando con indebolimento di tutte le strutture intermedie ed anche i comuni mediante le province metropolitane , 2- centralizzare in capo al Governo ed al Presidente del Consiglio tutte le decisioni strategiche. In sostanza creare un regime presidenziale senza dirlo. Tutto il resto è fuffa x nascondere l'obiettivo centrale. Dario Allamano